Dunque
la rimembranza hai sì di me perduta,
Ruggier, che tu non possa oggi il sembiante
raffigurar del tuo maestro Atlante?
E fia ver, che quel volto, e quella chioma,
che rugoso per te, per te canuta
pur troppo, ohimè, son fatti, or non conosca?
Ma se densa caligine, se fosca
nube d'affetti indegni, e d'ozi impuri
così de la ragion t'adombra i lumi,
che i tuoi propri costumi,
che te stesso oggimai non raffiguri,
a torto mi dogl'io,
che me non riconosca. E questo il frutto,
questa la messe sia del sudor mio?
Dunque con forte destra
in su la cima alpestra
de l'altissimo giogo di Carena
contra l'orse più fiere, e più rabbiose
t'insegnai da fanciullo a curvar l'arco?
T'avvezzai dunque ad aspettare al varco
per l'arso suol de l'africana arena
i leoni più ardenti,
a sbranar tigri, a strangolar serpenti,
perché sparso d'odor, perché fregiato
di lascivi ornamenti
con crine inanellato,
con guancia imporporata io ti vedessi
tra femminili amplessi
dormire il fior de la tua vita, e dopo
sì lunga disciplina
tu fossi al fin l'Endimion d'Alcina?
Questo non è già quel, che mi predisse
di te il mio studio; e tai non son gl'effetti,
che de le stelle erranti, e de le fisse
già mi promiser gl'osservati aspetti.
Sperai, che giunto a quest'età facessi
opre di cavalier così preclare,
che di quanti passar con Agramante
dovean d'Africa il mare,
di quanti Carlo ha paladin, rendessi
tu sol, la gloria oscura.
O tradite speranze, o pensier vani!
Or va', misero Atlante, e ti figura
esser nuovo Chiron di nuovo Achille.
Mira il tuo prode eroe qual armi stringa,
quali arnesi si vesta,
a qual pugna s'accinga.
Se di te stesso, e di tue proprie lodi
non ti cale, Ruggier, se più non pensi
a la guerra di Francia: se trascuri
la fé dovuta la tuo signor, se godi
trar fra sozzi diletti i giorni oscuri,
movati almen la generosa prole,
che di te non bugiardo il ciel promette.
Narrarti io pur solea, che de gli Estensi
eroi l'inclita stirpe, a cui tu devi
dar'alti fondamenti, al par del sole
per opre di valor in pace, e in guerra
dovea scorre la terra.
Or tu, che pur godevi
in ascoltar di tanti
magnanimi nipoti
l'eccelse imprese, ed i gloriosi vanti,
starai vil cavaliero
in un breve del mondo angol sepolto
di donna infame idolatrando un volto?
Altra bellezza, altra onestà, Ruggiero,
il cielo a te destina.
E quai ti credi alfin, che sian d'Alcina
gl'adorati sembianti?
Ciò, ch'in lei stessa ammiri,
tutto è forza d'inferno, opra d'incanti.
Tien questo anello, a lei ritorna, e guarda
come belli suoi rai, sue guance sono,
e riamala poi, ch'io te 'l perdono.