IFIGENIA IN TAURIDE
Dramma per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.
Codice QR per arrivare a questa pagina:
Libretto di Marco COLTELLINI.
Musica di Tommaso TRAETTA.
Prima esecuzione: 4 ottobre 1763, Vienna.
Personaggi:
TOANTE re della Tracia |
tenore |
ORESTE figlio d'Agamennone re di Argo fratello di |
contralto |
IFIGENIA sacerdotessa di Pallade |
soprano |
PILADE amico d'Oreste |
soprano |
DORI vergine greca amica d'Ifigenia sacerdotessa del tempio di Pallade |
soprano |
Cori e balli:
di Sacerdotesse, e Vergini consacrate a Pallade,
di Sacerdoti, e Ministri del tempio,
di Furie,
di Soldati,
di Nobili sciti,
di Popolo.
La scena è in Tauri capitale della Tracia.
Argomento
Agamennone re d'Argo, e generale dell'armata greca destinata all'assedio di Troia, trattenuto in Aulide da' venti contrari, ed impedito di passar nell'Asia all'impresa; per consiglio di Calcante gran sacerdote condiscese di sagrificare a Diana la sua figlia Ifigenia: ma contenta la dèa di questo difficile sforzo di un padre, nel momento che doveva svenarsi la fanciulla, sostituì al sacrificio una cerva, e lei trasportò altrove. Così ottenuto il favor del vento passò in Frigia l'esercito greco, e si accinse all'espugnazione di Troia. Intanto Clitennestra moglie di Agamennone, e madre d'Ifigenia, dolente della perdita della figlia, e irritata contro il marito, s'invaghì d'Egisto, e destinò farlo suo sposo, e metterlo sul trono, uccidendo Agamennone. Distrutta Troia tornando Agamennone in trionfo alla reggia, dalla moglie che con mentite carezze lo accolse, coll'aiuto d'Egisto fu assassinato. Oltre la perduta Ifigenia, Agamennone avuti avea da Clitennestra altri due figli, Elettra, ed Oreste; questo era ancora fanciullo. Meditava Clitennestra di disfarsene, perché temeva che venuto in età vendicasse la morte del padre; ma Elettra trovò modo di trafugarlo, inviandolo alla corte di Strosio re della Focide, amico di Agamennone, e padre di Pilade, col quale fu Oreste allevato, e contrasse quella amicizia tanto celebrata nella favola. Cresciuto Oreste negli anni, determinò di trar vendetta della morte del padre, e di liberar la sorella Elettra, che come schiava era trattata da Egisto. Con questo disegno si condusse sconosciuto in Argo in compagnia di Pilade, ed introdottosi segretamente nella reggia uccise la madre, ed Egisto. Dopo questo eccesso, tormentato Oreste dalle furie, immaginando d'aver sempre d'intorno l'ombra della madre, cadde in un delirio che di rado gli lasciava far uso della ragione. In questo stato infelice consultò l'oracolo di Delfo da cui già precedentemente gli era stato ordinato d'uccider la madre. Gl'intimò l'oracolo di andare in Tauri nella Scizia, e rapire dal tempio di Diana il simulacro della dèa che con somma venerazione vi era custodito, e di portarlo nell'Attica, promettendogli dopo questo furto il ritorno alla primiera tranquillità. Toante regnava allora in Tauri, ed era in quel regno antico costume sagrificare a Diana qualunque straniero che vi giungesse. La smarrita Ifigenia, rapita in Aulide dalla dèa, in Tauri trasportata, e da lei fatta sua gran sacerdotessa, era appunto quella che presedeva a que' barbari sacrifici. Oreste ubbidiente ad Apollo, navigando coll'amico Pilade giunse in Tracia nelle vicinanze di Tauri, e mentre meditavano il mezzo di penetrar nel tempio per eseguire il furto, sorpresi dalle guardie, e conosciuti per stranieri, furono destinati al sacrificio. Quando però Oreste era in procinto d'essere svenato dalla sorella, ne' discorsi che hanno insieme venendosi a riconoscere, inorriditi del cimento in cui si trovavano, dispongono di fuggire; portando via il simulacro di Diana: ma scoperti nella fuga, e inseguiti, nell'atto d'esser presi, sopravviene Minerva che comanda a Toante di lasciarli in libertà, tale essendo il volere de' numi.
Questa è l'esposizione della tragedia di Euripide intitolata Ifigenia in Tauri; ma siccome è permesso il far de' cambiamenti alla favola, così vien da me supposto: che Pallade fosse adorata in Tauri, e che a lei si sacrificassero gli stranieri: che sacerdotessa del suo tempio fosse Ifigenia: e che il suo simulacro esser dovesse da Oreste rapito, e portato in Atene, perché ne era spezial protettrice; e che volendo Toante costringere Ifigenia a svenare il fratello; nell'estrema disperazione, per sovrumano impulso, uccida il tiranno, e calmato il tumulto del popolo lo persuada a seguirla nell'Attica, conducendovi il Palladio; rimanendo in tal guisa adempito l'oracolo: liberato Oreste dalla persecuzione delle furie, e ritrovata e riconosciuta la perduta Ifigenia.
Ravviserà facilmente il lettore nelle furie che tanto tormentano Oreste nobilmente personificati dalla favola i rimorsi, che agitano comunemente i delinquenti; rimorsi che la natura rende più vivi, e più atroci qualora si tratti d'un delitto che l'offende con tanta violenza come il parricidio.
Seno di mare ingombrato da scogli: veduta di campagne in lontananza. Piccola nave approdata.
Oreste in atto di scendere sul lido; e poi Pilade.
ORESTE
Restate amici, e in più remota parte
nascondete il naviglio; al mio riposo
questo è il luogo prescritto; o a voi ritorno
col Palladio rapito, e placo l'ombra
della madre sdegnata; o voi recate
che qui fine ha il mio duol, che più non vivo
la novella funesta al lido argivo.
Ma, Pilade l'amico,
giusti numi dov'è! Sceso poc'anzi
scorre senza di me l'ignoto lido
prima del giorno! Alle mie furie infeste
m'abbandona così!
PILADE
(giungendo frettoloso)
Fuggiamo Oreste.
ORESTE
Fuggir! Ma qui non venni
per consiglio del ciel? Quindi non deggio
il Palladio involar? De' miei tormenti
trovar così l'intera calma?
PILADE
Or senti:
più scellerata, e rea
terra non scalda il sol; ne regge il freno
un tiranno crudel, che non conosce
né fede, né pietà: geme il vassallo
sotto ferree ritorte;
e allo stranier sol l'approdarvi è morte.
ORESTE
E morte sol domando: essa è de' mali
l'ultimo fine; e questa almen mi serbi
il favor degli dèi. Tu fuggi, amico,
queste barbare sponde: in ira al cielo
qual io sono tu non sei: fuggi, e conserva
de' miei casi infelici
qualche memoria almen.
PILADE
Signor, che dici?
Io lasciarti! Io partir! Pilade, il sai,
nacque, e crebbe con te. Fido compagno
dell'incerta tua fuga
teco errai sulla terra, e fino a questo
della barbara Scizia estremo lido
quel primo amor, che le nostr'alme unio,
mai ci divise, e or vuoi ch'io parta!
ORESTE
Oh dio!
Se il ciel mi vuole oppresso,
dunque hai meco a perir! Se il mio delitto
qui mi chiama al supplizio; un innocente
ne ha da soffrir la pena!
PILADE
Ah! Né tu reo,
né ingiusto è il ciel. Forse ei ti serba ancora
ov'è men di speranza
più impensato il rimedio. Almen ci renda
il periglio più cauti, e secondiamo
coll'umana prudenza
i consigli del ciel. Giorno solenne
è questo in Tauri: al sacrificio atroce
giungi troppo opportuno. All'ombra amica
differiam della notte
il gran furto, signor. Fra questi scogli
co' fedeli tuoi servi entro il naviglio
noi questo cupo sen copra, e ricetti.
ORESTE
Presso è il fin de' miei mali, e vuoi ch'aspetti?
Ah tu non senti, amico,
quel che soffe il mio cor: mentre t'ascolto
truce, e squallida in volto,
nuda il piè, sparsa il crin, lacera il petto (come in delirio)
vedo la madre in minaccioso aspetto.
Quante furie a me d'intorno! E quanti al seno
mi vibra accesi dardi!... Oh dio! Non senti (più smaniosa)
gli ululati, i lamenti! E qual conduce
funebre orrida pompa,
che mi tragge a morir! Sull'are atroci
stride la nera fiamma, e mi prepara
la bipenne fatal la man più cara.
Qual destra omicida
la morte m'appresta!
Ah ferma!... T'arresta...
La madre m'uccida,
la madre spietata;
se sazia l'ingrata
di sangue non è.
Ah barbara! Affretta
l'acerba ferita...
qual dono è la vita,
se l'ebbi da te.
(parte smanioso)
Pilade.
Ahimè! Già s'allontana. Oreste!... Ascolta...
Fermati... Oh dèi! Non m'ode. Ove lo guida
il suo cieco furor! Veglian d'intorno
le guardie del tiranno,
e chiaro è il dì. Che far poss'io? Se resto
è perduto l'amico, e se lo seguo,
mi perdo anch'io... Così serbar potessi,
a costo de' miei giorni, i giorni sui!
S'altro non posso, almen morrò con lui.
Stelle irate, il caro amico
di rapirmi invan chiedete;
oltre al margine del Lete
ricercarlo ancor saprò.
Io l'amai fin dalla cuna,
corsi ognor la stessa sorte,
e l'orror d'acerba morte
seco ancor dividerò.
Atrio interno del tempio di Pallade corrispondente a un delizioso giardino, e a vari appartamenti destinati alle Vergini consacrate alla dèa.
Alcune di queste adornano l'atrio, altre preparano ghirlande, e profumi per il dì festivo, ballando alternativamente, e cantando il seguente coro.
Ifigenia, e Dori.
CORO
Fra gl'inni, e i cantici
fiori si spargano
in questo gran dì.
La casta Pallade
armata d'egida
s'onori così.
Umane vittime
la dèa placabile
non sempre gradì.
IFIGENIA
Sì, sì, vergini amiche, avido nume
non è sempre di sangue: umili voti,
innocenti preghiere
son bastanti a placarlo. Andiamo al tempio;
il popolo si chiami, e si assicuri
del favor della dèa co' fausti auguri.
Seguimi amica Dori.
DORI
Ah principessa
pur ti scorgo sul volto
un lampo di contento.
IFIGENIA
E ti par poco,
ch'oggi all'ufficio atroce
mi tolga il ciel? Che manchi
la vittima votiva, e ch'io non debba
nel giubilo comune, al dì festivo
sola tremar?
DORI
Te figlia
del re de' re. Te sposa
del magnanimo Achille; ah come il fato
in quest'orrida sorte
vuole oppressa, e avvilita! Il caso altrui
so che di tue sventure
ti rinnova l'orror: che all'are atroci
in Aulide te pur vittima a' numi
destinarono i Greci; e il padre istesso
ti traeva al supplizio. Ora in quell'atto
dell'istoria dolente...
IFIGENIA
Tutto, per mio terror, tutto è presente:
le bende, il flebil canto,
la sacra scure, il fuoco;
le preci, il rito, il simulacro, il loco.
DORI
Misera!
IFIGENIA
Ah perché mai di senso priva,
pallida, semiviva al fatal colpo
involommi la dèa? Per me la morte
non avea più spavento. Ella serbommi
in questa ove mi trasse iniqua terra
a morir mille volte
d'orrore, e di pietà.
DORI
Ma il ciel promise
in questo tempio, in cui ti diè ricetto,
il fin di tue sciagure.
IFIGENIA
E qui l'aspetto.
Ah per tre lustri omai nell'inumano
empio ufficio crudel l'aspetto invano.
DORI
Siane un fausto presagio
questo breve piacer...
(si sente da lontano un preludio flebile)
Ma quale ascolto
lugubre, e flebil canto!... Ah principessa,
forse il crudo tiranno...
IFIGENIA
Ahimè! S'appressa.
Toante, e Guardie. Coro di soldati con Oreste incatenato.
CORO
Misero giovane
qual fiera sorte
in ira a Pallade
ti guida a morte!
TOANTE
Ministre della dèa, nulla più manca
al sacro rito in questo dì. S'offerse
al sacrificio usato,
quando men si pensava ostia novella.
IFIGENIA
(Oh sciagura!)
DORI
Dov'è?
TOANTE
(additando Oreste)
Mirala; è quella.
IFIGENIA
(Qual volto!)
DORI
(a Toante)
È noto ancora
l'infelice stranier?
TOANTE
Tace ostinato
il nome, il suol natio;
greco è alle vesti. Irresoluto, errante
lo colsero i custodi,
che alle mura giungea: sembra agitato
da' crudeli rimorsi. Il suo destino
sa, ma non si sgomenta; anzi affrettando
co' voti il suo morir; bacia sovente
la man di chi lo guida all'ore estreme.
DORI
(Povera Ifigenia!)
IFIGENIA
(piangendo)
(Non v'è più speme.)
TOANTE
Piangi!
IFIGENIA
Perdona, oh dio!
La mia pietà.
TOANTE
La tua pietade offende
la diva, e me.
IFIGENIA
Credi di sangue i numi
assetati così?
TOANTE
So, che gli placa
il sangue de' mortali.
IFIGENIA
E se innocente,
se infelice, e non reo...
TOANTE
Taci imprudente.
Tutta di morte è degna
questa plebe mortal, che il ciel condanna:
e chi vi cerca un reo, raro s'inganna.
Frena l'ingiuste lacrime,
pensa, che un re t'intende,
pensa che il nume offende
la folle tua pietà.
Sol dalla terra oppressa
si chiede al ciel perdono:
e manca a Giove il trono,
se i fulmini non ha.
(parte)
Ifigenia, e Dori.
DORI
Ecco come a sua voglia i rei mortali
si figurano i numi.
IFIGENIA
Ecco svanito
il mio breve contento. Ah! Cara amica,
che volto! Che vestir! Così fra noi
vanno i re, van gli eroi. Tal forse Oreste
il mio german, che pargoletto infante
in Aulide lasciai, crebbe cogli anni,
e il genitor consola
della perdita mia. Gli ultimi baci
ebbe da me, che rispondea col riso,
a quel funesto addio. Chi sa, se vive,
chi sa, se mi rammenta!
Forse estinta mi crede. Ah s'ei sapesse
ove son, che m'avvenne; io non vedrei
insultare il tiranno a' pianti miei.
DORI
Forse questo stranier qualche novella
può recarti de' tuoi.
IFIGENIA
No, cara amica,
non l'ardisco cercar. Troppo è feconda
di tragedie funeste
la stirpe degli Atridi. Io troppo avvezza
all'ira degli dèi...
DORI
Ah! Già s'appressa
l'ora del sacrificio, e il re tiranno
l'affretta col desio.
IFIGENIA
L'iniqua legge
fulmini il ciel con lui, né più funesti
l'esecrando costume
l'altare, il tempio, il sacerdote, il nume.
Deh con qual core, amica,
al giovine stranier recar di morte
l'infausto annuncio, e circondargli in fronte
la nera, e fatal benda! O sia riguardo
della patria comune, o sia che il volto,
e l'età di costui mi svegli in seno
una nuova pietà, maggior ribrezzo
non ebbi mai. Gelo d'affanno, e tremo;
sento mancarmi il cuor... Numi clementi,
lo so, che non v'offende
la pietà, ch'io dimostro;
e se v'offende o numi il fallo è vostro.
So, che pietà de' miseri,
numi, da voi s'apprende:
so, che il timor che m'agita,
forse da voi discende;
e a raffrenarne i palpiti,
so, che non è valor.
Se nell'ufficio barbaro
la mia pietà v'offende,
scegliete in me la vittima,
o mi cambiate il cor.
(parte con Dori)
Tempio magnifico. Trono da una parte su cui ascende fra le sue Guardie Toante. Coro di Vergini, che conduce dal fondo del teatro Oreste all'altare, su del quale è il simulacro di Pallade. Mentre si canta il coro ballando, si accende il fuoco sacro, si corona la vittima, si fanno le libagioni.
Toante con Guardie, Oreste colle Vergini, poi Ifigenia, Dori, e Popolo.
CORO
Oh come presto a sera
misero giovanetto
giunse tua fresca età.
Barbara morte, e fiera
il crudo ferro ha stretto,
e impietosir non sa.
DORI
Qual struggerassi in pianto
la greca verginella,
quando la rea novella
del tuo morir saprà.
TUTTI
Oh come presto a sera
giunse tua fresca età.
DORI
Grave di morte i rai
il genitore amato
di dolorosi lai
il ciel assorderà.
TUTTI
Barbara morte, e fiera
impietosir non sa.
IFIGENIA E DORI
Al gran voler del fato
piega la fronte, e taci.
Giovane sventurato
quanta pietà mi fa.
TUTTI
Barbara morte, e fiera
impietosir non sa.
IFIGENIA
Or dell'onda lustrale
la vittima s'asperga; il nume adori
e nel colpo fatal costanza implori.
(alcuna delle vergine spargeva Oreste d'acqua lustrale)
DORI
Piegati umile sull'ara.
(conduce Oreste all'ara)
ORESTE
(guardando con sorpresa il simulacro)
Ah! ti ravviso
vindice irata dèa; fu tuo consiglio
l'oracolo bugiardo
che mi trasse ingannato all'empie sponde.
Or ti sazia, crudel; vibrami in seno
l'infuocate saette, e col mio sangue,
e l'ara, e il tempio istesso,
che di sangue macchiai, si lavi adesso...
Ahimè! Chi mi soccorre? Ecco discopre
la Gorgone fatal: dove m'ascondo?
Ecco il regno di morte, ecco l'abisso
mi s'apre sotto i piè... Ma quale, o dèi,
turba d'orride larve ancora in questa
mi persegue, e spaventa ombra funesta?
Lasciatemi crudeli. Ah chi m'invola
all'orribile aspetto, alla mia pena;
chi compiange al mio stato, e chi mi svena?
Oh dio, dov'è la morte?
In così fiera sorte
il differirla a un misero
è troppa crudeltà.
(cade abbandonato fra le guardie)
IFIGENIA
(Morir mi sento.)
TOANTE
Or da compire il rito
qual pietà ti trattiene?
IFIGENIA
(avanzandosi verso il trono)
Oh dio! Non vedi
in che stato è la vittima? Le labbra
gonfie di calda spuma, il volto asperso
di livido pallor; stravolto il guardo,
e le membra tremanti
agitata, e convulsa?
DORI
E non udisti
come insultò la dèa?
TOANTE
Che importa a' numi,
che deliri, e s'affanni
purché si sveni il reo?
IFIGENIA
Signor, t'inganni.
Non è quel che gli placa
delle vittime il sangue; è la costanza
in chi l'ha da versar; l'anima invitta,
che nel colpo fatal, perché al ciel piace,
piega la fronte, adora il cenno, e tace.
TOANTE
Dunque...
IFIGENIA
Nel chiuso fonte
sacro alla dèa convien purgarla, e al rito
prepararla di nuovo. In quello stato
se una vittima accetta offrir pretendi;
contamini l'altare, e il nume offendi.
CORO
Ah si purghi quest'ostia macchiata
se gradito il suo sangue non è.
Plachin l'ira di Pallade armata
nuovi pegni d'amore, e di fé.
TOANTE
Dunque il fatal decreto
e d'un nume, e d'un re vuoi che dipenda
dall'arbitrio d'un reo?
IFIGENIA
Dal rito immondo
dunque offesa la dèa vuoi, che il suo sdegno
tutto sopra di noi cader si veda?
TOANTE
(Donna infedel t'appagherò.)
(scendendo furioso dal trono)
Si ceda.
Dello straniero indegno
l'empio sangue a versar pochi momenti
giacché si chiede, accorderò; ma senti.
Se la vittima impura
non gradisce la diva, al trono offeso
alla mia sicurezza, al furor mio
oggi si svenerà; pentita allora
la sua folle pietà vedrà che invano
non si delude un re.
(parte furioso)
IFIGENIA E DORI
(Mostro inumano!)
IFIGENIA
Alle vicine stanze
quel misero si scorga; e voi frattanto
vergini amiche, in lieto coro al nume
rinnovate le preci, e i balli usati
a placarlo intrecciate.
(alcune delle vergini vanno a prendere Oreste)
Ah santa dèa
se in ciel son giunti i nostri falli a segno
di provocarti a sdegno, e s'hai desio
d'estinguerlo col sangue, eccoti il mio.
Coro delle Vergini, e del Popolo.
CORO
Temuta Pallade
figlia di Giove
dèa del saper.
Rivolgi altrove
l'asta terribile
del tuo poter.
Si rappresentano ballando le diverse cerimonie preparatorie del sacrificio.
Bosco sacro vicino al tempio di Pallade corrispondente agli appartamenti delle vergini a lei consacrate, e in fondo veduta d'una parte della città.
Ifigenia, e Dori.
DORI
Dunque nulla ottenesti.
IFIGENIA
Un tronco, un sasso
vedrei prima ammollirsi,
che quel barbaro cor. Freme, minaccia,
lo vuol morto a momenti.
DORI
Oh dio!
IFIGENIA
Sospiri
e n'hai ragione. A chi non desta, amica,
pietà quel sventurato. Andiamo; omai
differirgli la morte
è crudeltà.
DORI
Ben ti bisogna in questo
doloroso cimento
tutta la sua costanza. Ah se vedessi
la vittima infelice,
se l'udissi parlar!
IFIGENIA
Che fa? Che dice?
DORI
Or palpita, e freme,
or lagnasi, e geme;
l'amico più fido
smarrito ha sul lido;
vorrebbe abbracciarlo,
vorrebbe salvarlo,
vorrebbe morir.
Ha livido il volto
ha gli occhi languenti;
non forma gli accenti,
che in tronchi sospir.
(parte entrando nel tempio)
Ifigenia sola.
Ah! Qual s'apre al mio cor tragica scena
d'orrore, e di pietà! Purtroppo, oh dio!
vedrò quell'infelice
e in mal punto il vedrò!... Crudel ministro
d'un'implacabil dèa, d'un re tiranno.
Tu tremi Ifigenia! Donde ti viene
quest'inutil pietà! Già per lungo uso
a sparger sangue avvezza, il fatal colpo,
sbigottirti non può... Che giorno è questo!
Che palpiti inusati
mi percuotono il cor! Qual freddo gelo
tremar lo fa!... Misero core! Oh dio!
A tanti affanni, almeno,
se resister non sai, scoppiami in seno.
Che mai risolvere;
che far poss'io!
Mi struggo in lagrime,
morir desio:
né basta a uccidermi
il mio dolor.
Il cor m'ingombrano
pietà, e spavento;
e crescer sembrano
ogni momento
le nere immagini
del mio terror.
(parte entrando negli appartamenti)
Pilade, poi Dori.
PILADE
Dove m'inoltro! Oh stelle! Il caro Oreste
quando ritroverò! Dovunque sia
vo' vederlo, e morir. Forse la cura
d'involarmi sul primo agl'occhi altrui
troppo (oh dio) mi trattenne, e forse adesso
immerso nel suo sangue,
sol giungo in tempo a rimirarlo esangue...
Ma del tempio esecrando
questo l'atrio mi par... Forse... Oh funesta
orrenda idea! Negli ultimi momenti...
dell'amico fedel...
(va per entrare nel tempio)
DORI
Stranier, che tenti?
Dove corri? Che vuoi?
PILADE
Cerco un amico,
che sul lido perdei.
DORI
Fuggi; t'invola
a una barbara sorte:
cerchi l'amico, e troverai la morte.
PILADE
So l'empia legge, e non la temo. Ascolta
bella ninfa pietosa. Il caro amico
additami dov'è. Senza di lui
viver non posso...
DORI
Oh numi!
PILADE
Ti turbi! Ti confondi!
Parla... Forse morì?
DORI
No... Ma... Fra poco
morrà meschino.
PILADE
Ah! Se ancor vive; almeno
fa', ch'io lo vegga. Il nostro caso è degno
di pianto, e di pietà. Se posso, oh dio!
per un breve momento
abbracciarlo, vederlo: io son contento.
DORI
(Che nuovo oggetto è questo
di tenerezza, e di dolor!)
PILADE
Non m'odi?
Non mi rispondi?
DORI
(Io tremo.) Ah fuggi, ah parti
da un supplizio inumano:
salvati per pietà.
PILADE
Lo speri invano.
Di qui non partirò. La reggia, il tempio
scorrerò per trovarlo. Al re tiranno
dimandarlo oserò. Non sia che neghi
a' miei sospiri il misero conforto
di riveder l'amico. Altro non bramo,
che abbracciarlo, e morir.
(va per entrare nel tempio, e Dori lo trattiene)
DORI
Seguimi. Andiamo.
(entrano negli appartamenti)
Luogo sotterraneo ove si purgano le vittime: lavacro nel fondo; da una parte scala per cui si sale al tempio; dall'altra oscura stanza ove si conservano le spoglie di coloro che sono sacrificati. Lumi di lampade.
Oreste che dorme; coro di Furie, che lo circonda, mostrandogli l'ombra della madre.
CORO
Dormi Oreste! Ti scuote, ti desta
l'ombra mesta, sdegnosa, negletta
d'una madre svenata da te.
Senti, ingrato, che chiede vendetta,
mostra il seno, ti sgrida, e minaccia;
ti rinfaccia, che vita ti diè.
ORESTE
(sognando)
Crude larve! Che sonno affannoso!
Che chiedete!
CORO
Vendetta, vendetta;
che per gli empi riposo non v'è.
ORESTE
(smaniando, e dormendo)
Ah! per pietà placatevi;
non mi straziate il cor.
Ah! Barbare uccidetemi,
finite il mio dolor.
CORO
Nere figlie dell'Erebo
vindici dell'error,
tornate più implacabili
a tormentarlo ognor.
Ballo di Furie.
(l'ombra della madre gli si accosta minacciandolo)
ORESTE
(sognando)
Ah perdono, crudel genitrice.
CORO
L'infelice non l'ebbe da te.
(spariscono le Furie, e l'ombra)
ORESTE
(svegliandosi)
Che fiero caso è il mio, dunque non posso
né viver, né morir? Trovar riposo
in terra, o negli abissi?
Ah, non è vero
l'arbitrio di morir, Furie crudeli,
anche ad onta del Fato
è il solo ben, che non manca a un disperato.
(escono le sacerdotesse che accompagnano Ifigenia)
Deh, barbare ministre
d'una implacabil dèa, qual più mi resta
nuovo rito a compir? Son pronti ancora
al mio barbaro strazio il ferro, il fuoco?
O una sol morte al furor vostro è poco?
(vedendo piangere le vergini)
Voi piangete? Ah crudeli! A che mi giova
questa vana pietà! Morte domando,
barbare, e di mia morte
la ministra fatale ancor non vedo.
CORO
Eccola sventurato.
(entra Ifigenia accompagnata da alcune guardie)
ORESTE
Altro non chiedo.
CORO
In queste amare lacrime
leggi la sua pietà.
Misera! Oh dio! che un barbaro
impietosir non sa.
ORESTE
Or, che più vi trattiene? All'are atroci
chi mi guida a morir? Qual è la mano,
onde il colpo fatale attender deggio?
IFIGENIA
(volgendosi con passione ad Oreste)
Giovanetto infelice!
ORESTE
(alzandosi e scostandosi spaventato)
Ohimè! Che veggio!
Ah qual orrida larva
al carnefice mio dipinge in volto
la madre irata!
(spaventato)
È dessa... Io ne ravviso...
gli sguardi, i moti... Ah! Cruda furia, e quando
stanca sarai di tormentarmi! Or vieni
s'hai sete del mio sangue. Eccoti il seno
trafiggilo a tua voglia. Oltre le rive
del torbido Acheronte
seguirmi non potrà la tua vendetta.
Impotente, negletta
ti lascerò sul fatal varco; e quando
voglia l'ira del fato,
che comune l'albergo abbiam fra noi;
mi torrà l'ombra eterna agli occhi tuoi.
IFIGENIA
Infelice! Delira.
ORESTE
Ohimè! Qual nube
m'offusca i sensi, e qual mi freme in petto
orribile tempesta! Oh dio! Non posso
più tollerar queste mie smanie, e questo
fiero strazio affannoso:
datemi colla morte il mio riposo.
IFIGENIA
Sventurato stranier, se sol la morte
può finire i tuoi mali, ancor per poco
ti rimane a soffrir: al duro passo
vengo a disporti. Inorridir mi sento
al caso atroce. E quella legge, oh dio!
che a te trafigge il cor, lacera il mio.
ORESTE
Tu piangi il mio morire; ed è la morte
il mio solo conforto.
IFIGENIA
E perché mai
t'è sì grave la vita?
ORESTE
Ah, perché sono
da mille smanie oppresso,
orribile a' viventi, ed a me stesso;
perché tutto ho perduto,
perché pace non ho; perché non spero
soccorso, né pietà: perché mi rode
dovunque fuggo un crudo serpe interno;
perché porto nel sen tutto l'inferno.
IFIGENIA
Ma in qual misera terra
sorgesti a' rai del giorno?
ORESTE
In Argo.
IFIGENIA
(sorpresa)
In Argo!
(O caro suol natio! Frenar non posso
gl'impeti del mio cor.) Di': vive ancora
il buon re degli Argivi
l'amor de' suoi, l'onor di Grecia?
ORESTE
(spaventato)
(Oh stelle!
Che richiesta!)
IFIGENIA
E la bella
della Grecia ornamento
Clitennestra fedel?
ORESTE
(Numi! Che sento!)
IFIGENIA
Tu non parli, e ti turbi! E chi ti desta
qual palpito improvviso?
ORESTE
Ah... Taci...
IFIGENIA
(Io tremo...
Mi presagisce il core
qualche altra di Tieste orrida cena.)
Rispondi per pietà.
ORESTE
Taci, e mi svena.
IFIGENIA
Perché tacer?
ORESTE
Perché a squarciarmi il petto
un dardo avvelenato è ogni tuo detto.
IFIGENIA
Ah mi palesa almeno
se i giorni suoi finì?
ORESTE
Strappami il cor dal seno,
ma non mi dir così.
IFIGENIA
(Sento, che il cor mi palpita,
e non so dir perché.)
ORESTE
(delirante)
Odi le strida, e i gemiti;
mira la strage, e il sangue;
vedi quel busto esangue
ma non cercar qual è.
IFIGENIA
(Ah! Chi sarà quel misero,
se il genitor non è.)
ORESTE
Oh dio! Che acerbe pene!
IFIGENIA
Oh dio! Perché non viene
l'ultimo de' miei dì.
IFIGENIA E ORESTE
Qual fu l'astro tiranno
che al mio funesto affanno
tanti disastri unì.
CORO DI VERGINI
Chi può frenar le lagrime
al duro caso, o numi!
Misero! Ah perché i lumi
a' rai del giorno aprì.
(si abbandona a sedere, e tutti parton piangendo)
Oreste, poi Pilade, e Dori.
ORESTE
Misero me! Dove sperar riposo,
dove fuggir potrei! Se sino in questo
crudo inospito suol dell'empia madre
l'aborrite sembianze
al carnefice mio ravviso in volto;
e il nome odiato in que' suoi labbri ascolto.
Come! Da chi l'apprese! È dunque piena
de' miei falli la terra? Ah, ch'io mi perdo
in un mar di spaventi! Il sol sentiero,
che mi s'apre è di morte... Eccomi...
(voltandosi, e non vedendo alcuno)
Ah dove,
dov'è l'empia ministra? Ove fuggiro
le barbari custodi? Ah! Dispietate
fermatevi, tornate
finite colla morte i mali miei...
(in atto di avanzarsi, entrano Dori, e Pilade dalla porta della stanza oscura)
PILADE
A morir senza me!
ORESTE
Pilade! Oh dèi!
Dove... Come... In qual punto...
Perché?...
PILADE
Perché non sia
che il reo destin divida
Pilade dall'amico. A te mi scorse
questa vergin pietosa. Io chiesi a' numi
d'abbracciarti, e morir.
ORESTE
Vieni al mio seno.
Sallo il ciel, se il momento
di rivederti, amico, io sospirai;
ma parti, oh dio!
PILADE
Non lo sperar giammai.
DORI
Io mi sento morir.
ORESTE
Salvati, fuggi,
lasciami per pietà.
PILADE
No, teco io vissi,
teco voglio morir.
(abbracciandolo)
Da queste braccia
staccarti non sapran strazi, e tormenti.
DORI
Più resister non so; tutto si tenti.
Uditemi infelici, ancor mi resta
di salvarvi una via. Per voi mi parla
della patria l'amore,
tenerezza e pietà. Se grati siete
nelle natie contrade
di noi memoria avrete, e dell'indegna,
in cui gemiamo oppresse,
barbara servitù... Forse... potreste...
Chi sa... Ma scorre l'ora; al caso estremo
giova l'estremo ardir. Da quella stanza
per l'ignoro sentier si passa al tempio;
il varco è chiuso;
(porgendo loro una chiave)
ecco onde aprirlo; allora
volgete a destra i passi, e fino al lido
altro inciampo non v'è.
ORESTE
Ma da' sospetti
del barbaro tiranno
chi ti salva frattanto?
DORI
Al rischio mio
saprà sottrarmi il cielo. Andate. Addio.
(parte)
Pilade, e Oreste.
PILADE
Oh impensato soccorso!
ORESTE
Oh patria! Oh amore!
Oh sublime virtù!
PILADE
Partiamo, amico,
non perdiamo i momenti.
ORESTE
Ma che farò senz'armi?
PILADE
Osserva è pieno
quell'oscuro sentier d'armi, e di spoglie
delle vittime uccise.
ORESTE
Andiamo. Ormai
fra sì strane vicende
son stanco di pensar; mi freme intorno
un burrascoso mar, che d'ogni parte
m'offre oggetti d'orrore, e di spavento:
io chiudo i lumi, e m'abbandono al vento.
(va ad armarsi)
PILADE
Grazie pietosi dèi:
nelle sventure estreme
sento una dolce speme,
che mi germoglia in sen.
Morrò di fé col vanto,
se vuol, ch'io mora, il fato;
al caro amico accanto,
e vendicato almen.
(partono ambedue)
Gran piazza superbamente addobbata. Nel fondo atrio del tempio. Da questo si parte lentamente il coro delle Vergini, che cantano l'inno della dèa, e i Sacerdoti con esse portando le insegne, gli incensi, le ghirlande.
Toante accompagnato dalle sue Guardie. Le Vergini, e i Ministri vanno a situarsi alle parti laterali della scena.
Poi Ifigenia, poi Dori.
CORO
Gli strali tremendi,
gran diva, sospendi,
se il fallo d'un empio
il tempio macchiò.
D'un popolo intiero
non chieder lo scempio,
se un empio straniero
la destra t'armò.
Di dolci costumi
amica è la diva
di placida uliva
la fronte s'ornò.
CORO DI SOLDATI
Il padre de' numi
l'accolse sul trono,
sul fulmine, e il tuono
il seggio le alzò.
TUTTI
D'un popolo intiero
non chieder lo scempio
se un empio straniero
la destra t'armò.
CORO DI MINISTRI
Soccorso, santa dèa difendi il tempio.
(s'oscura il ciel, si veggono lampi, e s'odono tuoni)
TOANTE
Quai grida! Qual tumulto! E qual di nembi
improvvisa tempesta in ciel si desta!
IFIGENIA
(uscendo spaventata)
Dove fuggir! Miseri noi!
TOANTE
(sospeso)
T'arresta.
(fermandola)
Perché fuggi? Che fu?
IFIGENIA
Dall'ara uscito
nume vendicator le guardie atterra.
DORI
(uscendo spaventata)
È profanato il tempio;
rapito il simulacro.
TOANTE
E chi l'invola?
DORI
Quello stranier...
TOANTE
Ma come!
Ma donde il sai! Lo scampo
chi gli aperse alla fuga?...
Ti turbi! Ti confondi?
La rea tu sei.
DORI
Signor... pensai... Credea...
Mi tradì la pietà.
TOANTE
Che ascolto, indegna!
(alle guardie)
A' miei giusti furori
si riserbi costei.
IFIGENIA
(Povera Dori!)
UNA DELLE SACERDOTESSE
(uscendo dal tempio)
Ah t'affretta, signor! Se più ritardi
è perduta la dèa. L'empio straniero,
che la rapì, qual folgore s'invola,
e non v'è chi l'arresti. Un suo seguace
solo disperde i tuoi custodi.
TOANTE
Andiamo:
resiste invan. Che tradimento è questo!
Che follia! Che empietà! Tremi chiunque
ebbe parte al delitto, e orror risenta
della morte crudel, che gli sovrasta:
una vittima sola a me non basta.
Smanio di rabbia, e fremo,
ma la vendetta aspetto;
l'ira, che m'arde in petto
il sangue estinguerà.
Nel mio furore estremo
a sterminar quest'empi
i più crudeli scempi
mi sembrano pietà.
Spiaggia marittima con veduta della città di Tauri in lontananza: scogli da una parte che nascondono la nave d'Oreste.
I Marinai si trattengono ballando con alcune Donne scite venute alla pesca: sono interrotti da Oreste che consegna a' suoi seguaci il simulacro rapito.
ORESTE
Prendete, amici, il sacro pegno è questo
della salvezza mia. Compito è ormai
l'oracolo fatale.
Fuggiam: le vele ai venti...
(guardando intorno)
Ma Pilade non viene? Egli promise
di seguire i miei passi; ah col suo rischio
m'assicurò la fuga, e forse al fine
il numero l'oppresse,
ei si perde per me: si corra a lui
per salvarlo, o morir.
(si sente il suono)
Larve crudeli
invan fremete, e sollevate intorno
a funestare il giorno
le tenebre d'abisso; entro al mio seno
manca il vostro furor; dal cuore oppresso
ogni nube sparì, respiro adesso.
V'intendo, amici numi,
il fausto augurio accetto;
sento, che riede in petto
l'antica calma al cor.
Non sia chi reo m'accusi
dell'amistà tradita;
s'io debbo a lui la vita
l'avrà dal mio valor.
(parte)
Atrio interno del tempio di Pallade.
Toante furioso, Ifigenia trattenendolo.
TOANTE
Lasciami indegna.
IFIGENIA
Ascolta. Io più non chiedo
pietà per gl'infelici;
la domando per me: scegli altro braccio
al barbaro costume:
manchi il ministro, allor che manca il nume.
TOANTE
No: non sperarlo.
IFIGENIA
E in seno
della più cara amica
ho da recar la morte! Oh dio! Signore
all'immagin funesta
regger non posso.
TOANTE
E la tua pena è questa.
S'io credessi al mio cor: se il volgo insano,
ch'hai saputo sedur, che i detti tuoi
come oracolo ascolta, io non temessi;
la mia giusta vendetta
comincerei da te. Per te rapito
il fatal simulacro, e per te vidi
tanta strage de' miei. Ma non t'inganni
del popolo il favore. Un colpo solo
basta a calmarlo, e nella furia estrema
tutto lice ad un re. Pensaci, e trema.
Vedi grave di nembi, e saette
fosca nube, che intorbida il giorno;
senti il flutto, che mugge d'intorno
e non pensi a salvarti dal mar.
Già di quei, che son preda dell'onde
ti feriscon le strida, e i lamenti:
la pietà, che de' miseri or senti
del tuo rischio t'insegni a tremar.
(parte)
Ifigenia; poi Dori, e le altre Vittime condotte al sacrificio dalle Guardie.
IFIGENIA
Misera! Che farò! Che giorno è questo
di lagrime, e d'orror? D'uno straniero
m'opprime la pietà, del padre amato
mi spaventa il destin: cerco una morte,
e trovarla non so: la cara amica,
la compagna fedel de' pianti miei
deggio svenare io stessa... Eccola... Oh dèi!
(alle guardie)
Fermate, oh dio! Fermate: un sol momento
vi chiedo per pietà. Povera Dori,
vieni al mio sen: prendi l'amplesso estremo
dal carnefice tuo; l'empio tiranno
vuol punirmi così.
(partono le altre vittime)
DORI
Mano più cara
scegliere ei non potea.
IFIGENIA
Deh perché mai
accusarti tu stessa?
DORI
In quel tumulto,
che risolver non seppi. Il fallo ascoso
dava contro noi tutte al re crudele
un pretesto di strage. Io limitai
le sue furie a me sola.
IFIGENIA
Ah ch'io non temo;
bramo la morte. E che non feci, amica,
per irritar quel crudo; ei che si mostra
tant'avido di sangue, ove si tratta
d'accordar colla morte il mio riposo,
sa sin per mia sventura esser pietoso.
DORI
No: vivi o principessa, e ti riserba
alla nostra vendetta,
a una sorte miglior. S'appaghi almeno
il tuo fiero destin del sangue mio.
IFIGENIA
Mi scoppia il cor.
DORI
Fedele amica...
IFIGENIA E DORI
Addio.
DORI
Il mio destin non piangere
tratta a morir son io,
ma non è fallo il mio,
o colpa è la pietà.
IFIGENIA
Invan mi nega un barbaro,
che teco mora anch'io;
in quel funesto addio
il duol m'ucciderà.
DORI
No, resta in pace, e vivi.
IFIGENIA
Per chi restar dovrei?
IFIGENIA E DORI
Ah non vi placa o dèi,
sì tenera amistà?
DORI
Ah che crudel tormento!
IFIGENIA
Che divisione amara!
IFIGENIA E DORI
Addio, tra poco, o cara,
l'eliso ci unirà.
(partono)
Veduta interna del tempio. Ara nel mezzo senza il simulacro.
Toante che va a sedere sul trono: Sacerdoti, Guardie, e Popolo. Pilade vicino all'ara per esser sacrificato; poi Dori e Ifigenia.
TOANTE
Popoli, non temete. Al reo straniero
chiuso è lo scampo. Intanto in cielo offeso
placar convien: si dia
di giustizia, e di fede un grande esempio
agli uomini, agli dèi
colla strage degli empi. Eccovi i rei. (va in trono)
peran gl'indegni, e tu del nume offeso (a Ifigenia)
debil ministra, ed infedel, che opponi
a' suoi giusti decreti
gl'importuni sospiri;
compisci il sacro rito: e fia la pena
dell'imbelle tuo cor nel van conflitto
l'orror di tanta strage al tuo delitto.
CORO DI VERGINI E SACERDOTI
Quante ombre meste
scendono all'Erebo,
gran dèa, per te.
Ah, che sì barbara
in cor celeste
l'ira non è.
IFIGENIA
(Ecco il punto fatal!)
(avanzandosi all'ara, e da quella prendendo il sacro ferro)
Figlia di Giove,
vindice irata dèa; se vano è il pianto,
la tua giusta a placare ira funesta
questo sangue la plachi.
(in atto di ferir Pilade)
Oreste affannato rompendo la folla, e Dori.
ORESTE
Ahimè! T'arresta.
(fermando il braccio a Ifigenia)
TOANTE
Che ardir!
PILADE
L'amico!
TOANTE
Il rapitore indegno!
IFIGENIA
L'infelice stranier!
TOANTE
Fremo di sdegno;
fermatelo, custodi.
(Oreste viene arrestato dalle guardie)
A tempo il cielo,
perfido, ti guidò di sua vendetta
la misura compir. Rendimi il nume,
che rapisti, o fellone; e ti prepara
a placarlo col sangue.
ORESTE
Allor, ch'io vengo
le tue furie a sfidar, vedi tiranno,
che tremar non mi fai. Per or la stolta
ira raffrena, e quel ch'io reco ascolta.
Chiedi il nume rapito;
il nume renderò; ma s'hai desio
di saziarlo di sangue, eccoti il mio.
Ma salvami l'amico: ei non è reo,
che di troppa virtù. Per mia difesa
s'oppose a' tuoi. Del meditato furto
io non lo volli a parte; anzi in quell'atto
dall'ardito pensiero
tentò invan di distormi.
PILADE
Ah! Non è vero.
Io sono il reo; io fui
che qui lo scorsi al periglioso eccesso;
io la fuga gli apersi; io la sua fuga
assicurai pugnando. Ah se disegni
un salvar, salva lui.
TOANTE
Tacete, indegni.
Questa gara di morte
vediam sin dove giungerà. Si tragga
all'ara il rapitore, e primo sia,
come al delitto, anche alla pena.
IFIGENIA
E il nume
chi ti rende, o signor! Salvagli entrambi
pria, che perder la dèa.
TOANTE
A che mi giova
un'impotente deità? Conosco
in quel tuo finto zelo
la ribelle pietà. Si perda il nume,
perisca il regno mio; subissi il mondo,
e Tauride con esso; ad onta ancora
degli uomini, e de' numi, io vo' che mora.
ORESTE
Fedele amico, addio.
(vien condotto all'altare)
PILADE
Fra pochi istanti
la morte ci unirà. Deh perché mai
non volesti salvarti?
ORESTE
Per morir teco.
PILADE
Prendi un bacio, e parti.
IFIGENIA
E non moio d'affanno!
TOANTE
Dividete quegli empi.
PILADE
Odi tiranno.
Sfoga pur la tua rabbia: insulta indegno
de' miseri al destin; ma sappi almeno
quel, che avrai da temer. Verran fra poco
di nostra morte al grido a queste arene
col ferro, e colle faci Argo, e Micene.
Sappi, ch'è regio sangue
quel, che pensi versar: del re de' regi
d'Agamennone invitto udisti il nome?
E sai ch'Ilio distrutto
del suo giusto furor conserva ancora
le reliquie funeste:
trema tiranno: ecco il suo figlio Oreste!
IFIGENIA
Onnipotenti dèi! Che ascolto! Oreste!
Il caro fratel mio? Vieni al mio seno:
ah dove! In qual momento
ti trova Ifigenia.
ORESTE
Numi! Che sento!
Tu Ifigenia?
IFIGENIA
Sì, l'infelice io sono,
destinata a morir. Misera! Ed io
ero presso a svenarti. Il cor mi trema
in pensar tanto orrore.
ORESTE
Ecco compito
l'oracolo fatal. Rapito è il nume;
ritrovo la germana.
PILADE
È giunto, amico,
il fin de' nostri affanni:
non manca il ciel, quando parlò.
TOANTE
T'inganni.
Con sì strani prodigi il ciel dispone
servire al mio furor. La mia vendetta
più grave, più funesta
volle render così. Vedi a qual segno
temo gli Atridi. A vendicare Oreste
venga la Grecia: intanto
si vegga esangue a piè dell'ara, e sia
delle mie furie ultrici
ministra la germana.
IFIGENIA
Empio! Che dici!
Ah mi fulmini il cielo, il suol m'inghiotta
prima, che del german lavi nel sangue
la scellerata destra.
TOANTE
Ebbene io stesso,
perfida, compirò la mia vendetta;
l'indegno io svenerò.
(scendendo dal trono)
IFIGENIA
Fermati: aspetta.
Si serva al tuo furor; ma non profani
un empio il sacro rito. Un nume io sento,
che m'agita, che m'empie, e che mi rende
di me stessa maggior. Tremino i rei
dell'eterna vendetta al grand'esempio:
assistimi, gran dèa, vendico il tempio.
(ferisce Toante)
TOANTE
Ahimè!
(cade nella scena)
IFIGENIA
Cadi tiranno, e teco porta
fra le furie d'abisso il tosco, e l'ire.
ORESTE E PILADE
Oh fiero colpo!
CORO
Oh memorando ardire!
(si mettono in mezzo le guardie)
IFIGENIA
Fermatevi, custodi,
popoli, udite: è questo
un decreto del cielo. Oh! Come chiaro
si manifesta il suo furor. Sparite
ecco le nubi, ecco sereno il giorno;
torna l'usato lume;
della vittima sua contento è il nume.
Quel crudo mostro era il più grande oggetto
dell'ira degli dèi: con quanto sangue
il tempio profanò! Con quanta strage
funestò questa terra? Ah chi di voi
non piange estinto dal rapace artiglio
l'avo, la sposa, il genitore, o il figlio?
V'ho vendicato, amici; ecco purgata
del suo mostro la terra. Il santo nume
portiamo in altro suolo,
lungi da tanto orror. Venite: io v'offro
in più lievi contrade, e più feconde
dolce nido, e dolce esca: il suolo argivo
venite a popolar: lasciam per sempre
questi lidi funesti;
e in noi di tanto lutto orma non resti.
(Oreste, Pilade, e Dori alternativamente col Coro)
ORESTE, PILADE, DORI E CORO
Seguiam la donna forte
che il mostro reo punì.
Ove tranquilla sorte
ci offre più lieti dì.
IFIGENIA E ORESTE
Più non pensiamo a' danni
di così lungo orror.
TUTTI
E tremino i tiranni
d'un nume punitor.
Si festeggia il trionfo d'Ifigenia, e l'acquisto del simulacro con lieto ballo di Sacerdoti, e de' Grandi, che si dispongono alla partenza.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)