Atto primo

 

Scena prima

Giardino con palazzetto.
Ercole, Besso.

 Q 

Ercole, Besso

 

ERCOLE

Dall'oriente porge  

l'alba a i mortali il suo dorato lume,

e tra lascive piume

avvilito Giasone ancor non sorge?

Come potrà costui,

disanimato dai notturni amplessi,

animarsi a gl'assalti, alle battaglie?

Donne, co' i vostri vezzi

che non potete voi?

Fabbricate ne i crini

laberinti a gl'eroi;

solo una lacrimetta,

che da magiche stelle esca di fuore,

fassi un Egeo cruccioso,

che sommerge l'ardir, l'alma e 'l valore,

e 'l vento d'un sospiro,

esalato da labbri ingannatori,

da i campi della gloria

spiantò le palme e disseccò gl'allori.

 

BESSO

Sotto vario ascendente

nasce l'uomo mortale,

e perciò tra gl'umani

evvi il pazzo, il prudente,

il prodigo, l'avaro e 'l liberale:

ad altri il vin diletta,

un altro il gioco alletta,

altri brama la guerra, altri la pace,

altri è di Marte, altri d'Amor seguace.

Se ascendente amoroso

dominò di Giason l'alto natale,

qual colpa a lui s'ascrive

se in grembo a donna bella

a gran forza lo spinge

l'amoroso tenor della sua stella?

L'uom che viene alla luce

dalla superna sfera

seco ne porta un'alma forestiera:

questa, pellegrinando

per l'incognite vie del basso mondo,

nell'incerto oscurissimo cammino

non si può consigliar che col destino.

 

ERCOLE

Il saggio puote dominar le stelle.

BESSO

Sì, se la stella del saper gl'assiste.

ERCOLE

L'uso della ragion comune è a tutti.

BESSO

Ciascun d'oprar con la ragion presume.

ERCOLE

Chi segue il senso alla ragion diè bando.

BESSO

Il senso è la ragion di chi lo segue.

ERCOLE

Fu sempre il senso alla ragion nemico.

BESSO

Ma però vince chi di lor prevale.

ERCOLE

Arbitro in questa pugna è 'l voler nostro.

BESSO

Giason è bello, ha senza pel la guancia,

è bizzarro e robusto,

di donar non si stanca;

onde per possederlo

ogni dama le porte apre e spalanca.

Bellezza, gioventù, oro, occasione?

Come può contro tanti

fortissimi guerrieri

contrastar il voler, o la ragione?

No, no, no,

non a fé,

resister non si può,

credilo a me.

ERCOLE

Sei troppo effemminato.

BESSO

Di femmina son nato.

ERCOLE

Tu per femmina sei.

BESSO

Rispondete per me, o membri miei.

 
Si parte.

Besso ->

 

ERCOLE

Oh, come ben seconda  

l'adulator del suo signor gl'errori!

Ma su la porta dell'albergo indegno

pur riveder si lascia

il notturno guerriero,

carco di gioia e di cervel leggero.

 

Scena seconda

Giasone, Ercole.

<- Giasone

 

GIASONE

Delizie, contenti    

che l'alma beate,

fermate, fermate:

su questo mio core

deh più non stillate

le gioie d'amore.

Delizie mie care,

fermatevi qui:

non so più bramare,

mi basta così.

In grembo a gl'amori

fra dolci catene

morir mi conviene;

dolcezza omicida

a morte mi guida

in braccio al mio bene.

Dolcezze mie care

fermatevi qui:

non so più bramare,

mi basta così.

S

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ERCOLE

E così ti prepari  

alla pugna, Giasone?

Né temi a far passaggio

dall'amoroso al marziale agone?

GIASONE

Ercole, Amore è un dio

che a noi mortali ed a i divin sovrasta;

se tu sapessi, o dio, di quai tesori

m'arricchì l'alma adorata mia,

diresti che gl'amori

aprono il varco ch'alle glorie invia;

m'accoglie, mi vezzeggia

il mio terreno sole,

al mio venir festeggia

e lacrimosa al mio partir si duole;

quelle feste, quel pianto

son di questo mio cor soave incanto;

incanto che avvalora

di forze e di consiglio

l'anima sì, che l'affrontare un mostro

stima impresa giocosa, e non periglio.

ERCOLE

Ti si scoperse ancor questa tua diva?

GIASONE

Ancor non so chi sia,

basta ch'è tutta mia.

ERCOLE

Se ancor non la vedesti,

e amor per gl'occhi fere,

dimmi: che amor son questi?

Com'hai potuto amar senza vedere?

GIASONE

Pur troppo mi ferì tosto ch'io giunsi,

termina or l'anno appunto,

tra gl'orrori notturni a questi lidi,

pur troppo al balenar del ciel turbato

i luminosi rai

del suo bel volto in quella notte io vidi,

e in un baleno sol vidi ed amai.

ERCOLE

Né ricercasti mai

il nome suo da lei?

GIASONE

Di non chieder più oltre io le giurai.

ERCOLE

Così senza vedere

le toccate bellezze,

ti convien per godere

spender il tempo in brancolar fattezze?

GIASONE

Ercole, credi a me, non han bisogno

della luce gl'amanti

basta per ben gioire

riconoscer tra l'ombre il corpo amato,

e rassembra a chi gode

un vantaggioso patto

toccar con gl'occhi e rimirar col tatto.

ERCOLE

O Giasone, o Giasone,

o gran figlio d'Esone, alto nipote

a Pelia, al re che la Tessaglia affrena,

non ti bastava in Lenno

di Tosante la figlia, alta regina,

Isifile donzella,

di te gravida e madre

aver già resa di gemella prole,

se ancora in Colco, divenuto amante

di beltà non veduta,

non davi un nuovo segno

di troppo molle effeminato ingegno?

Quest'è il giorno prefisso, oggi tu dèi

affrontar, assalir gl'orridi mostri,

e, per rapire il custodito vello,

del munito castello

sbarrar le porte e penetrar i chiostri.

Dimmi come t'affidi,

snervato da i piaceri,

pensieroso di donna,

di poter adoprar l'armi e 'l coraggio?

Posa l'armi, Giason, vesti la gonna,

o per far da guerrier divien più saggio.

GIASONE

Ercole, da prudente

tu fai, né ti sovviene

che consigliar amanti è gran follia;

un genio innamorato

precipita incapace

a seguir ciò che piace

e adora la cagion di sua pazzia.

Se Isifile lasciai, tuo fu 'l consiglio;

all'or che amai da scherzo,

libera l'alma al consiglier s'apprese,

or che Amor del mio cor regge l'impero,

non son più mio, vivo d'Amor prigione;

chi presume alterare il mio pensiero

discorra con Amor, non con Giasone.

Nel temuto recinto

entrerò, pugnerò;

e, vincitor o vinto,

sempre Giason sarò;

ma dell'ignoto nume

sotto i benigni auspici

spero di riportar palme vittrici.

ERCOLE

Vane son le ragion: voglialo il cielo;

ma ti sovvenga, amico,

che se acquisto tu fai dell'aureo vello,

forz'è partire e dar le vele al vento,

acciò quanto acquistò saggio valore

non t'involi rapina o tradimento.

 

GIASONE

Dolor, ahi non m'uccidere;  

così l'alma dal seno,

oh dio, dovrò dividere?

Non so, non so per me se meglio sia

o la vittoria o la caduta mia.

Ercole, Giasone ->

 

Scena terza

Rosmina giardiniera.

<- Rosmina

 

 

Uomini in su quest'ora  

scappan fuor del giardino?

Quanto, quanto sospetto

che le dame di corte

non faccin di quest'orti un bordelletto.

Io vorrei non vedere;

né posso far di meno,

ch'al fin queste notizie

mi sveglian le malizie,

e sento amor che mi serpeggia in seno.

So ben quel ch'io farò,

vorrò gioir anch'io, o lo dirò.

 

Per saziar quest'appetito  

che nel sen mi sento già

un amante ed un marito

chi mi trova per pietà?

Tra queste fronde

nessun risponde?

Che crudeltà!

Ma se indarno altrui lo chiedo,

e che sì, e che sì, ch'io mi provedo.

Or ch'io so che cosa è gioia,

sarei pazza a star così;

troppo, troppo ohimè mi annoia

star soletta notte e dì.

Ogn'un adoro,

d'amor mi moro,

né so per chi:

voglio amanti e non consiglio,

e che sì, e che sì, ch'io me ne piglio.

Se ben nuovo è 'l mio desio,

so serbar costanza e fé;

vezzeggiar il vago mio

darà 'l core ancora a me.

Or chi m'accetta

per sua diletta

mi chiami a sé:

ma se vano è 'l mio disegno,

e che sì, e che sì, e che m'ingegno.

 
 

Scena quarta

Sala reale: Medea.

 Q 

Medea

 

MEDEA

Se dardo pungente  

d'un guardo lucente

il sen mi ferì,

se in gioia d'amore

si strugge il mio core

la notte ed il dì,

se un volto divino

quest'alma rubò,

se amar è destino,

resista chi può.

Se allor ch'io vi vidi,

begl'occhi omicidi,

io persi il vigor,

se v'amo e v'adoro,

s'io manco, s'io moro

per nobile ardor,

se Amor il mio bene

in ciel stabilì,

amar mi conviene,

è forza così.

O labbri vezzosi,

divini, amorosi,

mia vita, mio cor,

per voi l'alma mia

beata s'invia

in grembo a gl'amor;

mia bocca adorante

per vostra beltà

baciata o baciante

al polo se n' va.

 

 

Ma nella regia sala  

ecco Egeo l'importuno,

che pur mi segue, ed io l'aborro e scaccio;

partirò, fuggirò l'usato impaccio.

 

Scena quinta

Egeo, Medea.

<- Egeo

 

EGEO

Ferma, Medea, deh ferma  

le fuggitive piante,

senti, adorata mia, l'ultime voci

d'un disperato e moribondo amante.

MEDEA

Se per l'ultima volta

dovrò sentirti, Egeo,

o come volentier Medea t'ascolta.

EGEO

O dio, così consoli

un ch'adorasti già,

così l'alma m'involi,

mia tiranna beltà;

dimmi almen per pietà,

o bell'idolo mio,

in che t'offesi mai, che t'ho fatt'io.

MEDEA

Egeo, sei re, sei grande,

sei vezzoso, sei vago,

hai bellezze ammirande,

adorato, adorante

mi amasti, io pur t'amai,

fido, saldo e costante

mi chiamasti tuo bene,

per me ti vedo in pene,

né m'offendesti col pensier già mai:

tutt'è ver, tutt'è così,

ma se amor da me sparì,

s'io non posso amarti più,

che far poss'io, che ci faresti tu?

EGEO

Vedi se sei crudele:

t'avanzi alle risposte

per sottrarti a sentir le mie querele.

Orsù senti, mia vita

-che pur mia vita sei, bench'io sia morto-

già ch'alle mie speranze

prepara il tuo rigor pompa funebre,

già ch'all'Empireo de gl'affetti tuoi

non mi lice aspirar, servo aborrito,

già che di quella fede

ch'a me giurasti, o cruda,

altri più fortunato è fatto erede,

almen d'un infelice,

lacrimoso, languente,

bersaglio de' tuoi scherni,

che senz'ombra di colpa o di delitto

accoglie in sen moltiplicati inferni,

generosa concedi

alle suppliche pie grato rescritto.

MEDEA

Chiedi, ma con tal legge,

che non tenti d'amor l'affetto mio;

se vuoi chiedermi amore,

te 'l nego, non t'ascolto, io parto, a dio.

 

EGEO

Ch'io d'amor ti tenti, o vaga,  

teme in van tua ferità;

per sanar l'aspra mia piaga

non aspiro a tua beltà;

per sottrarmi a gl'influssi

di mia stella nemica incrudelita,

sol ti supplico, o bella,

che di tua mano a me tronchi la vita.

 

MEDEA

Vuoi ch'io ti uccida?  

EGEO

Sì.

MEDEA

Perché tu veda

che de gl'antichi amori

serbo nel seno ancor qualche scintilla,

eccomi pronta a consolarti a pieno.

Or qual morte t'aggrada?

Brami morir di ferro o di veleno?

EGEO

Con questo acuto stile

che prostrato a' tuoi piedi

e te presento baldanzoso, umile,

vieni, bella pietosa: aprimi 'l petto,

ch'io, di tua man svenato,

di morte ancora adorerò l'aspetto.

MEDEA

Sei pur ben risoluto?

EGEO

Il colpo attendo.

MEDEA

Guarda, non t'atterrire.

EGEO

Un re non teme.

MEDEA

Egeo, a te.

EGEO

E quando?

MEDEA

Ecco il ferro -

EGEO

Ecco il core -

MEDEA

- pronto a ferir.

EGEO

- pronto a morir.

MEDEA

E già la destra a l'inclemenza adatto;

Egeo ti sveno.

EGEO

Io moro.

MEDEA

Ah tu sei matto.

 
Medea getta il ferro in terra e parte.

Medea ->

 

EGEO

Si parte, mi deride?  

Si parte e non mi uccide?

Dove, dove fuggisti,

dove, lasso, sparisti, empia spergiura?

Così la data fé

di trafiggermi il cor, ahi, si trascura?

O promesse tradite,

o fera, o empia, o ria,

dammi le mie ferite,

dammi la morte mia.

Perfida, ancor non senti?

Ancor non torni? ed io

vivo, spiro e respiro

l'aure del mio tormento e del martiro?

Per fabbricarmi affanni,

stelle, che machinate?

Le teste coronate

pratican falsità, frodi ed inganni?

Sacrileghe ed infide

sin col serbarmi in vita,

le regine oggidì sono omicide?

E nelle regie mani, ahi fato, ahi sorte,

per me non fu sicura anco la morte.

O promesse tradite,

o fera, o empia, o ria,

dammi le mie ferite,

dammi la morte mia;

per terminar l'asprissimo cordoglio

morte mi promettesti, e morte io voglio;

morte sospiro e bramo,

e morte, morte ad alte grida io chiamo.

Egeo ->

 

Scena sesta

Oreste.

<- Oreste

 

Fiero l'amor l'alma tormenta,  

gran martir dà gelosia,

l'appetito mi spaventa

è la sete acerba e ria,

ma più duro e più pesante

è servir a donna amante.

Ben si scorge a ogni momento

cangiar forma in ciel la luna,

è legger la piuma e 'l vento,

sempre varia la fortuna,

ma più lieve e più incostante

è 'l cervel di donna amante.

 

 

Per Isifile bella  

a questa reggia esplorator me n' venni,

qui di Giason vorrei

aver ragguaglio e penetrar novella;

sospettoso è 'l paese,

e chi de' grandi ricercò gl'affari,

la vita arrischia a perigliose imprese;

son solo, e forestiero

mi palesa l'effigie e questo addobbo;

pria che servir a donne

vorrei divenir guercio e zoppo e gobbo.

 

Scena settima

Demo, Oreste.

<- Demo

 

DEMO

Son qui, che, che, che chiedi?  

ORESTE

In Colco io più non fui.

Alcun qui non conosco.

DEMO

Non mi risponde? Ah non m'inte- te- te-

ORESTE

A me?

DEMO

Te- te-

ORESTE

Te, te.

DEMO

Ah non m'intendi?

ORESTE

Oh dissonanze strane,

io mi credea che tu chiamassi un cane.

DEMO

Anzi tu me chiamasti.

ORESTE

Io te?

DEMO

Tu me.

ORESTE

E chi sei tu?

DEMO

No 'l vedi?

ORESTE

No 'l vedo a fé.

DEMO

Se ben mi guarderai

da roverso e da dritto,

su le mie spalle il nome mio sta scritto.

Or mi conosci tu?

ORESTE

Per gobbo io ti conosco.

DEMO

E gobbo io sono.

 

Son gobbo, son Demo,  

son bello, son bravo,

il mondo m'è schiavo,

del diavol non temo,

son vago, grazioso,

lascivo, amoroso;

s'io ballo, s'io canto,

s'io suono la lira,

ogni dama per me arde e so- so-

so- so- arde e so- so- so-

 

ORESTE

E sospira.

DEMO

So- so- so- so- so- so-

DEMO E ORESTE

Arde e sospira.

 

ORESTE

Linguaggio curioso.  

DEMO

Sei troppo, troppo, troppo frettoloso,

e se farai del mio parlar strapazzo,

la mia forte bravura

saprà spezzarti il ca-

ORESTE

Oibò.

DEMO

Il ca-po in queste mura.

ORESTE

Così si tratta un forastiero in Colco?

DEMO

Che fo- fo- forastiero?

Io dissi e dissi bene: a che si bada?

Ti sfido, metti man per quella spada.

ORESTE

Un buffone è costui. T'acquieta, amico,

e non voler in corte...

DEMO

Che amico, che corte?

Metti mano, dich'io;

or ch'io sono in furore

vo' duellar, e vo' cavarti il core.

ORESTE

Perdon ti chieggio, o caro,

la vittoria ti cedo,

mi ti dono per vinto

e, se troppo parlai, fu mia sciagura.

DEMO

Quel che fa la bravura...

ORESTE

Pietà, signor, pietà.

DEMO

Perché tu veda

che, quanto forte, generoso io sono,

va', va', ch'io ti perdono.

ORESTE

Atto da grande.

DEMO

Grande? Se mi vedessi

con l'inimico a fronte

pormi in guardia guerriera,

buttar foco dagl'occhi,

inferocir la cera,

e col brando e con l'asta

vibrar stoccate e fulminar roversi,

vedresti alzarmi a i piedi

di morti e di feriti una ca- tasta,

e da' miei colpi fieri,

che snervano, dispolpano e disossano,

verresti a confessare

che Marte è mio umilissimo scolare.

ORESTE

Così cred'io, ma il ferro omai riponi.

DEMO

Ecco il ripongo e ti dichiaro amico.

ORESTE

Or dimmi in cortesia,

conosci tu per sorte...

DEMO

Ohimè.

ORESTE

Che hai?

DEMO

Sento ch'il mio furore

non è sfogato a pieno:

lassati dar una ferita almeno.

ORESTE

Tu manchi di parola?

DEMO

Lassati dare una stoccata sola.

ORESTE

Quest'è un tentarmi.

DEMO

Ah ferma,

sento il sangue acquietato;

parla, ch'io son placato.

ORESTE

Lodato il ciel. Conosci tu Giasone?

DEMO

Che pretendi da da,

daranda, darandà, danda, da lui?

ORESTE

Bramo saper se si ritrova in Colco.

DEMO

Chi ti manda?

ORESTE

Il mio zelo a me fu sprone.

DEMO

Vuoi ch'io ti dica?

ORESTE

Di'.

DEMO

T'ho per spione.

ORESTE

Quest'è troppo, tu menti.

DEMO

Puh, uh tanto furore?

ORESTE

Fuori ti rivedrò.

DEMO

Fermati, senti.

ORESTE

Che vorrai dir?

DEMO

Troppo iracondo sei.

Parlai scherzando e perdonarmi déi.

Insieme

ORESTE

Troppo indiscreto sei.

Parlai sul saldo e tu pentirti déi.

 

DEMO

Mi pento.

ORESTE

Ti perdono.

DEMO

E di Giasone,

giuro na- na- na-

ORESTE

Na- na- na- na- na-

DEMO

Giuro narrar a te gl'avvisi interi.

Io di qua parto, e tu per altra via,

e t'aspetto a far pace all'o- all'o-

lo- lo- lo- lo- lo- lo-

ed aspetto a far pace all'o- all'o-

lo- lo- all'o- all'o-

ORESTE

Ohimè, non più, t'ho inteso,

verrò, va' pur, va' via.

(Demo si parte)

Demo ->

 

Vo' seguitar costui,

che, semplice e atterrito

dalla mia bizzarria,

il tutto mi dirà.

DEMO

(torna)

All'ostaria.

<- Demo

Demo, Oreste ->

 

Scena ottava

Delfa.

<- Delfa

 

Voli il tempo se sa,  

rotin gli anni fugaci al corso loro,

mi rubi pur l'età

i fior dal volto e dalle chiome l'oro,

se n' vada a tramontar

la mia bellezza in mar d'eterno oblio,

ma ch'io lassi d'amar

no 'l farò, non a fé,

non a fé, no 'l farò, non io, non io.

L'amor in gioventù

è un prurito nascente e non ha possa,

ma da i quaranta in giù

nel cor s'incarna e penetrò nell'ossa;

potrà scemarmi ogn'or

il tempo avaro, la fierezza e 'l brio,

ma ch'io rineghi amor,

dica pur chi vuol dir,

chi vuol dir, dica pur, non io, non io.

 

 

Ma nelle regie stanze  

già comparve Giason. Volo a Medea;

vieni, vieni signora,

vieni figlia diletta:

qui parlar le potrai, il passo affretta.

 

Scena nona

Medea, Delfa.

<- Medea

 

MEDEA

O dio, Giason arriva e a me s'invia:  

mio core, a che t'appigli?

Ah non cangiar disegno:

tra i femminil consigli

l'improvviso è 'l più degno.

Delfa, tu qui mi lassa,

né permetter ch'alcun m'osservi o ascolti.

DELFA

Obedisco: tu scaltra,

per conseguir il sospirato frutto,

parla a tempo, opra assai, concludi il tutto.

Delfa ->

 

Scena decima

Giasone, Medea.

<- Giasone

 

GIASONE

Regina, in questo giorno  

giurai passar nel mostruoso arringo,

e per uscir, o glorioso o morto,

all'impresa fatal pronto mi accingo;

a te, nume di Colco,

maestosa Medea,

raccomando me stesso.

MEDEA

A me?

GIASONE

A te?

MEDEA

Non ti conosco.

GIASONE

In Colco

un anno dimorai,

devoto t'inchinai,

mi vedesti, ti vidi,

ora un tuo servo umil così deridi?

 

MEDEA

Del mio reale ospizio  

le violate mura,

di nobile donzella

il seppellito onore,

della perfidia tua vanti e trofei,

fan che la regia mente

d'averti conosciuto or si vergogna.

Son questi di Tessaglia i semidei?

Dimmi, donde ne vieni?

Nella notte trascorsa ove giacesti?

Nell'albergo vicino

al mio real giardino,

qual idolo adorasti?

Qual onor già rapisti?

Quai figli generasti?

Dimmi, perfido, di',

i reali origlieri

si rispettan così?

Tu guerriero?

Cavaliero?

Non è vero.

Ah che s'io non punissi,

or ch'il fallo è palese,

così sfrontato ardire,

sotto questo mio tetto,

verresti ancora un giorno

e al mio vergineo letto

tenteresti apportar vergogna e scorno:

questi delitti tuoi,

empio, negar non puoi;

vivono in mio poter l'offesa donna

e la ministra del comun diletto.

Io possiedo i gemelli

che di te partorì la sventurata

che, incolpandosi madre

d'illegittima prole,

t'accuserà, ti dannerà per padre.

Dimmi, perfido, di',

i reali origlieri

si rispettan così?

Tu guerriero?

Cavaliero?

Non è vero.

 

GIASONE

Medea.  

MEDEA

Che vorrai dir?

GIASONE

Ascolta.

MEDEA

Taci,

a morir ti disponi

o, quant'io parlerò, legge ti fia:

voglio che in questo loco ed in quest'ora

la goduta bellezza

tu dichiari tua sposa. Or mi rispondi.

GIASONE

Sì tosto?

MEDEA

E senza dubbio

pria che tu parta a duellar co' i mostri;

perché, restando tu di vita sciolto,

teco l'onor di lei saria sepolto.

GIASONE

È nobile la dama?

MEDEA

Eguale a te.

GIASONE

Io son figlio di re.

MEDEA

Eguale a te.

GIASONE

È bella?

MEDEA

Non lo sai?

GIASONE

Io non la vidi mai.

MEDEA

È bella, o per lo men bella si stima,

e se non è, dovei pensarci prima:

tu qui m'attendi, io con la sposa torno.

Medea ->

 

Scena undicesima

Giasone solo.

 

 

I miei secreti amori  

son palesi a costei? Ah troppo è vero

che abbondan per le corti ingegni esperti

che vivon di referti;

ma pur mi sortirà

veder quella beltà che m'innamora.

Occhi, non v'abbagliate,

soffrite i raggi suoi,

tosto vedrete il sol vicino a voi.

Ma già torna Medea, Delfa la segue.

 

Scena dodicesima

Medea, Giasone, Delfa.

<- Medea, Delfa

 

MEDEA

Giasone, è qui la sposa, è qui colei  

che teco a stabilir lieta se n' viene

i promessi imenei.

Mira come festosa

tutta, tutta d'amor arde e sfavilla

la tua donna amorosa.

Tu ridi? ancor tu ridi? ancor indugi,

ingrato mancatore,

a dar fé di marito

a chi ti diede il suo virgineo fiore?

Ingrato traditore!

GIASONE

Regina, intendo, intendo

leggiadro scherzo a fé; fa' ciò che vuoi,

che son favori miei li scherzi tuoi.

MEDEA

Che scherzi? che favori?

GIASONE

Frena questi rigori; io ben tra l'ombre

nei giardini d'Amor colsi le rose,

ma al tatto ed all'odore

le riconobbi intatte e rugiadose.

Queste, che a me presenti,

rose sì strapazzate e sì cadenti,

nate fra l'anticaglie e le rovine,

non son quelle, o Medea,

né io son uso a idolatrar Gabrine.

Delfa, di' tu che sai

qual sia stata fra noi

la modestia comune,

di' se d'amore io ti richiesi mai.

DELFA

Son svanite per me queste fortune!

MEDEA

Eh dio, ne gl'occhi miei

fissa gli sguardi tuoi,

fissati in questo volto,

e scorgerai colei

che nel seno real ti tiene accolto.

Giason, anima mia, quella donzella,

che languente d'amore

a te fra l'ombre accomunò le piume,

che di prole gemella

genitrice divenne,

quella che alla tua fé fidò l'onore,

quella che allor chiamasti

tua deità, tuo core,

quella a cui tu giurasti

tra i secreti diletti

eternità d'affetti,

Giasone, anima, speme, idolo mio,

la tua moglie, il tuo ben, quella son io.

GIASONE

O di grazie adorate

notizie sospirate!

Pur vi miro e conosco,

già sepolti stupori,

pur vi miro e v'ammiro,

miei svelati tesori, o luci, o luci

-sì, sì, voi siete quelle

serenissime stelle-

io ben vi raffiguro

a quei splendor sì vivi

con cui tra l'ombre ancor tu mi ferivi.

O mia bella, o Medea,

mie delizie, mia sposa,

mia regina, mia dèa,

ebro di gioie tante

immortalato amante,

consacro al tuo gran nume,

pronto per obedirti,

la fé, la destra, il cor, l'alma e gli spirti.

 

MEDEA

O mio core.  

GIASONE

O mio amore.

MEDEA

Ardi tu?

GIASONE

S'io ardo, o dio?

MEDEA E GIASONE

Ardi pur, o mio ben, che ardo anch'io.

MEDEA

Gioie più fortunate -

GIASONE

Delizie più bramate -

MEDEA

- non han di queste mie li dèi lassù.

GIASONE

- non più dolcezze, Amor, non più, non più.

Giasone, Medea ->

 

Scena tredicesima

Delfa sola.

 

Godi, godi,  

bella coppia,

che 'l diletto

tra quei nodi

si raddoppia.

Leggiadra usanza e nuova,

per ritrovar marito

le fanciulle oggidì si danno a prova;

economia graziosa,

politici consigli,

prima che far da sposa

san far da madre ed allevar i figli.

Troppo soavi i gusti

Amor promette e dà,

in termin troppo angusti

di donzella l'onor racchiuso sta.

Speri del mar spumante

raccoglier l'onde in sen,

chi vuol tener a fren

femmina amante.

Se già febre d'amor

le fibre m'infettò,

un leggiadro amator

mi strinsi al seno ed ogni mal sanò.

Così non feci ingiuria

alla mia castità,

errai per sanità,

non per lussuria.

 

Delfa ->

 

Scena quattordicesima

Campagna con capanne su la foce d'Ibero.
Isifile vien sognando.

 Q 

<- Isifile

 

Ferma, ferma, crudele,  

ritorna indietro, infido,

approdate a quel lido,

o fuggitive vele,

quel che con voi portate

è il mio cor, la mia vita, il mio desio,

è Giason il mio ben, lo sposo mio.

Fermate, dico. O dio,

che vaneggio? a chi parlo, ove mi trovo?

Son pur queste le spiagge

su la foce d'Ibero,

è pur questo il sentiero

che mi condusse al pagliereccio albergo

della vecchia Gimena,

che me pietosa e i figli miei raccolse?

Sì, sì, stanca dal duolo -or mi sovviene-

poc'anzi entro 'l tugurio

mi diedi al sonno in preda, e qua sospinta

dalla perfidia de i sognati influssi,

atterrita, anelante,

in braccio alle fantasme io mi condussi.

Isifile infelice,

del bel trono di Lenno

esule sventurata,

regina senza regno,

d'illegittima prole

madre prima che sposa,

sposa solo di nome,

moglie senza marito,

martire di fortuna,

sconsolata vagante,

priva d'ogni ristoro,

serva, seguace e amante

di quel Giason, ch'a mio dispetto adoro:

o dio, ecco i pensieri

che scompiglion la mente,

tiranneggian li spirti,

martirizzano i sensi,

alteran le potenze,

aggirano i discorsi,

e in un caos profondo

confondon gl'elementi

di questo regio innamorato mondo.

Non può tardar il mio fedele Oreste

a ritornar di Colco

per darmi, o dio, del mio tiranno amato

o funesti rapporti o avviso grato.

S'ei non torna, mi moro;

s'ei torna, ohimè, s'inorridisce il core,

che d'infauste novelle

lo teme apportatore.

 

Così ad un tempo istesso  

voglio, non voglio,

bramo, pavento,

e sempre accoglio

maggior tormento,

pena più ria;

e sol intendo al fine

ch'è l'istesso martir l'anima mia.

 

Isifile ->

 

Scena quindicesima

Stanza degli incanti di Medea.
Medea, Coro di Spiriti, Volano.

 Q 

Medea

 

MEDEA

Dell'antro magico    

stridenti cardini,

il varco apritemi,

e fra le tenebre

del negro ospizio

lassate me.

Su l'ara orribile

del lago stigio

i fochi splendino,

e su ne mandino

fumi che turbino

la luce al sol.

S

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Brano musicale ()

 

MEDEA

Dall'abbruciate glebe  

gran monarca dell'ombre intento ascoltami,

e se i dardi d'Amor già mai ti punsero,

adempi, o re dei sotterranei popoli,

l'amoroso desio che 'l cor mi stimola,

e tutto Averno alla bell'opra uniscasi:

i mostri formidabili,

del bel vello di Frisso

sentinelle feroci infaticabili,

per potenza d'abisso

si rendono a Giasone oggi domabili.

 

Dall'arsa Dite  

quante portate

serpi alla fronte,

furie, venite,

e di Pluto gli imperii a me svelate.

Già questa verga io scoto,

già percoto

il suol col piè;

orridi

demoni,

spiriti

d'Erebo,

volate a me.

Così indarno vi chiamo?

Quai strepiti,

quai sibili

non lascian penetrar nel cieco baratro

le mie voci terribili?

Dalla sabbia

di Cocito

tutta rabbia

qua v'invito,

al mio soglio

qua vi voglio.

A che si tarda più?

Numi tartarei, su, su, su, su.

 

<- spiriti, Volano

CORO

Le mura si squarcino,

le pietre si spezzino,

le moli si franghino,

vacillino, cadano,

e tosto si penetri

ove Medea si sta.

VOLANO

Del gran duce tartareo

le tue preci, o Medea, gl'arbitrii legano,

e i numi inferni a i cenni tuoi si piegano;

Pluto le tue voci udì;

in questo cerchio d'or

si racchiude valor

che di Giasone il cor

armerà questo dì.

MEDEA

Sì, sì, sì,

vincerà

il mio re,

a suo pro

deità

di la giù

pugnerà;

sì, sì, sì,

vincerà,

vincerà.

 

Medea, Volano ->

Segue ballo di Spiriti.
 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Giardino con palazzetto.

Ercole, Besso
 

Dall'oriente porge

Ercole
Besso ->

Oh, come ben seconda

Ercole
<- Giasone

E così ti prepari

Ercole, Giasone ->
<- Rosmina

Uomini in su quest'ora

Sala reale.

Medea
 

Ma nella regia sala

Medea
<- Egeo

Ferma, Medea, deh ferma

Vuoi ch'io ti uccida?

Egeo
Medea ->

Si parte, mi deride?

Egeo ->
<- Oreste

Per Isifile bella

Oreste
<- Demo

Son qui, che, che, che chiedi?

Linguaggio curioso

Oreste
Demo ->

Oreste
<- Demo

Demo, Oreste ->
<- Delfa

Ma nelle regie stanze

Delfa
<- Medea

O dio, Giason arriva e a me s'invia

Medea
Delfa ->
Medea
<- Giasone

Regina, in questo giorno

Medea / Che vorrai dir?

Giasone
Medea ->

I miei secreti amori

Giasone
<- Medea, Delfa

Giasone, è qui la sposa, è qui colei

Delfa
Giasone, Medea ->
Delfa ->

Campagna con capanne su la foce d'Ibero.

<- Isifile

(Isifile vien sognando)

Ferma, ferma, crudele

Isifile ->

Stanza degli incanti di Medea.

Medea
 

Dell'abbruciate glebe

Medea, Coro di Spiriti e Volano
Dall'arsa Dite
Medea
<- spiriti, Volano
 
spiriti
Medea, Volano ->

(ballo di spiriti)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima
Marina con veduta dell'isola di Colco. Giardino con palazzetto. Sala reale. Campagna con capanne su la foce d'Ibero. Stanza degli incanti di Medea. Campagna con capanne. Recinto del castello del vello d'oro. Grotte d'Eolo. Porto di mare diroccato; fortunale. Bosco fiorito. Notte; campagna con capanne. Valle d'Orseno. Palazzo disabitato con rovine.
Prologo Atto secondo Atto terzo

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