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Scena prima |
Melissa. |
Melissa
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Tempo è già che fermiate,
o miei draghi fedel, dal lungo corso
lo squalid'or de le volanti squame.
Per consolar le brame
d'innamorato cor, frenai con morso
vostre fauci infiammate,
e per vie disusate
abbandonando di Pontiero i tetti,
ne gl'ultimi confin d'India v'ho retti.
E ben di mia fatica
bella figlia d'Amon, degno è il tuo pianto.
Qui la maga impudica
con dilettoso incanto
in ozio indegno il tuo Ruggier trattiene;
queste ingemmate arene,
cui fan lussureggianti
di sempiterno april corona i fiori,
i fiumi mormoranti,
che lusingando in su gl'estivi ardori
le stanche luci al sonno
palpitan tra le sponde,
i teneri arboscei, tra le cui fronde
al sibilar de' zeffiri amorosi
mille augellin vezzosi
accordan l'armonia de' canti loro,
d'apparente magia tutto è lavoro.
Ma non andrà ne la marina Ibera
Febo a lavar le polverose chiome,
che di Ruggier saran disciolti i nodi,
io di costei gli scoprirò le frodi,
ch'ammaliato or non conosce: e come
disabitata, incolta, orrida, e fiera
fu quest'isola già, farò che prenda
la sembianza primiera;
e si vedranno al ciel con forma orrenda
tra duri sassi, e nude balze alpestri
l'ispide braccia alzar piante silvestri.
Io qui nascosa al varco
Ruggiero attenderò; con saggi inganni
cangerò volto, e panni;
e per sanargli il seno
da quel mortal veleno
che dilettando i sensi a l'alma noce,
d'amaro assenzio aspergerò mia voce.
| Melissa ->
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Scena seconda |
Alcina, Idraspe suo ammiraglio. |
<- Alcina, Idraspe
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ALCINA |
Misera, e pur è vero,
ch'innamorato core
viver non può giammai senza dolore.
Io so, che il mio Ruggiero,
arde per me, più che non arde esposta
al fiato d'Aquilon accesa face,
e pur quel rio pensier, quel pertinace
timor di sua partita
torna a turbar mia vita.
Miro ne la sua fronte,
leggo ne gl'occhi suoi scritta la fiamma,
e d'un gelato, incognito sospetto
sento rodermi il petto.
O dolcezze d'amor fugaci, e corte,
il godervi è miseria, il perder morte.
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IDRASPE |
Dal porto, onde chiamommi
con iterati messaggeri Alcina,
pronto qui volgo il piede, e riverente.
E ben grave accidente
de l'amorosa mia bella reina
forz'è, che turbi il sen, che già non usa
per leggiera cagion chiamare Idraspe.
Ma non la vegg'io qui? Par che confusa
dentro al torbido sen volga gran cose.
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ALCINA |
Se i miei caldi sospir, se le focose
mie lagrime stillanti
di ritenerlo ohimè, non han possanza;
se de gl'usati incanti
l'onnipotente mormorio non giova,
farò l'ultima prova,
volterò il cor a l'armi, e ne la forza
porrò la mia speranza.
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IDRASPE |
A' cenni tuoi
ubbidiente io vengo;
tu reina m'addita
di qual comando il mio servir sia degno.
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ALCINA |
Tutti d'ordine mio di questo regno
con raddoppiato stuol d'uomini, e d'armi
sian custoditi i passi:
tu col valor, e con l'usata fede
guarda, qual si richiede,
la spiaggia, e i porti, e per lo mar non passi
legno cotanto ardito,
che chiamato da te non venga al lito.
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IDRASPE |
Non potrà augello in ciel, non che per mare
vela volar che noto a me non sia.
Qual nuova gelosia
i tuoi dolci riposi a turbar viene?
Forse di Logistilla
l'insane turbe a queste mura intorno
vengono a procacciar ruina, e scorno?
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ALCINA |
Per sospetto maggior dubbia vacilla
l'anima mia, ma la cagion per ora
giovami di celar: tu verso il porto
vattene, o valoroso,
che sovra la tua fé sicura i' poso.
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IDRASPE |
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ALCINA |
Ed io che scorto
Ruggiero ho di lontan, qui fermo il piede;
che più dolce il mio cor esca non chiede.
| Idraspe ->
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Scena terza |
Alcina, Ruggiero, Lidia. Coro di Damigelle. |
<- Ruggiero, Lidia, damigelle
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RUGGIERO |
Così forte è quel laccio,
con cui legommi il cor l'ignudo arciero,
che morte pria, che libertate i' spero.
Ma sì vaga è la chioma, ond'ei compose
la catena gentil, che i crini suoi
non ha sì bei l'Aurora. Or dite, voi,
dite la gioia mia, ninfe amorose.
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ALCINA |
Sì vorace è la fiamma,
in cui si sta questo mio core ardendo,
che morte pria, che refrigerio attendo.
Ma da ciglia sì belle, e luminose
vien l'ardor mio che là ne' regni eoi
fors'è men chiaro il sole; or dite, voi,
dite la gioia mia, ninfe amorose.
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CORO
Sian al gioir di sì leggiadri amanti
concordi i nostri canti;
non vede il ciel quaggiù maggior bellezza;
ma né maggior dolcezza
Amore altrui destina;
fortunato Ruggier, beata Alcina.
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RUGGIERO |
Del bell'idolo mio
sembra il candido sen su l'Appennino
neve pur or caduta;
o giglio, o gelsomino,
che con chioma canuta
sfidi il candor de l'alba in sul mattino;
né la via, che dal latte il nome prende
(sia pur con vostra pace, invide stelle)
forme ha in ciel così belle.
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ALCINA |
Le labbra del mio bene
sembrano a mezzo aprile
d'anemone odorato un fior gentile;
o per l'erbose arene
vaga peonia, a cui
di mattutino gelo,
gl'animati rubin cosparga il cielo;
e sia pur con tua pace, invida Teti,
ne l'umide spelonche
sì bei non nutre il mar coralli, o conche.
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CORO
Siano al gioir di sì leggiadri amanti
concordi i nostri canti:
non vede il ciel quaggiù maggior bellezza,
ma né maggior dolcezza
amore altrui destina,
fortunato Ruggier, beata Alcina.
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RUGGIERO |
Fama è ch'acceso di beltà terrena
vestisse il gran tonante ispida pelle,
né disdegnasse infra i sidoni armenti
sparger muggiti ardenti,
fin che varcando de l'egee procelle
con la salma adorata
la fals'onda gelata
nome novel diede a la lontan arena.
Lasso, chi m'assicura,
se la mia Dionea è di beltà più degna,
ch'a rapirla dal ciel Giove non vegna?
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ALCINA |
Ah, Ruggiero ben mio,
ben sì quella son io,
che per soverchio amore
un eterno martir mi nutro al core.
De la terra, del mar, del ciel pavento
ho gelosia del vento,
non mi fido del sole,
che non ti rubi l'un, l'altro t'invole.
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LIDIA |
Nova per voi dentro ai reali alberghi
danza s'appresta, ed oziosi ancora
qui pur fate dimora?
Itene, o bella coppia, a gioie estreme
Amore oggi v'invita.
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ALCINA |
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RUGGIERO |
| Alcina, Ruggiero ->
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CORO
Siano al gioir, di sì leggiadri amanti
concordi i nostri canti:
non vede il ciel quaggiù maggior bellezza,
ma né maggior dolcezza
amore altrui destina,
fortunato Ruggier, beata Alcina.
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