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Scena prima |
Spiaggia marittima con veduta della città di Tauri in lontananza: scogli da una parte che nascondono la nave d'Oreste. I Marinai si trattengono ballando con alcune Donne scite venute alla pesca: sono interrotti da Oreste che consegna a' suoi seguaci il simulacro rapito. |
Q
marinai, donne scite
<- Oreste
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ORESTE |
Prendete, amici, il sacro pegno è questo
della salvezza mia. Compito è ormai
l'oracolo fatale.
Fuggiam: le vele ai venti...
(guardando intorno)
Ma Pilade non viene? Egli promise
di seguire i miei passi; ah col suo rischio
m'assicurò la fuga, e forse al fine
il numero l'oppresse,
ei si perde per me: si corra a lui
per salvarlo, o morir.
(si sente il suono)
Larve crudeli
invan fremete, e sollevate intorno
a funestare il giorno
le tenebre d'abisso; entro al mio seno
manca il vostro furor; dal cuore oppresso
ogni nube sparì, respiro adesso.
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V'intendo, amici numi,
il fausto augurio accetto;
sento, che riede in petto
l'antica calma al cor.
Non sia chi reo m'accusi
dell'amistà tradita;
s'io debbo a lui la vita
l'avrà dal mio valor.
(parte)
| Oreste ->
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Scena seconda |
Atrio interno del tempio di Pallade. Toante furioso, Ifigenia trattenendolo. |
Q
(nessuno)
<- Toante, Ifigenia
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TOANTE |
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IFIGENIA |
Ascolta. Io più non chiedo
pietà per gl'infelici;
la domando per me: scegli altro braccio
al barbaro costume:
manchi il ministro, allor che manca il nume.
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TOANTE |
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IFIGENIA |
E in seno
della più cara amica
ho da recar la morte! Oh dio! Signore
all'immagin funesta
regger non posso.
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TOANTE |
E la tua pena è questa.
S'io credessi al mio cor: se il volgo insano,
ch'hai saputo sedur, che i detti tuoi
come oracolo ascolta, io non temessi;
la mia giusta vendetta
comincerei da te. Per te rapito
il fatal simulacro, e per te vidi
tanta strage de' miei. Ma non t'inganni
del popolo il favore. Un colpo solo
basta a calmarlo, e nella furia estrema
tutto lice ad un re. Pensaci, e trema.
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Vedi grave di nembi, e saette
fosca nube, che intorbida il giorno;
senti il flutto, che mugge d'intorno
e non pensi a salvarti dal mar.
Già di quei, che son preda dell'onde
ti feriscon le strida, e i lamenti:
la pietà, che de' miseri or senti
del tuo rischio t'insegni a tremar.
(parte)
| S
(♦)
(♦)
Toante ->
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Scena terza |
Ifigenia; poi Dori, e le altre Vittime condotte al sacrificio dalle Guardie. |
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IFIGENIA |
Misera! Che farò! Che giorno è questo
di lagrime, e d'orror? D'uno straniero
m'opprime la pietà, del padre amato
mi spaventa il destin: cerco una morte,
e trovarla non so: la cara amica,
la compagna fedel de' pianti miei
deggio svenare io stessa... Eccola... Oh dèi!
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| <- vittime sacrificali, Dori, guardie
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(alle guardie)
Fermate, oh dio! Fermate: un sol momento
vi chiedo per pietà. Povera Dori,
vieni al mio sen: prendi l'amplesso estremo
dal carnefice tuo; l'empio tiranno
vuol punirmi così.
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| (partono le altre vittime) | vittime sacrificali, guardie ->
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DORI |
Mano più cara
scegliere ei non potea.
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IFIGENIA |
Deh perché mai
accusarti tu stessa?
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DORI |
In quel tumulto,
che risolver non seppi. Il fallo ascoso
dava contro noi tutte al re crudele
un pretesto di strage. Io limitai
le sue furie a me sola.
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IFIGENIA |
Ah ch'io non temo;
bramo la morte. E che non feci, amica,
per irritar quel crudo; ei che si mostra
tant'avido di sangue, ove si tratta
d'accordar colla morte il mio riposo,
sa sin per mia sventura esser pietoso.
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DORI |
No: vivi o principessa, e ti riserba
alla nostra vendetta,
a una sorte miglior. S'appaghi almeno
il tuo fiero destin del sangue mio.
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IFIGENIA |
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DORI |
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IFIGENIA E DORI |
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DORI |
Il mio destin non piangere
tratta a morir son io,
ma non è fallo il mio,
o colpa è la pietà.
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IFIGENIA |
Invan mi nega un barbaro,
che teco mora anch'io;
in quel funesto addio
il duol m'ucciderà.
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DORI |
No, resta in pace, e vivi.
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IFIGENIA |
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IFIGENIA E DORI |
Ah non vi placa o dèi,
sì tenera amistà?
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DORI |
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IFIGENIA |
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IFIGENIA E DORI |
Addio, tra poco, o cara,
l'eliso ci unirà.
(partono)
| Ifigenia, Dori ->
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Scena quarta |
Veduta interna del tempio. Ara nel mezzo senza il simulacro. Toante che va a sedere sul trono: Sacerdoti, Guardie, e Popolo. Pilade vicino all'ara per esser sacrificato; poi Dori e Ifigenia. |
Q
Toante, sacerdoti, guardie, popolo, Pilade
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TOANTE |
Popoli, non temete. Al reo straniero
chiuso è lo scampo. Intanto in cielo offeso
placar convien: si dia
di giustizia, e di fede un grande esempio
agli uomini, agli dèi
colla strage degli empi. Eccovi i rei. (va in trono)
peran gl'indegni, e tu del nume offeso (a Ifigenia)
debil ministra, ed infedel, che opponi
a' suoi giusti decreti
gl'importuni sospiri;
compisci il sacro rito: e fia la pena
dell'imbelle tuo cor nel van conflitto
l'orror di tanta strage al tuo delitto.
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CORO DI VERGINI E SACERDOTI
Quante ombre meste
scendono all'Erebo,
gran dèa, per te.
Ah, che sì barbara
in cor celeste
l'ira non è.
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| <- Dori, Ifigenia
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IFIGENIA |
(Ecco il punto fatal!)
(avanzandosi all'ara, e da quella prendendo il sacro ferro)
Figlia di Giove,
vindice irata dèa; se vano è il pianto,
la tua giusta a placare ira funesta
questo sangue la plachi.
(in atto di ferir Pilade)
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Scena quinta |
Oreste affannato rompendo la folla, e Dori. |
<- Oreste
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ORESTE |
Ahimè! T'arresta.
(fermando il braccio a Ifigenia)
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TOANTE |
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PILADE |
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TOANTE |
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IFIGENIA |
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TOANTE |
Fremo di sdegno;
fermatelo, custodi.
(Oreste viene arrestato dalle guardie)
A tempo il cielo,
perfido, ti guidò di sua vendetta
la misura compir. Rendimi il nume,
che rapisti, o fellone; e ti prepara
a placarlo col sangue.
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ORESTE |
Allor, ch'io vengo
le tue furie a sfidar, vedi tiranno,
che tremar non mi fai. Per or la stolta
ira raffrena, e quel ch'io reco ascolta.
Chiedi il nume rapito;
il nume renderò; ma s'hai desio
di saziarlo di sangue, eccoti il mio.
Ma salvami l'amico: ei non è reo,
che di troppa virtù. Per mia difesa
s'oppose a' tuoi. Del meditato furto
io non lo volli a parte; anzi in quell'atto
dall'ardito pensiero
tentò invan di distormi.
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PILADE |
Ah! Non è vero.
Io sono il reo; io fui
che qui lo scorsi al periglioso eccesso;
io la fuga gli apersi; io la sua fuga
assicurai pugnando. Ah se disegni
un salvar, salva lui.
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TOANTE |
Tacete, indegni.
Questa gara di morte
vediam sin dove giungerà. Si tragga
all'ara il rapitore, e primo sia,
come al delitto, anche alla pena.
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IFIGENIA |
E il nume
chi ti rende, o signor! Salvagli entrambi
pria, che perder la dèa.
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TOANTE |
A che mi giova
un'impotente deità? Conosco
in quel tuo finto zelo
la ribelle pietà. Si perda il nume,
perisca il regno mio; subissi il mondo,
e Tauride con esso; ad onta ancora
degli uomini, e de' numi, io vo' che mora.
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ORESTE |
Fedele amico, addio.
(vien condotto all'altare)
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PILADE |
Fra pochi istanti
la morte ci unirà. Deh perché mai
non volesti salvarti?
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ORESTE |
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PILADE |
Prendi un bacio, e parti.
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IFIGENIA |
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TOANTE |
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PILADE |
Odi tiranno.
Sfoga pur la tua rabbia: insulta indegno
de' miseri al destin; ma sappi almeno
quel, che avrai da temer. Verran fra poco
di nostra morte al grido a queste arene
col ferro, e colle faci Argo, e Micene.
Sappi, ch'è regio sangue
quel, che pensi versar: del re de' regi
d'Agamennone invitto udisti il nome?
E sai ch'Ilio distrutto
del suo giusto furor conserva ancora
le reliquie funeste:
trema tiranno: ecco il suo figlio Oreste!
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IFIGENIA |
Onnipotenti dèi! Che ascolto! Oreste!
Il caro fratel mio? Vieni al mio seno:
ah dove! In qual momento
ti trova Ifigenia.
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ORESTE |
Numi! Che sento!
Tu Ifigenia?
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IFIGENIA |
Sì, l'infelice io sono,
destinata a morir. Misera! Ed io
ero presso a svenarti. Il cor mi trema
in pensar tanto orrore.
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ORESTE |
Ecco compito
l'oracolo fatal. Rapito è il nume;
ritrovo la germana.
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PILADE |
È giunto, amico,
il fin de' nostri affanni:
non manca il ciel, quando parlò.
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TOANTE |
T'inganni.
Con sì strani prodigi il ciel dispone
servire al mio furor. La mia vendetta
più grave, più funesta
volle render così. Vedi a qual segno
temo gli Atridi. A vendicare Oreste
venga la Grecia: intanto
si vegga esangue a piè dell'ara, e sia
delle mie furie ultrici
ministra la germana.
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IFIGENIA |
Empio! Che dici!
Ah mi fulmini il cielo, il suol m'inghiotta
prima, che del german lavi nel sangue
la scellerata destra.
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TOANTE |
Ebbene io stesso,
perfida, compirò la mia vendetta;
l'indegno io svenerò.
(scendendo dal trono)
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IFIGENIA |
Fermati: aspetta.
Si serva al tuo furor; ma non profani
un empio il sacro rito. Un nume io sento,
che m'agita, che m'empie, e che mi rende
di me stessa maggior. Tremino i rei
dell'eterna vendetta al grand'esempio:
assistimi, gran dèa, vendico il tempio.
(ferisce Toante)
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TOANTE |
Ahimè!
(cade nella scena)
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IFIGENIA |
Cadi tiranno, e teco porta
fra le furie d'abisso il tosco, e l'ire.
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ORESTE E PILADE |
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CORO |
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| (si mettono in mezzo le guardie) | |
IFIGENIA |
Fermatevi, custodi,
popoli, udite: è questo
un decreto del cielo. Oh! Come chiaro
si manifesta il suo furor. Sparite
ecco le nubi, ecco sereno il giorno;
torna l'usato lume;
della vittima sua contento è il nume.
Quel crudo mostro era il più grande oggetto
dell'ira degli dèi: con quanto sangue
il tempio profanò! Con quanta strage
funestò questa terra? Ah chi di voi
non piange estinto dal rapace artiglio
l'avo, la sposa, il genitore, o il figlio?
V'ho vendicato, amici; ecco purgata
del suo mostro la terra. Il santo nume
portiamo in altro suolo,
lungi da tanto orror. Venite: io v'offro
in più lievi contrade, e più feconde
dolce nido, e dolce esca: il suolo argivo
venite a popolar: lasciam per sempre
questi lidi funesti;
e in noi di tanto lutto orma non resti.
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| (Oreste, Pilade, e Dori alternativamente col Coro) | |
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ORESTE, PILADE, DORI E CORO
Seguiam la donna forte
che il mostro reo punì.
Ove tranquilla sorte
ci offre più lieti dì.
| S
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IFIGENIA E ORESTE |
Più non pensiamo a' danni
di così lungo orror.
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TUTTI |
E tremino i tiranni
d'un nume punitor.
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Si festeggia il trionfo d'Ifigenia, e l'acquisto del simulacro con lieto ballo di Sacerdoti, e de' Grandi, che si dispongono alla partenza. | |
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