Invitto duce.

Perché?

S'irritarmi non vuoi cangia consiglio.

E che rileva?

Argante: in petto

tu dai loco a timor?

Beffasi d'ogni rischio un'alma ardita.

Questo fora un vietarmi

della gloria la strada.

Già son risolta.

Costante il mio gl'auguri tuoi non cura.

Invan t'opponi.

Chi paventa s'arresti.

Che?

Il neghi, e di viltà moti son questi

O trista coppia: indarno

tu procuri fuggir.

(prende per un braccio Clorinda)

Quest'in sua vece

pagherà con la morte il tradimento.

(si scuote mettendo mano alla sabla)

Farò, ch'a te costi la vita.

(gli tira una stoccata)

Prima perdi la tua.

(cade ferita nel suolo)

Soccorso o dèi.

Sciogli la fronte: voglio

riconoscer costui.

(Cieli! Chi tanto ardì?)

(getta via la spada)

Clorinda? Ah tropp'è vero: io resto senza

e voce, e moto: ahi vista: ahi conoscenza.

Tancredi, io ti perdono

perdona a me pur anche; e ciò, che bramo

concedimi pietoso:

opra in forma, che l'alma

sempiterno del ciel goda il riposo.

Già da tue brame, o bella

ottennesti 'l lavacro: o potess'io

col rimaner estinto

qui renderti lo spirto.

Assai m'appago

di sì buon genio.

Eh tu non sai qual pena

finor per tua cagione

provai d'amor acceso.

Io compatisco

l'acerba doglia.

Eterni

in avvenir saranno

i pianti: i miei sospiri.

(si mette il panolino agl'occhi)

Porgi porgi la man prima, ch'io spiri.

Io vivo? io spiro? e l'odïosa luce  

rimiro ancor di questo infausto die?

Ah man timida, e lenta: or che non osi,

tu, che crudel sai del ferir ogn'arte:

tu ministra di morte empia, ed infame

di questa vita rea troncar lo stame.

(corre a pigliar la di lui spada per ammazzarsi)

Lascia, che nel mio seno

corra veloce il ferro: e tutto 'l sangue

beva d'un traditor.

Assai più della morte

chi mi vieta la morte è mio nemico.

E vuoi, ch'io resti

vivo fra miei tormenti? Ah se più vivo

qual forsennato errante

paventerò l'ombre solinghe: ogn'ora

temerò me medesmo: e da me stesso

sempre fuggendo avrò me sempre appresso.

Se neghi

la giusta pena a' miei delitti: almeno

concedimi pietoso,

che per momenti, io serbi

entro le proprie tende

la vista del mio nume:

adorerò del sol estinto il lume.

Deh mira,

come al bel viso intorno

piangono i mesti amori

o viso, o viso, che puoi far la morte

dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte.

Ah no: che deve

solo del caro peso

Tancredi esser sostegno.

(vuol prenderla in braccio)

Mi sia lecito dunque

scorger più da vicino

le divine sembianze, e soffre il guardo

di vagheggiar chi uccise?

O di par con la man luci spietate

essa le piaghe fe', voi le mirate.

(Che veggio!)

(Come Gofredo è qui, s'in questo punto

parto da lui con fretta?)

(Ma dove ita è la donna,

ch'in sembianza guerriera

appariva a mie luci?

(E detto avrei

che fosse stata Armida.)

(Certo è la maga infame.)

Iniqua, io ti conosco.

Che mio signor? tu sei

femmina trista, e rea:

la scellerata Armida,

quella, ch'assai peggior è di Medea.

E credi

sotto mentito aspetto

di rimaner occulta?

Dove n'andò? dove sparì? si rese  

invisibile agl'occhi: ah certo certo

questa è la maga indegna,

che per forza d'incanti

qualche gran danno al vago suo disegna.

(Che scorgo?)

(Argante?)

Tanta baldanza? teco

son pronto a riprovarmi:

che del lungo indugiar non fu cagione

tema, o viltà vedrai col paragone.

Su via t'attendo

o solo de' giganti,

e degl'eroi più forti

terribile omicida:

l'uccisor delle femmine ti sfida.

(glielo ricambia)

A questo tu fa' schermo.

Cedimi, già sei vinto.

Già che pietà ricusi

sperimenta 'l mio sdegno

spirami a' piedi, o saraceno indegno.

Grazie al ciel, che mi diede  

il bramato trofeo: ma lasso il fianco

per il lungo contrasto, e stanchi i lumi

per il continuo pianto

sparso sinor sovra Clorinda, ho d'uopo

d'alcun breve riposo:

m'adagerò sin tanto

che ritorni a svegliarmi il duol penoso.

(siede sopra il tronco d'un albero)

Dalla magion del riso  

dove giammai si vide

orme segnar il suolo: in bianca vesta

Tancredi a te ne vegno;

candida apportatrice

che de' beni immortali io godo il regno.

Tale i' son tua mercé: col darmi morte

mi desti eterna vita:

spero de' miei contenti

renderti a parte un giorno: intanto questo

all'acerbo tuo duol sollievo apporta,

che t'amerà Clorinda ancor che morta.

Che vidi? oh dio: ch'intesi?  

L'anima di Clorinda?

Mi favellava in sonno: e 'l dolce labbro

esprimeva così.

Questo basta al mio duol: se pur mi lice

tal fortuna goder io son felice.

Già di lieto coraggio il cor s'accende.

Ha reso a noi dell'orïente il trono.

(Ch'odo?)

Al pari di Rinaldo  

pien di giubilo ho il sen: morta Clorinda

qui mi comparve in sonno:

e cinta di splendore

m'assicurò d'un sempiterno amore.

O prodigio ben grande.