|
|
Scena prima |
Melissa. |
Melissa, Astolfo, cavalieri
|
| |
|
Coronatemi, o lauri,
le chiome trionfanti.
Ho guerreggiato, ho vinto. Ove ora sono
le tue superbie, Alcina, ove gl'incanti?
Or schernisci gl'amanti,
e nel cangiar di tua incostante voglia
cangia lor forma, e spoglia.
Negletta, vilipesa, in abbandono,
mezza tra morta, e viva,
in solitaria riva
trofeo del mio saper, Ruggier ti lascia.
Tu, che tanto godevi
in tormentare altrui, prendi, ricevi
di tua volubil fede
ben dovuta mercede.
Se non m'inganna il mio pensier, già scorto
il sagace nocchiero
di Logistilla al porto
con felice passaggio avrà Ruggiero.
Altro qui non m'avanza,
che l'immagin disfar, disciorre i nodi,
onde a l'umana lor prima sembianza
tornino i cavalier, ch'in tanti modi
l'empia trasfigurò. Folle chi spera
celar sue colpe al ciel, né si rammenta,
che tanto più severa
è l'ira de gli dèi, quanto è più lenta.
| Melissa ->
|
|
|
Scena seconda |
Lidia, Alcina, Idraspe. |
<- Lidia, Alcina
|
| |
LIDIA |
Come più di Ruggier penso a la fuga,
più temerario parmi
l'ardimento, e lo sforzo. Abbia per terra
libero il passo, et aprasi con l'armi
il negato sentier; del mar che serra
quest'isola d'intorno,
come mai varcherà la rapid'onda?
Come da questa sponda
sì furtiva spiegar potrà le vele
nave, ch'al tuo fedele
provvido Idraspe il suo partir nasconda?
Deh fa' tregua a i sospiri, e da' begl'occhi
tergi i dolenti umori. Io spero ancora
veder pria, che nel mare il dì trabocchi,
rasserenarsi il ciel del tuo bel viso,
e germogliar di mezzo al pianto il riso.
| |
ALCINA |
Questa sola speranza
con debil nutrimento
sostenta anco mia vita. Io d'ora in ora
qualche del dubbio evento
novella aspetto, e impaziente accuso
ogni breve dimora.
Ma non vegg'io sovra volante prora
tutto ne l'armi chiuso
di là venire un cavalier? Io temo,
misera, i' gelo, i' tremo.
Pare Idraspe da lungi,
egli è desso; il conosco. Ohimè, che porte
vita, Idraspe, o pur morte?
| |
| <- Idraspe
|
IDRASPE |
Reina, il ciel contra di noi guerreggia,
e contrastar non può forza mortale
con possanza immortale.
| |
ALCINA |
È partito Ruggiero, o il trattenesti?
In questa sol risposta
ogni mio bene, ogni sciagura è posta.
| |
IDRASPE |
Stavo qual m'imponesti,
con cento legni, e cento
di questi lidi a la custodia intento;
quando allora ch'il sole accerchia l'ombre,
colà, dove la fronte
sporge nel mar più discosceso il monte,
spiccar vidi da riva
picciolo abete, e breve,
ma sì rapido, e lieve,
che strisciava per l'onde, e non l'apriva!
Di Ruggier, che fuggiva
recommi intanto un de' tuoi servi avviso,
ond'io lentando a le mie navi il freno
d'ira, e di doglia pieno
vo dietro a lui rapidamente a volo.
Da tanti remi, e tanti
lacerato Nettun freme, e spumanti
corrono i flutti a flagellar le sponde:
impallidiscon l'onde
sotto le nostre vele, e d'ogni lato
già da noi circondato
non restava a Ruggier scampo a la fuga;
quando il nocchiero in su la poppa assiso
spogliò d'un sottil vel, ch'il ricopriva,
meraviglioso scudo,
che con lampo improvviso
n'acciecò i lumi, e la virtù visiva
abbacinata in noi, restammo come
del misero Fineo l'armate schiere
al disvelar de le gorgonie chiome.
Ma dal lito vicin di Logistilla
udiam, poiché il vedere n'era già tolto,
strepito d'arme, e con fragor orrendo
intorno ribombar trombe guerriere.
Con cieca destra brancolando i remi
ciascun de' nostri (e che potea più farsi
in quei perigli estremi?)
A fuggir fu, più ch'a pugnar rivolto.
Fuggiam confusi, e sparsi:
molti dal ferro ostil caggiono estinti;
molti dal cieco loro impeto spinti
romponoi infra gli scogli. Io con pochi altri
fui da la sorte rigettato a riva.
| |
ALCINA |
E sarà ver, ch'io viva
senza Ruggiero? E che sì lento al core
scenda il mortal dolore,
che mal grado del cielo, ei non m'uccida?
Così va, chi si fida.
Ma chi pensato avria, che sotto un vago
angelico sembiante,
si nascondesse mai un cor di drago,
un'anima di ferro, e d'adamante?
Lassa, che far degg'io? Dove mi volgo?
Se soccorso per me non ha la terra,
s'il cielo mi fa guerra,
movasi a le mie voci almen l'inferno.
O del caliginoso orrido Averno
tremendi dèi, la cui possanza è pari
forse a quella del ciel, s'unqua v'offersi
sovra divoti altari
ne' silenzi notturni ostie gradite,
uscite al suon de' noti accenti, uscite
da le tartaree soglie,
trattenete l'autor de le mie doglie,
e se non siete a tanto affar bastanti;
questa con voi nel regno empio de' pianti
anima disperata omai rapite.
Uscite al suon de' noti accenti, uscite.
| Idraspe, Lidia ->
|
|
|
Scena terza |
Alcina, Melissa, Coro di Cavalieri. |
<- Melissa
|
| |
MELISSA |
Frena l'infame lingua,
perfidissima Alcina,
il lezzo di tue colpe al cielo è giunto,
ei le lagrime tue si prende a scherno.
E la forza d'Averno
sta legata per te. Danno, e ruina
sol ti sovrasta. Una sol ora, un punto
scoprirà le tue frodi. E dove siete,
o cavalieri amanti,
che in sì fieri sembianti
disumanò questa crudel? Prendete
le vostre antiche forme, e questa spiaggia
vesta il natio suo manto.
Non sia sì forte incanto,
ch'a' detti miei non si disciolga, e caggia.
| |
| |
ALCINA |
Ove fuggo infelice? Ove mi celo?
Hai vinto, ora il confesso, hai vinto, o cielo.
| |
| |
|
CORO
Quali a tanta mercé grazie bastanti
renderem noi donna celeste? Il dono
è maggior d'ogni merto, e minor sono
a tanta gioia i nostri cori. Abbiamo
per te doppio natale, e più gradita
ne' nuovi acquisti, è la seconda vita;
quanto più d'ogni morte
morta in noi fu la passata sorte.
| |
| |
MELISSA |
Cosa umana è l'errare, e quegli è saggio
che dal proprio fallir prudenza impara.
Ben felice è l'oltraggio,
ben la miseria è cara,
che dopo un breve duol l'alma ammaestra.
Or pria, ch'al patrio nido
drizzate i passi, o cavalier, deh fate
ad onta di costei segni di gioia.
Tu meco, Astolfo, vienne. Anzi, che muoia
dentro a l'Ibero il sole, in libertate
sarai col tuo Ruggier su l'altro lido.
| Melissa, Astolfo ->
|
|
|
Scena quarta |
Coro di Cavalieri. Balletto. |
|
| |
|
CORO
Quando da l'onde
le chiome bionde
alza il rettor del lume,
su per la riva
aura lasciva
suol dispiegar le piume,
al dolce spirto
curva ogni mirto
la cima sibilante,
e rugiadosa
apre ogni rosa
il sen porporeggiante.
Dal legger fiato
Nereo agitato
increspa i falsi argenti,
e per li quieti
campi di Teti
danzano i muti armenti.
Miser nocchiero,
ch'al lusinghiero
venticel presta fede,
scioglie le vele,
e l'infedele
onde co' remi fiede.
Ma non inchina
ne la marina
del mauro Atlante il giorno,
che procelloso,
che tempestoso
freme Nettun d'intorno.
Or scende, or poggia
ad orza, appoggia
l'abbandonato pino:
al fine affonda
dentro a quell'onda,
ove scherzò il mattino.
Folle quell'alma
che crede a calma
di femminile amore;
in un momento
veste il contento
abito di dolore.
Quella bellezza,
ch'or t'accarezza,
t'anciderà fra poco,
che non pietade,
né fedeltade
in cor di donna ha loco.
Splendete, ardete
quanto sapete,
lusinghiere pupille,
ch'aver ricetto
in questo petto
non pon nove faville.
Ridete, o labbri,
e i bei cinabbri
promettan gioia, e pace:
il cor tradito
sa, che l'invito
è perfido, e fallace.
Beltà sincera,
dolcezza vera
sol colà in cielo alberga;
deh, vesta l'ale,
e a l'immortale
magion l'anima s'erga.
| (♦)
(♦)
|
| |