Prologo

 

Scena unica

Ariosto.

Ariosto

 

Quell'io, che volto a celebrar gl'onori  

degl'avi incliti tuoi, cantai con tromba,

che sì chiara pe 'l ciel anco rimbomba

le donne, i cavalier, l'arme, e gl'amori.

Da elisia magion, felice regno

de l'anime beate, ove mi vivo

di sì lieti imenei al suon festivo

ebbro di gloria, o grand'Alfonso, io vegno.

E poiché d'onorar ne' regii tetti

coppia sì gloriosa hai pur desio

non isdegnar, ch'in questa scena anch'io

nuova materia accresca ai lor diletti.

Calzi l'aureo coturno, e canti Atena

di coronata turba opre funeste,

qui cada esangue Egisto ivi a Tieste

apparecchi il fratel l'orribil cena.

Ma d'ogni sangue immacolato, e puro

sian l'italiche scene, e bastin solo,

per destar in altrui pietate, e duolo,

d'amante cor le non mortal sciagure.

D'innocenti sospiri oggi, e di pianto

sparga il teatro abbandonata Alcina,

e tornando a l'antica disciplina

esca Ruggier dal dilettoso incanto.

E voi, s'alcun pur v'ha cui l'alma accenda

lusinghiera beltà del cieco ardore,

prendete esempio, e di Ruggier l'errore

siavi scusa al fallir sprone a l'emenda.

Non sempre è bel ciò, c'ha di bel sembianza,

e spesso offende più quel che più piace,

poscia che d'un gioir vano, e fugace

null'altro al fin, che pentimento avanza.

 

Variante del prologo (ediz. 1648)

Prologo dell'edizione del 1648 musicata da Francesco Sacrati.

 
La Notte - L'Alba - L'Aurora

Notte, Alba, Aurora

 
La Notte
 

 

Poiché con lieve infaticabil volo  

corsi gli eterei campi

abbelliti, e fregiati

da luminosi aspetti

onde imparo il sentier per l'ombre oscure

e poiché immersi in sonnolento oblio

le terrene fatiche,

girando il corso a l'ampia mole intorno,

venni a portarmi in sul confin del giorno,

a celarmi vicina,

per conceder lo scettro al re de' lumi

deporrò la corona,

di papaveri ordita,

né vorrò, che mi piova

da le faci stellate oro sul crine.

Già co i bruni corsieri,

che sbuffan per le nari

caliginosi fumi,

da l'aereo camino

al tenebroso speco il carro inchino.

Giuro a voi, che mirate

ceder la notte al dì gli uffici alterni,

che mai più densi, e fortunati orrori

non adunai, per favorir cortese

di prigionieri amanti

la libertà, gl'incanti.

E chi non sa, che ne' silenzi muti,

e sotto il manto, onde la terra adombro,

mormoran fiere note,

e festive, e felici

si ricovran le sagge incantatrici?

A le profane voci

di venefica lingua

so, che talora imbruna

il puro volto suo l'argentea luna,

vedrà però nel suo splendor sereno

il portator de la diurna luce

d'alti duci i contenti,

d'un'empia maga i disperati eventi.

Entro il gel de la notte, in cui s'accese

fiamma d'infausto amore

s'ammorzerà sì violento ardore:

ma che più tardo, o cielo,

vago d'aurata luce?

Perché non lascio il campo

al luminoso duce?

Io che d'ombre mi vesto, e 'l mondo oscuro

consegnerò l'albergo

a chi fugar mi suole.

Meglio l'opere altrui discerne il sole.

 
L'Alba
 

 

Di perle non m'adornino  

il crin le ninfe, che ne l'onde albergano.

Liete soggiornino

fin ch'io torno, e ne l'acque i volti immergano

io del ciel gl'involo a gli orti.

Per mia man s'inargentano

de l'aria i campi, ove le rose abbondano.

Già si spaventano

le stelle al mio sembiante, e gli ori ascondano.

Se del sol più l'oro stimo,

pria nel ciel l'argento imprimo.

Da la mia bocca spirino

aure, che più veloce al ciel mi levino.

Stese si mirino

l'ali, ch'ad alta meta il piè sollevino.

Se in un tratto il dì s'inalba,

è virtù d'un volo d'alba.

 
L'Aurora
 

AURORA

Per ammantarti di purpurea veste  

a che traggi nel mar lunga dimora?

Affretta il volo, o neghittosa Aurora,

pallido è il dì senza il rossor celeste.

L'emisfero lassù perda i candori,

se con sferza di rai le nubi offendo,

io le porpore belle al mar togliendo,

al sol, che pinge il dì, stempro i colori.

Coloritevi intorno aerei campi,

s'a Febo di piropi orno il sentiero,

io gli fo strada al luminoso impero,

perché di lume, e più di gloria avvampi.

Per via sublime al guardo altrui serena

trascorro eterna i lucidi viaggi

porgendo al sol l'aureo pennel de' raggi

al teatro del mondo il ciel fo scena.

Tolgo a questa le stelle, e la disvelo.

M'alzo ridente a pubblicar l'arrivo

del pianeta immortal, che redivivo,

dà più splendor con un sol occhio al cielo.

 

Fine (Prologo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto
Ariosto
 
Notte, Alba, Aurora
 

Poiché con lieve infaticabil volo

Di perle non m'adornino

Per ammantarti di purpurea veste

 
Scena unica Variante del prologo (ediz. 1648)
Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

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