IL GIASONE
Dramma per musica.
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Libretto di Giacinto Andrea CICOGNINI.
Musica di Francesco CAVALLI.
Prima esecuzione: 5 gennaio 1649, Venezia.
Interlocutori:
GIASONE duce de gl'argonauti |
contralto |
ERCOLE uno de gl'argonauti |
basso |
BESSO capitano della guardia di Giasone |
basso |
ISIFILE regina di Lenno |
soprano |
ORESTE confidente di Isifile |
basso |
ALINDA dama |
soprano |
MEDEA regina di Colco |
soprano |
DELFA nutrice |
contralto |
ROSMINA giardiniera |
soprano |
EGEO re d'Atene |
tenore |
DEMO servo |
tenore |
SOLE |
soprano |
AMORE |
soprano |
GIOVE |
basso |
EOLO |
contralto |
ZEFFIRO |
soprano |
VOLANO spirito |
tenore |
Coro di Venti e Spiriti.
Dèi, Argonauti, Soldati, Marinai.
La favola si rappresenta parte nell'isola di Colco e parte nelle campagne d'Ibero.
Illustriss. e reverendiss. signor
Mio sig. e patron colendiss.
Del mio Giasone, che ora se ne viene alla luce delle stampe, non presento a v. s. illustriss. se non la sola stampa, poi che ella non si degnò di riceverlo sotto la sua clementissima padronanza sin quando alli mesi passati io lo consacrai alla sua grandezza caratterizzato con la penna. Io, che a ragione temevo, anzi prevedevo i suoi precipizi, lo collocai sopra la base della protezione di v. s. il. e consegnai la caducità de' miei versi all'immortalità del suo nome. Comparirà in breve su le scene, e s'egli nacque sotto l'ascendente benigno di così felice predominio, ben devo io sperare, che favoreggiato da stella sì propizia, egli sia per sortire quelle fortune, alle quali per sé stesso non poteva, se non temerariamente, aspirare, e senza più a v. s. illustriss. umiliss. m'inchino.
Di Venezia li 5 gennaio 1648.
Di v. s. illustriss. e reverendiss.
umiliss. devotiss.
ed in eterno obligatiss. servo
Giacinto Andrea Cicognini
Sonetto
Ecco lieto acquistar l'aurato pondo,
Giasone di colui, di gloria degno,
del cui felice, e singolar ingegno
canta la fama, eterne lodi al mondo.
Ben può gettar gli alteri marmi al fondo
di Saturno crudel l'invido sdegno;
ma non già trarti di virtù dal segno
che tergè, di Giacinto il stil facondo.
Va' pur dunque Giason, vanne fastoso
(e getta del timor squarciato il velo)
a immortalar il nome tuo famoso.
Che mentre viverò d'ardente zelo
illustrerò l'ardir tuo generoso
sì, che eccelso fra noi t'ammiri il cielo.
Bort. Castore
Applauso poetico
Al molt'illustre ed eccellentiss. sig. Giacinto Andrea Cicognini nella composizion del suo Giasone.
Ode
Di Aurelio Aureli ac. inf.
Qual dolce suon possente
di concavo metal in Adria s'ode
formar d'occhi di gloria, e d'alto merto?
Qual di veneta gente
incognita allegrezza ogn'uno gode
far l'interno piacer palese, e aperto:
anco il mare che sente
animarsi le grotte al grave suono.
S'arretra e lascia il corso in abbandono.
Ma la cagione è nota,
tua virtù, Cicognin, s'è della fama
fatta materia ella sonora tromba,
pendea dal fianco immota.
Quando agli onori tuoi dovuta brama
gli diè fiato, onde tutta Adria rimbomba,
e dall'ozio remota
vien ogni mente, e s'ode al nome solo
di te la fama essersi data al volo.
Non altrove aver prese
e le candide piume, e i dolci fiati
per animar la tromba, e impennar l'ali
suonando, fa palese
ai neghittosi spirti, e raffreddati,
che da sublimi tuoi merti immortali,
di gloriose imprese
onusto ti divulga, e a tua virtute
spande d'eternità palme dovute.
Di Pindo, e d'Elicona
ove in metro soave il dir si volge
l'abitatrici a te cedono il pregio,
e l'aureal corona
le degne tempie intorno a te rivolge
Polinia, la più vaga a darti il fregio.
Dopo il premio risuona
in Hipocrene delle muse il canto
e delle glorie tue s'ascolta il vanto.
Di Cinto il biondo dio
castigator di temerario ardire
contro Marsia sfogo giusto lo sdegno
ma quando poscia udio
decantar tua virtù, deposte l'ire,
venne in Parnaso, e de' tuoi merti in segno
(così cantava Clio)
non mai più rivolar volea su l'etra
s'a te pria non cedea l'aurata cetra.
Altri della virtude
periglioso il sentier, aspro, e scosceso
rimira ogn'or con perturbati lumi.
O sol con voglie ignude
d'esser pensando all'erte cime asceso
fia ch'altri invano il tempo suo consumi,
labirinto non chiude
smarrito il tuo valor, né sia ch'ei cada,
che a te ogni asprezza è lastricata strada.
Col suon trasse Anfione
al cielo ad erger le tebane mura
riverenti a sé stesso e pietre, e marmi,
ma ben sì a ragione
stupido ognun ne' grandi onor te giura
assai poter più d'Anfion ne' carmi,
poiché s'avvien che suone
tua lira se non volge i sassi al moto
stava per gloria tua su l'uomo immoto.
Faticò Ulisse, e Alcide,
curvossi Atlante al sostenuto incarco.
E per aver l'aurato vello in Friso
in perigliose sfide
sudò Giason pria che giungesse al varco
e lor memorie il tempo hanno conquiso.
Stentar ognun si vide
sol per gloria mercar ma tu maggiore
formi giasoni eterni in picciol'ore.
Ma dall'aurea bucina
già della fama gli echi ribattuti
suonano omai della partenza il moto,
già per l'orbe destina
spandendo tua virtù darti tributi.
Che offrire a merti tuoi devonsi in voto
partendosi te inchina
all'Etra vola: e i pregi tuoi divini
stupidi ascolteranno anco i destini.
Argomento
Giasone, figlio d'Esone, fratello di Pelia re di Tessaglia, fu dal medesimo Pelia mandato a Colco all'acquisto del vello d'oro, che da Frisso era stato consacrato a Giove in quell'isola.
Imbarcò su la nave di Argo con Ercole ed altri cavalieri, che poi furono detti argonauti.
Passò per l'isola di Lenno, ed ivi godé Isifile regina di quell'isola con promessa di sposarla, ma per consiglio d'Ercole la lassò gravida e se n'andò a Colco.
Isifile partorì due gemelli, Toante ed Euneo, dopo che gl'era convenuto fuggirsene di Lenno per aver salvato il vecchio Toante suo padre dalla comune uccisione di tutti gl'uomini di quell'isola, decretata dalle donne per desiderio di regnare; e in povero stato se ne andava pellegrinando, e giunse al fine nelle campagne su la foce d'Ibero, dove stava allattando i figli suoi e di Giasone.
Giasone, sendo arrivato a Colco, fu veduto da Medea regina di quell'isola la quale di lui ardentemente s'innamorò e, renunziando agl'affetti passati fra lei ed Egeo re d'Atene, trovò modo d'esser goduta da Giasone, senza che esso sapesse con qual dama si giaceva.
Restò gravida e partorì a suo tempo due gemelli, Filomelo e Pluto. Giasone, distratto dal nuovo amore verso la dama a lui incognita, dimorò in Colco un anno intiero, senza tentar l'impresa per la quale s'era in quell'isola trasferito, ma al fine, stimolato da gl'argonauti ed in specie da Ercole, diede il giuramento di farlo per un giorno determinato.
Isifile intanto, avendo inteso che Giasone si ritrovava nell'isola di Colco, poche miglia distante della foce d'Ibero, ove essa dimorava, mandò Oreste suo confidente per accertarsene ed intendere le sue azioni.
Sendo venuto il giorno nel quale Giasone doveva tentar l'acquisto del vello, volse la notte antecedente ritrovarsi con la dama da lui sino a quel tempo non conosciuta, ed Ercole, attendendo su lo spuntar dell'alba ch'egli, lasciati i piaceri amorosi, s'accingesse a quell'impresa, dà principio all'opera.
L'autore ai lettori e spettatori del dramma
Io compongo per mero capriccio; il mio capriccio non ha altra fine che dilettare. L'apportare diletto appresso di me non è altro che l'incontrare il genio e il gusto di chi ascolta o legge. Se ciò mi sarà sortito con la lettura o recita del mio Giasone, averò conseguito il mio intento. Se non mi sarà sortito, io averò gettato via molti giorni in comporlo e voi poche ore in leggerlo o ascoltarlo: sì che il danno maggiore sarà stato il mio. Non resterò per questo di ricordarvi che l'uso o per meglio dire abuso de i nomi idolo, dèa, deità, fato, destino e simili, son mere invenzioni poetiche. Vivete felici.
Marina con veduta dell'isola di Colco.
Sole, Amore.
SOLE
Quest'è il giorno prefisso
alle grandezze mie:
oggi il tessalo eroe, Giasone il forte,
il vello rapirà d'Elle e di Frisso;
oggi della bellissima Medea,
di mia divinità chiara nipote,
sarà quel trionfante,
sarà quel glorioso,
non più furtivo amante,
ma fortunato sposo.
Dunque sul carro mio
del più terso splendore i raggi splendino,
e la terrena mole
a illuminar, a immortalar discendino.
Crescete pur, crescete
su quest'ardenti rote,
lucidissimi abissi;
tutta in Colco vibrate
la gran lampa febea,
e le nozze illustrate
di regia semidea.
AMORE
Affrena pur, affrena
questi fulgor nascenti,
arcier lucido e biondo;
troppo in van t'affatichi
ad arricchir di nuovo lume il mondo.
SOLE
Anzi tutto vorrei
oggi poter dai cardini celesti
alla reggia di Colco
il regno trasportar de' sommi dèi,
per onorar di mia real nipote
gl'altissimi imenei.
AMORE
Imenei senza me
si stabiliro in terra?
Qual è, qual è quel dio
così stolto e sfacciato
ch'al gran nume d'Amor vuol muover guerra?
SOLE
Il Fato, Amore, il Fato
così felice nodo,
così gradito ardore
ne i volumi immortali ha registrato;
soffrir convien per questa volta, Amore.
AMORE
E tu come intendesti
quegl'arcani celesti?
SOLE
L'istesso Fato a me 'l permise, e volse
che nell'eterne istorie
di mia progenie eccelsa
leggesse il guardo mio l'auguste glorie.
AMORE
E che leggesti al fine?
SOLE
Odi e stupisci:
«Dell'amato regnante
sarà moglie Medea
adorata, adorante,
e in orrida tenzone
dopo fatiche gloriose e belle
il guerriero Giasone
il dorso acquisterà di Frisso e d'Elle.»
AMORE
Segui.
SOLE
Termina qui l'alta sentenza.
AMORE
Assai vi manca.
SOLE
E che?
AMORE
La mia licenza.
SOLE
Fate largo ad Amore,
che de i fatal decreti
è fatto il correttore.
AMORE
Scriva ciò che gl'aggrada
l'inesorabil nume
ne i sempiterni annali,
che poi vedrassi al fin se meglio tempri
la penna il Fato, o pur Amor li strali.
Nella reggia di Lenno
io con uno di questi, il più pungente
che dall'arco divino uscisse fuori,
d'Isifile e Giasone
l'anime penetrai, trafissi i cori;
questa, questa è la coppia
saettata da me:
d'Isifile Giason sarà 'l marito,
s'io son, qual fui, dell'universo il re.
SOLE
Non può 'l Fato giammai restar bugiardo.
AMORE
Né schernito sarà questo mio dardo.
SOLE
Fanciullo, tu deliri.
AMORE
Apollo, in van t'aggiri.
SOLE
Chi col destin combatte -
AMORE
Chi con Amor contrasta -
SOLE
- caderà.
AMORE
- perirà.
SOLE
Cedi, cedi, non pugnar.
AMORE
Voglio, voglio trionfar.
SOLE
Non vincerai, no, no.
AMORE
Io vincerò, sì, sì.
SOLE
E che no?
AMORE
E che sì?
SOLE
Io scorro il ciel, tu le tue forze adopra.
AMORE
Io scendo a terra e mi preparo all'opra.
Giardino con palazzetto.
Ercole, Besso.
ERCOLE
Dall'oriente porge
l'alba a i mortali il suo dorato lume,
e tra lascive piume
avvilito Giasone ancor non sorge?
Come potrà costui,
disanimato dai notturni amplessi,
animarsi a gl'assalti, alle battaglie?
Donne, co' i vostri vezzi
che non potete voi?
Fabbricate ne i crini
laberinti a gl'eroi;
solo una lacrimetta,
che da magiche stelle esca di fuore,
fassi un Egeo cruccioso,
che sommerge l'ardir, l'alma e 'l valore,
e 'l vento d'un sospiro,
esalato da labbri ingannatori,
da i campi della gloria
spiantò le palme e disseccò gl'allori.
BESSO
Sotto vario ascendente
nasce l'uomo mortale,
e perciò tra gl'umani
evvi il pazzo, il prudente,
il prodigo, l'avaro e 'l liberale:
ad altri il vin diletta,
un altro il gioco alletta,
altri brama la guerra, altri la pace,
altri è di Marte, altri d'Amor seguace.
Se ascendente amoroso
dominò di Giason l'alto natale,
qual colpa a lui s'ascrive
se in grembo a donna bella
a gran forza lo spinge
l'amoroso tenor della sua stella?
L'uom che viene alla luce
dalla superna sfera
seco ne porta un'alma forestiera:
questa, pellegrinando
per l'incognite vie del basso mondo,
nell'incerto oscurissimo cammino
non si può consigliar che col destino.
ERCOLE
Il saggio puote dominar le stelle.
BESSO
Sì, se la stella del saper gl'assiste.
ERCOLE
L'uso della ragion comune è a tutti.
BESSO
Ciascun d'oprar con la ragion presume.
ERCOLE
Chi segue il senso alla ragion diè bando.
BESSO
Il senso è la ragion di chi lo segue.
ERCOLE
Fu sempre il senso alla ragion nemico.
BESSO
Ma però vince chi di lor prevale.
ERCOLE
Arbitro in questa pugna è 'l voler nostro.
BESSO
Giason è bello, ha senza pel la guancia,
è bizzarro e robusto,
di donar non si stanca;
onde per possederlo
ogni dama le porte apre e spalanca.
Bellezza, gioventù, oro, occasione?
Come può contro tanti
fortissimi guerrieri
contrastar il voler, o la ragione?
No, no, no,
non a fé,
resister non si può,
credilo a me.
ERCOLE
Sei troppo effemminato.
BESSO
Di femmina son nato.
ERCOLE
Tu per femmina sei.
BESSO
Rispondete per me, o membri miei.
Si parte.
ERCOLE
Oh, come ben seconda
l'adulator del suo signor gl'errori!
Ma su la porta dell'albergo indegno
pur riveder si lascia
il notturno guerriero,
carco di gioia e di cervel leggero.
Giasone, Ercole.
GIASONE
Delizie, contenti
che l'alma beate,
fermate, fermate:
su questo mio core
deh più non stillate
le gioie d'amore.
Delizie mie care,
fermatevi qui:
non so più bramare,
mi basta così.
In grembo a gl'amori
fra dolci catene
morir mi conviene;
dolcezza omicida
a morte mi guida
in braccio al mio bene.
Dolcezze mie care
fermatevi qui:
non so più bramare,
mi basta così.
ERCOLE
E così ti prepari
alla pugna, Giasone?
Né temi a far passaggio
dall'amoroso al marziale agone?
GIASONE
Ercole, Amore è un dio
che a noi mortali ed a i divin sovrasta;
se tu sapessi, o dio, di quai tesori
m'arricchì l'alma adorata mia,
diresti che gl'amori
aprono il varco ch'alle glorie invia;
m'accoglie, mi vezzeggia
il mio terreno sole,
al mio venir festeggia
e lacrimosa al mio partir si duole;
quelle feste, quel pianto
son di questo mio cor soave incanto;
incanto che avvalora
di forze e di consiglio
l'anima sì, che l'affrontare un mostro
stima impresa giocosa, e non periglio.
ERCOLE
Ti si scoperse ancor questa tua diva?
GIASONE
Ancor non so chi sia,
basta ch'è tutta mia.
ERCOLE
Se ancor non la vedesti,
e amor per gl'occhi fere,
dimmi: che amor son questi?
Com'hai potuto amar senza vedere?
GIASONE
Pur troppo mi ferì tosto ch'io giunsi,
termina or l'anno appunto,
tra gl'orrori notturni a questi lidi,
pur troppo al balenar del ciel turbato
i luminosi rai
del suo bel volto in quella notte io vidi,
e in un baleno sol vidi ed amai.
ERCOLE
Né ricercasti mai
il nome suo da lei?
GIASONE
Di non chieder più oltre io le giurai.
ERCOLE
Così senza vedere
le toccate bellezze,
ti convien per godere
spender il tempo in brancolar fattezze?
GIASONE
Ercole, credi a me, non han bisogno
della luce gl'amanti
basta per ben gioire
riconoscer tra l'ombre il corpo amato,
e rassembra a chi gode
un vantaggioso patto
toccar con gl'occhi e rimirar col tatto.
ERCOLE
O Giasone, o Giasone,
o gran figlio d'Esone, alto nipote
a Pelia, al re che la Tessaglia affrena,
non ti bastava in Lenno
di Tosante la figlia, alta regina,
Isifile donzella,
di te gravida e madre
aver già resa di gemella prole,
se ancora in Colco, divenuto amante
di beltà non veduta,
non davi un nuovo segno
di troppo molle effeminato ingegno?
Quest'è il giorno prefisso, oggi tu dèi
affrontar, assalir gl'orridi mostri,
e, per rapire il custodito vello,
del munito castello
sbarrar le porte e penetrar i chiostri.
Dimmi come t'affidi,
snervato da i piaceri,
pensieroso di donna,
di poter adoprar l'armi e 'l coraggio?
Posa l'armi, Giason, vesti la gonna,
o per far da guerrier divien più saggio.
GIASONE
Ercole, da prudente
tu fai, né ti sovviene
che consigliar amanti è gran follia;
un genio innamorato
precipita incapace
a seguir ciò che piace
e adora la cagion di sua pazzia.
Se Isifile lasciai, tuo fu 'l consiglio;
all'or che amai da scherzo,
libera l'alma al consiglier s'apprese,
or che Amor del mio cor regge l'impero,
non son più mio, vivo d'Amor prigione;
chi presume alterare il mio pensiero
discorra con Amor, non con Giasone.
Nel temuto recinto
entrerò, pugnerò;
e, vincitor o vinto,
sempre Giason sarò;
ma dell'ignoto nume
sotto i benigni auspici
spero di riportar palme vittrici.
ERCOLE
Vane son le ragion: voglialo il cielo;
ma ti sovvenga, amico,
che se acquisto tu fai dell'aureo vello,
forz'è partire e dar le vele al vento,
acciò quanto acquistò saggio valore
non t'involi rapina o tradimento.
GIASONE
Dolor, ahi non m'uccidere;
così l'alma dal seno,
oh dio, dovrò dividere?
Non so, non so per me se meglio sia
o la vittoria o la caduta mia.
Rosmina giardiniera.
Uomini in su quest'ora
scappan fuor del giardino?
Quanto, quanto sospetto
che le dame di corte
non faccin di quest'orti un bordelletto.
Io vorrei non vedere;
né posso far di meno,
ch'al fin queste notizie
mi sveglian le malizie,
e sento amor che mi serpeggia in seno.
So ben quel ch'io farò,
vorrò gioir anch'io, o lo dirò.
Per saziar quest'appetito
che nel sen mi sento già
un amante ed un marito
chi mi trova per pietà?
Tra queste fronde
nessun risponde?
Che crudeltà!
Ma se indarno altrui lo chiedo,
e che sì, e che sì, ch'io mi provedo.
Or ch'io so che cosa è gioia,
sarei pazza a star così;
troppo, troppo ohimè mi annoia
star soletta notte e dì.
Ogn'un adoro,
d'amor mi moro,
né so per chi:
voglio amanti e non consiglio,
e che sì, e che sì, ch'io me ne piglio.
Se ben nuovo è 'l mio desio,
so serbar costanza e fé;
vezzeggiar il vago mio
darà 'l core ancora a me.
Or chi m'accetta
per sua diletta
mi chiami a sé:
ma se vano è 'l mio disegno,
e che sì, e che sì, e che m'ingegno.
Sala reale: Medea.
MEDEA
Se dardo pungente
d'un guardo lucente
il sen mi ferì,
se in gioia d'amore
si strugge il mio core
la notte ed il dì,
se un volto divino
quest'alma rubò,
se amar è destino,
resista chi può.
Se allor ch'io vi vidi,
begl'occhi omicidi,
io persi il vigor,
se v'amo e v'adoro,
s'io manco, s'io moro
per nobile ardor,
se Amor il mio bene
in ciel stabilì,
amar mi conviene,
è forza così.
O labbri vezzosi,
divini, amorosi,
mia vita, mio cor,
per voi l'alma mia
beata s'invia
in grembo a gl'amor;
mia bocca adorante
per vostra beltà
baciata o baciante
al polo se n' va.
Ma nella regia sala
ecco Egeo l'importuno,
che pur mi segue, ed io l'aborro e scaccio;
partirò, fuggirò l'usato impaccio.
Egeo, Medea.
EGEO
Ferma, Medea, deh ferma
le fuggitive piante,
senti, adorata mia, l'ultime voci
d'un disperato e moribondo amante.
MEDEA
Se per l'ultima volta
dovrò sentirti, Egeo,
o come volentier Medea t'ascolta.
EGEO
O dio, così consoli
un ch'adorasti già,
così l'alma m'involi,
mia tiranna beltà;
dimmi almen per pietà,
o bell'idolo mio,
in che t'offesi mai, che t'ho fatt'io.
MEDEA
Egeo, sei re, sei grande,
sei vezzoso, sei vago,
hai bellezze ammirande,
adorato, adorante
mi amasti, io pur t'amai,
fido, saldo e costante
mi chiamasti tuo bene,
per me ti vedo in pene,
né m'offendesti col pensier già mai:
tutt'è ver, tutt'è così,
ma se amor da me sparì,
s'io non posso amarti più,
che far poss'io, che ci faresti tu?
EGEO
Vedi se sei crudele:
t'avanzi alle risposte
per sottrarti a sentir le mie querele.
Orsù senti, mia vita
-che pur mia vita sei, bench'io sia morto-
già ch'alle mie speranze
prepara il tuo rigor pompa funebre,
già ch'all'Empireo de gl'affetti tuoi
non mi lice aspirar, servo aborrito,
già che di quella fede
ch'a me giurasti, o cruda,
altri più fortunato è fatto erede,
almen d'un infelice,
lacrimoso, languente,
bersaglio de' tuoi scherni,
che senz'ombra di colpa o di delitto
accoglie in sen moltiplicati inferni,
generosa concedi
alle suppliche pie grato rescritto.
MEDEA
Chiedi, ma con tal legge,
che non tenti d'amor l'affetto mio;
se vuoi chiedermi amore,
te 'l nego, non t'ascolto, io parto, a dio.
EGEO
Ch'io d'amor ti tenti, o vaga,
teme in van tua ferità;
per sanar l'aspra mia piaga
non aspiro a tua beltà;
per sottrarmi a gl'influssi
di mia stella nemica incrudelita,
sol ti supplico, o bella,
che di tua mano a me tronchi la vita.
MEDEA
Vuoi ch'io ti uccida?
EGEO
Sì.
MEDEA
Perché tu veda
che de gl'antichi amori
serbo nel seno ancor qualche scintilla,
eccomi pronta a consolarti a pieno.
Or qual morte t'aggrada?
Brami morir di ferro o di veleno?
EGEO
Con questo acuto stile
che prostrato a' tuoi piedi
e te presento baldanzoso, umile,
vieni, bella pietosa: aprimi 'l petto,
ch'io, di tua man svenato,
di morte ancora adorerò l'aspetto.
MEDEA
Sei pur ben risoluto?
EGEO
Il colpo attendo.
MEDEA
Guarda, non t'atterrire.
EGEO
Un re non teme.
MEDEA
Egeo, a te.
EGEO
E quando?
MEDEA
Ecco il ferro -
EGEO
Ecco il core -
MEDEA
- pronto a ferir.
EGEO
- pronto a morir.
MEDEA
E già la destra a l'inclemenza adatto;
Egeo ti sveno.
EGEO
Io moro.
MEDEA
Ah tu sei matto.
Medea getta il ferro in terra e parte.
EGEO
Si parte, mi deride?
Si parte e non mi uccide?
Dove, dove fuggisti,
dove, lasso, sparisti, empia spergiura?
Così la data fé
di trafiggermi il cor, ahi, si trascura?
O promesse tradite,
o fera, o empia, o ria,
dammi le mie ferite,
dammi la morte mia.
Perfida, ancor non senti?
Ancor non torni? ed io
vivo, spiro e respiro
l'aure del mio tormento e del martiro?
Per fabbricarmi affanni,
stelle, che machinate?
Le teste coronate
pratican falsità, frodi ed inganni?
Sacrileghe ed infide
sin col serbarmi in vita,
le regine oggidì sono omicide?
E nelle regie mani, ahi fato, ahi sorte,
per me non fu sicura anco la morte.
O promesse tradite,
o fera, o empia, o ria,
dammi le mie ferite,
dammi la morte mia;
per terminar l'asprissimo cordoglio
morte mi promettesti, e morte io voglio;
morte sospiro e bramo,
e morte, morte ad alte grida io chiamo.
Oreste.
Fiero l'amor l'alma tormenta,
gran martir dà gelosia,
l'appetito mi spaventa
è la sete acerba e ria,
ma più duro e più pesante
è servir a donna amante.
Ben si scorge a ogni momento
cangiar forma in ciel la luna,
è legger la piuma e 'l vento,
sempre varia la fortuna,
ma più lieve e più incostante
è 'l cervel di donna amante.
Per Isifile bella
a questa reggia esplorator me n' venni,
qui di Giason vorrei
aver ragguaglio e penetrar novella;
sospettoso è 'l paese,
e chi de' grandi ricercò gl'affari,
la vita arrischia a perigliose imprese;
son solo, e forestiero
mi palesa l'effigie e questo addobbo;
pria che servir a donne
vorrei divenir guercio e zoppo e gobbo.
Demo, Oreste.
DEMO
Son qui, che, che, che chiedi?
ORESTE
In Colco io più non fui.
Alcun qui non conosco.
DEMO
Non mi risponde? Ah non m'inte- te- te-
ORESTE
A me?
DEMO
Te- te-
ORESTE
Te, te.
DEMO
Ah non m'intendi?
ORESTE
Oh dissonanze strane,
io mi credea che tu chiamassi un cane.
DEMO
Anzi tu me chiamasti.
ORESTE
Io te?
DEMO
Tu me.
ORESTE
E chi sei tu?
DEMO
No 'l vedi?
ORESTE
No 'l vedo a fé.
DEMO
Se ben mi guarderai
da roverso e da dritto,
su le mie spalle il nome mio sta scritto.
Or mi conosci tu?
ORESTE
Per gobbo io ti conosco.
DEMO
E gobbo io sono.
Son gobbo, son Demo,
son bello, son bravo,
il mondo m'è schiavo,
del diavol non temo,
son vago, grazioso,
lascivo, amoroso;
s'io ballo, s'io canto,
s'io suono la lira,
ogni dama per me arde e so- so-
so- so- arde e so- so- so-
ORESTE
E sospira.
DEMO
So- so- so- so- so- so-
DEMO E ORESTE
Arde e sospira.
ORESTE
Linguaggio curioso.
DEMO
Sei troppo, troppo, troppo frettoloso,
e se farai del mio parlar strapazzo,
la mia forte bravura
saprà spezzarti il ca-
ORESTE
Oibò.
DEMO
Il ca-po in queste mura.
ORESTE
Così si tratta un forastiero in Colco?
DEMO
Che fo- fo- forastiero?
Io dissi e dissi bene: a che si bada?
Ti sfido, metti man per quella spada.
ORESTE
Un buffone è costui. T'acquieta, amico,
e non voler in corte...
DEMO
Che amico, che corte?
Metti mano, dich'io;
or ch'io sono in furore
vo' duellar, e vo' cavarti il core.
ORESTE
Perdon ti chieggio, o caro,
la vittoria ti cedo,
mi ti dono per vinto
e, se troppo parlai, fu mia sciagura.
DEMO
Quel che fa la bravura...
ORESTE
Pietà, signor, pietà.
DEMO
Perché tu veda
che, quanto forte, generoso io sono,
va', va', ch'io ti perdono.
ORESTE
Atto da grande.
DEMO
Grande? Se mi vedessi
con l'inimico a fronte
pormi in guardia guerriera,
buttar foco dagl'occhi,
inferocir la cera,
e col brando e con l'asta
vibrar stoccate e fulminar roversi,
vedresti alzarmi a i piedi
di morti e di feriti una ca- tasta,
e da' miei colpi fieri,
che snervano, dispolpano e disossano,
verresti a confessare
che Marte è mio umilissimo scolare.
ORESTE
Così cred'io, ma il ferro omai riponi.
DEMO
Ecco il ripongo e ti dichiaro amico.
ORESTE
Or dimmi in cortesia,
conosci tu per sorte...
DEMO
Ohimè.
ORESTE
Che hai?
DEMO
Sento ch'il mio furore
non è sfogato a pieno:
lassati dar una ferita almeno.
ORESTE
Tu manchi di parola?
DEMO
Lassati dare una stoccata sola.
ORESTE
Quest'è un tentarmi.
DEMO
Ah ferma,
sento il sangue acquietato;
parla, ch'io son placato.
ORESTE
Lodato il ciel. Conosci tu Giasone?
DEMO
Che pretendi da da,
daranda, darandà, danda, da lui?
ORESTE
Bramo saper se si ritrova in Colco.
DEMO
Chi ti manda?
ORESTE
Il mio zelo a me fu sprone.
DEMO
Vuoi ch'io ti dica?
ORESTE
Di'.
DEMO
T'ho per spione.
ORESTE
Quest'è troppo, tu menti.
DEMO
Puh, uh tanto furore?
ORESTE
Fuori ti rivedrò.
DEMO
Fermati, senti.
ORESTE
Che vorrai dir?
Insieme
DEMO
Troppo iracondo sei.
Parlai scherzando e perdonarmi déi.
ORESTE
Troppo indiscreto sei.
Parlai sul saldo e tu pentirti déi.
DEMO
Mi pento.
ORESTE
Ti perdono.
DEMO
E di Giasone,
giuro na- na- na-
ORESTE
Na- na- na- na- na-
DEMO
Giuro narrar a te gl'avvisi interi.
Io di qua parto, e tu per altra via,
e t'aspetto a far pace all'o- all'o-
lo- lo- lo- lo- lo- lo-
ed aspetto a far pace all'o- all'o-
lo- lo- all'o- all'o-
ORESTE
Ohimè, non più, t'ho inteso,
verrò, va' pur, va' via.
(Demo si parte)
Vo' seguitar costui,
che, semplice e atterrito
dalla mia bizzarria,
il tutto mi dirà.
DEMO
(torna)
All'ostaria.
Delfa.
Voli il tempo se sa,
rotin gli anni fugaci al corso loro,
mi rubi pur l'età
i fior dal volto e dalle chiome l'oro,
se n' vada a tramontar
la mia bellezza in mar d'eterno oblio,
ma ch'io lassi d'amar
no 'l farò, non a fé,
non a fé, no 'l farò, non io, non io.
L'amor in gioventù
è un prurito nascente e non ha possa,
ma da i quaranta in giù
nel cor s'incarna e penetrò nell'ossa;
potrà scemarmi ogn'or
il tempo avaro, la fierezza e 'l brio,
ma ch'io rineghi amor,
dica pur chi vuol dir,
chi vuol dir, dica pur, non io, non io.
Ma nelle regie stanze
già comparve Giason. Volo a Medea;
vieni, vieni signora,
vieni figlia diletta:
qui parlar le potrai, il passo affretta.
Medea, Delfa.
MEDEA
O dio, Giason arriva e a me s'invia:
mio core, a che t'appigli?
Ah non cangiar disegno:
tra i femminil consigli
l'improvviso è 'l più degno.
Delfa, tu qui mi lassa,
né permetter ch'alcun m'osservi o ascolti.
DELFA
Obedisco: tu scaltra,
per conseguir il sospirato frutto,
parla a tempo, opra assai, concludi il tutto.
Giasone, Medea.
GIASONE
Regina, in questo giorno
giurai passar nel mostruoso arringo,
e per uscir, o glorioso o morto,
all'impresa fatal pronto mi accingo;
a te, nume di Colco,
maestosa Medea,
raccomando me stesso.
MEDEA
A me?
GIASONE
A te?
MEDEA
Non ti conosco.
GIASONE
In Colco
un anno dimorai,
devoto t'inchinai,
mi vedesti, ti vidi,
ora un tuo servo umil così deridi?
MEDEA
Del mio reale ospizio
le violate mura,
di nobile donzella
il seppellito onore,
della perfidia tua vanti e trofei,
fan che la regia mente
d'averti conosciuto or si vergogna.
Son questi di Tessaglia i semidei?
Dimmi, donde ne vieni?
Nella notte trascorsa ove giacesti?
Nell'albergo vicino
al mio real giardino,
qual idolo adorasti?
Qual onor già rapisti?
Quai figli generasti?
Dimmi, perfido, di',
i reali origlieri
si rispettan così?
Tu guerriero?
Cavaliero?
Non è vero.
Ah che s'io non punissi,
or ch'il fallo è palese,
così sfrontato ardire,
sotto questo mio tetto,
verresti ancora un giorno
e al mio vergineo letto
tenteresti apportar vergogna e scorno:
questi delitti tuoi,
empio, negar non puoi;
vivono in mio poter l'offesa donna
e la ministra del comun diletto.
Io possiedo i gemelli
che di te partorì la sventurata
che, incolpandosi madre
d'illegittima prole,
t'accuserà, ti dannerà per padre.
Dimmi, perfido, di',
i reali origlieri
si rispettan così?
Tu guerriero?
Cavaliero?
Non è vero.
GIASONE
Medea.
MEDEA
Che vorrai dir?
GIASONE
Ascolta.
MEDEA
Taci,
a morir ti disponi
o, quant'io parlerò, legge ti fia:
voglio che in questo loco ed in quest'ora
la goduta bellezza
tu dichiari tua sposa. Or mi rispondi.
GIASONE
Sì tosto?
MEDEA
E senza dubbio
pria che tu parta a duellar co' i mostri;
perché, restando tu di vita sciolto,
teco l'onor di lei saria sepolto.
GIASONE
È nobile la dama?
MEDEA
Eguale a te.
GIASONE
Io son figlio di re.
MEDEA
Eguale a te.
GIASONE
È bella?
MEDEA
Non lo sai?
GIASONE
Io non la vidi mai.
MEDEA
È bella, o per lo men bella si stima,
e se non è, dovei pensarci prima:
tu qui m'attendi, io con la sposa torno.
Giasone solo.
I miei secreti amori
son palesi a costei? Ah troppo è vero
che abbondan per le corti ingegni esperti
che vivon di referti;
ma pur mi sortirà
veder quella beltà che m'innamora.
Occhi, non v'abbagliate,
soffrite i raggi suoi,
tosto vedrete il sol vicino a voi.
Ma già torna Medea, Delfa la segue.
Medea, Giasone, Delfa.
MEDEA
Giasone, è qui la sposa, è qui colei
che teco a stabilir lieta se n' viene
i promessi imenei.
Mira come festosa
tutta, tutta d'amor arde e sfavilla
la tua donna amorosa.
Tu ridi? ancor tu ridi? ancor indugi,
ingrato mancatore,
a dar fé di marito
a chi ti diede il suo virgineo fiore?
Ingrato traditore!
GIASONE
Regina, intendo, intendo
leggiadro scherzo a fé; fa' ciò che vuoi,
che son favori miei li scherzi tuoi.
MEDEA
Che scherzi? che favori?
GIASONE
Frena questi rigori; io ben tra l'ombre
nei giardini d'Amor colsi le rose,
ma al tatto ed all'odore
le riconobbi intatte e rugiadose.
Queste, che a me presenti,
rose sì strapazzate e sì cadenti,
nate fra l'anticaglie e le rovine,
non son quelle, o Medea,
né io son uso a idolatrar Gabrine.
Delfa, di' tu che sai
qual sia stata fra noi
la modestia comune,
di' se d'amore io ti richiesi mai.
DELFA
Son svanite per me queste fortune!
MEDEA
Eh dio, ne gl'occhi miei
fissa gli sguardi tuoi,
fissati in questo volto,
e scorgerai colei
che nel seno real ti tiene accolto.
Giason, anima mia, quella donzella,
che languente d'amore
a te fra l'ombre accomunò le piume,
che di prole gemella
genitrice divenne,
quella che alla tua fé fidò l'onore,
quella che allor chiamasti
tua deità, tuo core,
quella a cui tu giurasti
tra i secreti diletti
eternità d'affetti,
Giasone, anima, speme, idolo mio,
la tua moglie, il tuo ben, quella son io.
GIASONE
O di grazie adorate
notizie sospirate!
Pur vi miro e conosco,
già sepolti stupori,
pur vi miro e v'ammiro,
miei svelati tesori, o luci, o luci
-sì, sì, voi siete quelle
serenissime stelle-
io ben vi raffiguro
a quei splendor sì vivi
con cui tra l'ombre ancor tu mi ferivi.
O mia bella, o Medea,
mie delizie, mia sposa,
mia regina, mia dèa,
ebro di gioie tante
immortalato amante,
consacro al tuo gran nume,
pronto per obedirti,
la fé, la destra, il cor, l'alma e gli spirti.
MEDEA
O mio core.
GIASONE
O mio amore.
MEDEA
Ardi tu?
GIASONE
S'io ardo, o dio?
MEDEA E GIASONE
Ardi pur, o mio ben, che ardo anch'io.
MEDEA
Gioie più fortunate -
GIASONE
Delizie più bramate -
MEDEA
- non han di queste mie li dèi lassù.
GIASONE
- non più dolcezze, Amor, non più, non più.
Delfa sola.
Godi, godi,
bella coppia,
che 'l diletto
tra quei nodi
si raddoppia.
Leggiadra usanza e nuova,
per ritrovar marito
le fanciulle oggidì si danno a prova;
economia graziosa,
politici consigli,
prima che far da sposa
san far da madre ed allevar i figli.
Troppo soavi i gusti
Amor promette e dà,
in termin troppo angusti
di donzella l'onor racchiuso sta.
Speri del mar spumante
raccoglier l'onde in sen,
chi vuol tener a fren
femmina amante.
Se già febre d'amor
le fibre m'infettò,
un leggiadro amator
mi strinsi al seno ed ogni mal sanò.
Così non feci ingiuria
alla mia castità,
errai per sanità,
non per lussuria.
Campagna con capanne su la foce d'Ibero.
Isifile vien sognando.
Ferma, ferma, crudele,
ritorna indietro, infido,
approdate a quel lido,
o fuggitive vele,
quel che con voi portate
è il mio cor, la mia vita, il mio desio,
è Giason il mio ben, lo sposo mio.
Fermate, dico. O dio,
che vaneggio? a chi parlo, ove mi trovo?
Son pur queste le spiagge
su la foce d'Ibero,
è pur questo il sentiero
che mi condusse al pagliereccio albergo
della vecchia Gimena,
che me pietosa e i figli miei raccolse?
Sì, sì, stanca dal duolo -or mi sovviene-
poc'anzi entro 'l tugurio
mi diedi al sonno in preda, e qua sospinta
dalla perfidia de i sognati influssi,
atterrita, anelante,
in braccio alle fantasme io mi condussi.
Isifile infelice,
del bel trono di Lenno
esule sventurata,
regina senza regno,
d'illegittima prole
madre prima che sposa,
sposa solo di nome,
moglie senza marito,
martire di fortuna,
sconsolata vagante,
priva d'ogni ristoro,
serva, seguace e amante
di quel Giason, ch'a mio dispetto adoro:
o dio, ecco i pensieri
che scompiglion la mente,
tiranneggian li spirti,
martirizzano i sensi,
alteran le potenze,
aggirano i discorsi,
e in un caos profondo
confondon gl'elementi
di questo regio innamorato mondo.
Non può tardar il mio fedele Oreste
a ritornar di Colco
per darmi, o dio, del mio tiranno amato
o funesti rapporti o avviso grato.
S'ei non torna, mi moro;
s'ei torna, ohimè, s'inorridisce il core,
che d'infauste novelle
lo teme apportatore.
Così ad un tempo istesso
voglio, non voglio,
bramo, pavento,
e sempre accoglio
maggior tormento,
pena più ria;
e sol intendo al fine
ch'è l'istesso martir l'anima mia.
Stanza degli incanti di Medea.
Medea, Coro di Spiriti, Volano.
MEDEA
Dell'antro magico
stridenti cardini,
il varco apritemi,
e fra le tenebre
del negro ospizio
lassate me.
Su l'ara orribile
del lago stigio
i fochi splendino,
e su ne mandino
fumi che turbino
la luce al sol.
MEDEA
Dall'abbruciate glebe
gran monarca dell'ombre intento ascoltami,
e se i dardi d'Amor già mai ti punsero,
adempi, o re dei sotterranei popoli,
l'amoroso desio che 'l cor mi stimola,
e tutto Averno alla bell'opra uniscasi:
i mostri formidabili,
del bel vello di Frisso
sentinelle feroci infaticabili,
per potenza d'abisso
si rendono a Giasone oggi domabili.
Dall'arsa Dite
quante portate
serpi alla fronte,
furie, venite,
e di Pluto gli imperii a me svelate.
Già questa verga io scoto,
già percoto
il suol col piè;
orridi
demoni,
spiriti
d'Erebo,
volate a me.
Così indarno vi chiamo?
Quai strepiti,
quai sibili
non lascian penetrar nel cieco baratro
le mie voci terribili?
Dalla sabbia
di Cocito
tutta rabbia
qua v'invito,
al mio soglio
qua vi voglio.
A che si tarda più?
Numi tartarei, su, su, su, su.
CORO
Le mura si squarcino,
le pietre si spezzino,
le moli si franghino,
vacillino, cadano,
e tosto si penetri
ove Medea si sta.
VOLANO
Del gran duce tartareo
le tue preci, o Medea, gl'arbitrii legano,
e i numi inferni a i cenni tuoi si piegano;
Pluto le tue voci udì;
in questo cerchio d'or
si racchiude valor
che di Giasone il cor
armerà questo dì.
MEDEA
Sì, sì, sì,
vincerà
il mio re,
a suo pro
deità
di la giù
pugnerà;
sì, sì, sì,
vincerà,
vincerà.
Segue ballo di Spiriti.
Campagna con capanne.
Isifile, Alinda.
ISIFILE
Oreste ancor non giunge,
e pur ogni momento
accresce 'l mio tormento e 'l cor mi punge.
Vanne, mia fida ancella,
vanne al porto vicino,
richiedi ogni nocchier ch'ivi soggiorna
se ancor da Colco il fido Oreste torna;
io tra 'l solingo orrore
compagna resterò del mio dolore.
ALINDA
Per prova so
che infonde Amor nell'alme aspro veleno,
ma il duol che m'accorò
in breve io seppi licenziar dal seno,
e con ingegno scaltro,
s'io persi un vago, mi spassai con l'altro.
Chi s'invaghì
d'un solo amor mai sta con gl'occhi asciutti;
l'apportator del dì
s'ammira alfin perché risplende a tutti;
chi d'un sol si contenta
pena assai, nulla gode e sempre stenta.
Se vuol goder
i frutti d'un amor dolce e benigno,
deve la donna aver
di molle cera il cor, non di macigno;
e quella è fra le prime
che nella cera ogni sigillo imprime.
ALINDA
Vado di volo al porto:
le mie fide ragioni
somministrano a te pace e conforto;
presto s'imbianca un crine,
volano le stagioni,
e mancherànti al fine
gl'anni di gioventù, non i Giasoni.
(parte)
ISIFILE
Alinda troppo vana
seconda il genio e la sua voglia insana.
Ohimè non posso più,
par che manchin li spirti,
manca l'anima al seno,
vacilla il piede, e a forza di stanchezza
trabocco sul terreno.
Oreste, Isifile.
ORESTE
Io pur ti tocco, o lido,
io pur ti bacio, o terra,
né temo d'Austro infido
orridi soffi o procellosa guerra:
onde, vi riverisco,
venti, mi raccomando,
Nettuno, a dio, sta' sano,
amici come prima,
ma però da lontano.
In un regno incostante,
sovr'un suolo che ondeggia,
in casa che galleggia
mai più Oreste poserà le piante.
Ma temp'è ch'ad Isifile ritorni
ne la capanna al certo. Ohimè che vedo?
Distesa su quei mirti
l'infelice mi sembra
priva di moto e di spirti.
Morta o viva che sia,
m'accosto alla sicura;
morti di questa razza
non mi fanno paura;
sento il core che batte,
affannata respira,
e tra l'amore e l'ira
fantastica combatte.
ISIFILE
Crudel, tu parti, o dio?
ORESTE
Son qui da te, cor mio.
ISIFILE
Da me?
ORESTE
Da te.
ISIFILE
Mi lascerai?
ORESTE
Mai, mai.
ISIFILE
Se tu mi lasci, io moro.
ORESTE
Non dubitar, ti adoro.
ISIFILE
Accostati, se vuoi.
ORESTE
Ma s'io ti bacio poi?
ISIFILE
O quanto goderei.
ORESTE
Mi tenta pur costei.
ISIFILE
Tu torni al mar, crudele.
ORESTE
Sì, sì, parton le vele.
ISIFILE
E l'onor mio dov'è?
ORESTE
Io non l'ebbi, alla fé.
ISIFILE
Sì, sì, statti con me.
ORESTE
Torna a quietarsi.
O che gentil discorsi!
Ciascuno i suoi desiri
scopre senza vergogna,
né so se più deliri
o chi veglia o chi sogna.
Vaghi labbri scoloriti,
bella bocca pallidetta,
che non sei larga né stretta,
e sognando ai baci inviti.
M'allettasti, io non fui sordo,
or per te manco e languisco,
s'io ti bacio, troppo ardisco,
se no 'l fo, son un balordo.
Son risoluto al fin, baciar la voglio.
Chi lo potrà ridire?
Il bacio orma non lassa,
muor tra le labbra e si risolve in nulla,
e già so che costei non è fanciulla;
l'onor non scemerà,
ché se dianzi il chiedea
è segno che non l'ha;
e se mai si risà
furto così leggiadro,
mi scuserò con dire
che la comodità mi fece un ladro.
Or va' ben destro, Oreste,
guarda non la svegliare:
caro volto divino...
ISIFILE
Dove parti, o tiranno?
ORESTE
Buona notte e buon anno.
ISIFILE
Sai pur ch'io mi consumo.
ORESTE
Il bacio è andato in fumo.
Non mi vedi, o signora,
non mi conosci più?
ISIFILE
Oreste sei pur tu,
perché non mi svegliasti?
ORESTE
Tu perché ti destasti?
ISIFILE
Dimmi che fa Giason, è vivo o morto,
vuol ch'io l'attenda o parta?
Risponde a bocca o in carta?
Mi conserva la fé?
O si scordò di me?
Mi disprezza o mi adora?
Vuol ch'io viva o ch'io mora?
ORESTE
Tanti interrogatorii?
Per risponder a tutti
ci vorrebbe una mandra di dottori.
Poche parole, e buone.
Datti pace, o signora:
più non t'ama Giasone.
ISIFILE
Saldo, mio core. Con Giason parlasti?
ORESTE
Giason non tiene audienza,
parlai con un tal Demo, indi con Besso
a Giason confidente e a me cugino,
che impietosito del tuo duro stato
così mi disse appunto:
«A pena a Colco giunto,
di beltà non veduta,
sol fra l'ombre goduta,
Giason divenne amante;
fatto d'amor guerriero
tra i piacer s'abbandona,
del proprio onor non cura,
pensa se a quel d'altrui volge il pensiero.»
ISIFILE
Non hai di più da dirmi?
ORESTE
E ti par poco? Or odi:
dagli argonauti fieri
stimolato Giasone
stabilì questo giorno
per la fatal tenzone,
e s'ei conquista la dorata pelle,
per andarne a Corinto
dovrà per questa foce
fra poch'ore passar d'Argo la nave;
parlar tu li potrai
qui forse avanti sera,
seco ti sfogherai, forse, chi sa?
Spera, signora, spera.
(parte)
ISIFILE
E che sperar poss'io,
se dentro a questo seno
l'anima, o dio, vien meno,
se per tante ferite
son li spirti abbattuti,
le potenze smarrite?
Speranze, fuggite,
sparite
da me;
il cor, ch'è già morto,
del vostro conforto
capace non è.
Ma se pur qua giungesse
il perfido incostante,
chi sa che rimirando
il mio real sembiante,
dalla pietà commosso,
dalla giustizia vinto,
non procuri l'emenda,
non ritorni in sé stesso e a me si renda?
O speranze infelici,
ancor mi lusingate, ancora spero?
E son sì disperata,
che insin potermi disperar dispero?
Mostruosi flagelli,
portentosi martiri,
miracolosi affanni,
s'inventano a' miei danni
giù ne i regni di Dite.
Speranze, fuggite,
sparite
da me;
il cor, ch'è già morto,
del vostro conforto
capace non è.
Ma che vaneggio, o misera?
Che speranze, che morte?
Che conforti, che core?
Che martiri, che affanni
alla mente reale
minacciano rovina?
Son disperata sì, ma son regina.
Disperazion sta meco?
Non ti perder, coraggio,
ritroviamo quest'empio,
s'uccida il traditore,
sbraniamoli le carni,
laceriamoli il core,
e per sua maggior pena
mora la rea bellezza
che l'alma l'incatena.
Su, miei fidi seguaci,
precipitiam gl'indugi,
dalla foce d'Ibero
m'apprestino il partire
remi, navi ed antenne,
vele, venti e nocchiero.
Raddoppia, o Tempo, il volo,
sferza i cavalli, o Febo,
già su l'ali al desio
verso il nemico suolo
avida di vendette
rovinosa m'invio.
Già le marine spume
io fendo e l'onde solco;
mora il perfido, mora: a Colco, a Colco.
Recinto del castello del vello d'oro.
Medea, Giasone, Delfa.
MEDEA
Ecco il fatal castello;
qui ti consegno l'incantato anello
in cui stassi ristretto
il guerriero folletto.
Sia dell'aurato cerchio
la man sinistra adorna;
resta, affronta, combatti, uccidi, atterra,
vinci, trionfa, e a questo se n' ritorna.
MEDEA
Ti lasso,
GIASONE
Mi lassi,
MEDEA
mia vita,
GIASONE
gradita,
Insieme
MEDEA
mio amor,
ma resta con te
quest'alma e questo cor.
GIASONE
mio amor,
ma parte con te
questo spirto e questo cor.
Giasone.
Per qual nuovo vigore
sembra al cor questo petto
troppo angusto ricetto?
Qual ardir, qual valore
per le fibre mi scorre?
Queste nuove potenze
da Medea riconosco. All'armi, all'armi.
Gl'argonauti guerrieri,
il senato di Colco
a queste mura intorno
della fiera tenzon gl'esiti attende.
All'impresa m'accingo
e il nome di Medea per nume invoco.
O dell'orrido cerchio
del fatal laberinto
mostri, belve e custodi,
del tessalo Giason le voci udite:
queste ferrate porte
al mio passaggio obedienti aprite,
o ch'io le sbarro e vi disfido a morte.
Fuori, fuori,
al cimento,
vostri orrori
non pavento.
S'apre la porta e comparisce il toro.
Ma già s'apre e spalanca
il rugginoso ostello,
già sbuffa e su le soglie
orgoglioso cornuto
percuote il piè ferrato
e mi sfida a duello.
Stiasi la spada al fianco,
temp'è d'oprar ardir, forza e destrezza.
Mi contende l'ingresso?
Fuori s'avanza e nell'acute corna
della vittoria sua ripon la speme?
Tanto m'agiterò, tanto ch'io vaglia.
Sì: già l'afferro e fuori
della dura cervice
già le spianto, le svello.
Ma qual per entro al tenebroso chiostro
appare o drago o mostro?
Nel tuo nome, o Medea,
prendo il posto nemico,
di ferro armo la destra,
ed a più fiere guerre
tutto ardir, tutto ardore,
nell'oscuro serraglio
già mi avvento, mi scaglio.
Medea, Delfa.
MEDEA
Giasone, o dio, Giasone.
Ove ne vai, mio sposo?
DELFA
Ancor paventi?
MEDEA
Della sua vita e dell'onor pavento.
DELFA
E non sai qual virtude
quel tuo magico cerchio in sé racchiude?
Figlia, sgombra il timore:
se gli desti l'anel, salvo è l'onore.
MEDEA
Infinito è il valor dell'arte mia,
ma pur anco nel seno
provo infinito ardor e gelosia.
DELFA
Gelosia, e di che? forse là dentro
vive dama leggiadra?
Sai pur ch'orrida squadra
guarda di questo cerchio il giro e 'l centro.
L'uomo non ama i mostri,
gradisce a gran fatica
bella donna che 'l preghi ed a più d'una
tocca -così non fusse- a star digiuna.
Ma vedi come osservano
gl'argonauti guerrieri ogni tuo moto.
Deh partiamo, o signora.
MEDEA
Voglio attendere il fin.
DELFA
Darai sospetto.
MEDEA
Di che?
DELFA
Dell'onor tuo.
MEDEA
Non mi dichiarò sposa?
DELFA
E madre ancora.
MEDEA
Ma già torna Giason.
DELFA
Ercole il vide e passa entro le mura.
MEDEA
Del sacro dorso è adorno,
la vittoria è sicura.
Medea, Giasone, Delfa, Ercole.
MEDEA
Sei ferito, mio ben?
GIASONE
No, vita mia.
Sotto gli auspici tuoi i mostri estinsi,
mi fei signor dell'aureo vello, e vinsi.
ERCOLE
Giason, vincesti, il vedo,
godo del tuo trionfo,
ma già solleva il popolar tumulto
contro di te un invidioso grido:
non è tempo d'indugio, al lido, al lido.
GIASONE
Vicino è 'l loco, andiamo,
questa sanguinea spada
al mio passaggio affrancherà la strada.
Medea?
(vien Demo osservando)
MEDEA
Giasone?
GIASONE
Io parto.
MEDEA
E dove?
GIASONE
A Corinto.
MEDEA
Ti seguo.
GIASONE
E i nostri figli?
MEDEA
Son custoditi a pieno.
GIASONE
Che dirà 'l genitor?
MEDEA
Son col marito.
GIASONE
La patria?
MEDEA
Non vi penso.
GIASONE
Il regno?
MEDEA
Non lo curo.
GIASONE
Vassalli?
MEDEA
Non li apprezzo.
GIASONE
O mio tesoro.
MEDEA
E se non vengo, io moro.
GIASONE
Vieni e vivi, mia vita.
MEDEA
O felice partita.
GIASONE
Cara fuga soave.
MEDEA E GIASONE
Alla nave, alla nave.
Demo, Egeo.
DEMO
Alla nave, alla nave?
Medea e Giason s'abbracciano?
E per gir a Corinto
si partono, si fu- ggono, s'imbarcano?
O sventurato Egeo,
povero mio signor, misero re.
Chi me l'insegna, ohimè, dov'è, dov'è?
Volo di qua: no;
meglio è di là;
ma fo- rse sì,
vado di qua; ma se?
Di qua lo trovo a fé.
Ohimè di qua, di là, di là, di qua,
io non ne posso più;
fra 'l dubbio e fra 'l tormento
sudato mi riposo e mi fo vento.
Con arti e con lusinghe,
donne, se vi pensate
di farmi innamorar, voi v'ingannate.
Voi v'ingannate a fé:
queste bellezze mie voglio per me.
Se ben penare,
languire,
crepare,
morire
io vi vedrò,
mai m'innamorerò,
no, no, no, no, no, no,
non lo sperate a fé:
queste bellezze mie voglio per me.
Con vostri finti vezzi,
donne, se tenterete
d'incatenarmi il cor, non lo credete.
Non lo credete già:
ho fatto voto al ciel di castità.
Se ben penare,
languire,
crepare,
morire
io vi vedrò,
io mai vi crederò,
no, no, no, no, no, no,
non lo sperate già:
ho fatto voto al ciel di castità.
Oh, oh, sto ben così
Egeo, Egeo, Egeo,
vuoi gl'avvisi? son qui.
EGEO
Mi chiami?
DEMO
Oh signor sì;
strane nuove, signore,
fughe assassinamenti, arme e rumore.
EGEO
Di' tosto, chi fuggì?
DEMO
Medea co- con-
EGEO
Che?
DEMO
-Medea...
EGEO
Segui.
DEMO
Medea
co- con-
EGEO
O dio, con chi?
DEMO
-con Giason si fuggì.
EGEO
Ohimè, ohimè.
DEMO
E con fuga soave
van gridando abbracciati:
«Alla nave, alla nave».
EGEO
E verso dove andranno?
DEMO
S'imbarcarono per Co-
Co- Co- per Co- Co- Co-
EGEO
Per Coimbra?
DEMO
No, per Co- Co- Co- Co-
EGEO
Per Coralto?
DEMO
Oibò, per Co- Co- Co- Co-
EGEO
Per Cosandro?
DEMO
Né meno,
per Co- Co-
EGEO
Per Corinto?
DEMO
Ah, ah, o bene, o bene,
mi cavasti di pene.
EGEO
Or ecco la cagione
perché Medea m'aborre: ama Giasone.
O dio, son morto. Tu, segui i miei passi
e in picciola barchetta
seguiamo i fuggitivi;
alto decreto eterno
vuol ch'io segua Medea sin nell'inferno.
DEMO
All'inferno, a fé non vo,
io dal foco ognor m'arretro,
se da lungi io lo vedrò,
io ti pianto alla po-rta e torno indietro.
Grotte d'Eolo.
Giove, Eolo, Amore, Coro di Venti.
GIOVE
O dell'eolie foci
reverito regnante,
del genitor tonante odi le voci.
EOLO
O mio signore e padre,
ecco pronto al tuo cenno
il rege, il regno e le soggette squadre.
GIOVE
La regina di Lenno,
gran pronipote mia,
dal tessalo Giasone
nella fé, nell'onor, oggi è tradita;
da quel Giason che temerario ardio
con potenze d'abisso
di Colco entro i sacrari
al mio gran nume sacre
le vittime rapir, spogliar li altari.
Questi del Caspio mar solca per l'onde,
e dell'aurato vello ornato e cinto
spera trionfator gire a Corinto.
Or tu dai claustri
tremendi ed orridi
impera a gl'austri
che rapidissimi
per l'onde caspie
spirando turbini
volino, fremino
in questo dì,
sin che precipiti,
sin che sommergasi
chi tanto ardì.
EOLO
Così dunque di Frisso,
gran prole d'Atamante, a me nipote
i sacrifici puri
dall'umana impietà non fur sicuri?
Su, su, fuor di quest'antri
adirati, frementi,
scatenatevi, o venti,
e, sin che cada al fondo
il sacrilego eroe,
vada sossopra il mar, le nubi e 'l mondo.
CORO DI VENTI
Arditi e fieri,
tumidi, alteri,
eccone, o re.
AMORE
Su questo suolo
frenate il volo,
fermate il piè.
AMORE
Giove, Eolo, anch'io
son da Giasone offeso, anch'io nutrisco
spirti per vendicar l'affronto mio.
Vogliam punire il reo?
Vogliam mortificar l'atroci voglie?
Sì, sì: diamoli moglie.
Sapete chi? Isifile, e sia questa
pena per lui più forte
che l'orgoglio del mar, naufragio e morte.
EOLO
Giason offese il ciel, di morte è degno.
AMORE
Una moglie tradita,
regina vilipesa
nell'onor, nella fé,
furente, innamorata, ingelosita,
numi, credete a me,
è peste d'un marito,
è una pioggia d'affanni,
un diluvio di rabbie e di malanni.
Così, punito il reo,
della prosapia eterna
resta intatto l'onore,
voi vendicati e trionfante Amore.
GIOVE
Ma come, e con qual modo?
AMORE
Basta a me sol che al diroccato porto
della foce d'Ibero,
ove Isifile afflitta oggi soggiorna,
spingono i venti la nemica nave,
là si fissi, s'inchiodi
dal continuo soffiar tocca e percossa,
né senza i cenni miei si sciolga o snodi.
GIOVE
Altamente ti vanti.
AMORE
Altamente oprerò.
GIOVE
Eolo, eseguisci.
EOLO
Infuriati vassalli,
strepitosi guerrieri,
riconoscete Amore oggi per re,
di lui volate ad eseguir gl'imperii.
CORO DI VENTI
Arditi e fieri,
tumidi, alteri,
eccone a te.
AMORE
Seguite me che dall'eolio suolo
alla spiagge d'Ibero
sovra l'onde del Caspio inalzo il volo.
Porto di mare diroccato. Fortuna di mare.
Oreste, Alinda.
ORESTE
Per ritrovar suo onore,
benché s'oscuri il cielo e 'l mar s'adiri,
ha stabilito di varcar a Colco
l'agitata regina.
Giura svenar Giasone, e del suo sangue
tinger questa marina.
Naviganti, nocchieri,
un vassello per Colco: ah non udite?
ALINDA
In van t'affanni a ricercar l'imbarco.
Isifile dolente
più dell'usato col destin s'adira,
s'affanna, si sconforta,
tal or quasi delira,
poi torna in sé, ma la diresti morta.
ORESTE
È mal antico. Che pietà.
ALINDA
Amore,
onore, lontananza e gelosia
sono i quattro elementi
che producon tal or morte o pazzia.
ORESTE
Sai ch'io t'amo, Alinda a fé,
ma non ti creder già
ch'io deliri per te.
Sai ch'io t'amo, Alinda a fé.
ALINDA
Sai che io t'amo e t'amerò,
ma se mi lasci un dì,
io non impazzirò.
Sai che io t'amo e t'amerò.
ALINDA E ORESTE
Il tuo bello adorerò.
Sempre al fianco ti starò.
Ma ch'io per te vaneggi, oh questo no.
Insieme
ALINDA
Quest'è il vero piacer,
che sbandì
l'affanno e 'l duol.
Si goda così,
impazzi chi vuol.
ORESTE
Quest'è il vero goder,
che sbandì
l'affanno e 'l duol.
Si goda così,
impazzi chi vuol.
Demo, Oreste.
DEMO
Soccorso, aiuto, e là:
io moro, ohimè, pietà.
ORESTE
Qual voce verso il lido
mi ferisce l'udito?
DEMO
O onde scelerate,
così m'assassinate?
ORESTE
Rinforzano le strida;
ma già comparve un nuotatore a terra.
DEMO
Ohimè son morto, ohimè, me- me- meschino.
ORESTE
E chi sei tu?
DEMO
No 'l vedi?
Son un morto che tremo,
un avanzo de i pesci, ombra di Demo.
ORESTE
È Demo a fé. Non mi conosci?
DEMO
No.
ORESTE
Apri ben gl'occhi.
DEMO
E come, s'io non gl'ho?
Un tonno, uno storione
gli mangiaron poc'anzi a colazione;
ma sta- stacco le ciglia e vedo, e vedo
quest'aria e queste ville:
intatte ho le pupille.
Oreste? Oreste mio? dove ti veggio?
ORESTE
Ed io come ti trovo?
DEMO
In stato tal che star non posso peggio.
ORESTE
Come giungesti qua?
DEMO
Il re d'Atene, il mio padrone Egeo,
-che sia pur maledetto-
per seguir d'Argo la famosa nave,
in picciolo legnetto
meco si pose a' suoi deliri intento,
il mar, la pioggia, la fo- fo- fo- for-
ORESTE
E quando mai?
DEMO
La fortuna e 'l vento
al fondo or mi mandava,
ed or insino al ciel mi sol- mi sol-
mi sol- mi sol- mi sol-
ORESTE
Fa, re.
DEMO
Mi sol- mi sol-
ORESTE
Fa, re, mi, fa.
DEMO
Mi sol- mi sol-
ORESTE
O che musica brava.
DEMO
Ed ora insino al ciel mi sollevava.
Io mi ridussi al fine
inzuppato nell'acque
senza remo o timone;
indi, come al ciel piacque,
urtò l'angusta barca in un scoglione:
si roppe, si spezzò,
Egeo per l'onde andò,
s'affondò, s'an- s'an- s'an-
ORESTE
S'annegò.
DEMO
S'an- s'an- s'an- s'an-
ORESTE E DEMO
S'annegò.
ORESTE
E tu se così fai,
ne gl'intoppi del dir t'annegherai.
DEMO
Io dall'onde sbattuto,
dopo aver là be-
là be- là be- là be-
ORESTE
La bella traditora.
DEMO
Che m'ha rubato il cor,
col guardo mi innamora
e mi fa star di fuor.
ORESTE
La bella traditora.
DEMO
Dopo aver là bevuto,
lo spirito nel mar lasciai disciolto,
poscia su queste arene
il cadavere mio giunse insepolto.
ORESTE
Dunque morto tu sei?
DEMO
Morto son io,
anzi ti prego, amico,
a darmi sepoltura,
e su quella intagliar questa scrittura:
«Piangete, uomini e donne,
l'ossa di Demo questa tomba asconde,
era buffone, pur al fondo andonne,
nacque delfino e lo sommerser l'onde.»
ORESTE
Gentil umor; sarai sepolto; or dimmi:
partì la nave d'Argo?
DEMO
Partì con la malora, e Giason seco.
ORESTE
Già vicina si scopre,
e l'impeto de i venti
qua la spinge a gran forza;
già questo porto imbocca,
già vi giunge, lo tocca;
del sospirato arrivo
a Isifile me n' volo a dar novelle;
tu meco vieni, e a ristorar tuoi danni
ti darò foco e panni.
DEMO
In eterno obligato
sono a tanta pietà;
sentimi il polso: già
m'ha la febbre assaltato.
ORESTE
Hanno la febbre i morti?
DEMO
Son un morto ammalato: ohimè, ohimè.
ORESTE
Che hai, che fu, che è?
DEMO
Che spavento! che pena!
ORESTE
E che, e che?
DEMO
Sento guizzarmi in pancia una balena.
Giasone, Medea, Besso, Ercole, con gl'Argonauti.
Coro di Soldati, Coro di Marinai.
Sbarcano dalla nave d'Argo.
GIASONE
Scendi, o bella,
vieni al porto.
MEDEA
Cara stella
qua n'ha scorto.
GIASONE
Non è molestia
l'ira del mar.
MEDEA
Fiera tempesta
placida appar.
GIASONE
Il terreno
tutto è ameno.
MEDEA
È divina
la marina.
Insieme
MEDEA
Ove Giason i suoi splendor diffonde,
vago è 'l suol, ride il ciel, brillano l'onde.
GIASONE
Ove Medea i raggi suoi diffonde,
vago è 'l suol, ride il ciel, brillano l'onde.
ERCOLE
Giason, di tue vittorie
di eternità nel tempio
già vedo registrate alte memorie;
ma vorrei, con tua pace,
vederti trionfar maschio soldato,
non sempre effeminato.
GIASONE
Qual or...
MEDEA
Taci, mia vita;
Ercole s'è scordato
che d'amor le passioni
fan gli Ercoli filar, non i Giasoni.
ERCOLE
Rimanete felici,
parto a trovar albergo: andiamo, amici.
Besso, Alinda.
BESSO
Chi non ha
argenti od ori
loda la povertà,
biasma i tesori.
Ercole vedovello,
lungi dalla sua vaga,
orfano sconsolato,
sgridò Giason ch'abbia la donna al lato.
D'affetto sincero
purissimo ardor
di buon cavaliero
non scema il valor,
vie più ch'esser amante,
si disdice a un guerrier far da pedante.
Del dio che guerreggia
amor nacque già;
fra l'armi pompeggia
donnesca beltà;
è guerriera Bellona,
e nel nome guerrier, bella risuona.
ALINDA
Quanti soldati, o quanti;
allegrezza, allegrezza, o donne amanti.
Gradite tempeste,
procelle adorate,
che qua ne spingeste
le merci più grate,
per vostra pietate
mia gioia s'avanza,
al vostro tempestar vien l'abbondanza.
Quanti soldati, o quanti;
allegrezza, allegrezza, o donne amanti.
BESSO
Per fare in terra un picciol paradiso
ti diè natura, o bella,
oro al crin, stelle a gl'occhi e rose al viso.
ALINDA
Per far un uom tutto robusto e fiero
ti diè natura in sorte
duro il pel, fosco il fronte e 'l guardo nero.
BESSO
Dimmi, dimmi chi sei,
tu che sì bella sembri a gl'occhi miei?
ALINDA
Io sono un'infelice
mal provvista d'amante,
che con affanno inusitato e nuovo
bramo assai, sempre cerco e nulla trovo.
BESSO
Vedimi, e qual io sono,
pur che tu non mi sdegni,
la mia fede, il mio amor tutto ti dono.
ALINDA
Lascia ch'io ben ti squadri.
Tu non mi spiaci a fé, gl'occhi son ladri.
BESSO
Ma i lumi tuoi divini,
se chiami ladri i miei, son assassini.
ALINDA
Esser l'amante mio dunque vuoi tu?
BESSO
Rispondo un sì senza pensarci su.
ALINDA
Intendiamoci bene:
io con modeste voglie
per marito ti bramo.
BESSO
Io te per moglie.
ALINDA
Il tuo mestier qual è?
BESSO
Soldato io sono.
ALINDA
Tu soldato? ah, ah;
ohimè questo tuo dir rider mi fa.
BESSO
Perché ridi così?
ALINDA
Tu soldato?
BESSO
Io sì!
ALINDA
Dov'è il volto sfregiato?
Dov'hai manco un orecchio?
Dov'è un fianco stroppiato?
Dov'è una man recisa?
Ohimè non lo dir più, scoppio di risa.
BESSO
Dunque non ti rassembra
soldato uno che intere abbia le membra?
ALINDA
Il buon soldato deve
portar qualche notabil contrassegno:
almen un braccio in pezzi,
un occhio di cristallo, o un piè di legno.
Ma dove, dove vai?
BESSO
Già che così non pare
ch'io sia stato alla guerra,
vado a farmi stroppiare.
ALINDA
No, già che tutto sei, tutto ti voglio:
ma quanto più ti gradirebbe il core
se tu fussi buon musico cantore.
BESSO
Musico? l'arte mia
è 'l canto e l'armonia.
ALINDA
Ma su quai voci canti, ed in qual tuono?
BESSO
Non mi senti parlar? soprano io sono.
ALINDA
Soprano?
BESSO
Sì, perché?
ALINDA
Non sei castrato già?
BESSO
Non sono a fé.
ALINDA
Non più guerra, non più, non più furore:
due cori amati amanti
tra vezzi, tra canti
dispensino l'ore.
ALINDA E BESSO
Non più guerra, non più: trionfi amore.
BESSO
Non più tromba o tambur, non più romore.
In amorose paci
al suono de' baci
rallegrisi il core.
ALINDA E BESSO
Non più tromba o tamburo; amore, amore.
Oreste, Giasone, Medea, Besso, Coro di Soldati.
ORESTE
Isifile, signor, quella che in Lenno...
GIASONE
Ohimè.
ORESTE
(Tu ben m'intendi.)
...ti ricerca e prega
che tu l'ascolti e qua s'invia.
GIASONE
Ho inteso;
sì, sì, ci rivedremo, Oreste, addio.
Andiam, mia vita.
MEDEA
Altro
non rispondi a costui?
GIASONE
(Che strano incontro!)
Basta così; partiam ti prego.
ORESTE
Ah sire,
sentila per pietà.
GIASONE
Sì, sì, la sentirò; partiam, regina.
MEDEA
(Gelosia, non m'uccidere.) Giasone
se neghi d'ascoltar dama che prega,
certo sarai di scortesia notato:
sentila.
GIASONE
Non rileva.
MEDEA
Almen per non far torto
al messaggero accorto.
Torna alla tua signora
e dilli pur che qui Giason l'attende.
ORESTE
Vado, signore?
GIASONE
Obedisci.
ORESTE
Volo.
(parte)
GIASONE
Come sei curiosa!
MEDEA
(Eh dio, son morta.)
Deh dimmi: chi è costei
che così ardita i messagger t'invia?
GIASONE
(Convien prender partito.)
È una matta leggiadria
che nel passare a Colco in Lenno io vidi;
questa, ovunque dimora,
linguacciuta, arrogante,
-come vedesti- i passeggeri affronta
per dar pastura all'umor suo peccante.
MEDEA
Qual sorte di follia
li stemperò l'ingegno?
GIASONE
Ascolta e ridi.
Vigilante procura
d'ogni donna che giunga a questi lidi
intender i costumi ed i successi;
su quei fissa la mente,
machina e crede al fine
che gl'accidenti altrui, o buoni o rei,
siano incontrati a lei,
e così forte imprime
l'altrui passioni entro la propria idea
ch'or s'allegra or si duole, or ride or piange,
or s'umilia or s'adira,
conforme alla cagion per cui delira.
MEDEA
Gentil follia: vorrò vederne il vero.
Isifile, Medea, Giasone.
ISIFILE
O dio, ecco Giasone
con la beltà gradita.
Spirti, non mi lasciate,
simuliamo lo sdegno: amore, aita.
MEDEA
A te ne vien.
GIASONE
Vaghi discorsi attendi.
ISIFILE
Se tra i mesti pallori
del funesto sembiante,
simulacro di morte,
non riconosci a pieno
la tua diletta amante,
l'adorata consorte,
in questo pianto almeno
che versan gl'occhi in due dolenti fiumi,
d'Isifile infelice,
che abbandonata langue,
riconosci, o Giason, l'anima e 'l sangue.
Rendi, rendi al mio core
quel ben che li donasti,
e tra gl'amplessi casti
meco torna a gioire,
e da' fine al mio pianto e al mio martire.
GIASONE
(Secondiamo l'umore.)
Frena, bella languente,
frena questi dolori, e nel mio seno
torna a goder i sospirati amori.
ISIFILE
O dolcezze, o tesori;
lassa dunque costei
e tutto a me ti rendi, anima mia.
MEDEA
Lussuriosa pazzia.
Ah giovine gentil, non ti sia grave
narrarmi del tuo duol l'alta cagione:
dimmi, amasti Giasone?
ISIFILE
Più dell'anima istessa.
MEDEA
Ti corrispose?
ISIFILE
M'adorò.
GIASONE
Che ridere.
MEDEA
L'amor passò più oltre?
ISIFILE
Al letto ei giunse.
GIASONE
Sopra gl'amori tuoi certo vaneggia.
MEDEA
Al fin godesti, amica?
ISIFILE
Giason, che 'l sa, te 'l dica.
MEDEA
Che rispondi, Giason?
GIASONE
Ciò che gl'aggrada.
ISIFILE
Forse vero non fu?
GIASONE
Ciò che tu narri è vero:
provai tra cari affetti
scambievoli diletti. (O bel pensiero.)
ISIFILE
E tra i diletti al fine,
ah non si può celar fallo sì grave,
gravida mi lasciasti.
GIASONE
Sentirai di più bello.
MEDEA
E partoristi?
ISIFILE
E quasi.
MEDEA
Come dire?
ISIFILE
Maschia gemella prole
in un sol parto alla luce io diedi.
MEDEA
Ed or, che pensi far?
ISIFILE
Seguir Giasone.
MEDEA
E lascerai il tuo natio terreno?
ISIFILE
Quant'è ch'abbandonai la patria e 'l regno!
MEDEA
Dunque regina sei?
ISIFILE
Odi novelle.
MEDEA
Più che pazza è costei.
GIASONE
Io già te 'l dissi:
è regina per certo
di gran nome e di merto.
MEDEA
Mi perdoni la vostra maestà:
venga, signora mia, passi di qua.
ISIFILE
Se per scherzo m'onori,
donna di cui non so lo stato o 'l nome,
benché racchiusa in queste umili spoglie
ti mostrerò, con tua vergogna eterna,
ch'io son regina e di Giason la moglie.
Giason: son tua, sei mio;
lassa questa vagante,
ritorna a questo sen marito e amante.
GIASONE
Non temer di mia fede;
prendi il camin, che tosto,
ov'è tirato il cor, verranne il piede.
ISIFILE
Ch'io ti lasci mai più è vanità:
mio ben, di qua, di qua.
MEDEA
Che complita regina,
della carne dell'uom ladra assassina.
Ah signor, ah madonna,
gentil è 'l vostro umor, vago lo scherzo,
ma non convien pregiudicare al terzo.
ISIFILE
Quai scherzi vai sognando,
importuna, indiscreta,
disonesta, arrogante,
impertinente, ardita,
insolente, impazzita?
MEDEA
Così va detta appunto.
ISIFILE
Giason è il mio consorte;
nell'anima m'offende
chi me 'l nega o contende,
ed io lo sfido a morte.
MEDEA
Così bizzarra? io la disfida accetto,
qua ci vedrem con l'armi;
partiam (ohimè che riso), o mio diletto.
ISIFILE
Partir senza di me, coppia nemica?
In dietro, traditor; torna, impudica.
GIASONE
Raffrenate costei. Partiamo, o cara.
ISIFILE
Indietro, o rea canaglia;
arrestar regie membra
non è forza che vaglia. Ancor tentate,
anime scelerate?
Non sol le vostre forze,
ma d'Erebo i legami
spezzerò, svellerò.
Chi non teme di morte
sa da i tartarei fondi
sbarrar le mura e diroccar le porte.
Segue il ballo de' Marinai.
Bosco fiorito.
Oreste, Delfa.
ORESTE
Nel boschetto ove odor spirano
vaghi fiori e 'l suol ricamano,
ove l'aure intorno aggirano,
a posar l'ombre ne chiamano.
DELFA
L'ombra a me non è giovevole,
che è fugace e vana e instabile,
più che l'ombra è dilettevole
abbracciar marito amabile.
ORESTE
Nel bramar sei larga e calida,
fiacca e scarsa è la mia cupidine,
e pigmea mia forza invalida,
polifema è tua libidine.
ORESTE
Ma dimmi in cortesia
di tua signora la ventura 'l nome.
DELFA
Diciam, tu della tua, io della mia.
La mia nacque regina.
ORESTE
Andiam del pari.
DELFA
Medea si noma.
ORESTE
Isifile s'appella.
DELFA
Ama la mia Giason.
ORESTE
La mia l'adora.
DELFA
La godé.
ORESTE
L'impregnò.
DELFA
Partorì.
ORESTE
La lasciò.
DELFA
Lo seguì.
ORESTE
Lo trovò,
ma tradita dolente
erra per queste piagge
poco men che furente.
DELFA
Stretta Medea in amoroso laccio
gode ogni notte al suo Giason in braccio.
ORESTE
Isifile è sua moglie.
DELFA
È sua sposa Medea.
ORESTE
O bell'imbroglio;
e come si farà?
DELFA
Son facili i partiti:
se due mogli ha Giasone,
a Medea troverò cento mariti.
Medea, Giasone.
MEDEA
Sotto il tremulo ciel di queste frondi,
intorno a cui s'aggira
d'aure soavi un odorato nembo,
posa, o mia vita, alla tua vita in grembo.
GIASONE
Mira, mio cor, deh mira
come nel bel color di queste foglie
speme d'amor s'accoglie.
MEDEA
Vedi, mio ben, deh vedi
qual palesa il candor di questo fiore
la fedeltà d'un core.
Insieme
MEDEA
Dunque tra fiori e frondi,
adorato Giason, posiamo insieme.
GIASONE
Simulacri di fede e della speme,
adorata Medea, posiamo insieme.
MEDEA
Dormi, stanco Giasone,
e del mio cor, che gl'occhi tuoi rapiro,
sian le palpebre tua cara prigione.
GIASONE
Dormi ch'io dormo, o bella,
e mentre i sensi miei consegno al sonno,
oggi per te Giason vantar si puole
d'aver l'alma tra l'ombre e in braccio il sole.
MEDEA
Mio ben, che sognerai?
GIASONE
I tuoi celesti rai; e tu, mia vita?
MEDEA
Tua bellezza infinita.
MEDEA E GIASONE
Placidissimo sonno
che in grembo delle larve al ciel m'invia.
Adoriamoci in sogno, anima mia.
Medea, Giasone, Oreste.
ORESTE
«Adoriamoci in sogno, anima mia»?
Gentil discorso è questo,
ma pazzo è ben chi non intende il resto:
posson questi due cori
ben dirsi innamorati,
se ancora addormentati
si sono avvezzi a praticar gl'amori.
Sto per dir che a chius'occhi
l'un con l'altro si mira,
e col fiato dell'un l'altro respira.
Qual invidiosa guerra
prova l'anima mia?
Veder due soli addormentati in terra,
ed io qui veglio, e senza compagnia.
Almen per sfogare
sì fiero desio,
addormentare
mi potess'io,
che ben so quanto vaglia
fantastica magia d'un sogno grato
a cacciar fuor lo spirto innamorato.
Non è più bel piacer,
quanto in sogno goder
chi si desia.
Gioir in fantasia
con l'adorata amica
risparmia a quel che sogna
il pensiero, la spesa e la fatica.
Curioso amator
suol fabbricarsi ognor
perigli o danni;
senz'arte e senza inganni
a chi dorme è permesso
in grembo alle fantasme
senz'offesa d'altrui saziar sé stesso.
Isifile, Medea, Giasone.
ISIFILE
Il porto, il lido, il pian, la valle, il monte
per ritrovar Giasone in van trascorsi,
onde stanca, anelante,
tra gl'odorati orror del bosco ameno
vengo a posar l'affaticate piante.
Chi sa che in questa parte
l'empio fellon non giunga
e con la vaga sua... Ohimè, che veggio?
Ah che mentre di sdegno
ardo, deliro e avvampo,
ne i prodigi d'amor misera inciampo,
da i sotterranei chiostri
ad infettar questi sacrati orrori
l'inferno vomitò gl'orridi mostri:
dormono i traditori.
Non più dormir, non più!
Brevi sonni e legger dorme un ladrone:
risvegliati su, su, Giason, Giasone.
GIASONE
Chi, chi mi sveglia? chi?
ISIFILE
Svegliati, io così voglio.
GIASONE
Con tanto orgoglio? e chi sei tu?
ISIFILE
Non mi conosci più?
GIASONE
Isifile?
ISIFILE
Giason!
GIASONE
Deh taci, o cara.
ISIFILE
Io cara, e a chi?
GIASONE
A me.
ISIFILE
Menti, spergiuro.
GIASONE
(Se si sveglia Medea, morto son io.)
ISIFILE
Non è cara colei
cui si toglie l'onore,
si laceran gli spirti,
si martirizza il core.
MEDEA
(Con la matta Giasone?)
GIASONE
Al fin che vuoi da me?
ISIFILE
L'onor che mi rubasti.
GIASONE
Te 'l renderò.
ISIFILE
Ma quando?
GIASONE
Tosto n'avrai da me segni veraci;
torna all'albergo, ivi m'attendi e taci.
MEDEA
(Fingerò il sonno, ascolterò chi veglia.)
ISIFILE
Né partir, né tacer, perfido, io voglio;
dimmi: non sei tu quello...
GIASONE
(O quant'io temo!)
ISIFILE
...che in Lenno mi adorasti,
ch'a gl'amor m'allettasti,
e con fé mascherata
di sposo e di marito
gravida mi rendesti;
poi con indegna fuga,
barbaro maledetto,
tradisti quella fede
che in cielo è registrata a tuo dispetto?
Ed or vuoi ch'io m'affidi,
vilipesa regina,
a' tuoi sensi tiranni,
a' tuoi detti omicidi?
T'inganni, empio, t'inganni.
GIASONE
Isifile, un regnante,
(simular mi convien per minor male)
nasce guerriero, e poi diviene amante.
Il desio della gloria,
il pregar de gl'amici,
fur stimoli sì fieri e sì pungenti
che, penetrando il core innamorato,
ebbero ancor possanza
di ferir, o mio ben, la mia costanza;
ma per breve puntura
assalita restò ma non già vinta,
restò ferita sì, ma non estinta.
Or che del vello d'oro
superata ho l'impresa,
dopo breve ristoro a te sua sfera
volerà 'l foco di quest'alma accesa,
e dal core e dal petto,
ti giuro, o mia gradita,
di licenziare ogni straniero affetto.
MEDEA
(E pur non sogno?)
ISIFILE
E pur di nuovo tenti
d'incantarmi, o crudele,
con magie di promesse e giuramenti?
GIASONE
Così incredula sei.
ISIFILE
Dammi gl'affetti miei.
GIASONE
Tosto gl'avrai.
ISIFILE
Devo però partire.
GIASONE
Sì, se brami gioire.
ISIFILE
Partirò se mi dài.
GIASONE
E che?
ISIFILE
D'amor un pegno.
GIASONE
E quale?
ISIFILE
Un casto abbracciamento maritale.
GIASONE
Giusta richiesta, or prendi.
ISIFILE
O caro, o caro, o mio.
GIASONE
Ormai t'acquieta.
ISIFILE
E pur ti stringo, o dio.
GIASONE
Il pianto affrena.
ISIFILE
Mia gioia sospirata.
GIASONE
Mia bellez...
(vede Medea risvegliata)
GIASONE
Oh tu, sei risvegliata?
MEDEA
Non vi turbate no, coppia felice.
Vezzeggiate pur lieti
in grembo delle grazie e de gl'amori
vostri affetti secreti.
Così grati soggiorni
conturbar non vorrò:
se bramate ch'io torni
a dormir, tornerò.
GIASONE
Medea?
MEDEA
Bando alli scherzi;
troppo so, troppo intesi.
Ascolta, traditor: regina, attendi.
D'Isifile e Giason noti a gli dèi
son di fede e d'amor gl'ardori interni,
e ne i volumi de i zaffiri eterni
son scritti a note d'or gl'alti imenei;
trionfi omai dopo angosciosa guerra
di regia dama il calpestato onore,
e in unir destra a destra e core a core
nodo ordito nel ciel stringasi in terra.
ISIFILE
O celesti favor, grazie divine!
Questo decreto sol, donna reale,
era bastante a indiademarti il crine.
GIASONE
Dovrò dunque, o Medea?
MEDEA
Ancor contendi?
Sono a me stessa anch'io cruda e severa;
pur che regni giustizia, il mondo pera.
(dice da parte a Giasone)
Senti, e legge ti sia,
traditor adorato, ogni mio detto:
fa' che a questi sponsali
la morte di costei tosto succeda,
prima che seco tu accomuni il letto.
ISIFILE
(Certo parla a mio pro; quanto li devo!)
(Medea e Giasone a parte)
GIASONE
Dunque vuoi tu che io sia
marito e micidiale?
MEDEA
Così comanda a me la gelosia,
così comanda a te fede reale.
Non è più da pensar: l'ucciderai?
GIASONE
Non fia possibil mai;
farò ch'altri l'uccida.
MEDEA
Chi sarà l'omicida?
GIASONE
Besso.
MEDEA
Ma quando?
GIASONE
In questa notte.
MEDEA
E dove?
GIASONE
Nella valle d'Orseno.
MEDEA
Or son contenta a pieno.
Regina, ecco lo sposo
che, sbanditi i rigori,
lieto ritorna a' tuoi graditi amori.
Tanto lo supplicai
ch'al fin servo e consorte
mi giurò d'esser tuo sino alla morte.
ISIFILE
Se il tuo pietoso zelo
mi rende al primo ardore,
a te, nume per me sceso dal cielo,
devo li spirti miei, l'anima e 'l core.
Medea parte.
ISIFILE
Ma tu così pensoso?
così dolente?
GIASONE
Anzi gioioso,
anzi ridente;
ti pubblicherò moglie,
e per sottrarti al giogo
di gelosia tiranna,
e per più non mirare
l'alta cagion de' miei perversi errori,
infra i notturni orrori
teco prender vogl'io fuga secreta.
Or tu, prima ch'al mezzo
giunga la notte che già copre il cielo,
alla valle d'Orsen tacita andrai;
ivi t'attenderà Besso il mio fido,
Besso che meco già vedesti in Lenno;
a lui per parte mia
domanderai se ancora
quant'impose Giason resti eseguito;
attendi la risposta, e i suoi ragguagli
per ritrovarmi a i passi tuoi dian legge.
ISIFILE
Fortunato tormento,
al fin si placa amore
e ne i campi del duol nasce il contento.
Besso, Giasone.
BESSO
Giason.
GIASONE
Besso.
BESSO
M'invia
Ercole ad avvisarti
che il tempo alla partenza ancor contrasta.
D'un palagio vastissimo distrutto
tra le reliquie antiche
ei fe' drizzar le tende.
Ivi con gl'argonauti egli t'attende.
GIASONE
Intesi. Or tu queste mie voci osserva.
Nella valle d'Orseno
tosto n'andrai, ivi un messaggio attendi;
questi per mio comando, in questa notte,
ti chiederà se di Giason gl'imperi
sono eseguiti. A sì fatta richiesta
sai che risponder dèi?
BESSO
Se non m'avvisi, no.
GIASONE
Gettalo in mare.
BESSO
In mare?
GIASONE
In mare sì.
Maschio o donna che sia, sia pur chi voglia,
né stupor né pietade il cor t'assaglia,
subito l'imprigiona e al mar lo scaglia.
Notte. Campagna con capanne.
Egeo da marinaro, Demo da villano con lanterna.
EGEO
Perch'io torni a penar,
temprò l'ira del mar
quel foco vorace ch'accolsi nel sen;
e 'l cor ch'è ripien
di doglia e spavento,
gode al dispetto mio la libertà.
Di me più scontento
nel mondo non fu, non è, non sarà.
Perch'io torni a languir
mi si nega 'l morir
tra fiera procella ch'il cielo atterrì;
ch'io viva così
vuol fato inclemente,
schiavo d'amor senza sperar pietà.
Di me più dolente
nel mondo non fu, non è, non sarà.
DEMO
Impietosito Oreste
mi donò questa veste,
ed io, che già spacciai
tra regie mura il marchesazzo e 'l conte,
or per ladro destino
mi trasformai di conte in contadino.
Per queste alpestri grotte
mal sicura è la notte;
s'io fussi alla città,
non tremerei, non tremerei così,
e ben saprei colà
andar in truppa e fare il chi va lì;
or per questi sentieri
muovo tacito e cheto il piè leggeri;
brev'è il camino.
EGEO
O dio!
DEMO
Morto son io.
EGEO
Chi parla qua, chi sei
ch'osservi i detti miei?
DEMO
Io sono un innocente
che con l'alma atterrita
ti chieggio in elemosina la vita.
EGEO
Innocente ti fingi,
quando forse di ladro o ver di spia
macchiata hai la coscienza.
DEMO
Son tutto quel che vuol vostr'eccellenza.
EGEO
Volgiti in faccia il lume.
DEMO
Obedisco, illustrissimo padrone;
di' se ho cera di bravo o di poltrone.
EGEO
Al fin è desso: Demo?
DEMO
Chi ti disse il mio nome?
EGEO
Non riconosci il tuo signore?
DEMO
Chi?
EGEO
Non riconosci Egeo?
DEMO
Egeo appunto è lì; lo sventurato
fu da' pesci spolpato.
EGEO
Mira pur s'io son quello.
DEMO
Ohimè, ohimè, indietro!
Indietro farfarello!
EGEO
Non son spirito, no!
Porgi la mano a me.
DEMO
Non te la porgo a fé!
EGEO
Porgila, dico!
DEMO
Son pur nel brutto intrico!
EGEO
Ah non esser ritroso,
tocca, e toccar ti lassa,
caro Demo amoroso.
DEMO
Che spirito vizioso.
Tant'è, voglio arrischiarmi.
O che mano pastosa,
io la credei pelosa.
EGEO
Di' pur ch'io sono Egeo vivo e non morto;
tu già servo, or compagno,
meco ne vieni e porgi
pietoso al mio penar grato conforto.
DEMO
Ch'Egeo tu sia non so, spirto non credo;
ma se spirito sei,
sei di quelli alla moda
senza pel, senza corna e senza coda.
Segue notte con luna.
Isifile sola.
ISIFILE
Gioite, gioite,
festosi, festosi,
miei spirti amorosi;
al ciel di contenti
quest'alma rapite,
di doglie e tormenti
fugate, sbandite
i nembi e l'orrore.
Su questo mio core
stillatevi tutte
dal regno d'amore
dolcezze infinite;
miei spirti amorosi,
gioite, gioite.
Splendete, splendete,
vezzosi, vezzosi,
begl'occhi pietosi;
per luce sì belle
fur care le pene;
voi sete mie stelle,
voi sete 'l mio bene,
mie luci adorate.
Tra fiamme beate
dal vostro bel cielo
per somma pietate
le gioie piovete;
begl'occhi pietosi,
splendete, splendete.
Ma è tempo ch'io precorra
l'ora che m'assegnò l'idolo mio,
e che d'Orseno alla scoscesa valle
per non trito sentiero omai trascorra.
All'imprese d'amore
quanto giova la fretta, il tardar nuoce:
sì, sì, parto veloce.
Purissima innocenza,
che d'ogni mio pensier l'anima sei,
scorgi tu per pietade i passi miei.
Oreste, Isifile.
ORESTE
Fra i notturni perigli,
signora, ove vai tu?
Così de' propri figli
non ti ricordi più?
L'un e l'altro languisce
per fame che atterrisce
anco i figli de i re.
Ah volgi indietro il piè!
ISIFILE
Deh gli consola;
farò presto ritorno,
prima che spunti il giorno.
ORESTE
Col canto e con il vezzo
gl'ho consolati un pezzo,
ma fu vana ogni prova;
dove la fame impera,
la musica non giova,
e da i labri innocenti,
dal digiuno avviliti,
forman strani concenti
non so se di bestemmie o vagiti.
ISIFILE
L'amor mi sprona e la pietà m'arresta;
tosto qua gli conduci.
ORESTE
Sarà peggio, signora,
avranno aria di dentro, aria di fuora.
Questi non han bisogno
venir all'aria bruna
per contemplar le stelle o ver la luna,
ma di tue mamme intatte
astrologi affamati
braman di specular la via del latte.
ISIFILE
O figli, anime mie, del mio ritorno
gl'indugi tormentosi
a i paterni rigori
condonate pietosi;
deh torna alla capanna, amico Oreste:
di là prendi i miei figli
e alle vicine fonti,
ove ratta mi invio, a me li porta;
ma sian tuoi passi frettolosi e pronti.
ORESTE
Perché non gl'allattate entro 'l tugurio?
ISIFILE
Alta necessità così comanda.
Temi tu forse del soverchio incarco?
ORESTE
Anzi sentir non puossi
una mole più scarsa e più leggera,
né alcun di lor giunge alla libbra intera.
Valle d'Orseno.
Medea sola.
L'armi apprestatemi,
gelose furie,
infuriatemi,
gelidi spiriti,
sin che languisca,
sin che perisca
chi le mie gioie infetta.
Gelidi spiriti,
guerra, guerra,
vendetta, vendetta.
Mentre m'accorano
sospiri e gemiti,
e mi divorano
angui mortiferi,
aspro rigore,
mortal furore
la mia rivale assaglia.
Gelidi spiriti,
strage, strage,
battaglia, battaglia.
Besso qui non appare,
ed io misera anelo
dall'impazienza flagellata e vinta
saper se sia la mia rivale estinta.
Per quest'ermo sentiero
raggiratemi voi, furie d'amore,
e l'infuriate piante
guidino gelosia, rabbia e rancore.
Delfa.
Perché sospiri,
Medea gelosa,
perché t'adiri,
bella amorosa?
Che importa a te
se il tuo diletto
ad altro oggetto
serbò già fé?
Ch'importa a te?
Qualor su queste guance
fiorir le rose e 'l brio,
gl'amorosi liquor gustavo anch'io;
e a gl'orli ch'io succhiai
non importò già mai
se le compagne mie bevvero tutte;
mi bastò non restare a labbra asciutte.
È follia
fra gl'amori
seminar la gelosia,
per raccoglier al fin rabbie e rancori.
Consolar sol ne può
quel ben che in sen ci sta,
la gioia che passò
in fumo, in ombra, in nulla se n' va;
chi vol sbandir dal cor doglia e martello
lasci amar, ami ogn'un, goda 'l più bello.
Non credete,
ch'a un amante
possa trar d'amor la sete
una sola bellezza, un sol sembiante;
ma s'egli in un sol dì
da doppio amor godé,
fate, o donne, così:
in men d'un'ora gioite con tre.
Chi vuol goder d'amor suavi i frutti,
un n'accolga, un n'aspetti, aspiri a tutti.
Medea, Besso, Soldati.
MEDEA
Di guerriero drappello
o veggio o veder parmi
avvicinarsi lo splendor dell'armi;
Besso certo fia questi.
Vorrei, senza apparire
partecipe di fatto,
del seguìto fin qui piena contezza.
Or come potrò far? Fingerò sì,
fingerò che Giason... saggio pensiero;
così potrò senz'apportar sospetto
de l'ordin dato penetrare il vero.
BESSO
Gente di qua ne vien; taciti udite
quant'ei favella, ed ogni cenno mio
prontissimi eseguite.
MEDEA
Besso, sei tu?
BESSO
Son io.
MEDEA
Per intender Giasone,
se quanto ei comandò resti eseguito,
in fretta a te m'invia.
BESSO
Medea?
MEDEA
Besso.
BESSO
Giasone a me ti manda?
MEDEA
E con gran fretta.
BESSO
Per intender?
MEDEA
Se quanto
poc'anzi impose a te resti eseguito.
Ancor non mi rispondi?
BESSO
E tu sì tosto la risposta chiedi?
MEDEA
E tu nel darla a me sei così lento?
BESSO
Non è più da pensar. Soldati, a voi:
arrestate costei.
MEDEA
Tradimento a Medea?
Chi ti diè tanto ardir?
BESSO
L'altrui comando.
MEDEA
Chi fu che 'l comandò?
BESSO
Chi comandar mi può.
MEDEA
Dunque Giason?
BESSO
Non più.
Conducetela altrove.
MEDEA
O Giason traditore.
Lassatemi, felloni; e dove e quando?
Isifile, Besso.
ISIFILE
Besso, Besso.
BESSO
Chi chiama?
ISIFILE
Giason a te mi manda acciò gl'avvisi
se fu eseguito ancor quant'ei t'impose.
BESSO
Tardi venisti; torna,
ché con queste ambasciate
altri per tua ventura ti prevenne.
Torna a Giason e di'
ch'io solo uccido una persona il dì.
(parte)
ISIFILE
Torna a Giason e di'
ch'io solo uccido una persona il dì?
Che linguaggi, che cifre
mi passan per l'udito
a spaventar l'idea? Besso! è sparito.
Ah se la mia dimora
fu cagion de' miei mali,
io vo' morir or ora!
Che farò? parto o sto?
Seguirò Besso o no? o dio, che pena:
mi sospinge un pensier, l'altro m'affrena.
Purissima innocenza,
tu, che de' miei pensier l'anima sei,
scorgi, pietosa diva, i passi miei.
Egeo, Medea di dentro.
EGEO
Qual incognita forza
per questi orrori a raggirar mi sforza?
MEDEA
Così son maltrattata,
regina imprigionata?
EGEO
Regina imprigionata?
MEDEA
Ditemi, scelerati,
di qual colpa son rea,
sventurata Medea?
EGEO
Medea? Medea?
MEDEA
Alcun non mi risponde
fra così ingiusti guai?
Mi gettate nell'onde?
O Giason traditor, ahi, ahi, ahi...
Si sente cader Medea nell'acque.
EGEO
Medea nell'onde? ahi sorte:
mi getto a dar la vita
a una crudel che mi negò la morte.
(si getta in mare)
Besso e Soldati da una parte, Giasone dall'altra.
BESSO
Tormento, ove mi guidi?
Ritorniamo a Giason.
GIASONE
Besso, che porti?
BESSO
Il comandato scempio.
GIASONE
Venne?
BESSO
Ah, purtroppo venne.
GIASONE
Perché sospiri?
BESSO
Una regina uccisi.
GIASONE
Morì?
BESSO
Morì.
GIASONE
Che disse?
BESSO
Traditor mi chiamò, mi maledisse.
GIASONE
Altro?
BESSO
Che fusser da gl'imperii tuoi
sue sventure prodotte
tosto s'indovinò;
poi col tuo nome in bocca
dallo scoglio nel mar precipitò.
GIASONE
Giudice appassionato
non proferì già mai giusta sentenza,
il carnefice io fui dell'innocenza.
Vieni alle tende e taci;
un esito infelice
l'inorridito cor ahi mi predice.
Medea, Egeo.
MEDEA
Non m'affligger così,
palesami chi sei,
saper voglio per chi
l'avanzo viverò de' giorni miei.
EGEO
O dio, quando il saprai,
dolce tiranna mia, mi fuggirai.
MEDEA
Se per sottrarmi a morte
tua vita avventurasti alla marina,
perché da te diverso
col dubitar m'offendi?
Colei che per te vive è una regina.
EGEO
Medea, tesoro mio,
chi ti risolse all'onde
è il disprezzo Egeo. Egeo son io,
e se fato benigno,
che tu viva per me mi diede in sorte,
altra mercé non chiedo
che di tua man la pattuita morte.
MEDEA
Non bisognava, Egeo,
obligarmi di vita,
se cader tu volevi
vittima di mia destra inferocita.
EGEO
Se neghi morte a chi la morte chiede,
disperata è per me ogni mercede.
MEDEA
Non disperar, mia vita.
EGEO
Mia vita a me?
MEDEA
A te.
EGEO
Come sì pia?
MEDEA
Chi la vita mi diede è vita mia;
e ch'io devo adorarti,
costantissimo Egeo, serva e consorte,
profetizzò poc'anzi
nel licenziarsi dal mio sen la morte.
EGEO
Mio cor, mio cor, che senti?
Io non invidio, o dèi, vostri contenti.
MEDEA
Ma se re tu nascesti,
come potrai soffrir che resti in vita
quel tiranno spergiuro
che mi fe' trar all'onde e m'ha tradita?
Egeo, mio re, mio sposo,
a te, a te s'aspetta
far di tua moglie offesa alta vendetta.
Tradisci il traditor, l'uccidi e sia
del chiaro sol di nostra gioia altera
la morte d'un crudele alba furiera.
EGEO
Non più, bella, non più;
dimmi chi ti tradì, dimmi chi fu.
MEDEA
Giason morte mi diè.
EGEO
O morirà Giasone, o non son re.
MEDEA
L'ucciderai?
EGEO
Tel giuro.
MEDEA
Usa la crudeltà.
Uccidilo sì, sì.
EGEO
Questa notte sarà
del tessalo fellon l'ultimo dì.
Palazzo disabitato con rovine.
Giasone.
Ovunque il piè rivolgo
si splalanca un abisso;
là dove il guardo io fisso,
in sembianze terribili
vedo due spettri orribili:
una Medea sdegnata,
un'ombra assassinata.
L'una tutta gelosa,
l'altra a torto sommersa
martirizzano a gara
quest'anima languente,
quella tutta rigor, questa innocente.
Ma, lasso, il mal dell'alma
contamina il vigor del viver mio,
mortifica le membra,
e nell'abisso di mortal cordoglio
in estasi di duol l'anima scioglio.
Egeo, Giasone che dorme.
EGEO
Giason qui parla. Dell'aurora il lume
mi scopre il traditor che dorme o langue.
È solo? sì! E qual miglior fortuna
per farli vomitar l'anima e 'l sangue?
Mora il perfido ingrato.
(mette mano al stile e va per ucciderlo)
Isifile, Egeo, Giasone.
(Isifile s'avventa al stile e lo leva di mano ad Egeo)
ISIFILE
Tu morrai, scelerato!
(Giasone si sveglia e mette man alla spada)
GIASONE
Io morirò? ah traditori.
EGEO
(fuggendo)
Ahi fato.
GIASONE
Un con l'armi alla man, l'altro si fugge?
Besso, soldati, o là.
Besso, Soldati, Giasone, Isifile.
GIASONE
Ferma quest'assassin, l'altro si segua.
(parte di soldati imprigionano Isifile e li levano lo stile, e parte va dietro Egeo)
GIASONE
E pria che questi mora
riconosci tu, Besso,
il reo di tanto eccesso?
BESSO
Volgiti a me; chi sei?
ISIFILE
Io non m'ascondo;
non mi conosci più?
BESSO
Mi sembri... ah sei pur tu;
Isifile è costei.
ISIFILE
Isifile son io,
oggetto infausto del destin più rio.
GIASONE
Besso, Besso fellone,
hai tradito Giasone.
BESSO
Io traditor? Ah sire,
da questa voce sono a torto offeso,
palesami l'accusa e poi m'uccidi,
se l'innocenza non m'avrà difeso.
GIASONE
Non dicesti poc'anzi
che Isifile gettasti in mezzo all'onde?
Ancor pensando stai?
BESSO
Non lo fei, non lo dissi, no 'l sognai.
GIASONE
Come?
BESSO
Ti dissi solo, e dissi il vero,
ch'una regina in mar precipitai.
GIASONE
E ben, che vorrai dir?
BESSO
Nulla di più:
sol che costei nel mar tratta non fu.
GIASONE
Chi dunque in mar traesti?
BESSO
Colei che m'imponesti.
GIASONE
Il nome ancor mi celi?
BESSO
Quella ch'a me se n' venne,
quella che a me parlò,
quella che imprigionai,
quella ch'io trassi entro la sfera ondosa,
fu Medea, la tua sposa!
GIASONE
Dunque è morta Medea?
BESSO
Medea morì.
Medea, Giasone, Besso, Soldati, Isifile.
MEDEA
Tu menti, traditor! Viva son qui!
GIASONE
L'inganno è duplicato?
Non viverai più no,
o Besso scelerato.
BESSO
Eccomi a' piedi tuoi:
concedimi ch'io parli e, s'io son reo,
fa' di me ciò che vuoi.
GIASONE
Parla e di' tosto.
BESSO
Dimmi, non m'imponesti
ch'io traessi nell'onde
quelli che per tua parte
-uomo o donna che fusse- in questa notte
nella valle d'Orseno
mi domandasse se gl'imperii tuoi
furon da me eseguiti?
GIASONE
Così t'imposi.
ISIFILE
Io per qual fine intendo.
BESSO
E tu, real signora,
questa richiesta appunto
non mi facesti?
MEDEA
Sì.
BESSO
Io non t'imprigionai?
MEDEA
M'imprigionasti.
BESSO
Non ti condussi al mar?
MEDEA
Mi conducesti.
BESSO
Non ti trassi nell'acque?
MEDEA
E a viva forza.
BESSO
Con l'istessa richiesta
non venisti ancor tu quand'io partivo?
ISIFILE
Venni.
BESSO
E che ti risposi?
ISIFILE
«Torna a Giasone e di'
ch'io sol uccido una persona al dì.»
BESSO
Ecco il tutto svelato.
Tu, discreto e prudente,
giudica s'io son reo od innocente.
GIASONE
E Medea come vive,
se al mar la desti già?
BESSO
Questo non saprei dir, ella il dirà.
MEDEA
La costanza infinita
di mio sposo real tornommi in vita.
GIASONE
E lo sposo chi è?
MEDEA
Egeo, d'Atene il re.
GIASONE
Tu d'altri che di me?
MEDEA
Giason, frena li sdegni.
Io che dianzi gelosa
d'Isifile tradita
lacci di morte all'innocenza tesi,
in quell'orrido evento
m'accorsi al fin che cade,
per occulto destino,
su l'alme traditrici il tradimento.
Curïosa impazienza
mi condusse al sepolcro,
ma l'amoroso Egeo,
che fu di questo cor l'incendio primo,
gettandosi tra l'onde
mi sottrasse clemente a morte acerba.
Or tu, se saggio sei,
a regina sì bella,
da cui spero ottener perdono e pace,
l'antica fede e 'l primo amor riserba.
GIASONE
Ch'io lassi i tuoi bei rai,
bella Medea, non fia possibil mai.
MEDEA
Nei volumi stellati
volgi il guardo, o Giason: ivi vedrai
che i tuoi vaganti affetti
ad Isifile tua fur destinati.
GIASONE
Ch'io rivolga il pensiero
a chi tentò poc'anzi
con quel ferro svenarmi? ah non fia vero.
ISIFILE
Io ti volsi svenare?
Io che con destra ardita
ritolsi al fuggitivo
questo che ti dovea privar di vita?
GIASONE
Chi dunque venne a machinar mia morte?
Egeo con Soldati, Giasone, Medea, Isifile, Besso.
EGEO
Io fui che con quel ferro,
di cui conservo la vagina in seno,
o barbaro inumano,
per ferirti a ragion stesi la mano.
GIASONE
Tanto ardisce costui?
E chi ti spinse al tradimento indegno?
MEDEA
Fermati: io lo mandai
per vendicar le mie supposte offese;
fummo ingannati, Egeo;
senza colpa è Giason, per altro è reo.
GIASONE
Questa innocenza mia a te mi renda.
MEDEA
Sono in poter d'Egeo gl'affetti miei;
rendi tu pur te stesso a chi tu dèi.
GIASONE
A te sempre soggette avrò le voglie.
MEDEA
Indiscreto parlar d'un re ch'ha moglie.
GIASONE
Oh fato avverso, ahi sorte,
la vita di costei fu la mia morte.
ISIFILE
Infelice, che ascolto?
Non t'affannar, Giasone,
che se la vita mia
fu, come ben intesi,
un aborto d'errori
che produce il tuo duolo,
vengo a sacrificarla a' tuoi furori.
S'io perivo tra l'acque,
una morte sì breve
forse non appagava i tuoi rigori;
or se viva son io,
rallegrati, o crudele,
già che potrai con replicate morti
sfogar del fiero cor l'empio desio.
Sì sì, tiranno mio,
ferisci a parte a parte
queste membra aborrite,
straziami a poco a poco
queste carni infelici,
anatomizza il seno,
straziami a tuo piacere,
martirizzami i sensi,
e 'l mio lento morire
prolunghi a me 'l tormento, a te 'l gioire.
Ma se d'esser marito
l'adorate memorie al fin perdesti,
fa' ch'il nome di padre
fra le tue crudeltadi intatto resti;
non ti scordar, Giason, che padre sei
e che son di te parte i parti miei;
se legge di natura
obliga a gl'alimenti anco le fiere,
fa' che mano pietosa
gli somministri almen vitto mendico,
e non soffrir ch'i tuoi scettrati figli
per la fame languenti
spirin l'alme innocenti.
Regina, Egeo, amici,
supplicate per me questo crudele,
che nel ferirmi ei lassi
queste mammelle da' suoi colpi intatte,
acciò nutrisca almeno i figli miei
del morto sen materno un freddo latte.
Pregatelo pietosi
che quegl'angeli infanti
assistino a i martiri
della madre tradita,
e che ad ogni ferita
che imprimerà nel mio pudico petto
bevino quelli il sangue mio stillante,
acciò ch'ei trapassando
nelle lor pure vene in lor s'incarni,
onde il lor seno in qualche parte sia
tomba innocente all'innocenza mia.
Addio terra, addio sole,
addio regina amica, amici addio,
addio scettri, addio patria, addio mia prole;
sciolta la madre vostra
dal suo terrestre velo
attenderà di rivedervi in cielo.
Venite omai, venite,
figli miei, cari pegni,
temp'è ch'io vi consegni
all'adorato mostro
ch'è carnefice mio e padre vostro.
Figli, v'attendo e moro;
e te Giason, benché omicida, adoro.
GIASONE
Non ho più core in petto,
scoppia l'alma nel seno:
taci Isifile, taci,
non mi confonder più, vinto son io.
Figli, moglie, cor mio,
tra le colpe avvilito,
dalla tua man difeso,
chieder pietà non oso,
padre inumano e traditor marito.
Ah da te, mia tradita,
impetrino per me perdono e paci
il mio pianto, il mio duol, gl'amplessi, i baci.
Egeo, Medea, godete
vostri felici ardori,
e mentre in ogni cor la gioia abbonda,
un contento improvviso
le trascorse vicende
in mar d'amico oblio chiuda e confonda.
Vinto, vinto son io,
figli, moglie, cor mio.
ISIFILE
Mio smarrito tesoro,
s'io ti riacquisto, o dio,
non ho più che bramare,
e son le mie dolcezze,
quanto stentate più, tanto più care.
Viene Alinda.
ALINDA
Fortunati tormenti.
Vien Oreste.
ORESTE
Impensate allegrezze.
Vien Delfa.
DELFA
Cari amorosi frutti.
Viene Demo.
DEMO
Acquietatevi tutti;
io di queste venture
fui la prima cagione,
io spinsi Egeo a seguitar Gia- Gia-
DELFA
Giasone.
DEMO
Gia- Gia- Gia-
ALINDA
Giasone.
DEMO
Gia- Gia- Gia-
BESSO
Giasone.
DEMO
Gia- Gia- Gia-
ORESTE
Giasone.
DEMO
A seguitar... Gia- Gia-
DELFA, ALINDA, ORESTE E DEMO
Giasone.
Insieme
ISIFILE
Quante son le mie gioie
tante stelle il ciel non ha.
GIASONE
Quante son le mie gioie
tante stille il mar non ha.
ISIFILE
Mia dolcezza.
GIASONE
Mia bellezza.
Insieme
ISIFILE
Nel tuo seno languire mi sento già,
ch'a tanto gioire
un'alma sola resister non sa.
GIASONE
Nel tuo seno morire mi sento già,
ch'a tanto gioire
un'alma sola resister non sa.
Insieme
MEDEA
Godi, Isifile, godi,
stringa amor, Giason, suoi dolci nodi...
ISIFILE
Godi, Medea, godi,
stringa amor, Egeo, suoi dolci nodi...
MEDEA, ISIFILE, EGEO E GIASONE
...e fra nodi tenaci
rimbombin queste valli al suon di baci.
Giove, Amore, coro di Dèi, Zeffiro.
GIOVE
Hai vinto, Amor, hai vinto,
e dalle tue vittorie
di mia prole gradita
prende vita l'onor, nascon le glorie.
Per coronar d'applausi
la possanza immortal di tua faretra,
vedi come festeggia
il senato purissimo dell'etra.
Io de' tuoi fasti glorioso, altero,
al sen ti stringo, o trionfante arciero.
AMORE
Questa face
arde e piace;
quell'ardor che l'alme assale
è terribile;
è invincibile
il valor d'un aureo strale.
Per gl'azzurri del cielo
vola Zeffiro amato,
e con nembo odorato
le regie nozze e 'l mio trionfo onora,
l'aura tranquilla e queste rive infiora.
ZEFFIRO
(sopra un cigno)
Vago cigno,
che benigno
mi guidasti ov'Amor sta,
verso il polo
stendi il volo,
qui mi lassa in libertà.
Su quest'ali
immortali
questi liti scorrerò,
co' miei fiati
odorati
questo sol feconderò.
Qui d'acanti,
d'amaranti
spargerò nembo gentil;
qui di rose
rugiadose
fiorirà un nuovo april.
Amor, io de' tuoi cenni
volante esecutor rapido venni;
or di Giason, che gode
con Isifile sua fervidi amori,
con gl'aneliti miei
io scendo a terra a temperar gl'ardori.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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