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L'isola di Alcina

L'ISOLA DI ALCINA

Tragedia posta in musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Fulvio TESTI.
Musica di Sigismondo D'INDIA.

Prima esecuzione: anno 1626, Modena.


Interlocutori:

ARIOSTO

sconosciuto

NOTTE (prologo di Sacrati)

sconosciuto

ALBA (prologo di Sacrati)

sconosciuto

AURORA (prologo di Sacrati)

sconosciuto

ALCINA

sconosciuto

LIDIA cameriera d'Alcina

sconosciuto

RUGGIERO

sconosciuto

MELISSA maga

sconosciuto

IDRASPE ammiraglio d'Alcina

sconosciuto

NUNZIO

sconosciuto

ASTOLFO

sconosciuto


Le sirene. Coro di Cavalieri trasformati da Alcina. Coro di Damigelle d'Alcina.



Illustrissimo... (ediz. 1648 di F. Sacrati)

Illustrissimo e reverendissimo sig., fra 'l numero de miei più riveriti patroni scelgo v. s. illustriss. per iscopo alla mia divozione, e per protettore ad Alcina. A ciò mi promove il desiderio di veder consolata questa infelice, la quale non avrà per l'avvenire a dolersi di rimanere abbandonata dall'amante, mentre venga benignamente accolta sotto il patrocinio di v. s. illustriss. in cui troverà qualità eroiche più che in Ruggiero. Inoltre s'aggiunge ad un mio divotissimo genio versola grandezza del suo merito il comando dell'illustriss. sig. Cornelio Malvasia, che me l'ha additata per cavaliere, di cui la protezione basti a render ragguardevoli, e rispettati, non solo gli errori della mia musica, ma anche le colpe d'una maga. Resta, che v. s. illustriss. non isdegni, come umilmente la supplico, d'aggradire quella riverenza, con la quale consacro ossequiosissimamente me stesso, e quanto mi sono alla sua padronanza: ch'io anderò poscia ambiziosamente gloriandomi di vivere

Di v. s. illustriss. e reverendiss. umiliss. ed divotiss. servitore

Francesco Sacrati

Lettore... (ediz. 1648 di F. Sacrati)

Se rozza ti parerà la musica dell'Alcina, scusala, ti supplico, o lettore, ché nata fra le rozzezze della villa, non può esser che tale. Per ingannar l'ozio, mi diedi a comporla, mentre a Panzano, delizie volerecce, dell'illustriss. sig. Cornelio Malvasia, attendevo il di lui ritorno dal campo; non con pensiero, che giammai ella avesse a rendersi ardita di comparire ne' pubblici teatri di Bologna, ma perché chiusa in un scrigno vi rimanesse, o depositata, come tesoro tratto dalla miniera dell'ingegno del gran Testi, o imprigionata, come rea della mia temerità. Ella comparisce ora vergognosa, e timida sotto a gli occhi di sì nobili e virtuosi spettatori, perché più deve arrossarsi d'esser coperta de panni, de' quali io l'ho vestita, che di farsi vedere nella sua natural nudità. Se la mirerai con gli occhi dell'intelletto, come figlia bellissima d'un ingegno inimitabile, la conoscerai per incapace d'emenda. Se l'apprenderai con l'intendimento dell'orecchio, come parto involto nelle diformi fasce della mia musica, non conoscerai in lei altr'orma di bellezza, che quella dell'armonia, ch'ella ereditò dalla paterna cetra. Averti inoltre, che se la vedrai introdotta su la scena da un prologo diverso da quello che ne' suoi primi natali la condusse sotto gl'occhi de' principi estensi, è opportunità ricercata dal tempo, e dal loco dove ha da rapresentarsi. Non avrà perciò a spiacerti, che in vece dell'Ariosto, la Notte, l'Alba, e l'Aurora preludano ad un'opera che merita fra l'altre nome di Sole, tanto più, ch'elle parlano con voci sugerite loro da uno de più canori cigni, del nostro secolo. Compatisci a' miei errori, e vivi felice.

Prologo
Scena unica

Ariosto.

Quell'io, che volto a celebrar gl'onori

degl'avi incliti tuoi, cantai con tromba,

che sì chiara pe 'l ciel anco rimbomba

le donne, i cavalier, l'arme, e gl'amori.

Da elisia magion, felice regno

de l'anime beate, ove mi vivo

di sì lieti imenei al suon festivo

ebbro di gloria, o grand'Alfonso, io vegno.

E poiché d'onorar ne' regii tetti

coppia sì gloriosa hai pur desio

non isdegnar, ch'in questa scena anch'io

nuova materia accresca ai lor diletti.

Calzi l'aureo coturno, e canti Atena

di coronata turba opre funeste,

qui cada esangue Egisto ivi a Tieste

apparecchi il fratel l'orribil cena.

Ma d'ogni sangue immacolato, e puro

sian l'italiche scene, e bastin solo,

per destar in altrui pietate, e duolo,

d'amante cor le non mortal sciagure.

D'innocenti sospiri oggi, e di pianto

sparga il teatro abbandonata Alcina,

e tornando a l'antica disciplina

esca Ruggier dal dilettoso incanto.

E voi, s'alcun pur v'ha cui l'alma accenda

lusinghiera beltà del cieco ardore,

prendete esempio, e di Ruggier l'errore

siavi scusa al fallir sprone a l'emenda.

Non sempre è bel ciò, c'ha di bel sembianza,

e spesso offende più quel che più piace,

poscia che d'un gioir vano, e fugace

null'altro al fin, che pentimento avanza.

Variante del prologo (ediz. 1648)

Prologo dell'edizione del 1648 musicata da Francesco Sacrati.

La Notte - L'Alba - L'Aurora

La Notte

Poiché con lieve infaticabil volo

corsi gli eterei campi

abbelliti, e fregiati

da luminosi aspetti

onde imparo il sentier per l'ombre oscure

e poiché immersi in sonnolento oblio

le terrene fatiche,

girando il corso a l'ampia mole intorno,

venni a portarmi in sul confin del giorno,

a celarmi vicina,

per conceder lo scettro al re de' lumi

deporrò la corona,

di papaveri ordita,

né vorrò, che mi piova

da le faci stellate oro sul crine.

Già co i bruni corsieri,

che sbuffan per le nari

caliginosi fumi,

da l'aereo camino

al tenebroso speco il carro inchino.

Giuro a voi, che mirate

ceder la notte al dì gli uffici alterni,

che mai più densi, e fortunati orrori

non adunai, per favorir cortese

di prigionieri amanti

la libertà, gl'incanti.

E chi non sa, che ne' silenzi muti,

e sotto il manto, onde la terra adombro,

mormoran fiere note,

e festive, e felici

si ricovran le sagge incantatrici?

A le profane voci

di venefica lingua

so, che talora imbruna

il puro volto suo l'argentea luna,

vedrà però nel suo splendor sereno

il portator de la diurna luce

d'alti duci i contenti,

d'un'empia maga i disperati eventi.

Entro il gel de la notte, in cui s'accese

fiamma d'infausto amore

s'ammorzerà sì violento ardore:

ma che più tardo, o cielo,

vago d'aurata luce?

Perché non lascio il campo

al luminoso duce?

Io che d'ombre mi vesto, e 'l mondo oscuro

consegnerò l'albergo

a chi fugar mi suole.

Meglio l'opere altrui discerne il sole.

L'Alba

Di perle non m'adornino

il crin le ninfe, che ne l'onde albergano.

Liete soggiornino

fin ch'io torno, e ne l'acque i volti immergano

io del ciel gl'involo a gli orti.

Per mia man s'inargentano

de l'aria i campi, ove le rose abbondano.

Già si spaventano

le stelle al mio sembiante, e gli ori ascondano.

Se del sol più l'oro stimo,

pria nel ciel l'argento imprimo.

Da la mia bocca spirino

aure, che più veloce al ciel mi levino.

Stese si mirino

l'ali, ch'ad alta meta il piè sollevino.

Se in un tratto il dì s'inalba,

è virtù d'un volo d'alba.

L'Aurora

AURORA

Per ammantarti di purpurea veste

a che traggi nel mar lunga dimora?

Affretta il volo, o neghittosa Aurora,

pallido è il dì senza il rossor celeste.

L'emisfero lassù perda i candori,

se con sferza di rai le nubi offendo,

io le porpore belle al mar togliendo,

al sol, che pinge il dì, stempro i colori.

Coloritevi intorno aerei campi,

s'a Febo di piropi orno il sentiero,

io gli fo strada al luminoso impero,

perché di lume, e più di gloria avvampi.

Per via sublime al guardo altrui serena

trascorro eterna i lucidi viaggi

porgendo al sol l'aureo pennel de' raggi

al teatro del mondo il ciel fo scena.

Tolgo a questa le stelle, e la disvelo.

M'alzo ridente a pubblicar l'arrivo

del pianeta immortal, che redivivo,

dà più splendor con un sol occhio al cielo.

Atto primo
Scena prima

Alcina, Lidia sua cameriera.

LIDIA

E dove, o mia reina,

sì sola, e frettolosa? Appena usciti

Eto, e Piroo da l'eritrea marina

col luminoso piè stampano i liti,

ch'a l'albergo t'involi impaziente

fin di dar legge al crine,

che vagabondo, e sciolto

del bellissimo volto

scende a smaltar co' suoi tesor le brine.

Qual flagellando l'agitata mente

ti sollecita il piè cura, o pensiero?

ALCINA

A cercar di Ruggiero

dietro l'anima mia

anco il mio piè s'invia;

che, se senza Ruggier io sto un momento,

provo dolor sì forte,

che mille volte in un momento ho morte.

Ma per trovarlo, ohimè, dove mi volgo?

Chi me l'insegna, ahi lassa?

Ah, che dovunque passa:

qualch'orma di beltà convien che resti:

se sentirò, che per le vie celesti

più dolce de l'usato

batta le piume d'or zeffiro alato;

se mirerò, che più tranquille, e quiete

del fiumicel sian l'onde;

se vedrò su le sponde

fiorir l'erbe più liete,

senz'altro testimon, che me l'accenne,

dirò, quest'è la via, che Ruggier tenne.

LIDIA

Merta insolito affetto

insolita beltà; se qualch'affanno

per sì degno guerrier ti punge il petto,

io già non ti condanno.

Qual cuor, benché di selce, e d'adamante,

al dolce balenar di que' bei lumi

non diverrebbe amante?

Ma d'un tanto tesor posseditrice,

perché tanto t'affliggi, e ti consumi?

Teco in pugna amorosa

dal tramontare a lo spuntar del giorno

stassi il tuo cavaliero, e sospirosa

a queste selve intorno

anco il cerchi? Anco il chiami?

ALCINA

Ah, che un pensiero,

che nel mesto mio cor nacque pur dianzi,

con lingua di dolor così mi dice:

Alcina il tuo Ruggiero

ti lascia, e t'abbandona, e neghittosa

tu no 'l cerchi, e no 'l preghi;

tu no 'l fermi, e no 'l leghi?

LIDIA

Non ama chi non teme;

come gemelli a un parto

il timor, e l'amor nacquero insieme.

Di tua somma bellezza a i raggi ardenti

si strugge egli qual suole

falda di neve al sole,

semplice, e crederei, che fuggir tenti?

Ma sian (che no 'l cred'io) finti i desiri,

sian bugiardi i sospiri;

e, le venture sue poste in non cale

tenti pur di lasciarte.

Come mai se n'andrà? Dove? In qual parte?

De l'indico ocean l'incognit'onda

quest'isola circonda,

con cento armate antenne

guarda Idraspe la spiaggia, il corridore,

che fende il ciel con le volanti penne,

legato è in tuo potere: or come vuoi,

che se n' voli Ruggier da gl'occhi tuoi?

ALCINA

No 'l so, so ben, ch'il core

presago del suo mal con moto eterno,

mi palpita nel seno.

Ma, se venute meno

le mie forze non son; se quella i' sono,

che con magici accenti,

comando a gl'elementi,

turberò il ciel, sconvolgerò l'inferno,

porrò sossopra l'universo intiero,

perché resti Ruggiero.

LIDIA

Gran cosa opran gl'incanti,

e un magico sussur natura sforza;

ma nel cor de gl'amanti

lusinghiera beltade ha maggior forza,

la tua somma magia sta nel tuo viso:

un sol cenno, un sol riso,

un guardo sol di questi rai sereni,

che tu volga a Ruggier, tu l'incateni:

ed a sinistra appunto,

là 've placido il mar bacia l'arene,

mira come festivo egli se n' viene.

Meglio dal vostro aspetto è ch'io m'involi?

Troppo caro a due amanti è restar soli.

Scena seconda

Ruggiero, Alcina.

RUGGIERO

Qual lume disusato

vi folgora su gl'occhi? E che splendore

m'abbaglia i sensi, e mi serena il core!

O bell'idolo mio,

del tuo ciglio adorato

questi gl'effetti son: ben conobb'io

che luce così rara, e pellegrina,

se non era del sole, era d'Alcina.

ALCINA

Ruggiero a te ne vengo

trofeo de' miei martiri,

gloria de' miei sospiri.

Se gl'occhi tuoi son del mio cor sostegno,

e se l'anima mia vive in te solo,

qual tormento, qual duolo

lungi dal tuo bel volto ogn'or m'assalga

pensalo tu, ch'io no 'l saprei ridire

se non col mio morire.

Misera, e pur d'intorno al cor languente

una voce dolente

mormorando ogn'or va di tua partita.

Ah Ruggiero mia vita,

e fia ver, che tu parta, e non ti caglia,

che per tua sola crudeltà si muora

colei, che sì t'adora?

RUGGIERO

Ch'io parta anima mia, ch'io t'abbandoni?

Ah, che silente amore

non fabbricommi le catene al cuore.

Fisso così ne la mia mente porto

l'amoroso desio di tua bellezza,

ch'in te vivo, in te morto

da questi rai ben mille volte il giorno

spirti di vita a mendicare intorno.

E ch'io fugga da te? Ch'io m'allontani?

Prima sovra il mio capo il ciel tonante

scocchi i fulmini suoi;

pria la terra m'ingoi,

e m'assorba del mar l'onda spumante:

teco vivrò, finché del cielo io beva

i purgati alimenti;

e se a le morte genti

concesso è ritornare a l'aria viva,

per teco ritrovar riposo, e pace,

verrò spirito amante, ombra seguace.

ALCINA

Quale il torbido ciel di nubi algenti

a lo spirar de gl'aquilon si spoglia,

tale a' tuoi dolci accenti

l'affannato mio cor scaccia ogni doglia;

e pur ch'i tuoi bei lumi abbia presenti,

cotanta nel mio sen dolcezza piove,

ch'il suo gran regno io non invidio a Giove.

RUGGIERO

Non così ingorda a depredar de' fiori

la famiglia odorata

su mattutini albori

suole d'api volar schiera dorata,

come intorno a le rose

di tue labbra vezzose

famelica d'amor corre quest'alma:

e ch'io fugga da te, ch'io m'allontani?

Se son di tue pupille

parto le mie faville,

come trovar può loco

lontan da la sua sfera il mio bel foco?

ALCINA

Non più, ben mio, che per la gioia il core

langue, e vien men; troppo son certi i segni

che di tuo amor, che di tua fé mi dai.

Ma se mirar de' tuoi celesti rai

potessi tu l'ardore,

che questo sen voracemente infiamma,

so ben, che allor diresti

d'Ischia, e di Mongibel poco è la fiamma.

Ma per brev'ora ad altre cure intesa

partir pur mi convien; tu mentre resti,

mirare in queste selve

mille potrai di fuggitive belve

e di volanti augei scherzi amorosi,

o da i liti arenosi

spiar ne' regni de l'algosa Teti

de i muti abitator gl'ardor segreti.

RUGGIERO

Vanne, che mentre il sol dal mar s'innalza,

del tuo sembiante vago

qui resterommi a contemplar l'imago.

Scena terza

Ruggiero, le Sirene.

RUGGIERO

Lucido dio, ch'a la quadriga d'oro

giungi alati destrieri,

e gl'obliqui sentieri

de l'ampio ciel rapidamente corri.

Ch'in un solo girar del ciglio ardente

miri ciò, che l'onda algente

in mar nasconde, e serra,

or, ch'i nascenti tuoi fulgidi rai

qui riverente adoro,

dimmi, vedesti mai

da i gangetici lidi al mar d'Atlante

di me più lieto, e fortunato amante?

Ma qual novo spettacolo improvviso

sorger vegg'io da l'onde

con crespe chiome, e bionde?

Pura neve il bel sen, latte il bel viso,

tra lascive donzelle il mar produce:

par, che sciolgan la voce: io qui sul lido

ad ascoltar m'assido.

SIRENA

Non sì presto il capo inchina,

bella rosa porporina,

che dal rastro incisa fu;

come manca, come perde

tutto il vago, e tutto il verde

il bel fior di gioventù.

IIª

Neve sparsa in colle, o in piaggia,

ove Febo il cielo irraggia,

si dilegua, e si disfà:

tal la grazia, e la beltade

tosto langue, e tosto cade

a l'ingiurie de l'età.

IIIª

Spiegò lente aquila l'ale,

tardo andò per l'aria strale,

pigro il lampo in ciel sparì.

Se miriam come leggere,

quando il tempo è del piacere,

fuggon l'ore, e vanno i dì.

SIRENE

tutte insieme

Cavalier, che dentro il tetto

de la gloria, e del diletto

per gran sorte hai posto il piè;

godi pur, godi felice

fin c'hai tempo, e fin che lice,

il tesor, ch'amor ti diè.

SIRENA

Vago è il ciel, quando l'aurora

col suo lume intorno indora

le campagne di lassù;

ma s'amore in un bel viso

fa spuntar dolce un sorriso,

più bell'alba apre quaggiù.

IIª

Ben da gl'alti aerei campi

dileguar procelle, e lampi,

tuoni, e nubi Iride fa;

ma se gira una serena

pupilletta, ah, ch'ogni pena,

ogni duol dal cuor se n' va.

IIIª

Non sì dolci Imetto ha i favi

né liquor così soavi

Ebe in cielo a Giove offrì;

come cara al cuor trabocca

la dolcezza de la bocca,

s'un bel labbro la ferì.

SIRENE

tutte insieme

Cavalier, se i gaudi tuoi

fuggir lasci, indarno poi

cercherai forse mercé,

età lunga, e pensierosa,

bianco crin, guancia rugosa

in amor non trovan fé.

RUGGIERO

Ubbidirovi, o care

precettrici d'amor; non fuggiranno

da me l'ore oziose, e i vostri detti

stimoli mi saran ne' miei diletti.

Atto secondo
Scena prima

Melissa.

Tempo è già che fermiate,

o miei draghi fedel, dal lungo corso

lo squalid'or de le volanti squame.

Per consolar le brame

d'innamorato cor, frenai con morso

vostre fauci infiammate,

e per vie disusate

abbandonando di Pontiero i tetti,

ne gl'ultimi confin d'India v'ho retti.

E ben di mia fatica

bella figlia d'Amon, degno è il tuo pianto.

Qui la maga impudica

con dilettoso incanto

in ozio indegno il tuo Ruggier trattiene;

queste ingemmate arene,

cui fan lussureggianti

di sempiterno april corona i fiori,

i fiumi mormoranti,

che lusingando in su gl'estivi ardori

le stanche luci al sonno

palpitan tra le sponde,

i teneri arboscei, tra le cui fronde

al sibilar de' zeffiri amorosi

mille augellin vezzosi

accordan l'armonia de' canti loro,

d'apparente magia tutto è lavoro.

Ma non andrà ne la marina Ibera

Febo a lavar le polverose chiome,

che di Ruggier saran disciolti i nodi,

io di costei gli scoprirò le frodi,

ch'ammaliato or non conosce: e come

disabitata, incolta, orrida, e fiera

fu quest'isola già, farò che prenda

la sembianza primiera;

e si vedranno al ciel con forma orrenda

tra duri sassi, e nude balze alpestri

l'ispide braccia alzar piante silvestri.

Io qui nascosa al varco

Ruggiero attenderò; con saggi inganni

cangerò volto, e panni;

e per sanargli il seno

da quel mortal veleno

che dilettando i sensi a l'alma noce,

d'amaro assenzio aspergerò mia voce.

Scena seconda

Alcina, Idraspe suo ammiraglio.

ALCINA

Misera, e pur è vero,

ch'innamorato core

viver non può giammai senza dolore.

Io so, che il mio Ruggiero,

arde per me, più che non arde esposta

al fiato d'Aquilon accesa face,

e pur quel rio pensier, quel pertinace

timor di sua partita

torna a turbar mia vita.

Miro ne la sua fronte,

leggo ne gl'occhi suoi scritta la fiamma,

e d'un gelato, incognito sospetto

sento rodermi il petto.

O dolcezze d'amor fugaci, e corte,

il godervi è miseria, il perder morte.

IDRASPE

Dal porto, onde chiamommi

con iterati messaggeri Alcina,

pronto qui volgo il piede, e riverente.

E ben grave accidente

de l'amorosa mia bella reina

forz'è, che turbi il sen, che già non usa

per leggiera cagion chiamare Idraspe.

Ma non la vegg'io qui? Par che confusa

dentro al torbido sen volga gran cose.

ALCINA

Se i miei caldi sospir, se le focose

mie lagrime stillanti

di ritenerlo ohimè, non han possanza;

se de gl'usati incanti

l'onnipotente mormorio non giova,

farò l'ultima prova,

volterò il cor a l'armi, e ne la forza

porrò la mia speranza.

IDRASPE

A' cenni tuoi

ubbidiente io vengo;

tu reina m'addita

di qual comando il mio servir sia degno.

ALCINA

Tutti d'ordine mio di questo regno

con raddoppiato stuol d'uomini, e d'armi

sian custoditi i passi:

tu col valor, e con l'usata fede

guarda, qual si richiede,

la spiaggia, e i porti, e per lo mar non passi

legno cotanto ardito,

che chiamato da te non venga al lito.

IDRASPE

Non potrà augello in ciel, non che per mare

vela volar che noto a me non sia.

Qual nuova gelosia

i tuoi dolci riposi a turbar viene?

Forse di Logistilla

l'insane turbe a queste mura intorno

vengono a procacciar ruina, e scorno?

ALCINA

Per sospetto maggior dubbia vacilla

l'anima mia, ma la cagion per ora

giovami di celar: tu verso il porto

vattene, o valoroso,

che sovra la tua fé sicura i' poso.

IDRASPE

A te m'inchino e parto.

ALCINA

Ed io che scorto

Ruggiero ho di lontan, qui fermo il piede;

che più dolce il mio cor esca non chiede.

Scena terza

Alcina, Ruggiero, Lidia.
Coro di Damigelle.

RUGGIERO

Così forte è quel laccio,

con cui legommi il cor l'ignudo arciero,

che morte pria, che libertate i' spero.

Ma sì vaga è la chioma, ond'ei compose

la catena gentil, che i crini suoi

non ha sì bei l'Aurora. Or dite, voi,

dite la gioia mia, ninfe amorose.

ALCINA

Sì vorace è la fiamma,

in cui si sta questo mio core ardendo,

che morte pria, che refrigerio attendo.

Ma da ciglia sì belle, e luminose

vien l'ardor mio che là ne' regni eoi

fors'è men chiaro il sole; or dite, voi,

dite la gioia mia, ninfe amorose.

CORO

Sian al gioir di sì leggiadri amanti

concordi i nostri canti;

non vede il ciel quaggiù maggior bellezza;

ma né maggior dolcezza

Amore altrui destina;

fortunato Ruggier, beata Alcina.

RUGGIERO

Del bell'idolo mio

sembra il candido sen su l'Appennino

neve pur or caduta;

o giglio, o gelsomino,

che con chioma canuta

sfidi il candor de l'alba in sul mattino;

né la via, che dal latte il nome prende

(sia pur con vostra pace, invide stelle)

forme ha in ciel così belle.

ALCINA

Le labbra del mio bene

sembrano a mezzo aprile

d'anemone odorato un fior gentile;

o per l'erbose arene

vaga peonia, a cui

di mattutino gelo,

gl'animati rubin cosparga il cielo;

e sia pur con tua pace, invida Teti,

ne l'umide spelonche

sì bei non nutre il mar coralli, o conche.

CORO

Siano al gioir di sì leggiadri amanti

concordi i nostri canti:

non vede il ciel quaggiù maggior bellezza,

ma né maggior dolcezza

amore altrui destina,

fortunato Ruggier, beata Alcina.

RUGGIERO

Fama è ch'acceso di beltà terrena

vestisse il gran tonante ispida pelle,

né disdegnasse infra i sidoni armenti

sparger muggiti ardenti,

fin che varcando de l'egee procelle

con la salma adorata

la fals'onda gelata

nome novel diede a la lontan arena.

Lasso, chi m'assicura,

se la mia Dionea è di beltà più degna,

ch'a rapirla dal ciel Giove non vegna?

ALCINA

Ah, Ruggiero ben mio,

ben sì quella son io,

che per soverchio amore

un eterno martir mi nutro al core.

De la terra, del mar, del ciel pavento

ho gelosia del vento,

non mi fido del sole,

che non ti rubi l'un, l'altro t'invole.

LIDIA

Nova per voi dentro ai reali alberghi

danza s'appresta, ed oziosi ancora

qui pur fate dimora?

Itene, o bella coppia, a gioie estreme

Amore oggi v'invita.

ALCINA

Andianne, o mio tesoro.

RUGGIERO

Andiam mia vita.

CORO

Siano al gioir, di sì leggiadri amanti

concordi i nostri canti:

non vede il ciel quaggiù maggior bellezza,

ma né maggior dolcezza

amore altrui destina,

fortunato Ruggier, beata Alcina.

Atto terzo
Scena prima

Ruggiero, Melissa in forma d'Atlante.

RUGGIERO

O delizia del mondo,

prima gloria del cielo, amor, che puoi

bear con gl'ardor tuoi

e l'immortale, e la caduca gente;

se de la tua faretra onnipotente,

per impiagarmi il petto,

quello strale scegliesti,

che più dolcezza aveva, e men dolore.

Se colmar d'un immenso, almo diletto

l'anima mia volesti,

deh, raddoppiami il core,

poiché a goder di tanta gioia appieno

troppo angusto è quest'un ch'io chiudo in seno.

Ma parmi, o pur vegg'io, d'ignoto aspetto

scender dal cielo immagine volante?

Ohimè, che miro?

MELISSA

Dunque

la rimembranza hai sì di me perduta,

Ruggier, che tu non possa oggi il sembiante

raffigurar del tuo maestro Atlante?

E fia ver, che quel volto, e quella chioma,

che rugoso per te, per te canuta

pur troppo, ohimè, son fatti, or non conosca?

Ma se densa caligine, se fosca

nube d'affetti indegni, e d'ozi impuri

così de la ragion t'adombra i lumi,

che i tuoi propri costumi,

che te stesso oggimai non raffiguri,

a torto mi dogl'io,

che me non riconosca. E questo il frutto,

questa la messe sia del sudor mio?

Dunque con forte destra

in su la cima alpestra

de l'altissimo giogo di Carena

contra l'orse più fiere, e più rabbiose

t'insegnai da fanciullo a curvar l'arco?

T'avvezzai dunque ad aspettare al varco

per l'arso suol de l'africana arena

i leoni più ardenti,

a sbranar tigri, a strangolar serpenti,

perché sparso d'odor, perché fregiato

di lascivi ornamenti

con crine inanellato,

con guancia imporporata io ti vedessi

tra femminili amplessi

dormire il fior de la tua vita, e dopo

sì lunga disciplina

tu fossi al fin l'Endimion d'Alcina?

Questo non è già quel, che mi predisse

di te il mio studio; e tai non son gl'effetti,

che de le stelle erranti, e de le fisse

già mi promiser gl'osservati aspetti.

Sperai, che giunto a quest'età facessi

opre di cavalier così preclare,

che di quanti passar con Agramante

dovean d'Africa il mare,

di quanti Carlo ha paladin, rendessi

tu sol, la gloria oscura.

O tradite speranze, o pensier vani!

Or va', misero Atlante, e ti figura

esser nuovo Chiron di nuovo Achille.

Mira il tuo prode eroe qual armi stringa,

quali arnesi si vesta,

a qual pugna s'accinga.

Se di te stesso, e di tue proprie lodi

non ti cale, Ruggier, se più non pensi

a la guerra di Francia: se trascuri

la fé dovuta la tuo signor, se godi

trar fra sozzi diletti i giorni oscuri,

movati almen la generosa prole,

che di te non bugiardo il ciel promette.

Narrarti io pur solea, che de gli Estensi

eroi l'inclita stirpe, a cui tu devi

dar'alti fondamenti, al par del sole

per opre di valor in pace, e in guerra

dovea scorre la terra.

Or tu, che pur godevi

in ascoltar di tanti

magnanimi nipoti

l'eccelse imprese, ed i gloriosi vanti,

starai vil cavaliero

in un breve del mondo angol sepolto

di donna infame idolatrando un volto?

Altra bellezza, altra onestà, Ruggiero,

il cielo a te destina.

E quai ti credi alfin, che sian d'Alcina

gl'adorati sembianti?

Ciò, ch'in lei stessa ammiri,

tutto è forza d'inferno, opra d'incanti.

Tien questo anello, a lei ritorna, e guarda

come belli suoi rai, sue guance sono,

e riamala poi, ch'io te 'l perdono.

Scena seconda

Ruggiero.

In qual antro mi celo?

Qual nel profondo abisso

voragine m'inghiotte,

sì che raggio di cielo

non miri più, sì che in perpetua notte,

in sempiterno oblio

meco resti sepolto il fallir mio?

Qual nume mai se de l'estrema tana

con gl'agghiacciati umor tutta mischiasse

l'onda il Nilo, e l'Arasse,

potria de l'alma insana

quella macchia lavare, onde vermiglio

porterò sempre il volto, e basso il ciglio?

Forsennato Ruggiero,

così si pugna in Francia? E queste sono

quell'armi, onde agguagliarte

già ti credesti al sir d'Anglante in guerra?

Indegno cavaliero,

mentre in nimica terra

tra i dubbi eventi de l'incerto Marte

travaglia il mio signor, io l'abbandono?

Misero, e come denno

or di me favellare Africa, e Spagna;

o con quanta ragion di me si lagna

il mio custode, il mio maestro Atlante.

E tu, che non dovrei

con lingua indegna già chiamarti a nome,

bella mia Bradamante,

luce de gl'occhi miei,

anima mia, mia vita,

o se sapessi come

sei da Ruggier tradita,

quanti da quei celesti amanti lumi

spargeresti di duol torrenti, e fiumi?

Leggiadro guiderdon, degna mercede

di cavalier cortese. Ella per trarmi

del Castello incantato impugna l'armi,

espone il petto a mille rischi, ed io

libero appena ho il piede,

ch'il suo amor la sua fede,

e i tanti obblighi miei posti in oblio.

Lascivo, ed incostante

di straniera beltà divengo amante.

O cari occhi divini, entro a i cui giri

di sue bellezze ascose

un vivo simulacro il ciel ripose,

io sospirar per altri? E quei sospiri

infedeli, ed ingrati

non fur del viver mio gl'ultimi fiati?

Perdonatemi pur, luci amorose,

che se fu l'error mio forza d'incanto,

sarà l'emenda mia forza di pianto.

Ma che più penso? A che più tardo? Ah, spoglia

spoglia Ruggier, l'effeminato manto:

vestiti l'arme, e con la destra forte

o libertà racquista, o incontra morte.

Scena terza

Ruggiero, Astolfo in mirto. Coro di Cavalieri trasformati da Alcina.

ASTOLFO

Ruggier, Ruggiero.

RUGGIERO

Io sento

chiamarmi, e qui vicina

parmi la voce, e pure alcun non veggio.

ASTOLFO

Deh, se troppo non chieggio,

valoroso guerrier, breve momento

indugia ancora ed a gl'accenti miei

cortese per pietà l'orecchio inchina.

RUGGIERO

Questo è forse d'Alcina

un inganno novello. E dove sei

tu, che meco ragioni? Ove t'ascondi?

ASTOLFO

Dentro a questa corteccia, in queste frondi

chiuso vive il mio spirto,

Ruggiero, io son quel mirto,

al cui tronco infelice

l'alato corridor legasti allora,

che stanco forse de le vie celesti

in questa infame terra il piè ponesti.

Di colei che il tuo cuore amando adora,

sono il cugino Astolfo. Il primo io fui,

che d'Alcina i costumi empi, e perversi

ne le miserie mie già ti scopersi.

Or che provi in te quello,

che non credesti allor forse in altrui,

va', corri a la vendetta. A la tua mano

il giustissimo cielo oggi destina

il castigo d'Alcina.

Mirai, né forse invano,

scender pur dianzi a tua salute intesa

da gl'aerei sentier donna divina;

oi poiché a l'alta impresa

dato avrai fin, di me ti caglia ancora,

né lasciar, che si muora

dentro a scorza infeconda

disumanato un uom su questa sponda.

RUGGIERO

Sallo il ciel, se mi pesa,

o del monarca inglese inclito erede,

de le sciagure tue, ma in che giovarte

possa Ruggier non so, so che a spogliarte

de la ruvida scorza

poco l'ardir, nulla varrà la forza.

Ben giuro al ciel, se il piede

io trarrò mai da l'incantata foglia,

di tentar ogni via, provar ogn'arte,

perché deposta la fronzuta spoglia

nel sembiante primier ritorni ancora.

UNO DEL CORO

Ed io starò qui lagrimando ogn'ora?

Io, che converso in liquida fontana

da la maga inumana,

con sempiterno mormorio tra l'erba

piangendo vo la mia sciagura acerba?

UN ALTRO DEL CORO

E chi di me pietate,

misero, avrà? Chi mi soccorre, ahi lasso?

Dunque gelida selce, immobil sasso

qui fisso eternamente

starommi, a l'aria fredda, al sole ardente?

CORO

tutto insieme

Deh se benigno il cielo

secondi, o cavaliero, i desir tuoi,

rammentati di noi.

Le piante, i fonti, i sassi, infin le belve,

che miri in queste selve,

hanno spirito uman; la fata iniqua

con orribil incanti

così sazia di lor tratta gl'amanti.

RUGGIERO

La vostra libertate

sta più nel ciel, che nel mio braccio, amici;

al ciel dunque drizzate

le vostre preci, e i voti;

ch'ei non chiude l'orecchio a i cor divoti.

CORO

Santi numi del ciel, s'egli è pur vero,

che giustizia tra voi regni, e pietate,

se a quei superni giri

giungon mortal sospiri,

deh, lo sguardo divin ver noi girate.

E se gl'errori nostri

chiaman vendetta da gl'eterni chiostri,

vibrate o dèi vibrate

le saette infiammate;

che troppo è dura sorte

perder la vita, e non trovar la morte.

Atto quarto
Scena prima

Melissa, Ruggiero.

MELISSA

Già de gl'inganni altrui,

e de gl'errori suoi Ruggiero accorto,

s'accinge a la partita:

ben'è l'impresa ardita,

e lungo affanno, e gran periglio affronta;

ma soccorso, e conforto

ad arrecargli pronta

io qui l'aspetto. E dal lascivo albergo

parmi appunto, che gl'esca 'l braccio manco,

arnese disusato,

sostien lo scudo: adamantino usbergo

arma gl'omeri, e il fianco:

preme la nobil chioma elmo lucente;

e dal sinistro lato

sitibondo di sangue in fiera guisa,

pende il ferro tagliente.

RUGGIERO

O prezioso anello,

o mirabil gemma,

di cui più rara non nutrì già mai

ne l'onde sue oriental maremma.

Io tua mercé, viva conosco omai

e l'altrui froda, e il proprio fallo. Ed io,

io dunque fui sì forsennato, e stolto,

che come idolo mio

riverire, adorar potei quel volto,

quel volto, ohimè, che nel tartareo tetto

faria scorno a Megera, onta ad Aletto?

MELISSA

Or tempo è ch'io mi scopra. A te di Francia

mossa a pietà di carcere sì indegno,

o mio Ruggier, ne vegno

quel, che pur dianzi udisti

ragionarti dal ciel, non era Atlante,

io, per destar nel generoso cuore

il sopito valore,

così presi di lui forma, e sembiante.

La bella Bradamante,

che de l'anima sua molto più t'ama,

di lontan lagrimando ogn'or ti chiama.

Quell'anel ch'io ti diedi, ella ti manda.

Or tu, che de la maga

la natural beltà mirasti espressa,

libero mi confessa

quanto leggiadra sia, quanto sia vaga.

RUGGIERO

O cortese Melissa, o di colei,

ch'è vita del cuor mio,

messaggiera gentil, nunzia amorosa,

molto al tuo amor debb'io,

molto a quella pietà, che sì da lungi

ti trasse ad emendar gl'errori miei,

peccai, no 'l nego: indegna, vergognosa

fu la mia colpa, ed ogni pena è lieve,

ma se scusa riceve

da un'anima ingannata un cuore amante,

so ben, che Bradamante

conoscerà, che magico potere

fe' forza al mio volere.

E come potea mai solo intelletto,

occhio non abbagliato

per sì difforme aspetto,

sì leggiadra beltà porre in oblio?

O mio cuore ingannato,

o mie luci tradite, e che si bada?

Stringasi omai la spada,

caggia l'infame regno;

vegga costei qual forza abbia nel petto

di schernito guerrier ragione, e sdegno.

MELISSA

Ira è di nobil cor non vile affetto,

e governata da ragione accresce

forza, e valor. Or tu Ruggier, mi ascolta.

Sai che del tuo partir fatta è gelosa

la maga, e che di folta

turba tien custoditi i passi intorno;

tu strada sanguinosa

col ferro aprir ti déi. Lungi dal porto,

se brami di fuggir periglio, e scorno,

prendi la via. Con mille navi Idraspe

scorre quei liti. A destra

volgi dunque le piante; e perché dura,

malagevole, alpestra

può la strada parerti, a quel destriero,

che più, che pece nero

ne le stalle d'Alcina in ozio giace,

che passa i venti al corso,

che sempre fresco a le fatiche dura,

pon frettoloso il morso

e ne la fuga a tutta briglia il caccia.

Non t'arresti per via grido, o minaccia;

né di beltà fallace

invito lusinghier ritardi il piede,

ove bisogno il chiede

scopri de l'aureo scudo

la fiamma abbagliatrice, e non ti caglia

di più lunga battaglia.

In riva al mar vedrai nocchiero accorto;

ei su volante pino

per sicuro cammino

ti condurrà su l'altra sponda in porto.

So, che il destrier pennuto

trar ti potrebbe in un girar di ciglio

per l'ampie vie del ciel fuor di periglio;

ma poco ubbidiente,

e tu per prova il sai

a gl'imperi del freno, egli acconsente.

Io domerò quel pertinace orgoglio,

e in breve il condurrò dove tu vai.

RUGGIERO

Parto, e da tuoi consigli

non fia, che m'allontani. Un sol cordoglio

mi resta ancor, Melissa: in questa sponda

converso in steril fronda

de la mia Bradamante

vive il cugino Astolfo. O s'io potessi

nel primiero sembiante

tornarlo. Il sangue mio da queste vene

come lo spargerei, lieto, e contento.

MELISSA

Astolfo, ed altri cento,

che trasformati in queste ignude arene

con insolite pene

l'iniqua maga opprime,

ritorneranno a le sembianze prime,

or tu vanne, Ruggier, che qui vicina

se l'occhio non m'inganna, i' veggo Alcina.

Scena seconda

Alcina, Lidia.

ALCINA

Dal più caldo meriggio

il luminoso arcier saetta i lampi,

e fulminati da gl'intensi ardori

l'odorata cervice in mezzo a i campi;

chinan languidi i fiori:

e su quest'ora appunto

là nel bosco de' lauri

che con le frondi sue fa scudo al prato,

dove con legger fiato

par ch'un zeffiro dolce il ciel ristauri,

meco promise il mio Ruggier trovarsi.

O schernite dolcezze, o passi sparsi

misera, ei non si vede,

io il chiamo, ei non risponde: e pur solea

impaziente già d'ogni dimora

il tempo prevenir, precorrer l'ora.

Lidia istessa non torna. Ella dovea

diligente cercarlo, e frettolosa

recarmene novelle. O qual mi fiede

il palpitante cuor cura noiosa.

Fuggito lassa, è il mio Ruggiero: i' sento

l'alma che presagisce il suo tormento.

LIDIA

Al bosco degl'allori,

a la spiaggia del mare, al monte, al piano

mille volte cercato,

mille volte chiamato,

o mia reina, ho il tuo Ruggier, ma invano:

parte non v'ha sì chiusa, e sì riposta,

ch'io non abbia trascorsa,

e pur Ruggier non trovo: un sol segnale

i miei pensier inforza,

sai, ch'il dì primo a i prieghi tuoi deposta

fu dal guerrier, la sanguinosa spada

e che, quasi trofeo di tua bellezza,

appo il tuo letto a le pareti appesi

di lui giaceansi i militari arnesi:

questi dianzi io non vidi.

ALCINA

Ohimè sicure

son già le mie sciagure.

Lidia tu m'uccidesti. Almen m'addita

da qual parte se n' vada.

LIDIA

Troppo sei presta al duol. Di sua partita

non hai fin'or certezza,

e forzi per vaghezza

di provarsi scherzando

in marzial contese

co' cavalieri tuoi, l'arme, avrà prese.

ALCINA

Troppo Lidia è leggiero il tuo conforto

a così gran dolore.

LIDIA

Orribili sembianze,

ma vane per lo più veste il timore.

ALCINA

Ma più vane però son le speranze.

LIDIA

Proprio è di nobil petto

ne gl'affanni maggior premer l'affetto.

ALCINA

Tenero amor non usa opre da forte,

e mal si può dissimular la morte.

LIDIA

Fa', se regina sei, che ti ricordi

la maestà del grado.

ALCINA

Ah, che in un cor di rado

amore, e maestà regnan concordi.

Partir vedrò il mio bene, e starò muta

in così gran martire?

Sì ch'io vuò lagrimar, ch'io vuò morire.

Scena terza

Alcina, Lidia, Nunzio.

LIDIA

Ohimè, tutto anelante,

tutto sangue, e sudori un de' custodi

de la reggia ver noi drizza le piante.

NUNZIO

Di successi men rei

messaggero, o reina, esser vorrei.

ALCINA

Brevemente ragiona

che prima ancor, che tu favelli, ahi lassa,

io già t'intendo. Passa,

passami il cuor, ma tosto:

ch'è crudeltà infinita

tardar la morte a chi dée uscir di vita.

NUNZIO

Guari non è, che di lucente acciaro

fieramente guernito il busto, e il tergo

sovra un nero destrier dal regio albergo

uscir tentò Ruggier: con ciglio oscuro

e con parlar superbo il passo chiede;

negato, ove più vede

densa la turba de' custodi, spinge

il feroce corsiero, e con la destra

la spada fulminante a un punto stringe.

Noi facciam fronte, e giuro

per questo sangue, che dal crin mi gronda,

ch'in tanti petti una viltà non scorsi;

ma qual poteva mai riparo opporsi

a quel braccio, a quel brando? Il sangue inonda

il real pavimento; un ferro solo

beve cent'alme, e non cred'io, che soglia

a le tenere biade

tanta strage recar, qualvolta cade

dal tempestoso ciel grandine estiva;

né con tal furia ad espugnar la riva,

allor, che muta spoglia

al primo sol invigorito il mondo,

torrente furibondo,

che gonfio ha il sen di liquefatta brina,

scende da balza alpina,

come fiero ei n'assalse, e ne disperse.

Indi lentando al corridore il freno

per la via, che s'aperse,

rapido se n'andò come baleno.

Me sol, perché potessi

forse recar gli sfortunati avvisi,

lasciò fra tanti uccisi

vivo, benché ferito.

ALCINA

Vanne: troppo hai tu detto, io troppo udito.

Scena quarta

Alcina.

Or sì, misero core,

or sì lumi dolenti,

di lagrimar, di sospirare è tempo.

Parta da me ciò che non è dolore,

se non han chi gl' avanzi i miei tormenti

non abbian chi gl'agguagli i mei lamenti.

Troppo, lassa, fu vero il mio sospetto.

Ben sentiv'io nel petto

battermi ogn'or de le sciagure mie,

il timor messaggero;

questo è quel, ch'il pensiero

mi predicea con non inteso affanno.

Or, che palese è il danno,

chi mi soccorre, ohimè? Chi mi conforta?

Se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Dove volger debb'io,

per ritrovarlo, il piè, chi me l'addita?

Dove va la mia vita?

Dove fugge il cor mio?

Chi ritarda, chi tiene,

chi mi torna il mio bene?

E se fero, e crudele,

se ingrato, ed infedele

tornar non vuol chi dietro a lui mi porta?

Se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Ah, che nessun m'ascolta;

i zefiri volanti

si portan le mie pene,

e le deserte arene

si bevono i miei pianti.

Ei con fuga felice

di vestigia infedeli imprime il lido,

io d'un amante infido

miserabil rifiuto, ed infelice,

ne le lagrime mie rimango assorta:

se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Ma, che morta dic'io? Stelle perverse

voi per maggiore affanno

mi faceste immortale: il vostro dono

fu la mia sciagura, e danno,

iniquissima legge: io dunque sono

egualmente sbandita

dal regno de la morte, e de la vita?

Ritoglietemi o stelle, i vostri doni;

che se viver degg'io sol per languire,

meglio sarà morire.

E tu Ruggier (che ti dirò pur mio)

se ben più mio non sei deh ferma i passi.

Crudel perché mi lasci?

In che t'offesi mai? Che t'ho fatt'io?

Resta Ruggier, deh resta:

così la fé s'osserva?

Così tratti tu questa,

dilla qual più t'aggrada, amante, o serva?

Or va tradita Alcina

va', credi a i giuramenti:

lascia mesti, e dolenti

mille antichi amatori, et accomuna

il tuo letto, il tuo regno

a un pellegrino indegno

che non so donde, qua cacciò fortuna.

Ma dei fulmini vostri,

o spergiurate deità del cielo,

che fate voi? Se de gl'empirei chiostri

non s'ha giustizia, invano

ben v'accende gl'altari il mondo insano,

punite con memorando esempio

quel traditor, quell'empio,

e se tardo è il castigo, almen sia fiero,

muora, muora Ruggiero.

Ovunque l'infedel volgerà i passi,

li nieghi il sol la luce, il fiume l'onda,

la terra, gl'alimenti:

e, se spiegando audace vela a i venti,

solcar vorrà la region profonda

scatenato dal claustro

esca Aquilone, ed Austro;

caggia l'iniquo, e per l'arene incolte

le nud'ossa insepolte

biancheggiar di lontan miri il nocchiero;

muora, muora Ruggiero.

Misera, e che più spargo

inutilmente le querele, e i gridi?

Tempo è di vendicarmi

su, su correte a l'armi,

o vilipesi popoli d'Alcina,

altri cingano i lidi,

altri per la marina

battan l'ale de' remi. Ove può mai

quell'ingrato fuggir, che non gli sia

intercetta ogni via,

serrato ogni sentiero?

Muora, muora Ruggiero.

Folle, ma che vaneggio?

Forsennata, che chieggio?

No, no, viva Ruggier, viva, e ritorni

con mille morti mie, con mille scorni

comprerei la sua vita:

itene, miei fedeli, interrompete

la cruda dipartita;

ma pregate, e piangete.

Non sia tra voi sì temeraria destra,

che per troncare al cavalier la strada,

arco ardisca allentare, o stringer spada:

e tu, ben mio, perdona

questa lingua, e de' mal saggi accenti

dal nobil sen la rimembranza spoglia

sconsigliato il mio cor ne' suoi tormenti

delirò per la doglia:

arresta, arresta il piede,

ch'altro Alcina non chiede;

e pur, che tu ritorni, o Ruggier mio,

ogn'altra colpa i' spargerò d'oblio.

Atto quinto
Scena prima

Melissa.

Coronatemi, o lauri,

le chiome trionfanti.

Ho guerreggiato, ho vinto. Ove ora sono

le tue superbie, Alcina, ove gl'incanti?

Or schernisci gl'amanti,

e nel cangiar di tua incostante voglia

cangia lor forma, e spoglia.

Negletta, vilipesa, in abbandono,

mezza tra morta, e viva,

in solitaria riva

trofeo del mio saper, Ruggier ti lascia.

Tu, che tanto godevi

in tormentare altrui, prendi, ricevi

di tua volubil fede

ben dovuta mercede.

Se non m'inganna il mio pensier, già scorto

il sagace nocchiero

di Logistilla al porto

con felice passaggio avrà Ruggiero.

Altro qui non m'avanza,

che l'immagin disfar, disciorre i nodi,

onde a l'umana lor prima sembianza

tornino i cavalier, ch'in tanti modi

l'empia trasfigurò. Folle chi spera

celar sue colpe al ciel, né si rammenta,

che tanto più severa

è l'ira de gli dèi, quanto è più lenta.

Scena seconda

Lidia, Alcina, Idraspe.

LIDIA

Come più di Ruggier penso a la fuga,

più temerario parmi

l'ardimento, e lo sforzo. Abbia per terra

libero il passo, et aprasi con l'armi

il negato sentier; del mar che serra

quest'isola d'intorno,

come mai varcherà la rapid'onda?

Come da questa sponda

sì furtiva spiegar potrà le vele

nave, ch'al tuo fedele

provvido Idraspe il suo partir nasconda?

Deh fa' tregua a i sospiri, e da' begl'occhi

tergi i dolenti umori. Io spero ancora

veder pria, che nel mare il dì trabocchi,

rasserenarsi il ciel del tuo bel viso,

e germogliar di mezzo al pianto il riso.

ALCINA

Questa sola speranza

con debil nutrimento

sostenta anco mia vita. Io d'ora in ora

qualche del dubbio evento

novella aspetto, e impaziente accuso

ogni breve dimora.

Ma non vegg'io sovra volante prora

tutto ne l'armi chiuso

di là venire un cavalier? Io temo,

misera, i' gelo, i' tremo.

Pare Idraspe da lungi,

egli è desso; il conosco. Ohimè, che porte

vita, Idraspe, o pur morte?

IDRASPE

Reina, il ciel contra di noi guerreggia,

e contrastar non può forza mortale

con possanza immortale.

ALCINA

È partito Ruggiero, o il trattenesti?

In questa sol risposta

ogni mio bene, ogni sciagura è posta.

IDRASPE

Stavo qual m'imponesti,

con cento legni, e cento

di questi lidi a la custodia intento;

quando allora ch'il sole accerchia l'ombre,

colà, dove la fronte

sporge nel mar più discosceso il monte,

spiccar vidi da riva

picciolo abete, e breve,

ma sì rapido, e lieve,

che strisciava per l'onde, e non l'apriva!

Di Ruggier, che fuggiva

recommi intanto un de' tuoi servi avviso,

ond'io lentando a le mie navi il freno

d'ira, e di doglia pieno

vo dietro a lui rapidamente a volo.

Da tanti remi, e tanti

lacerato Nettun freme, e spumanti

corrono i flutti a flagellar le sponde:

impallidiscon l'onde

sotto le nostre vele, e d'ogni lato

già da noi circondato

non restava a Ruggier scampo a la fuga;

quando il nocchiero in su la poppa assiso

spogliò d'un sottil vel, ch'il ricopriva,

meraviglioso scudo,

che con lampo improvviso

n'acciecò i lumi, e la virtù visiva

abbacinata in noi, restammo come

del misero Fineo l'armate schiere

al disvelar de le gorgonie chiome.

Ma dal lito vicin di Logistilla

udiam, poiché il vedere n'era già tolto,

strepito d'arme, e con fragor orrendo

intorno ribombar trombe guerriere.

Con cieca destra brancolando i remi

ciascun de' nostri (e che potea più farsi

in quei perigli estremi?)

A fuggir fu, più ch'a pugnar rivolto.

Fuggiam confusi, e sparsi:

molti dal ferro ostil caggiono estinti;

molti dal cieco loro impeto spinti

romponoi infra gli scogli. Io con pochi altri

fui da la sorte rigettato a riva.

ALCINA

E sarà ver, ch'io viva

senza Ruggiero? E che sì lento al core

scenda il mortal dolore,

che mal grado del cielo, ei non m'uccida?

Così va, chi si fida.

Ma chi pensato avria, che sotto un vago

angelico sembiante,

si nascondesse mai un cor di drago,

un'anima di ferro, e d'adamante?

Lassa, che far degg'io? Dove mi volgo?

Se soccorso per me non ha la terra,

s'il cielo mi fa guerra,

movasi a le mie voci almen l'inferno.

O del caliginoso orrido Averno

tremendi dèi, la cui possanza è pari

forse a quella del ciel, s'unqua v'offersi

sovra divoti altari

ne' silenzi notturni ostie gradite,

uscite al suon de' noti accenti, uscite

da le tartaree soglie,

trattenete l'autor de le mie doglie,

e se non siete a tanto affar bastanti;

questa con voi nel regno empio de' pianti

anima disperata omai rapite.

Uscite al suon de' noti accenti, uscite.

Scena terza

Alcina, Melissa, Coro di Cavalieri.

MELISSA

Frena l'infame lingua,

perfidissima Alcina,

il lezzo di tue colpe al cielo è giunto,

ei le lagrime tue si prende a scherno.

E la forza d'Averno

sta legata per te. Danno, e ruina

sol ti sovrasta. Una sol ora, un punto

scoprirà le tue frodi. E dove siete,

o cavalieri amanti,

che in sì fieri sembianti

disumanò questa crudel? Prendete

le vostre antiche forme, e questa spiaggia

vesta il natio suo manto.

Non sia sì forte incanto,

ch'a' detti miei non si disciolga, e caggia.

ALCINA

Ove fuggo infelice? Ove mi celo?

Hai vinto, ora il confesso, hai vinto, o cielo.

CORO

Quali a tanta mercé grazie bastanti

renderem noi donna celeste? Il dono

è maggior d'ogni merto, e minor sono

a tanta gioia i nostri cori. Abbiamo

per te doppio natale, e più gradita

ne' nuovi acquisti, è la seconda vita;

quanto più d'ogni morte

morta in noi fu la passata sorte.

MELISSA

Cosa umana è l'errare, e quegli è saggio

che dal proprio fallir prudenza impara.

Ben felice è l'oltraggio,

ben la miseria è cara,

che dopo un breve duol l'alma ammaestra.

Or pria, ch'al patrio nido

drizzate i passi, o cavalier, deh fate

ad onta di costei segni di gioia.

Tu meco, Astolfo, vienne. Anzi, che muoia

dentro a l'Ibero il sole, in libertate

sarai col tuo Ruggier su l'altro lido.

Scena quarta

Coro di Cavalieri.
Balletto.

CORO

Quando da l'onde

le chiome bionde

alza il rettor del lume,

su per la riva

aura lasciva

suol dispiegar le piume,

al dolce spirto

curva ogni mirto

la cima sibilante,

e rugiadosa

apre ogni rosa

il sen porporeggiante.

Dal legger fiato

Nereo agitato

increspa i falsi argenti,

e per li quieti

campi di Teti

danzano i muti armenti.

Miser nocchiero,

ch'al lusinghiero

venticel presta fede,

scioglie le vele,

e l'infedele

onde co' remi fiede.

Ma non inchina

ne la marina

del mauro Atlante il giorno,

che procelloso,

che tempestoso

freme Nettun d'intorno.

Or scende, or poggia

ad orza, appoggia

l'abbandonato pino:

al fine affonda

dentro a quell'onda,

ove scherzò il mattino.

Folle quell'alma

che crede a calma

di femminile amore;

in un momento

veste il contento

abito di dolore.

Quella bellezza,

ch'or t'accarezza,

t'anciderà fra poco,

che non pietade,

né fedeltade

in cor di donna ha loco.

Splendete, ardete

quanto sapete,

lusinghiere pupille,

ch'aver ricetto

in questo petto

non pon nove faville.

Ridete, o labbri,

e i bei cinabbri

promettan gioia, e pace:

il cor tradito

sa, che l'invito

è perfido, e fallace.

Beltà sincera,

dolcezza vera

sol colà in cielo alberga;

deh, vesta l'ale,

e a l'immortale

magion l'anima s'erga.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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Locandina Prologo Scena unica Variante del prologo (ediz. 1648) Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta