Frena l'orgoglio altero  

temerario fellon sei prigioniero.

(levando la spada a Vitaliano)

Domò la tua superbia il mio valore.

Olà! Tra lacci avvolto

scortate il fier tiranno

d'Augusta al regio piede.

Già fra monti di stragi omai sconfitto  

giace l'empio rubello.

A quest'Icaro audace

saprò troncar il volo.

(prende le gemme)

O Atlante dell'impero, il don ricevo,

vanne tosto alla reggia, e di Giustino

rintraccia ogni pensiero.

Ahi geloso timor quanto sei fiero!

E sarà ver, ch'augusta  

d'una mano selvaggia

rechi ad onor l'offerte! ai rai del sole

l'aquila sol s'affissa, augel palustre

alla soverchia luce i lumi abbaglia.

Deh che temi cor mio?

Diffidar d'Arianna,

che nutre eccelso spirto in regia gonna?

Tu vaneggi mio cor, ma pure donna.

Non son donna qual credi.  

Vile, indiscreto.

Spargi i tuoi voti al vento.

Otterrò a tuo dispetto  

di questo sen la palma.

S'hai di Tarquinio, ho di Lucrezia l'alma.

Eccomi all'opra,

tosto cadrai svenato.

(afferrando per un braccio Andronico)

Son vinto.

Io non permetto

sull'altar del mio sdegno

offrir ostia sì vile: olà traete

a Bisanzio costui!

O come a sì gran d'uopo  

tu m'arrechi signor pietosa aita.

Difensor del mio onore, e di mia vita.

Sin che rotino i cieli,

fia di Giustino 'l brando

riparo all'innocenza

e chi è colui, che temerario ardì

profanar il tuo sen?

Nobil donzella

si finse pria, poscia vestì l'acciaro:

a te nel campo

di condurmi promise, indi infedele

tentò la forza il rapitor crudele.

Bella mia, dunque ver me  

sì costante è la tua fé?

Sin ch'intorno al polo amato

l'orsa in ciel s'aggirerà,

questo cor per te piagato

le tue luci adorerà.

(Ahi di sì bel sembiante

quando meno credei, divenni amante.)

Sin che cinto d'aureo lume

Febo in ciel splender vedrò,

del tuo volto o mio bel nume

idolatra ognor sarò.

Di Giustino la spada

scesa dal cielo a fulminar giganti.

(verso di Vitaliano)

Pur cadesti superbo, un punto alfine

sa partorir per gl'empi alte rovine.

Di cesare al trionfo

riserbate 'l fellon, e sia frattanto

entro a profonda torre

alla stessa miseria orrido scherno.

Sfavillante di gioia  

rida 'l brio nel tuo volto.

Pur ricco di trofei, di palme onusto

ti stringo al seno o sospirato Augusto.

Dell'empio Vitalian vinto è l'orgoglio.

Per opra di Giustino,

pur alfin mi formò scabello al soglio.

Molto deggio al suo brando

Merta corone il suo valor sovrano.

Queste fulgide gemme

trofeo del mio valor spoglie di guerra

a tua beltà consacro.

(prendendo il cinto gemmato)

A luce così rara il pregio cede

quella perla famosa.

Che già in prodiga cena offerse in dono

l'egizia donna al cavalier latino.

Ma che fia di Giustin la di cui destra

colse fasci di palme alla tua fronte?

Tanto ha in pregio costui?

Vo', che meco egli segga

sul carro trionfale.

Parto, de' miei trofei

a preparar le pompe.

Fatal guerriero, il cui famoso brando  

merta non men, che di Perseo la spada

esser cinta di stelle! O quanto ammiro

il tuo valor altero,

or che ne' tuoi trionfi

aggiungi nove glorie al nostro impero.

Costui, ch'è fra catene

Flavia non è, ma perfido, e spietato

ch'ardì tentar la mia onestà; Giustino

represse 'l suo furor.

Merta pietade

la mia fede, il mio amor, mia verde etade.

Chi ardì tradir regia fanciulla, or mora.

Al monarca del mondo

tal giudizio riservo,

stia frattanto fra lacci, e schiavo, e servo.

Ti lascio eccelsa augusta,  

volgo a cesare il piede.

Sian queste rare gemme

del tuo merto sublime alta mercede.

(prendendo il cinto gemmato)

Tra le gemme di questo cinto

il mio cor legato sta.

Se tua regia bontà m'avvinto

serva l'alma per te sarà.

Anastasio mia vita? A te mi porta  

a volo amor sulle dorate piume

ricevimi nel seno o mio bel nume.

L'orme tue seguirò.

E sarà ver ch'alla mia fede infida  

osasse l'empia Augusta il raro cinto

offrir ad altri in dono?

Vendicarmi saprò, ch'umil vapore

invan pretende entro all'eterea mole

di farsi stella, e gareggiar col sole;

ed ecco appunto il traditor se n' viene.

(che sopravviene)

Cesare tu vincesti, e s'altro manca  

più da vincer in terra,

sin che vive Giustino armati in guerra.

Dal tuo brando fatale

riconosco i trionfi

ma qual pregiato cinto

splende al braccio guerriero?

(Or che dirò! Per togliere i sospetti

simulerò.) Di questa destra invitta

fra le spoglie del campo

ei fu lucida preda.

Io giurerei

che gemme così rare

del mar candide figlie

fosser tesor dell'eritree conchiglie.

Sire a te le consacro.

(ricevendo il cinto)

Di campion così forte

compenserò il valor, (ma con la morte.)

Vanne, che meco assiso

vo', ch'il mondo t'ammiri

in pompa trionfale.

Ecco l'infida! O dèi come ha raccolto

un inferno nel seno, un ciel nel volto.

Soggiace ognor di mille cure al pondo  

chi sostiene l'impero, e regge il mondo.

Ma del cinto gemmato,

perché, o bella non fregi 'l sen di neve?

Che saprò dir! Ogni ombra

vo' sgombrar del suo cor; mentre miravo

colà nel sen di Teti

scherzar i muti armenti

cadé sire il tuo dono in grembo all'onde.

Tu mi deridi!

Io dileggiar Augusto

giuro per la tua vita

ch'il flutto lo rapì.

Taci spergiura,

questo è 'l cinto, ah infedel tu resti esangue,

i falli tuoi saprò lavar col sangue.

(vuol partir sdegnato)

(trattenendo cesare per il manto)

Ah cesare! Ah signor! Mio re! Mio nume!

Odi le mie discolpe.

(s'inginocchia)

Tanto ardir impudica!

Levati omai dal mio regal aspetto,

indegna del mio trono, e del mio letto!

(la fa cader a terra, e parte)

Così crudel mi lasci?  

Così giudice ingiusto or mi condanni?

In così gravi affanni,

in così gran martir, chi mi conforta,

s'Anastasio mi lascia, o dio son morta:

ma che fare più meco

s'ho perduto l'impero ostri reali!

Ite lungi da me pompe fatali.

Quai portenti rimiro? Al suolo infranti  

veggo scettri, e diademi, ah son pur queste

della sublime augusta

le regie spoglie! Oh quanto son fallaci

della sorte i contenti

han sembianze di gioie, e son tormenti.

Questa spada famosa,

che di barbaro sangue è ancor fumante

unqua non deporrò fin ch'avrò core...

(che sopraggiunge)

Lascia tosto quel ferro o traditore.  

(deponendo il brando al piede di cesare)

Mio imperator ecco al cesareo piede

il fido acciar! Eccoti 'l petto ignudo:

io che l'Asia domai

io ch'il cadente, e vacillante impero

più volte assicurai col mio valore

io fellone, io nemico, io traditore?

Cesare! Gran monarca? E non rispondi?

Narrami e in che t'offesi?

Scoprimi almeno il tuo regal sembiante?

Mirami supplicante,

e se mai col pensiero

offesi 'l tuo decoro,

svenami di tua man contento io moro.

Al carnefice infame

destinata è tal opra? Ite miei fidi

paghi cogl'occhi il già commesso errore

chi fe' sua scorta un troppo cieco amore?

(parte adirato)

E mi fugge, e non m'ode il fier tiranno!  

Così in perpetua notte

dovrò restar sepolto,

perch'aquila amorosa

affisai le pupille al sol d'un volto.

Sono questi o Fortuna  

i promessi tesori!

Sono questi gli allori,

che la tua mano alle mie tempie aduna

i promessi tesori

sono questi o fortuna!

Ma a chi parli mia lingua? E chi rampogni?

Fur le speranze mie sol ombre, e sogni?

Or tra folgori accesi  

sembra, ch'il mondo avvampi.

Per me combatte il ciel, libero, e sciolto

mie vendette farò.

Trofeo di questa destra  

foste o turbe codarde.

Ma sento il piè tremante, e mortal ombra

or le mie luci ingombra;

chi mi porge ristoro

cado o stelle trafitto, io manco, io moro.

(cade svenuto sopra d'un sasso, per lo spargimento del sangue)

O ciel, respiro!  

E chi sei tu, che del mio mal pietoso

il già reciso stame

Lachesi sforzi a raggruppar sul fuso?

Che ascolto o dèi, di così nobil pianta

io son tralcio sublime!

Fuggiam da questa reggia

resa omai d'empietà tragica scena;

morì Giustino, augusta

prigioniera restò, cesare stesso

cinto è da vil catena, Amanzio ascese

al tirannico soglio, o come vola

di fortuna 'l favore, al par de' venti,

e ogni stato mortal cangia a momenti.

Cessin bella i singulti?

Sin che vivrà Giustino, e Vitaliano

saran della tua reggia alto sostegno.

Ed è ver, che tu spiri, o mio tesoro!

Fra le tue braccia or le tue sventure adoro.

(che sopraggiunge in disparte)

Quai portenti rimiro in un raccolti!  

S'incida il nostro nome in bronzi, e in marmi.

Dèa, che sei nuda, e cieca, io non intendo  

della tua rota i giri.

Eufemia con Giustino,

Giustin con Vitaliano, e quando mai

unì fra lor sì gran nemici il fato?

L'orme sue seguirò,

più non vo' lagrimar, per chi è infedele.

Non merta in voto il cor beltà crudele.

E dove mi traete empi inumani?  

A te si deve

il toro d'Agrigento,

o di Scinni il tormento.

Il tuo fasto o fellon sparì qual lampo.

Olà tra ferrei ceppi

quel perfido s'annodi, e sia quell'empio

della plebe più vil misero scempio.

E tu cesare invitto  

verso d'un innocente

volgi meno sdegnoso il guardo altero.

Mi tradì l'altrui frode alto guerriero.

(inginocchiata)

Ecco sire al tuo piede

la tua fida consorte.

Non più, sorgi o mia diva.

Fu mio l'error, l'anima mia fu rea,

creder macchie nel sol non si dovea.

Signor, se vile intercessor non sono

concedi alto monarca

al fratel Vitaliano

Andronico al german pace, e perdono.

Tu di sangue sì illustre?

Ah, ch'alle imprese eccelse, all'alma invitta

tralucea la gran stirpe.

Sia destin ciò che brami, eleggo, e voglio

tra cesari Giustin compagno al soglio.

E per dar al tuo merto

della fede regal pegno maggiore

vo', ch d'Eufemia al seno

con catena immortal ti leghi amore.

Olà, dove s'innalza

anfiteatro altero, al novo Marte

si preparin gl'allori.

Or tu mia bella augusta

al sospirato sposo

porgi la bianca destra.

Non più truci tiranni  

per te nel cor avrò.

Dolci mi sian gl'affanni

s'alfin t'abbraccerò.

Non più truci tiranni

per te nel cor avrò.

Pur dopo tante pene

al sen ti stringerò,

teco l'ore serene

alfin io goderò.

Pur dopo tante pene

al sen ti stringerò.

Pur ci unisce il destino.

Anch'io sarò delle sue glorie a parte.

Sia d'Eufemia Giustino,

più non vo' sospirar per un sembiante,

non v'è pena maggior ch'esser amante.

Io che la Gloria sono, e alle grand'alme  

serbo premio immortale,

offro al crin di Giustin serto reale.

Sì, sì all'uno, e all'altro polo  

spieghi il vol l'occhiuta diva.

Con aura sonora

dia fiato alle trombe

la fama canora,

il cielo rimbombe

d'applauso giocondo;

da Giustino apprende il mondo,

ch'a virtù l'onor succede,

e della gloria è solo il merto erede.