L'ORMINDO
Favola regia per musica.
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Libretto di Giovanni FAUSTINI.
Musica di Francesco CAVALLI.
Prima esecuzione: carnevale 1644, Venezia.
Interlocutori:
L' ARMONIA fa il prologo |
soprano |
ORMINDO ignoto figlio d'Hariadeno |
contralto |
AMIDA principe di Tremisene |
contralto |
NERILLO suo paggio |
mezzosoprano |
SICLE principessa di Susio in abito egizio |
soprano |
MELIDE sua damigella in abito egizio |
soprano |
ERICE sua nutrice |
contralto |
ERISBE moglie d'Hariadeno |
soprano |
MIRINDA sua dama confidente |
soprano |
HARIADENO re di Marocco, e di Fessa |
basso |
Il DESTINO |
tenore |
AMORE |
soprano |
La FORTUNA |
mezzosoprano |
I VENTI (tenore e basso) |
altro |
OSMAN capitano d'Hariadeno |
tenore |
CUSTODE dell'arsenale d'Anfa |
tenore |
MESSO |
mezzosoprano |
Coro
di Soldati d'Ormindo, di Soldati d'Amida, di Soldati mauritani, di Damigelle d'Erisbe.
Anfa è la scena, città del regno di Fessa della Mauritania Tingitana, e Cesariense fabbricata da' romani sul lido del mare Atlantico, della quale, già distrutta dalle armate di Portogallo, ora appena si mirano le ruine.
All'illustrissimo...
All'illustrissimo signor mio e padron colendissimo il signor Lunardo Bernardo fu dell'illustrissimo sig. Sebastiano.
Non ardisce Ormindo di comparire nel Certame di gloria per cimentarsi con i più saggi, e famosi re della Grecia senza consacrarsi prima al nome di v. s. illustrissima. Egli ambizioso d'ottenere le palme per adornarsi il regio diadema, non teme punto le prove per altro difficili, e perigliose, mentre campeggierà nel teatro, caratterizzato con il titolo di suo, spera, e non invano, questo principe, protetto dalla di lei gentilezza, almeno di non restar stordito dai sibili del dispregio, se non lo gonfieranno l'aure della vittoria. Prego dunque v. s. illustrissima degnarsi d'essere il nume tutelare d'Ormindo, quale se bene vanta regi natali, è però di così parche fortune, che sarebbe inabile di venire al cimento, privo dell'autorevole patrocinio di v. s. illustrissima alla quale per fine bacio le mani.
Di v. s. illustrissima
devotissimo servitore
Giovanni Faustini
Argomento
Dell'azioni alla favola precedenti.
Dagl'amori segreti d'Hariadeno, principe d'ambe le Mauritanie, e di Nearbe sorella della moglie del re di Tunisi, nacque Ormindo: i suoi natali apportarono il feretro all'infelice Nearbe, quale spirò l'anima invocando l'amato nome del suo Hariadeno, che spronato d'acuti stimoli di gloria s'era celatamente partito di Tunisi, per seguire l'avventure dell'Africa.
Cedige la regina, consapevoli degl'amori della sorella, avea in quel punto medesimo con disuguale sciagura partorita estinta la prole, onde fattosi di nascosto arrecare il pargoletto Ormindo, diede a credere al re suo marito d'averlo prodotto: crebbe Ormindo, e disciplinato nell'arti regie divenne il più bravo guerriero dell'Asia.
Hariadeno dopo aver scorse le regioni africane, ed immortalata la sua memoria con azioni illustri, e valorose, fu richiamato da sudditi per la morte del re suo padre alle corone del Marocco, e di Fessa: ivi giunto ebbe i lugubri avvisi della perdita della cara Nearbe, con la quale sperava di vivere una vita beata, tra le grandezze dell'ereditato impero; la pianse amaramente, ed addolorato passò gl'anni più verdi della sua età giovanile, senza gustare le dolcezze d'alti connubi, sin che il tempo gli sparse di neve il crine, ed amore di fiamme il core. Fatto vecchio s'innamorò d'Erisbe giovane la più bella di quelle parti, figlia d'Asane re del picciolo regno di Dara, e la prese per moglie.
Intanto l'ibero cupido di soggettare al suo trono i mauritani diademi cominciò ad infestare le città marittime di Fessa, inde Hariadeno per rintuzzar l'orgoglio all'offensore nemico, radunò una grossissima armata in Anfa, città posta sopra l'oceano: due regni più potenti dell'Africa, che dalle radici dell'Atlante s'estendono sopra le radici del mare Mediterraneo, come ad una guerra comune, e quasi sacra inviarono soccorso all'amico Hariadeno; Mahamete re di Tremisene mandò Amida principe suo figliuolo, ed Cedige, che per la morte del re suo consorte reggeva lo scettro di Tunisi, Ormindo, accompagnati da molte navi; con il quale aiuto affrontata Hariadeno l'armata ostile, la ruppe, e costrinse l'ibero ad accettare da lui dure condizioni di pace; così vittorioso ritornato in Anfa, e disarmate le navi, e ripostele nell'arsenale, attese a festeggiare i principi amici, ch'innamorati l'uno di nascosto dell'altro, d'Erisbe sua moglie ritardavano la loro partita. Erisbe giovane, e bella, infastidita de' freddi talami, e degl'insipidi allettamenti del canuto consorte, ferita di doppia piaga amorosa ardeva in genuina fiamma per Ormindo, e per Amida; quali con segrete accoglienze ella separatamente nutriva di dolci speranze.
Sicle, a cui Amida prima ch'amasse Erisbe aveva dato il possesso del suo core, e la fede d'esser suo, attendendo invano un lustro intero la sua venuta, agitata dalle furie d'amore, e di gelosia, si pose con due dame sue confidenti in abito egizio, e fintasi insieme con loro di quelle femmine, che si vantano di presagire dalle linee della mano la sorte degl'uomini, passò le asprezze del monte Chiaro, detto dagl'antichi Atlante, e giunta in Tremisene, intese guerreggiare Amida a favore d'Hariadeno, capitano dell'armi paterne: per il che preso il camino delle Mauritanie, pervenne in Anfa, appunto all'ora ch'Hariadeno debellate l'armate spagnole, attendeva a deliziare per la vittoria con li principi guerrieri; negl'amori de' quali comincia la favola.
Rappresenta la scena la piazza di San Marco, parte più cospicua della città di Venezia.
L'Armonia.
Non m'è patria l'Olimpo,
né dolce figlia io sono
di quell'acuto, e di quel grave suono,
che lassù dove splende eterna luce,
il moto delle sfere ognor produce.
Io nacqui in Elicona
delle castalie dive
da concenti canori,
del gran Febo la cetra a me fu cuna,
e del suo crin per fasce ebbi gl'allori,
bevvi per latte l'acque d'Ippocrene,
e le custodi mie fur le sirene.
Ora dal bel Permesso,
o città gloriosa,
ch'hai di cristal le mura, in cui vagheggi
la tua beltà, che l'universo ammira,
delle grazie, e d'amor famoso regno,
a ricalcare i tuoi teatri io vegno.
È già varcato un lustro,
che su palchi dorati
in te risplendo, e le mie glorie illustro,
di novi fregi adornano i miei crini
l'alme tue muse, e i cigni tuoi divini.
Io che bambina passeggiai d'Atene
con gemmati coturni in sulle scene,
io che condotta fui,
vinta la Grecia, e doma
da vincitori a Roma,
non vidi alle tue pompe, a' fasti tui,
o pompa, o fasto eguale,
vergine serenissima, e immortale.
Città d'Anfa.
Ormindo.
Ben fu per me felice
l'influsso di quell'astro
sanguinoso, e guerriero,
che costrinse l'ibero
a coprirsi gl'ampi giri
degl'atlantici mari
di bellicosi legni,
per farsi tributari
di Marocco, e di Fessa scettri, i regni;
tra gl'incendi d'Aletto
un cieco pargoletto
nelle viscere mie vibrò la face,
e nella guerra ritrovai la pace.
Amoroso portento
vivo di vita spento,
con luci di zaffiro
immortali bellezze, ahi mi feriro!
Ma benedetto il dì,
ch'un lor guardo di foco il sen m'aprì.
Idolatra adorato
vivo ognor fortunato,
ardo lieto amatore
da martiri lontano in dolce ardore:
o benedetto il dì,
ch'un raggio del mio sole il sen m'aprì.
Amida, Ormindo, Nerillo.
AMIDA
Cari globi di fiamme
occhi dell'idol mio,
deh perché non poss'io,
ah perché non mi lice,
s'ardo farfalla in voi, sorger fenice.
ORMINDO
Dello stesso mio duce
segue l'amico l'onorate insegne.
AMIDA
Ohimè troppo presumo,
ed Icaro novello
troppo innalzo le piume
verso l'amato lume,
che non m'assorba il mar del pentimento,
padre di precipizi è l'ardimento.
ORMINDO
Innamorato Amida
ti sia propizia la tua donna, e fida.
AMIDA
Da che affogò l'orgoglio, Ormindo invitto
nell'ocean vorace
l'ibera armata audace,
d'aurea saetta vincitor trafitto
elitropio d'un sol fatto son io,
che prende il moto dall'arbitrio mio:
ma bench'amante riamato, io temo,
qual Tantalo nell'onde
dover perir di sete,
o mia penosa quiete.
ORMINDO
Ardisci, ardisci, e spera,
sull'ali del coraggio
se n' vola amante saggio
di Venere alla sfera:
ardisci, ardisci, e spera.
Come i mirti alle palme ambo intrecciamo,
tra le vittorie abbiam perduto il core,
già compagni di Marte, ora d'Amore.
AMIDA
Ami tu ancora Ormindo?
ORMINDO
Amo, ed amo in un volto
l'esquisito del ciel chiuso, e raccolto.
AMIDA
E se della mia diva
tu vedessi l'imago,
che come sacra in questo seno io porto,
stupido rimarresti immoto, e morto.
ORMINDO
Se tu osassi mirare
del mio nume il ritratto,
ch'anch'io nel petto arreco a tutte l'ore
in difesa del core
da lampi suoi ferito,
cadresti qual Fetonte incenerito.
AMIDA
Di palesar concordi
le pregiate vaghezze
non si mostrino avari
amici così cari,
l'uno, all'altro scopriamo
i simulacri amati
delle dèe, ch'inchiniamo.
ORMINDO
Scopriamli sì, che l'amicizia il chiede,
né permette il tacer la nostra fede.
AMIDA
Oh di colei per cui beato io moro
immagine spirante
io ti rimiro, e ploro?
Ah la cagion comprendo,
non si vagheggia il sol se non piangendo,
ORMINDO
Oh del mio puro, ed umanato ardore
effigie esanimata,
al tuo vago splendore
la lor fede lasciata,
e giunti in sulle labbra
i miei spirti vitali,
tuoi devoti, e seguaci,
ti vogliono animar con dolci baci.
AMIDA
Prendi, prendi, dirai,
se l'ostinato, e cieco
amoroso interesse
la ragion non t'ingombra,
la mia bellezza è del tuo bello un'ombra.
ORMINDO
Togli, togli, vedrai
qual trionfo riporta
del tuo ben vivo, una pittura morta.
AMIDA
O tu scherzi, o tu errasti,
questo ritratto è il mio.
ORMINDO
È vero, errai, la mano
di sì lucida gemma, e preziosa
divenuta gelosa,
per non impoverire
anco per breve istante
del tesor, che possiede,
la volontà ingannando, il tuo ti diede.
AMIDA
Ahi che veggio!
ORMINDO
Ahi che miro?
La mia donna comparte ad altri i rai?
AMIDA
Si divide in duo petti il mio sospiro?
ORMINDO
Ahi che veggio?
AMIDA
Ahi che miro?
ORMINDO
Erisbe ingannatrice.
AMIDA
Erisbe disleale.
ORMINDO
Pera l'emulo mio, mora il rivale.
Quanto mi spiace Amida
dover trarti dal seno
quel core, in cui s'annida,
ohimè, lo spirto mio,
lo sa il ciel, lo sa dio;
ma la spada mi regge amor guerriero,
egli adirato, e fiero,
contro di te co' dardi suoi mi sprona;
tu le sue violenze a me perdona.
AMIDA
Vibrerà questa destra
in riparo del core
strali di morte, e fulmini d'orrore.
Ma non consenta Giove,
che l'amicizia nostra
resti svenata in sanguinose prove:
delle nate contese,
facciam arbitre Erisbe,
e qual di noi sarà da lei gradito
perseveri in amarla, e l'altro ceda,
da sue speranze, e del suo amor schernito.
ORMINDO
Sconsigliato consiglio è per lui questo.
Perditor si dichiara.
A tuoi detti m'apprendo.
AMIDA
Ho vinto, o dèi.
ORMINDO
Saranno i scherni tuoi le mie venture.
AMIDA
Saranno i suoi disprezzi i miei trofei.
ORMINDO
Trabocchiam le dimore,
forse si troverà nel giardin regio
il contenduto, e riverito pregio.
AMIDA
Ti seguo. Ei non s'avvede,
che per giungere il male
l'incauto suo desio gl'affretta il piede.
Nerillo.
Quel che creduto io non avrei, pur vidi:
per cagione d'amore
Ormindo, e il mio signore
si sono quasi uccisi:
sian maledetti i visi
del sesso femminile,
che con malvagi incanti
levano il senno agl'infelici amanti.
O sagace chi sa
fuggir, come il suo peggio
la donnesca beltà.
Beltà mentita, e vana,
che per far lacci a' cori
va rubando i capelli
a teschi infraciditi entro gl'avelli:
ma che parlo de' morti,
se con vezzi lascivi
pela spietatamente insino i vivi?
O sagace chi sa
fuggir come il suo peggio
la donnesca beltà.
Aprire scola io voglio
per dar a miserelli effeminati
utile documento,
perché sebbene il mento
ruvido ancor non ho,
più di quel ch'ognun crede in questo io so.
O sciocchi amanti, o sciocchi
i vostri idoli belli
son fatture dell'arte, e de' pennelli,
e stimate un gran che, quando baciate
labbra di minio, e guance attossicate.
Aprite, aprite gl'occhi,
o sciocchi amanti, o sciocchi.
Credete a me credete,
che se non fate ingegno
beverete in penitenza acqua di legno,
e griderete invan stesi nel letto,
«perché non diedi fede al giovanetto».
Aprite, aprite gl'occhi,
o sciocchi amanti, o sciocchi.
Ma vo' di qui partire
perché rapide, e snelle
voleranno le sedie, e le pianelle.
Melide, Erice, Sicle, Nerillo.
MELIDE
Se non m'inganno egl'è Nerillo.
ERICE
È desso.
SICLE
O bel giovane arresta
il frettoloso piede,
se per poca mercede
brami che ti palesi il tuo destino:
ogni cosa indovino.
NERILLO
Tu per poco guadagno
zingaretta gentil mostri il futuro?
Togli, lo vo' vedere
hai tu ricco mestiere,
per vincere il disagio, io t'assicuro.
ERICE
Come è fatto scaltrito.
MELIDE
E fra le corti avvezzo.
SICLE
Tu di Fessa non sei, e del nevoso Atlante
varcasti i gioghi garzoncello errante.
NERILLO
Come lo sa costei?
SICLE
Tu nel regno di Susio in Torodenta
a principessa amante
fomentasti l'ardore,
mentre del tuo signore
semplice messaggero
gl'arrecavi, cosparse
di vive fiamme, l'amorose carte.
NERILLO
Meraviglie Nerillo,
nova Sibilla, o dotta maga è questa,
sì l'ignoto passato
ti espone, e manifesta.
SICLE
Or la misera crede
esser da lui delusa,
poiché è passato un lustro, e a lei non riede.
NERILLO
Tu devi ancor sapere,
poi che il tutto t'è noto,
che non sospira, del suo mal presaga,
invan quella meschina
Erisbe.
SICLE
Ohimè.
NERILLO
Di Fessa alta regina
il suo bramato vago avvince, e impiaga.
SICLE
Ah scellerato.
ERICE
Ah crudo.
MELIDE
Ah traditore.
NERILLO
Avete molto gl'altrui casi a cuore.
SICLE
Al ravvivarne nella memoria mia
dell'innocente i torti,
sciolsi, come d'amore anch'io seguace,
contro l'ingannator la lingua audace.
ERICE
È riamato?
SICLE
Che richiedi o sciocca?
NERILLO
Ella non è indovina.
SICLE
L'arte mai non apprese.
NERILLO
Io lo comprendo.
L'ama Erisbe, ma or ora
ei scoperto ha un rivale,
onde cred'io, che gelosia l'accori.
MELIDE
Merta maggior flagello.
SICLE
Ciò che narri io previdi,
ma dir non ti saprei
l'emulo suo, come s'appella.
NERILLO
Ormindo,
il più prode guerriero,
che sia dal Mauro, all'Indo,
di Cetige, regina
di Tunisi, gran figlio:
come Amida ei qui venne
in soccorso del re con molte antenne.
Ma con voi più dimora
far non poss'io, rimiro
chi con sferza inclemente
de' paggi tremiseni
i trascorsi castiga acerbamente.
SICLE
In tempo più opportuno
dell'avvenir ti predirò la sorte.
NERILLO
Oggi v'attendo in corte.
ERICE
Verremo sì, verremo.
Sicle, Erice, Melide.
SICLE
Perfidissimo Amida
il mio crudo martire
prese umane sembianze, empio, t'uccida.
Lascia, lascia di Susio il tuo bel regno
delicata donzella,
e per monti scoscesi,
e per deserte arene,
sotto spoglie mentite
gira le piante ardite,
per trovar il tuo bene,
e lieta dove sai,
ch'egli dimora, corri,
che lo ritroverai,
amante disprezzata,
principessa schernita,
pellegrina tradita
per novello desio,
languire, ohimè di te scordato. Oh dio.
Perfidissimo Amida
il mio crudo martire
prese umane sembianze, empio, t'uccida.
MELIDE
Frena il cordoglio, frena,
mercé d'amore ancora
vedrò cangiata in gioia ogni tua pena.
Frena il cordoglio, frena.
ERICE
Rasserena la fronte,
ancora Amida ancora
cancellerà co' baci i sprezzi, e l'onte.
Rasserena la fronte.
SICLE
Ammutite, tacete,
con sì vani conforti
consolarmi credete?
Ammutite, tacete.
Chi, chi mi toglie al die
carnefice pietoso
delle sciagure mie,
chi, chi mi toglie al die.
Angosce aspre, ed acerbe,
se tanto fiere siete,
perché non m'uccidete?
Della sua vita priva
non viva più la misera, non viva.
Chi, chi mi toglie al die
carnefice pietoso
delle sciagure mie,
chi chi mi toglie al die.
SICLE
Ah, ch'alle mie querele
ogni cosa è insensata, anzi crudele.
Trabocchi, ohimè trabocchi
in pianto liquefatto il cor per gl'occhi.
MELIDE
Odi Sicle. Sovente...
Erice.
Verginella infelice
troppo credula, troppo
a scongiuri ingannevoli dell'uomo,
ch'ha del vetro più fragile la fede;
così va, ch'in lui spera, ed a lui crede.
Io, che fui più d'ogni altra
sempre avveduta, e scaltra,
in una forma amai,
ch'i tradimenti suoi poco curai.
Mai volsi, ch'il mio core
mi volasse dal petto,
né feci mai ricetto,
per tema d'abbruciarlo, il cor d'ardore,
nell'incostanza mia sempre costante,
amai solo il diletto, e non l'amante.
L'amo di mille io fui,
né preda d'un restai,
godei contenta, e mai
fei di mia libertà tiranno altrui;
era tra baci ogn'un l'anima mia,
ma svanito il piacer, dal sen m'uscia.
Chi è saggia ami in tal guisa,
da catene disciolta,
se non vuole esser colta
da feroci cordogli, e poi derisa;
se potete gioir senza penare
donne belle, è pazzia davvero amare.
Si tramuta la scena nel giardino regio.
Erisbe, Mirinda.
ERISBE
Se nel sen di giovanetti
l'alma mia
sol desia di trar diletti,
vecchio re
per marito il ciel mi diè.
Famelica, e digiuna
di dolcezze veraci,
con sospiri interrotti
passo le tristi notti,
sazia di freddi, e di sciapiti baci,
pasco sol di desio l'avide brame,
ed a mensa real moro di fame.
Se nel sen di giovanetti
l'alma mia
sol desia di trar diletti,
vecchio re
per marito il ciel mi diè.
MIRINDA
Mal si conviene invero
congiunger treccia d'oro a crin d'argento:
nell'agone d'amore
povera di vigore
senza poter ferire
ha la pigra vecchiezza il solo ardire.
Ti compiango regina
costretta a passar gl'anni
del tuo aprile ridente
con un vecchio agghiacciato, ed impotente.
ERISBE
Ti giuro, io gelerei
fida Mirinda, a lato
del consorte gelato,
se doppiamente amore
non m'accendesse il core.
O principi diletti
egualmente voi siete
d'Erisbe innamorata
le delizie più rare,
le memorie più care,
i più ricchi tesori,
le speranze migliori.
MIRINDA
Ben Ormindo, ed Amida
a ragione tu adori,
sono i tuoi doppi amori esca gradita,
che l'alma ti nutrisce, e ti dà vita.
ERISBE
Il mio core
fu d'amore
con un dardo in duo diviso,
e per fede
egli diede
a ciascuno un paradiso.
Se mi cinge,
se mi stringe
doppio laccio, e doppio nodo,
il contento
doppio sento,
doppia gioia io provo, e godo.
Luci amate,
che brillate
nella fronte de' miei cieli
voi, voi siete,
che struggete
di mia sorte i crudi geli.
Amida, Ormindo, Erisbe, Mirinda.
AMIDA
Eccola appunto Ormindo,
o vaghezza.
ORMINDO
O bellezza.
AMIDA
Per contemplarti un Argo esser vorrei
ORMINDO
Non han forme sì belle in cielo i dèi.
ERISBE
Vedi là quella rosa,
che negletta, ed incolta
infracidisce in sulla siepe ombrosa?
Al suo lo stato mio quasi è simile,
ella sfiorisce in sullo stelo, ed io
in talamo senile.
ORMINDO
Quivi chiuso, e celato
tra gli folti arboscelli, ed odorati
ora vedrai s'io son da Erisbe amato.
AMIDA
Scopriti pure, in breve
vedrò tarpati alla tua speme i vanni,
ed il tuo ciglio a lagrimar gl'affanni.
ORMINDO
Amor, vittorioso,
sotto gl'auspici tuoi
movo il piè baldanzoso.
MIRINDA
Ecco Ormindo regina.
ERISBE
Ormindo? O cielo.
ORMINDO
Fonte di pura luce,
sitibondo, languente
il mio nume clemente
a te mi riconduce,
acciò con gl'occhi io beva
tanto del tuo splendore,
sin che divenga ebbro di gioia il core.
AMIDA
Troppo ardito ei ragiona.
ERISBE
A te nulla si nega,
sazia pure i tuoi guardi,
guardi dell'alma mia
pungentissimi dardi,
purché tu miri, e goda,
esser da te ferita ogn'or son vaga,
mira pur, mira, e impiaga.
AMIDA
Ohimè, che non è questo
semplice complimento:
o tormento, o tormento.
ORMINDO
Nel vagheggiarti, o bella
miro come ogni fiore,
che ti lambisce il piede
a fiori del tuo volto i pregi cede.
O delicati fiori
vidi sovente a voi
rapir i dolci umori
da torme lusinghiere
di lascivi amoretti,
che volarono poi
festosi, e lascivetti
nelle vicine labbra
rugiadose o soavi,
a fabbricarvi, come l'api, i favi.
ERISBE
Le dolcezze formaro
per te nella mia bocca i vaghi amori.
AMIDA
Foss'io sordo, oh martire,
dolor fammi morire.
ERISBE
Per te nelle mie gote
porporeggia la rosa, e ride il giglio,
per te, per te, che sei
meta de' miei desiri
centro de' miei sospiri.
AMIDA
Ah mia fede sprezzata.
ORMINDO
Piante fiorite
meco gioite.
E se tra vostre fronde
qualche invido s'asconde,
invido del mio bene,
tra sue angosce si strugga, e tra sue pene.
Piante fiorite
meco gioite.
AMIDA
Di schernirmi ha ragione.
ORMINDO
Io parto Erisbe, io parto,
troppe fiamme sorbiro
da tuoi lumi di foco i miei voraci,
incenerir tem'io fra tante faci.
Io parto Erisbe, io parto,
se n' va il piè, non già l'alma,
che vive, come sai, nella tua salma.
ERISBE
Rammentati mio bene,
che del tu' oggetto priva
convien, che mesta io viva,
tu prodigo, e cortese
della tua dolce vista,
scaccia da me sovente
col gemino oriente,
che nella fronte arrechi
della mia eclisse i tristi orrori, e ciechi.
ORMINDO
Indivisibilmente
esser teco vorrei, ch'altro ristoro
non ha l'anima amante,
che di mirare il tuo divin sembiante.
ERISBE
Fortunato mio cor,
con diluvi di gioie
tempra l'incendio tuo benigno amor.
Fortunato mio cor.
AMIDA
Che deggio far? Scoprirmi
oppur lasso, partirmi?
Che più ricerco? Spettatore io fui
dell'incostanza altrui:
ma qual nova speranza
grida con mute voci ardito avanza?
Voglio scoprirmi, almeno
udirà la sleale
nelle doglianze mie,
ne' rimproveri miei le sue bugie.
ORMINDO
Egli si scopre, è vinto, eppur non cede.
AMIDA
Erisbe? Erisbe? Non dirò più mia,
ch'esser tale non déi,
poiché d'Ormindo sei:
Erisbe? Erisbe? Oh nome anco soave
ne' tradimenti amari,
così, così tu impari
dalla frode a mentire,
dall'inganno a tradire?
Così d'amore imiti
l'incostanza del volo?
Ah che ramingo, e solo
tra i deserti di Barca
gir me ne voglio, almeno
non troverò per quelle immense arene
omicide sirene.
ORMINDO
Importuno, ostinato
cerca de' scorni suoi prove più chiare.
ERISBE
Vezzoso mentitore
non son tua? Tua non sono?
ORMINDO
Ohimè
ch'ascolto?
ERISBE
Così co' infausti accenti
mi tiranneggi, o caro, o crudo Amida?
ORMINDO
Senti Ormindo l'infida.
ERISBE
Io tradirti incostante?
T'amerò poca polve, ombra vagante.
ORMINDO
Ah bugiarda bellezza,
mendace lusinghiera
più dell'aura leggera:
se gl'amorini alati
per me formaro il mele
ne' labbri tuoi, crudele,
perché altri inviti, e alletti
a gustar le mie ambrosie, i miei diletti?
Ma che? Mal cauto io fui,
come trovar fedele
credei celeste viso,
se non entra la fede in paradiso.
ERISBE
Già che il ciel non consente,
che la doppia ferita
del mio fervido cor stia più segreta,
udite, udite mie pupille amate,
e i gelosi furori omai sedate.
A vicenda io v'adoro,
ch'ambo v'ha nel mio seno
scolèpiti, effigiati
l'industre man d'amore
fatto d'arcier scultore
voi concordi rivali
di gentil foco accesi
non sdegnate, che sia
egualmente divisa
tra di voi l'alma mia;
sradicate dal petto
quel mordace sospetto,
che già d'acute spine avvelenate,
vi trafigge la pace, ambo sperate.
ORMINDO
O barbarica legge.
AMIDA
O crudo impero.
ORMINDO
Dividere lo scettro.
AMIDA
Acconsentir compagno.
ORMINDO
Del possesso del core.
AMIDA
Nell'amoroso seggio.
ORMINDO E AMIDA
Ahi lasso, ahi lasso io deggio?
Oh comando severo,
o barbarica legge, o crudo impero.
MIRINDA
Se n' viene il re, partite,
e non veduti ancora
per quel sentiero dal giardino uscite.
Se n' viene il re, partite.
ERISBE
Addio miei soli.
ORMINDO E AMIDA
Addio
o tiranna mia bella, o destin mio.
ERISBE
Sempre ho la noia accanto,
con le fortune altrui modeste, e parche
cangerei la corona, e il regio manto.
Ohimè che pena avere
mai sempre un vecchio al fianco
domo dagl'anni, e stanco,
ch'appaga sol la moglie
d'ottima volontà:
chi lo provò, lo sa.
Pure convien tacere,
e far, che la prudenza
persuada la lingua a fabbricare
menzogne allettatrici, ed adulare.
Hariadeno, Erisbe, Mirinda.
HARIADENO
O dell'anima mia
anima sospirata,
regina idolatrata,
dal tuo volto diviso
il mio petto diviene
un inferno di pene.
ERISBE
Ed io da te lontana
signor di questo core
tra lagrime, e lamenti
traggo l'ore, e i momenti.
Talor la gelosia
l'interno mi percote,
e con sagaci note
mi dice iniqua, e ria,
forse il tuo re diletto,
amante d'altro oggetto,
pende da un crin novello
alla tua fé rubello:
e chissà, che tradita
non sia da te mia vita?
Ahi che d'esser sprezzata il pensier solo
dà l'armi in mano, acciò mi uccida, al duolo.
HARIADENO
Ohimè taci ben mio,
o dio, che parli, o dio.
Pria produrranno l'ombre
il lume, ed il calore,
ch'io ti sia traditore:
scendano pur dal cielo
vestite d'uman velo
le sostanze più belle,
che non potranno mai
delle tue vaghe stelle
ritormi infido a rai.
Ohimè taci ben mio,
oh dio, che parli, oh dio.
MIRINDA
Con qual dolcezze ei beve
le bugie della moglie.
ERISBE
Chi crederebbe amore,
che tra le nevi avesse
giovane donna seppellito il core?
Ch'il crederebbe amore?
Eppur è vero, è vero,
che tu sei giorno, e notte il mio pensiero.
HARIADENO
Oh quanti voti alla fortuna ho fatti
perché vittoriose,
decretasse le mie dell'armi ispane,
non per ambiziose
brame di glorie vane,
ma perché tu non fossi,
bella mia, per cui vivo,
preda real di vincitor lascivo.
ERISBE
Quando sopra l'armata
tu del vasto ocean solcavi il dorso,
qual deità non fu da me invocata
perché a te, speme mia, desse soccorso?
Lagrimosa sul lido
a voi consegno o cieli,
gridavo, il mio marito amato, e fido,
dall'ire ostili illeso
come me lo togliete
voi, voi me lo rendete.
HARIADENO
Chi nel seno chiudea
la più vezzosa dèa, che nel mar nacque,
non potea no perire in grembo all'acque.
Tu gli principi amici
che con più d'una prora,
da' loro genitori
furo inviati in nostra aita, onora,
dalle lor destre generose, e forti
nacquero le vittorie infra le morti.
ERISBE
Da tuoi voleri il mio voler dipende,
riceveran da me gl'ospiti egregi,
come di tua salute
invitti difensori,
onorati favori.
MIRINDA
Riverente consorte.
HARIADENO
Con i fiori scherzando
più de' fiori vermiglia
quivi rimanti, io sono
da' regi affari richiamato al trono.
ERISBE
Non sia ver, che tu parta, ed io qui resti
da te disgiunta, io sono
vite senza sostegno.
HARIADENO
Vieni, vieni d'amor caro il mio pegno.
Mirinda.
Se del Perù le vene d'oro ricche, e feconde,
d'immense verghe, e bionde,
mi dessero tributo
non torrei per marito un uom canuto.
Oh colei sfortunata,
un gelido vecchio è maritata.
Con amare bevande
l'arida sete accresce,
e con acqua di pianto
convien, ch'ognor si lave
l'immonda faccia sua di sozze bave.
Oh colei sfortunata,
ch'ad un gelido vecchio è maritata.
Vecchi voi, che nutrite
sotto la neve il foco
dite, ditemi un poco
semplicetti che siete
voi voi d'essere amati, ah, ah, credete?
Il ghiaccio non accende
né torbida pupilla
destò giammai d'amor picciol favilla.
Di lascivi pensier l'alma spogliate,
che tosto diverrà
la vostra pigra età preda del fu,
se ne ride di voi la gioventù.
Giovanette leggiadre,
s'a insterilir dolenti
presso vecchi impotenti
il fato vi destina,
vi sia salubre esempio una regina.
Il Destino.
Di quell'eterna, ed increata mente,
che dal ventre del niente
trasse del tutto la pomposa mole,
io son la prole.
Per ministre ho le stelle, e la natura,
e invan fuggir procura
la prudenza mortal da' miei fatali
rapidi strali.
Il Destino son io, re degl'eventi,
signor degl'elementi,
ch'incatenai con poderosa mano
l'arbitrio umano.
Amore, il Destino.
AMORE
Inevitabil nume,
che con decreti eterni
reggi il mondo, e governi,
Amor, ch'impera all'alme a te soggiace;
imponi, è tuo quest'arco, e questa face.
DESTINO
Della vergine errante
ritorni Amida amante,
abbiano fine ormai
gl'amorosi suoi guai:
venga solo da Erisbe Ormindo amato,
stupida l'opre eccelse
vo', che l'Africa ammiri oggi del fato:
per funesto cammino
la coppia innamorata
sarà da me guidata
a fruire, a godere,
indicibile piacere.
AMORE
Ad obbedir tu' imperi
velocissimo io volo.
DESTINO
Ed io fendo le nubi, e vado al polo.
Svanisce il giardino, ed appare l'atrio reale.
Erisbe, Mirinda.
ERISBE E MIRINDA
Auree trecce inanellate
che non fate?
Voi rendete concordi
con tenaci legami alme discordi.
Auree trecce inanellate,
che non fate?
Bella bocca con sue note
che non pote?
Con melata catena
sino i rivali unisce, e l'ire affrena.
Bella bocca con sue note
che non pote?
A trionfi è sempre avvezza
la bellezza.
Soave tirannetta
sforza allettando, e nel sforzar diletta.
A trionfi è sempre avvezza
la bellezza.
ERISBE
Di discordie gelose
spensi gl'accesi sdegni,
e sotto duro giogo di diamante
accordai pure, e l'uno, e l'altro amante.
Amida, Erisbe, Mirinda.
AMIDA
Dove mia bella aurora
a scolorar te n' vai
con i begl'occhi arcieri,
che saette di luce
scoccano ad or, ad or dagl'archi neri.
Con quei begl'occhi ardenti,
del cui vivace ardore
pirausta alata è l'augellin d'amore.
ERISBE
Sulle riviere amene
dell'ocean m'invita
oggi solenne pompa
vita della mia vita?
Ma che ragioni tu degl'occhi miei?
Gl'encomi, ch'a lor dai sono de' tuoi
in cui l'anima mia, lassa, perdei.
AMIDA
Ne' miei tu la perdesti?
Oppure in quei d'Ormindo
ohimè la riponesti?
ERISBE
Ama, ch'amato sei,
né mescer con il nettare d'amore
l'amarissimo fele,
di gelosia crudele.
Erice, Sicle, Melide, Amida, Erisbe, Mirinda.
ERICE
Vedi là l'infedele, e la sua vaga.
AMIDA
Un duro freno al mio pensier tu poni.
SICLE
Oggetto doloroso,
vista funebre, ohimè, Melide.
MELIDE
Ardita
inoltrati, e discopri
al cospetto d'Erisbe
i tradimenti suoi.
SICLE
O neghittosi fulmini, che fate?
Lo spergiuro abbruciate.
De' tuoi dolci desiri
bellissima regina
ogni mente il suo cerchio amica giri,
non ti miri giammai
il lume invido, bieco
del maligno Saturno, il ciel sia teco.
ERISBE
Vo', che spieghino Amida i nostri casi
quest'egizie vaganti,
che di vere presaghe
si dan titolo, e vanti.
AMIDA
Consenti, che primiero
intenda mie venture,
s'a lor sia noto il vero,
udirai, che diranno,
tu vivi per amore in grave affanno.
SICLE
Perché di basilisco
non ho il guardo letale
per uccider l'indegno, il disleale?
AMIDA
Qual è di voi più dotta in sulla mano
di palesare le fortune altrui?
ERISBE
La più antica esser deve.
ERICE
Vaghezza mai d'indovinar non ebbi.
Altr'arti più profonde, e più nascoste
appresi da fanciulla, e in loro crebbi.
SICLE
Non solo della mano, e della fronte
i caratteri, i segni,
le linee, e i punti, io sono
a interpretare avvezza,
ma con maggior certezza
collocando i pianeti,
con l'immagini fisse
entro dodici case,
ch'il zodiaco comprendono, del nato
soglio predir l'inevitabil fato.
So con linee retrograde de' punti,
nell'arena con l'indice formate
in sembianza di fiamma,
come già usava il mio sapiente Egitto,
pure di punti fabbricar figure,
in cui chiare vegg'io le cose oscure.
MIRINDA
Come saggia discorre.
AMIDA
Eccoti qui la destra
a tuoi presagi esposta.
SICLE
Ah sconoscente.
La mensale, ch'al monte
dell'indice s'estende
non interrotta, e di color di foco,
tinta infin di livore
crudo guerriero t'addita. Oh traditore.
MELIDE
Il principio mi piace.
ERICE
Udrem ciò, ch'ei ci dirà.
MELIDE
Pensoso tace.
SICLE
Queste linee, che sono
qui nell'angolo destro
di croce in forma intersecate, e quelle,
che del medio vicine alla radice
verso il monte si mirano inclinate
mostrano, ch'infiammate
voglie d'onor guerriero,
pellegrin marziale,
remote region scorrer ti fero,
e ch'in steccato orribile, e mortale
rimanesti aspramente
impiagato nel petto. Ah miscredente.
ERISBE
Quanto ella espone, è vero, Amida?
AMIDA
È vero.
Di gloria alto desio
partir mi fe' da Tremisene, scorsi
i regni mori, e penetrai sin donde
i chiari fonti son delle negr'onde,
e quando in Torodenta
uccisi Asane il forte
il petto mio restò ferito a morte.
MIRINDA
Come chiude costei
sotto acerbetta età scienza verace?
SICLE
Cose vo' dirti più distinte, e chiare.
Dove Giove è locato
figuretta se n' giace a un «D» simile,
questa avvien che rivele
la tua natura perfida, e infedele.
ERISBE
Infedele?
SICLE
Infedele.
AMIDA
Ora tu menti.
SICLE
Malvagio, non rammenti
di quella principessa,
ch'appunto in Torodenta.
ERISBE
Ei si scolora?
SICLE
Cotanto amasti, e poi tradisti ingrato?
Ti punirà Nemesi, o scellerato.
MELIDE
Più placata ragiona.
ERISBE
Udisti?
MIRINDA
Udii.
AMIDA
L'erebo iniquo vomitò costei,
che dirà Erisbe? O dèi.
ERISBE
Vedi come svelate
ha questa egizia le tue frodi indegne,
giurasti pur di non aver l'insegne
seguite mai d'amore,
amante mentitore.
AMIDA
Qual martir cruccioso il cor mi preme?
È bugiarda colei,
non li creder mia speme.
SICLE
Quai note non intese
mormori, che ti dice
regina il fraudolente,
dell'atto empio, e villano
tenta scolparsi invano,
il ver diss'io, che l'arte mia non mente.
Ma, vorrei, se t'aggrada,
alquanto ragionarte
circa gl'affetti tuoi quivi in disparte.
ERISBE
D'udirti avida sono.
AMIDA
Ohimè, che dir le vole
la falsa maga, e ria?
Non l'udir alma mia.
ERISBE
Un tesoro darei
per ragionar con lei.
SICLE
Scostati, qual ardire
regi segreti a penetrar ti sprona,
perverso cavaliero?
Temerario tu sei quanto leggero.
AMIDA
Con qual audacia mi rampogna, e sgrida!
SICLE
S'io non erro, tu adori
quel principe incostante,
quale per ingannarti,
come l'altra già fe', finge d'amarti:
s'al suo mentito amor tu crederai,
senti i miei vaticini,
i precipizi tuoi sono vicini.
Se felice esser brami
opra, ch'Ormindo solo il tuo cor ami.
Al molto, ch'ho da dirti, ho detto poco,
chiede il discorso mio più cauto loco.
AMIDA
Cangiata è in volto Erisbe, e che gli disse?
ERISBE
Nella reggia t'attendo al novo sole,
premi di tue fatiche
sì preziosi avrai,
ch'agl'alberghi natii
ricca d'oro, e di gemme andar potrai.
SICLE
Povera son, ma in seno
brame non chiudo avare,
esser ricca mi pare,
quando tanto possiedo,
ch'alimentare io possa
l'affaticata vita
con le compagne mie.
Io sarò teco il rimanente die.
ERISBE
Partir di qui degg'io,
tu resta, e di colei,
che volubil schernisti abbia pietade,
disdice a nobil cor la crudeltade.
Amida, Sicle, Erice, Melide.
AMIDA
Perfida maliarda,
turbatrice crudel de' miei riposi
il tuo ramingo piè mai non si posi:
della patria le stelle
ti neghino il ritorno,
e possa il primo giorno,
che tu calchi deserti
sconvolgere, turbare
Africo irato gli arenosi flutti
per seppellirti entro quei mari asciutti.
SICLE
Ti possa empio.
ERICE
Deh taci.
MELIDE
Si tema il suo furor.
ERICE
Lascia a me dire.
Signor deponi l'ire,
s'innocente costei
ti colmò di cordoglio,
altrettanto giovarti amica io voglio.
Ami questa regina, io me n'avvidi:
farò, che l'otterrai,
nelle braccia l'avrai.
AMIDA
Ah se tanto talento
t'avesse il ciel concesso
di farmi possessore
di colei che possiede
il mio dolente core,
avresti per mercede
quant'oro desiare
può l'istessa avarizia, e satollare.
SICLE
Più soffrir no 'l poss'io, dunque.
MELIDE
Che tenti?
Ferma, che discoprirti or non è tempo.
Lascia ad Erice oprare.
ERICE
S'il mio carme è possente
d'impallidire il sole,
di trar la luna insanguinata a terra,
se le porte disserra
della perduta Dite,
e sforzando la parca
a rifilare i tronchi stami, adduce
ne' corpi i spirti a riveder la luce,
avrà virtude ancora
di porti in braccio il sospirato ardore:
può la magia violentare amore.
AMIDA
Tue promesse son piene
di pregiato ristoro,
speranza mi lusinga, e mi mantiene.
SICLE
È questo, è questo.
MELIDE
Acchetati.
SICLE
Malvagio.
ERICE
Odi, fra quei dirupi inabitati
vicini all'alte mura
che mirano la Libia, oggi verrai
pria, che nel mar Febo si corchi, intanto
io là me n' vado a preparar l'incanto.
AMIDA
Verrò, vanne felice.
Oggi la mia fortuna
mi fe' inciampare in quest'incantatrice.
SICLE
Ch'incantesimi, sognasti,
che malie promettesti al lestrigone?
ERICE
Vien meco, le saprai. Vo', che tu finga.
Melide.
Volevo amare anch'io,
ma vedo, che chi serve
Amore, ingiusto dio,
riceve in guiderdon doglie proterve,
onde il cor sbigottito
di non innamorarsi ha stabilito.
Tendi l'arco a tuo volere,
scocca pure i strali tuoi,
feri amor quanto tu vuoi
non mi avrai fra le tue schiere.
Tuo poter non temo no,
credi a me non amerò.
Spiritello, del tuo foco
nulla stimo i globi accesi,
nulla curo i lacci tesi,
di te rido, e prendo gioco.
Tuo poter non temo no,
credi a me, non amerò.
L'esser tuo mi è troppo noto,
le tue reti occulte io veggio,
fammi pur, fammi ogni peggio,
le tue insidie andranno a voto.
Tuo poter non temo no,
credi a me, non amerò.
Nerillo.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata, ed insolente:
ognun meco la vole
con fatti, e con parole.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata, ed insolente.
Mille perigli, e mille
mi sovrastano al giorno,
ho cento insidiatori ognor d'intorno;
né so il perché capire,
chi me 'l saprebbe dire?
Tal le guance mi tocca,
che non conosco appena
seco cortese ognun m'invita a cena,
né so il perché capire,
chi me 'l saprebbe dire?
Chi mi saluta, e accenna
chi m'addimanda nove,
chi finge avermi conosciuto altrove,
né so il perché capire,
chi me 'l saprebbe dire?
Ognun tace, e lo sa,
che città, che città.
Non vedo l'ora, che ritorni Amida
in Tremisene per partir di qua.
Che città, che città,
che costumi, che gente
sfacciata, ed insolente.
Si cangia il cortile in una dilettevole riviera dell'oceano, situata fuori delle mura d'Anfa.
Erisbe, Mirinda.
ERISBE
Chi semina in un petto
volubile, incostante
seme di caldo affetto
trista messe raccoglie
di disperate lagrime, e di doglie.
No no non vo' più amare
un core assuefatto ad ingannare.
MIRINDA
Legge l'occhio sagace
nel suo volto smarrito i tradimenti,
chi d'amor segue Ippocrito mendace
i suoi rifugi alfin sono i lamenti.
No no più non l'amare
un core assuefatto ad ingannare.
ERISBE
A te solo consacro
l'anima intera Ormindo,
l'altr'idolo rinnego,
con più forti catene a te mi lego.
No no non vo' più amare
un core assuefatto ad ingannare.
MIRINDA
No no più non l'amare.
Ormindo, Erisbe, Mirinda.
ORMINDO
Erisbe amata, Erisbe,
io deggio, ahi, che la voce
m'opprime il duolo atroce.
ERISBE
Lassa che fia? Quel pianto
da qual fonte ha l'origine mio bene?
ORMINDO
Deggio da queste rive
sciogliere, ohimè, l'armata,
deggio, deggio partire,
ma come partirò senza morire?
ERISBE
Oh dio partir tu déi?
Tu déi partir, partire?
Come potrai soffrire
lasciarmi in preda a dispietati omei?
Oh dio partir tu déi?
ORMINDO
Dura necessitade,
perversissimo fato
da questo suol mi spianta
il piede abbarbicato.
Senti di questo inchiostro
il lugubre tenore,
la genitrice mia scrive.
ERISBE
Oh dolore.
ORMINDO
D'Algeri il re superbo
dalla tua lontananza
preso ardire, e baldanza,
con oste numerosa
d'Arabi mercenari, e navi armate
ha le mura di Tunisi assediate;
onde se qui non volgi
ratto le vele, in breve
cadran prive d'aita, e di sostegno
e servi piangerai la madre, e il regno.
Giudica tu, se devo
queste sponde lasciar: colà mi chiama
della madre l'amore,
la libertà de' sudditi, l'onore.
ERISBE
Crudele dipartita,
che mi leva la speme,
che mi priva di luce,
ch'il mio ben seco adduce,
che mi ruba la vita,
crudele dipartita.
ORMINDO
Con vomere spalmato
arerò l'oceano,
e tra i liquidi solchi
di quei disciolti argenti
andrò disseminando i miei tormenti.
Di caldi umori amari
daran vasti tributi
al monarca de' mari
i miei piangenti lumi
cangiati in rivi, in fiumi,
e nutrirà il mio petto
mostri de' suoi maggiori,
figli de' miei dolori.
ERISBE
Se tu sei la mia stella,
s'io son tua calamita
esser da' moti tuoi deggio rapita.
Vo' venir teco.
ORMINDO
Me beato.
ERISBE
Ah no,
che parlo.
ORMINDO
Vieni sì, vieni.
ERISBE
Verrò.
S'abbandono il consorte
è scusabil l'errore,
sono le colpe mie colpe d'amore.
MIRINDA
Cieco fanciul come le menti acciechi.
ORMINDO
Stanno allestiti i pini,
né manca altro al partire,
che consegnar spiegati all'aure i lini.
ERISBE
Di gir Mirinda io calcitrar non posso
ove mi trae l'intelligenza mia,
a te restar conviene
per trattener le dame, acciò che, accorte
del mio fuggir, non diano avviso in corte.
MIRINDA
Poiché tu di seguire hai stabilito
il principe guerriero,
va' da Giove guidata.
Non venghi mai turbata
la calma a voi da' venti
orgogliosi, insolenti,
e Giuno, mentre lieti il mar solcate,
tenga le sue procelle incatenate.
ORMINDO
Per fuggir il concorso
di quei giochi festivi
di qui volgiamo ad imbarcar il piede.
Vero esempio di fede.
ERISBE E ORMINDO
De' nostri abeti amor sia Tifi accorto
egli ci guidi fortunati in porto.
Mirinda.
Che dirà, che farà
l'innamorato re
quando di questa fuga ei nova avrà?
Che dirà, che farà
s'avvedrà tardi, che le mogli belle
stima non fan d'insipide carezze,
e ch'imprudente è la vecchiezza imbelle
se ripone il su' onore
in un brillante, e giovinetto core.
Col nerboruto amante
fuggì Erisbe, fuggì,
s'avessi un vecchio anch'io farei così.
Non vorrei no morire
di rabbia, e di dispetto,
moglie del curvo tempo, e del difetto.
Renderei paga la mia fresca età.
Scusami l'onestà.
Chioma di brine aspersa
volto asciutto, e rugoso
nulla no turberebbe il mio riposo.
D'amanti arricchirei la mia beltà.
Scusami l'onestà.
Bocca gentile, e vaga,
che dolci ridonare
sapesse i baci miei vorrei baciare,
troverei ben chi avria di me pietà.
Scusami l'onestà.
Fortuna.
Io, che dell'aere, più del turbo lieve,
scorro le vie sovra corsiero alato
son la Fortuna, il cui poter riceve
inviolabil legge ognor dal fato.
A mio talento non dispenso imperi,
né di scettro assoluto orno la mano,
anch'io dipendo dagl'altrui voleri,
ministra, e serva del destin sovrano.
Ei d'Ormindo, e d'Erisbe alle ruine
quivi mi volge, acciò ch'appelli i venti,
vuol, che destando lor nembi, e pruine,
rigettino nel porto i pin fuggenti.
Udite, udite o voi,
che riempite inquieti
di procellosa guerra
l'aere, l'acqua, e la terra;
qui qui venite o venti,
furie di tre elementi.
Coro di Venti, Fortuna.
I VENTI
D'Astreo dai fieri eredi
che brami olà, che chiedi di', che chiedi?
Vuoi subissato il cielo,
vuoi ch'innalziamo i mari
per sommerger le stelle, e il dio di Delo?
D'Astreo dai fieri eredi
che brami olà, che chiedi di', che chiedi?
FORTUNA
Non vo' da voi sì faticose imprese,
dimori il ciel nel loco suo supremo,
splendan le stelle eternamente accese.
Spiri contrario a Ormindo il vostro fiato,
riconducete le sue navi in Anfa,
così v'impone per mia bocca il fato.
I VENTI
Su su terribili
ingombriam l'etera
di soffi, e sibili;
l'onde sconvolgansi,
e ritornati al lido i drudi dolgansi.
Su su terribili
ingombriam l'etera di soffi, e sibili.
Sparita la riviera si finge la scena una parte delle mura di dentro della città, loco solitario, e inabitato.
Erice, Sicle, Melide.
ERICE
Quanto esclamasti, quanto
perché meco arrecai
questi regi ornamenti,
hanno pur da servire a' nostri intenti.
SICLE
Ti fe' provvida il caso.
MELIDE
Che vuoi far di quest'acqua?
ERICE
No 'l sai? Mondarle il volto
che spruzzato le abbia di succhi erbosi
per trasformargli la nativa effigie:
ma non s'indugi, entrate
conforme il concertato in questa cava
il timor discacciate,
togli cotesti addobbi, entrate, entrate.
MELIDE
Non è privo di luce
quest'antro. Sicle, entriamo.
SICLE
Rimanesse il mio duolo
qui sotterrato almeno.
ERICE
Per te sorgerà ancora un dì sereno.
Erice.
Vo per accreditare
i miei mentiti incanti
tutto il suolo di circoli segnare.
Poveri quegli amanti
ch'appunto come Amida
per far le donne lor divenir pie
corrono per suffragio alle magie;
e credono ostinati,
ch'una figura, fatta
di vergin cera, e ch'abbia
d'aghi pungenti trapassato il core,
arrostita pian piano a foco lento,
correr gli faccia in sen precipitose
le vaghe drude, al lor desio ritrose.
Negli animi reali
non può destar amore altri ch'amore,
ma ne' cori volgari
nasce dall'oro amor, cresce con l'oro,
e l'oro impetra quanto vuol da loro.
Invan spendete l'ore
narcisi innamorati,
per roder guanti mai sarete amati,
s'oro voi non avete
non entrerete no, non entrerete.
Non è, non è più il tempo,
che chioma profumata
possa allacciar co' fili suoi l'amata,
l'amore ora si vende,
né più moneta di sospir si spende.
Han persa la virtude
i versi, i suoni, i canti,
godono solo i donatori amanti.
Nova legge è d'Amore
entri chi dona, e chi non dà stia fuore.
Amida, Erice.
AMIDA
È questo s'io non erro
il loco stabilito, ecco la maga.
ERICE
Opportuno qui giungi,
quanto chiede l'incanto io preparai,
di possenti caratteri il terreno,
e di figure sferiche vergai,
in guardia diedi a cento spirti, a cento
questi solinghi orrori,
e la terra spruzzai di stigi umori.
AMIDA
Sollecitasti l'opra, io non credea
pur qui trovarti.
ERICE
Il tuo desio m'è sprone.
AMIDA
Dimmi, di questi offici esser degg'io
teco rappresentante, o spettatore?
ERICE
Nel centro di quell'orbe,
formato in tua difesa
posar il piè convienti, a' miei scongiuri
da ingannevole amante alma tradita
dell'orco qui verrà da regni oscuri,
io facendo partita
ti lascerò solo con l'ombra, a lei
narrerai le tue pene,
e porgerai preghiere,
acciò ti faccia la tua bella avere.
AMIDA
Perché privarmi vuoi
dell'assistenza tua?
ERICE
Perché sì lice,
ella non comparisce, ove si trova,
chi fiammelle amorose in sen non cova.
AMIDA
E come potrà mai
spirto sconsolato
ch'ebbe nemico amore
farmi in amor beato?
ERICE
Non più, vedrai l'effetto, or quando siamo
per specular gl'arcani
degl'abissi tremendi.
Entra nel cerchio, e taciturno attendi.
Del dannato Cocito
tenebroso monarca, Ecate nera,
le mie parole udite;
dell'ingannata, e innamorata schiera
per breve tempo un'alma chieggio a Dite.
Di negarli l'uscita alcun de' vostri
temerario non sia,
se non farò, che della lingua mia
provi gl'empi flagelli entro quei chiostri.
O anima infelice,
che dal crudo ingannata,
fuggisti disperata
dal bel corpo di Sicle.
AMIDA
Di Sicle?
ERICE
Ohimè che parli
ogni cosa turbasti.
AMIDA
Qual alma invochi?
ERICE
Un'alma,
che di Susio nel regno
albergò regia salma:
ma non giova all'incanto
saper qual fu la misera, a te tocca,
mentre l'appello qui, chiuder la bocca.
O anima infelice,
che dal crudo ingannata,
fuggisti disperata
dal bel corpo di Sicle.
AMIDA
Morì Sicle, morì? Deh narra il come.
ERICE
Importuno tu sei,
s'uccise, poich'intese esser sprezzata
dal suo malvagio amante.
O anima infelice,
che dal crudo ingannata.
AMIDA
Come lo sai?
ERICE
La vidi agonizzante
col ferro conficcato
nel petto delicato:
ma se formi più nota,
sopra inospiti monti,
da numeroso stuolo
de' spirti rei vo' far portarti a volo.
AMIDA
Lasso ch'intesi? Ah Sicle estinta giaci?
ERICE
Che sì, che sì?
AMIDA
Segui pur, segui.
ERICE
Taci:
o anima infelice,
che dal crudo ingannata
fuggisti disperata
dal bel corpo di Sicle,
esci da quei terrori,
e quivi ascendi a ministrare amori.
Vieni, che tardi, vieni,
se provar tu non vuoi
dell'atre cittadine,
delle furie nocenti
le sferze viperine.
Ancor indugi, ancora?
O non temi le pene,
io ti farò. Mi parto, ella se n' viene.
Sicle, Amida.
AMIDA
Che rimiro? O stupore
sono l'ombre sì belle?
Vien costei dall'inferno, o dalle stelle?
SICLE
Ancor sazio non sei
ingratissimo, Amida
di turbarmi spietato
gl'inquieti riposi?
Ancora gl'odiosi
alberghi della luce
de' carmi a forza rimirar mi fai?
Oh non t'avessi mai
conosciuto, né amato
traditor scellerato.
AMIDA
Questo pianto, che sgorga
da' canali degl'occhi
ti faccia fede alma leggiadra, e bella,
che la quiete tua,
come sdegnosa accenni,
per turbar qui non venni,
nova del tuo morire
Sicle, non ebbi mai,
dalla maga or l'intesi, e per dolore
in lagrime, e sospiri io sparsi il core.
SICLE
Anco l'angue del Nilo
delle sue reità quasi innocente
piange colui, che lacerò col dente:
così, così tradirmi,
così per una adultera lasciarmi?
Ma che? Qui t'attendea per vendicarmi.
Uscite furie, uscite,
e in quel petto incostante
i Chelidri avventate.
Affliggete il fellone, e tormentate.
Ah no, no, non venite
ministre del martoro,
anco tradita il traditore adoro.
AMIDA
O vendetta d'amore,
giusta quanto inudita
per non aver mai pace
son sforzato ad amare ombra fugace.
Da che ti rimirai
alma amorosa, e vaga, a poco a poco
il petto mio si riempì di foco.
Ohimè t'amo, e non spero
di possederti mai,
ti seguirò per il tartareo impero,
ivi di te fatt'io
seguace indivisibile, e consorte,
ritroverò la vita entro la morte.
SICLE
D'ingannar anco tenti
o miseri defunti,
anco eserciti meco i tradimenti?
Spendi le voci invano,
so, che tu fingi, il so, core inumano.
AMIDA
S'a te fosse concesso
di penetrare entro il mio sen col guardo
scorgeresti la fiamma, onde tutt'ardo.
Lasso d'ogni speranza
l'inesorabil baratro mi priva,
ah Sicle mia, perché non sei tu viva.
SICLE
Viva son se tu m'ami,
morta se mi disami.
AMIDA
T'amo spirto caro,
così mi ti rendesse
l'Erebo sordo, avaro.
T'amo spirito caro.
SICLE
Eccoti la tua Sicle amato Amida
nell'amor suo costante,
animata, e spirante.
AMIDA
Ah, se quale rassembri,
e qual d'esser vaneggi ora tu fossi,
la mia felicità sarebbe tale
ch'invidia non avrei dell'immortale.
SICLE
Qual ti rassembro io sono,
io non vaneggio no, son viva, e spiro,
ho nelle vene il sangue, e di Cocito
mai non vidi, o calcai l'orrido lito.
AMIDA
Oh così fosse anima mia gradita.
Deh se m'ami ti prego
non mi privar le notti
della tua bella imago,
ne' miei sonni interrotti,
nelle vigilie mie torbide, e triste
fantasma innamorata a consolarmi
vieni, vieni talora,
se per mirarti tu non vuoi ch'io mora.
SICLE
Non son, non son qual credi
corpo d'aere formato,
non ho d'Arpia le piante,
che t'abbracci consenti,
son palpabile, tocca, ah tu paventi?
AMIDA
Va' in pace ombra vezzosa,
magico carme mai
rimirar non ti sforzi,
o di Cinzia, o di Febo
la faccia luminosa,
va' in pace ombra vezzosa.
SICLE
Qual fatica è la mia
per farmi creder viva: eh lascia omai
pensier sì pertinace,
e s'a quel, ch'odi, e vedi
tu non dai fede, al tatto, al tatto credi.
AMIDA
Qual egro tu deliri egra d'amore,
purtroppo fatta sei
abitatrice della reggia ombrosa.
Va' in pace ombra vezzosa.
SICLE
Io Sicle sono, e non di Sicle l'ombra:
sotto egiziaco manto
per ritrovarti in Anfa venni, io sono
la zingara, ch'espose
in presenza d'Erisbe i tuoi spergiuri,
non seppe mai d'incanti
la finta maga, ell'è la mia nutrice
la vecchiarella Erice.
AMIDA
Dunque corporea sei?
SICLE
Te lo diran gl'abbracciamenti miei.
AMIDA
O mia fida, o mia vita,
o mia bella tradita.
Che non m'uccida il core
la troppa gioia, o mio rinato amore.
Erice, Melide, Amida, Sicle.
ERICE
Così s'abbraccian le fantasme Amida?
AMIDA
Se invece d'invocar larve maligne
chiami dal cielo gli angeli.
MELIDE
Mai seppi
che tu nella magia fossi sì dotta.
Le sue note, i suoi carmi
t'han pur tolta a singulti, alle querele
con il farti ottenere il tuo crudele.
SICLE
Sì digiuna mi rese
dell'amoroso cibo
la tua fiera incostanza,
che mai non mi satollo
di circondarti con le braccia il collo.
AMIDA
Ed io mentre contemplo il tuo bel viso
parmi vedere aperto il paradiso.
SICLE E AMIDA
Saetta amor, saetta
co' strali del piacere i nostri cori,
rendi eterni gl'ardori,
ch'infiammano il mio ben, la mia diletta.
Saetta amor, saetta.
ERICE
Non dubitar, ch'in breve
dall'arco d'una bocca
t'accorgerai come le frecce ei scocca.
Arsenale.
Hariadeno, Osman, Custode.
HARIADENO
Solchi l'onda ogni nave,
e di concavi bronzi
ogni nave divenga onusta, e grave:
ah pigri, che tardate
gl'abeti al mare, al mar via consegnate.
Su di candide penne
vestite omai l'antenne,
segua, seguasi al volo
la coppia fuggitiva, ed infedele,
via date all'acque i pini, ai pin le vele.
CUSTODE
Signor stuoli di gente in questi offici
dall'altra parte sudano anelanti,
e vinti legni, e vinti
io ti prometto pronti
al veleggiar prima, ch'il dì tramonti.
HARIADENO
O re fra quanti cingono la fronte
d'attortigliate, e riverite bende
il più schernito, ah infida, e calpestato
dal crudo piè del fato:
lungi da te lo scettro
scaglia, squarciati il manto,
e nasconditi al sole,
se tosto tu non fai
d'opra così nefanda
vendetta memoranda.
Ma mentre qui mi lagno
vilipeso, infelice,
fugge la traditrice. Ah pigri, che tardate
gl'abeti al mare, al mar via consegnate.
Messo, Hariadeno, Osman, Custode.
MESSO
Cessino pure, o sire
dal faticar le turbe,
non è d'uopo d'abeti,
nove liete ti apporto,
son stati presi Ormindo, Erisbe in porto.
OSMAN
Principe sfortunato.
HARIADENO
Son prigioni i lascivi?
Ch'apporti? E come al lido
rivolsero le prore?
MESSO
Li gettarono i venti
quasi de' torti tuoi vendicatori.
Erano appena fuori
delle fauci del porto
le navi predatrici,
quando turbi improvvisi
l'infestaro nemici:
parte di loro restaro
da quei soffi sommerse
tra le montagne ondose,
parte sdrucite, e degl'arnesi prive
spinte furo alle rive:
cento schiere de' nostri
assalirono allora
d'Ormindo il franto legno,
oh dio, che strage, oh dio
fe' degl'assalitori il cavaliero.
Signor m'inorridisce anco il pensiero:
pur le sue genti estinte,
fu preso alfine, e con Erisbe Ormuce
prigionier te l'adduce.
HARIADENO
O quanto giusti siete
o numi, o voi, che dal superno Olimpo
le colpe de mortai quaggiù scorgete:
vo', che su vostri altari
ardano eterni lumi,
fumino eterni odori.
O del mio disonor vindici dèi
avvelenati siano, Osmano, i rei.
OSMAN
Ormindo ohimè deve morir? Signore?
HARIADENO
Gl'adulteri il veleno or ora uccida.
OSMAN
(A chi mi diè la vita
deggio apportar la morte?
O cieli, o fati, o sorte.)
HARIADENO
Che dimore, che pianti? Il mio sol cenno
ti renderà pentito
d'esser stato sì lento, e così umano.
OSMAN
Vado, vado mio rege.
HARIADENO
Osmano, Osmano.
OSMAN
Signor?
HARIADENO
Grido a chi piange,
e di lagrime il core
le viscere mi allaga
fatta un torrente la sua cupa piaga.
Amor pietà mi chiede,
per Erisbe mi prega,
e la bellezza sua m'addita, e spiega.
Eh, non s'oda il lascivo
motor delle sue colpe,
lo scacci la ragion da me lontano,
eseguisci l'imposto. Osmano, Osmano.
OSMAN
Signor?
HARIADENO
Forse rapita
a forza fu dal traditor predone,
forse non è de' scorni miei cagione.
Eh volontaria elesse
la fuga, il so, che mi lusingo insano,
va' pur, morano. Osmano.
OSMAN
Signor?
HARIADENO
Morano dico.
OSMAN
Povero Ormindo, ah non ti fossi amico.
Messo.
Un Argo fu chi fece talpa Amore,
i tributari suoi
ei partecipi fa
della sua cecità,
egli falso, e mendace
gioie promette, e arreca poi dolore,
un Argo fu chi fece talpa amore.
Potea pur la regina
addoppiar la corona
al marito tremante
nella città con un segreto amante,
poteva errare, ed occultar l'errore.
Un Argo fu, chi fece talpa amore.
Anco il rege dovea
specchiarsi, e rimirare
la canizie, le rughe, il labbro irsuto,
e prudente lasciare
nel letto maritale un sostituto;
ma il lasciarsi acciecare
da un dolce affetto in lui fuor di stagione
li produsse l'infamia, e 'l disonore.
Un Argo fu che fece talpa Amore.
Ritorna il cortile.
Mirinda.
In grembo al caro amato
Erisbe solca il mare,
invidio la sua fuga, ed il suo stato.
O quanto dolce è dolce, o quanto
un amante mi disse
amando esser amata,
baciando esser baciata.
Che vaglion le corone
a crin di donna bella
s'all'impotenza è confinata in braccio?
Non appagano amore i lussi loro,
e nulla giova all'egro il letto d'oro.
Era regina Erisbe,
e regina sì grande,
che regie bende tributarie avea,
«eppure» mi dicea,
«Mirinda un'infelice eguale a me
nell'Africa non è,
che mi vale lo scettro,
s'appresso un vecchio impetro infastidita
nell'etade più bella, e più fiorita?»
Ora cred'io pensier cangiato avrà,
del suo foco nel sen per l'acqua va.
Osman, Mirinda.
OSMAN
Nell'ocean trabocchi
di sanguigno rossore
macchiato il sol, tutto spirante orrore,
e la notte vicina
vestita di caligini infernali
copra il mondo con l'ali;
portentosi vapori
s'accendano nell'aria; o giorno, o notte
infausti, miserabili, e funesti:
perfido amor sono i tuoi frutti questi.
MIRINDA
Sempre tu ti quereli
d'amor, biasma te stesso
ch'amar vuoi chi ti sprezza,
io non t'amo, ti fuggo, e non ti voglio,
or non comprendi tu la tua stoltezza?
Non possono i sospir mover un scoglio.
Io non t'amo, ti fuggo, e non ti voglio.
OSMAN
Ora non mi lamento
della tua crudeltà cruda Mirinda,
piango l'ore vicine
della morte d'Ormindo.
MIRINDA
Ohimè che narri,
Ormindo dée morire?
OSMAN
Deve morire, e della stessa morte
seco Erisbe morrà, così m'impone
il re, ch'eseguir faccia o giorno, o notte
infausti, miserabili, e funesti:
perfido amor sono i tuoi frutti questi.
MIRINDA
Non dier le vele a' venti
i navigli d'Ormindo?
OSMAN
I venti appunto
li rigettaro al lido inermi, e infranti.
MIRINDA
Ohimè che intesi, ohimè, miseri amanti.
Al lor tragico fine
non v'è rimedio Osman?
OSMAN
È troppo offesa
la maestà real, pure vogl'io
o salvargli, o morir, memore sono
di quanto Ormindo fe' per mia salute,
allor, ch'ei trasse l'alma al fier Corcute.
MIRINDA
D'opra sì generosa
me stessa in premio avrai,
non t'arresti il timore,
può ciò, che vuole un risoluto core.
OSMAN
O promesse, o promesse,
con quai stimoli acuti ora pungete
il mio desio fervente, ed accrescete.
Mi parto o bella, io vado
pien di speme, e d'ardire
o salvargli, o morire.
MIRINDA
Vanne, e i pensieri tuoi
sian dal ciel favoriti,
il modo d'eseguirli egli t'additi.
Ormindo, Erisbe, coro di Soldati taciti.
ORMINDO
Di te, di te mi pesa Erisbe cara,
mi turbano i tuoi casi, e non i miei
per tua sciagura a tuoi begl'occhi ardei,
e le mie fiamme t'apprestar la bara.
Di te di te mi pesa Erisbe cara.
ERISBE
Di te, di te mi duole Ormindo amato
deploro il tuo destino, e 'l mio non curo,
atri cipressi i mirti miei ti furo,
e l'eccidio il mio ardor ti ha apparato.
Di te, di te mi duole Ormindo amato.
ORMINDO
O tiranni dell'onde, iniqui venti,
bugiardi a par d'Amore, e senza fede,
invidi voi di sì pregiate prede
delle perdite mie foste istrumenti.
O tiranni dell'onde, iniqui venti.
ERISBE
O deità fallace, Amore infido,
più de' venti crudeli assai crudele,
così reggesti tu le nostre vele,
così scorgesti i tuoi devoti al lido?
O deità fallace, Amore infido.
ORMINDO
Cada l'ira del re sopra il mio capo,
la macchia del suo onor lavi il mio sangue
pure, che viva bella mia tu resti
mi saran cari i roghi, e non molesti.
ERISBE
Sola poss'io morir, pur se decreta
il tuo fine, cor mio, legge immortale,
ch'esangue tu rimanga, e ch'io respiri
aure vitali, ah tolga il cielo, ah tolga,
un istesso ambo n'accolga.
ORMINDO
Morir cosa sì bella?
Levi gl'auguri il cielo,
scocchi in me sol la morte il negro telo.
Osman, Ormindo, Erisbe, Coro di soldati taciti.
OSMAN
Perché da te non mi divide Ormindo
o l'ocean spumante,
o l'arena di Libia, o l'alto Atlante?
Lugubre messaggero
t'apporto, ahi dir no 'l posso, oh destin fiero.
ORMINDO
Conosco gl'apparati,
tu m'arrechi la morte,
e proferir non l'osi? Osmano, Osmano
così t'è noto a tante prove, a tante
d'Ormindo il cor? Cessa dal pianto, slega,
snoda la lingua, e i tuoi messaggi spiega.
OSMAN
A te questa, che miri
velenosa bevanda,
ed alla bella Erisbe il rege manda.
ORMINDO
Ch'io morir deggia è giusto,
con violente sforzo
all'onor d'Hariadeno insidie tesi,
con le rapine mie troppo l'offesi,
ma che mora costei
non è giustizia no, non è ragione.
La forza mia fu del suo error cagione.
ERISBE
No no non morrai solo,
procuri invan ch'io viva,
fu la fuga elettiva:
io ti seguii, la colpa è mia, si deve
a me questo velen.
ORMINDO
Oh dio, che fai?
OSMAN
Come intrepida il beve?
ERISBE
Vo' pria di te morire
per non vederti anima mia languire.
ORMINDO
Ah timido, che tardo?
Porgetemi quel tosco,
ci chiuda le palpebre
un istesso occidente
in un medesmo punto,
voli altrove al tuo spirto il mio congiunto.
Quanto questo veleno
è dissimil da quello,
ch'io co' occhi libai già dal tuo bello,
l'uno di vita riempirmi il seno,
l'altro deve in poche ore
uccidermi la vita in grembo al core.
OSMAN
Con quai forti legami
amor l'anime unisce.
ERISBE
Ah questo è l'imeneo,
che ci promise d'Amatunta il dio?
Son queste le sue faci,
ch'arder doveano intorno a nostri letti?
Per infiammarci maggiormente i petti?
O di superbo, e dispietato nume,
traditrice natura, empio costume.
ORMINDO
Non ti doler d'amore
non l'oltraggiar mio core,
querelati del cielo
contro di noi d'ostilità ripieno,
ei fe' l'aere sereno,
per negarci il fuggir, divenir fosco,
egli crudel ci preparò quel tosco.
Non ti doler d'amore,
non l'oltraggiar mio core:
sua mercede godrem gioia infinita
ne' felici giardini,
di veraci riposi unici nidi,
spiriti uniti eternamente, e fidi.
ERISBE
Sì, sì, che questa notte
in virtude d'amor alle nostre alme
aprirà un dì lucente
perpetuo, e permanente:
l'ombra, ch'or vela il mondo,
se terrore produce
a noi partorirà stato giocondo
contro il costume suo madre di luce.
Ma temo ohimè ben mio
che nel varcar di Lete,
non spegna in te l'ardor l'acqua d'oblio.
ORMINDO
Così vano timore
da te scaccia mia speme,
tutto l'ondoso umore
di quel profondo, e smemorato fiume
non potrà mai smorzare
una favilla sola
della fiamma, che arde, e mi consola.
OSMAN
Tenero affetto a lagrimar m'induce.
ERISBE
Ormindo?
ORMINDO
Erisbe?
ERISBE
Io sento
di mortifero sonno
gravidi gl'occhi.
ORMINDO
Opprime
a poco a poco ancor i miei la morte.
ERISBE E ORMINDO
Rallegramci, che corte
le vigilie faranno
del nostro crudo, e tormentoso affanno.
ORMINDO
Prendi Osman questa carta
al re tu la darai, ch'al re l'invia
la genitrice mia,
poco pria, ch'io spiegassi
le vele agli euri infidi
me l'arrecò quel messaggero istesso,
che venne ad appellarmi alla difesa
del mio regno cadente, e quasi oppresso.
OSMAN
Farò quanto m'imponi.
ERISBE
Ohimè gelida mano
le palpebre mi serra,
sugl'omeri mi cade
languido il capo, io vado.
ORMINDO
Erisbe aspetta,
io vegno, di già prende
lo mio spirito amante
le licenze dal corpo agonizzante.
ERISBE
Io moro, della parca
l'acciaro trattener più non poss'io,
negl'elisi t'attendo, Ormindo addio.
ORMINDO
Ahi spirò la mia vita,
eclissato è il mio sole,
sol di bellezza vera,
in cui menda non era.
Piangete amori Venere, ch'è morta,
e per formarle l'odorata pira
spennacchiatevi l'ali,
spezzate gl'archi, accumulate i strali.
Ti seguo anima mia,
non consente, che viva
più la mia salma, fatta
nelle fierezze sue la morte pia.
Ti seguo anima mia.
OSMAN
Spettacolo pietoso,
bastante a intenerire
l'istesse tigri armene,
e le rigide selci ad ammollire.
Ben a ragione piangete
valorosi soldati,
giace estinto dell'armi il pregio, e il vanto:
Ormindo è morto, ah raddoppiate il pianto.
Hariadeno, Osman, Erisbe, Ormindo, Coro di soldati taciti.
HARIADENO
Son morti questi adulteri?
OSMAN
Pur ora
intrepidi spiraro.
HARIADENO
Io son umano alfine,
e non trassi il natal da balze alpine.
Per calpestar qui venni
i cadaveri impuri
tutto sdegno, e rigore, e appena giunto
a sì tragico oggetto
la pietade m'accese il freddo petto:
scorgo esangue colui,
che il regno mi salvò, co 'l suo valore,
miro estinto il mio amore.
Io son umano alfine,
e non trassi il natal da balze alpine.
OSMAN
Pria che morisse Ormindo,
questa carta mi porse,
e m'impose signor, ch'a te la dessi.
Te la manda Cedige.
HARIADENO
Aprila, e leggi.
O Cedige, Cedige
qual dolor sarà il tuo, quando saprai
del tuo figlio la morte, ingiustamente
Hariadeno ingrato appellerai.
OSMAN
«Di tue vittorie io godo;
se come scrivi Ormindo
ti trasse di periglio
salvò la prole il padre, egli è tuo figlio.»
HARIADENO
Salvò la prole?
OSMAN
...«il padre egli è tuo figlio.»
HARIADENO
Ohimè.
OSMAN
Che leggo?
HARIADENO
Ohimè ch'intendo, segui.
OSMAN
«Rammentare ti déi, quando approdasti
di Tunisi alle rive
cavalier giovanetto,
e che di mia sorella,
di Nearbe la bella arse il tuo petto,
ne' vostri occulti amori, in cui le desti
la fede maritale
fu generato Ormindo.»
HARIADENO
O figlio, o dèi.
OSMAN
«Ei nacque appunto allora,
ch'io partorito avea,
e in un punto morio
l'infelice nel parto, e il parto mio.
Io per regi interessi
del nato infante mio celai la morte,
e 'l tuo bambin vezzoso
mentii d'aver prodotto al re mio sposo.
Così nell'arti regie
Ormindo crebbe, e te lo rendo or tale,
qual lo vedesti entro il furor navale.»
HARIADENO
Acerba conoscenza,
doloroso conforto,
notizia intempestiva, e tardo avviso,
ritrovo il figlio dopo averlo ucciso.
O nell'età cadente
miserabile re
versò sopra di te Pandora il vaso:
o figlio, figlio, o lagrimevol caso.
OSMAN
Provvidenza divina ogni tuo arcano,
come come è profondo,
con quai deboli mezzi opri nel mondo.
HARIADENO
Perché di te contezza
Ormindo mio non ebbi?
Spente l'accese voglie
t'avrei cessa la moglie,
e con la moglie il diadema, e 'l regno:
o figlio, o caro figlio illustre, e degno.
OSMAN
Non s'indugi a scoprir l'inganno ignoto,
per consolar l'afflitto.
Sire, se trasgredii gl'ordini tuoi,
per ricever la pena eccomi pronto:
obbligato ad Ormindo,
d'avvelenarlo con Erisbe invece,
sonnifero li porsi,
con pensiero di trarli
dal sepolcro, e serbarli
a fortuna migliore:
non sono estinti, dormono signore.
HARIADENO
O nelle vite loro
ravvivato Hariadeno,
o ministro fatale
de' decreti del cielo, è la tua frode
degna di premio immenso, ed alta lode.
Fortunata vecchiezza,
ch'avrà sì forte appoggio.
Ne' loro sentimenti
ritornino i dormienti.
OSMAN
Il preparato umore,
che meco adduco, or ora
discaccerà dalle lor tempie il sonno.
HARIADENO
Avventurosa notte,
tra le cui nebbie oscure
il mio figlio ritrovo, e riconosco,
misero me se l'uccideva il tosco.
Negligente Cedige
di quanto mal, di quanto
è stato quasi fabbro il tuo tacere.
Né bramaro il mio duol l'eccelse sfere.
OSMAN
Cominciano a svegliarsi.
ORMINDO
Erisbe, Erisbe.
ERISBE
Ormindo, Ormindo.
ORMINDO
Eccoci pure uniti.
Ma dove siam, che miro?
ERISBE
Mi par questa la scena
della nostra tragedia.
ORMINDO
È d'essa.
HARIADENO
È d'essa.
E tu sei d'Hariadeno unico figlio:
abbraccia il genitore,
ti salvaro gli dèi
per consolar gl'estremi giorni miei.
ORMINDO
Son queste illusioni?
Non morii?
OSMAN
No, sonnifero vi porsi
contro gl'ordini avuti,
per trarvi dagl'avelli...
ORMINDO
Con quai note di figlio, o re m'appelli?
HARIADENO
Leggi quel foglio, leggi.
OSMAN
È quel, ch'a me tu desti.
HARIADENO
Regina, i tuoi trascorsi
furono gravi invero,
pur non vogl'io, che la memoria mia
serbi sì indegni eccessi, ella gl'oblia.
ERISBE
Fur sempre generose
l'opre tue, la cui fama
per l'universo si diffonde, e spande,
e ti dichiara eroe famoso, e grande.
OSMAN
Come stupido legge
i caratteri noti?
ERISBE
Deh, dalla mente mia
sgombra la meraviglia,
dimmi, Ormindo è tuo figlio? E come, e quando
lo generasti?
HARIADENO
Giovane guerriero
in Tunisi approdai,
e l'ebbi da Nearbe
sorella di Cedige.
ORMINDO
Oh ritrovato padre
ne' miei novi natali,
o genitore offeso
dalla perfidia mia,
perdona alle mie colpe
in te destando i spiriti clementi,
mi suggerì Cupido i tradimenti.
HARIADENO
Non si parli d'offese,
so la forza d'amore:
questa, che del tuo core
posseditrice è fatta
resti pur teco avvinta,
con un nodo più forte,
sia tua regia consorte.
E perché gl'anni miei
m'invitano alla quiete, io ti consegno,
e ti rinunzio con la moglie il regno.
ORMINDO
L'essere che a me desti ora raddoppi,
ora che meco Erisbe unisci, accoppi,
ma della mano imbelle
non è lo scettro grave
proporzionato pondo,
sulle spalle d'Atlante, è più sicuro,
che su quelle d'Alcide il vasto mondo.
HARIADENO
È d'imperio maggiore
la tua virtù capace,
al seggio d'oro accrescerai splendore.
Amida, Erisbe, Sicle, Ormindo, Nerillo, Mirinda, Osmano, Erice, Melide, Coro di soldati taciti.
AMIDA
I graditi ragguagli
di sì lieti successi
quivi ci han tratti avventurati amanti.
Riconosci regina
quest'egizia presaga? Ella lasciato
di Susio il patrio regno,
qui di beltà con l'armi
venne, suo contumace, a debellarmi.
ERISBE
Principessa gentile, i nostri amori
corsero a loro desiati fini
per strade ignote, e precipizi alpini.
SICLE
Da' nostri avvenimenti
scorga l'ingegno umano,
quanto puote in un petto
tenero, e molle l'amoroso affetto.
ORMINDO
Non avrà già ne' nostri petti Amida
la gelosia più albergo. Amico Osmano
nelle grandezze sue
sarà memore Ormindo,
com'è per te rinato,
come per te possede
il suo bene adorato.
OSMAN
Premio dell'opra sia sol l'opra istessa.
MIRINDA
Riverita regina,
io promisi ad Osmano
il mio imeneo, se della morte rea
dalle fauci voraci ei vi traea,
or che per opra sua salvi vi veggio,
per marito lo chieggio.
ERISBE
Per marito l'avrai.
OSMAN
Felice Osmano.
ERISBE
Ed avrà la tua fede
Mirinda, ampia mercede.
MIRINDA
Consenti, che la destra
riverente ti baci a tai favori.
OSMAN
Saran pur terminati i miei dolori.
SICLE E AMIDA
Volate, fuggite,
dal seno martiri,
cessate, svanite,
dogliosi sospiri.
ERISBE E ORMINDO
Un talamo, ed un letto
ne sarà pur comune,
amoroso diletto
i residui del duolo
scaccia da' nostri cori, e regna solo.
SICLE E AMIDA
Amor, che n'avvinse
ci pasce, e ricrea,
il nodo ei ne strinse,
e l'alme ci bea.
ERISBE E ORMINDO
D'amor non si quereli
quel cor, che vive in pene,
egli usa a' suoi fedeli
arrecar pria tormenti
per render poi più dolci i lor contenti.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
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