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Scena prima |
La scena si cangia in un mare sui liti del quale sono molte torri, ed in una di esse Hyllo prigioniero. Hyllo. |
Q
Hyllo
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Ahi che pena è gelosia
ad un'alma innamorata
ch'a i sospetti abbandonata
teme ogn'or sorte più ria.
Ad Alcide allor ch'Iole
crudelmente in ver me pia,
di sperar alfin concesse;
io credei, che m'uccidesse,
solo il suon di tai parole,
ma il morir manco duol fia.
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Ma che veggio? ecco un messo,
che viene a dritta voga, è il Paggio? è desso.
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Scena seconda |
Apparisce nel detto mare il Paggio in una barchetta. Paggio, Hyllo. |
<- Paggio
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PAGGIO
Zefiri che gite
da' vicini fiori
involando odori
e qua poi fuggite;
fate alla mia prora
ch'oggi il mar si spiani,
voi pur cortigiani
siete de l'aurora.
Noto è a voi Cupido
che d'ogn'un fa giuoco,
e per l'altrui fuoco
or me trae dal lido.
A voi pur convenne
far l'ufficio mio,
così avessi anch'io
come voi le penne.
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HYLLO |
Che novella m'arrechi? è buona, o rea?
Ma che parlo infelice?
Sperar più verun bene a me non lice.
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PAGGIO |
Iole alfin astretta
di maritarsi al furibondo Alcide
con questo foglio a te mi spinse in fretta.
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HYLLO |
Porgilo dunque;
(legge il biglietto)
«Alla tua fé tradita,
chiedo giusto perdono,
se per serbarti in vita
ad Ercole mi dono.»
Che per serbarmi in vita? Oh cieco errore!
Ah, che ciò per me fia morte peggiore.
Torna veloce, oh dio,
torna veloce, e dille,
ch'essendo essa fedele all'amor mio,
se morrò, sì contento
scenderà questo spirto al basso mondo,
ch'in alcun tempo mai
non ne vider gli elisei un più giocondo.
Ma che, s'altrui si dona, o il duol atroce
di sì perfida sorte,
o la mia destra mi darà in tal punto
una sì amara, e sconsolata morte,
ch'affannosa, e dolente
quest'alma in approdar le stigie arene
infin quivi parrà mostro di pene.
Dille, che s'ella almeno
per costanza d'amor sarà pur mia
non farà di me strage altri ch'Alcide,
ma che s'ella mi lascia, ella m'uccide.
Saprai tu ben ridir queste querele?
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PAGGIO |
Pur ch'il mar infedele
non mi vieti il ritorno, e di già parmi
che ben voglia agitarmi: o numi algosi
correte al mio soccorso.
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Si muove la tempesta in mare. | |
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Scena terza |
Hyllo. |
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E non si trova
fra gl'armenti squamosi
un cor benché gelato,
che qual già d'Arione
di quel meschin garzone
senta qualche pietade, e salvi insieme
gl'ultimi avanzi in lui d'ogni mia speme
ohimè, ch'il mar con cento fauci, e cento
tutte rabbia spumanti
non par ch'ad altro furioso aneli
ch'a divorar quel poverello. Ah date
a sì mortal periglio
pronto soccorso o cieli;
ohimè, che più tardate?
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Il Paggio si sommerge. | Paggio ->
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Ah che quella voragine l'ingoia,
dunque forz'è, che disperato io moia:
e chi sia più che vieti
alla mia bella d'eseguire i suoi
mal'accorti decreti? a che più penso?
Che più tardo a finire
con un breve morire un duolo immenso?
Cerulei umidi numi,
ricevete propizi un sventurato,
che dal ciel, dalla terra, e da gl'abissi,
sempre a gara oltraggiato
viene a cercar tra le vostre acque in sorte
per gran favor la morte.
Hyllo, su al mar t'avventa;
che temi, orche, e balene?
O pur di'! ti spaventa
l'imagin del morir squallida, e tetra;
chi fugge gelosia nulla l'arretra:
su, su, dunque a morir, ché 'l chiaro nome
dell'amato mio sole
indorar mi potrà l'ombre più dense
del Tartaro profondo: Iole, Iole.
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Hyllo si precipita in mare. | |
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Scena quarta |
Apparisce nell'aria Giunone, in un gran trono e cala in soccorso d'Hyllo. Giunone, Nettuno, Hyllo. |
Hyllo ->
<- Giunone
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GIUNONE |
Salva, Nettuno, ah salva
quel troppo ardito giovine, e sovvienti,
che t'acquistò non favorevol grido
il negato soccorso
all'amoroso nuotator d'Abido.
Salvalo, o dio triforme,
che d'Ercole comun nostro nemico
all'alma inviperita
far non si può da noi più grande oltraggio
che di salvare il di lui figlio in vita;
poi che l'iniquo padre,
che qual rival geloso
la morte sol di quel meschino agogna,
vedendolo da noi ridotto illeso,
doppia ne ritrarrà smania, e vergogna.
Ah tu non m'odi? o vi ripugni? adunque?
In quest'onde ver me già sì cortesi
quell'antica bontà del tutto è spenta?
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Sorge dal mar Nettuno in una gran conchiglia tirata da cavalli marini, e in essa si vede Hyllo salvato. | <- Nettuno, Hyllo
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NETTUNO |
Eccoti, o dèa contenta;
che nulla al tuo voler negar poss'io;
né fu mia negligenza
ma ben sua renitenza il tardar mio;
né credo unqua più avvenne,
che dall'orribil gola
della vorace, e non mai sazia Dite
fosser ritorti a forza
contro la lor voglia i miseri mortali
come or succede in questo, o forsennato,
e chi rende al tuo gusto
di sì amabil sapor l'estremo fato?
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HYLLO |
D'un amor disperato
alla tantalea sete
il nettare più grato
è sol l'onda di Lete.
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NETTUNO |
Oh semplicetto ascolta,
ciò, che per suo diletto,
cantò Glauco talvolta.
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Amanti che tra pene
ogn'or gridate ohimè:
perché bramate di morir, perché?
Ah non negate mai fede alla spene.
Per chi vive il ciel gira,
e non sempre un sospira,
anzi lieto è tal'or chi mesto fu,
ma per chi more il ciel non gira più.
O stolti, ov'è il ristoro
nel morir poi? dov'è?
E che val più di vostra vita, e che?
Ah non si può dar mai più gran tesoro.
E sian pur buone o felle
stile al par cangian le stelle
né può sempre il destin gire all'in giù
ma per chi muore?
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GIUNONE |
Saggiamente a te parla, Hyllo, quel nume.
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NETTUNO |
Vanne veloce, e la gran diva inchina
a dio forma reina.
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Hyllo entra nella macchina di Giunone, e Nettuno s'attuffa nel mare. | Nettuno ->
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Scena quinta |
Giunone, Hyllo, coro di Zefiri, che danzano, e suonano. |
<- coro di zefiri
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GIUNONE |
Dunque del mio potere
diffiderai tu solo?
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HYLLO |
Diva a che viver più chi vive al duolo?
Ma pure ossequioso
ti chieggio umil perdono,
che quantunque penoso,
grato il viver mi fia poich'è tuo dono.
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GIUNONE |
Non lice a voi mortali
del destin preveder gl'alti decreti
quanto più strani tanto più segreti.
Quindi è che nel mirare
de' futuri nascosti
i preludi talvolta al fine opposti,
spesso ciechi lasciate
con i vostri giudizi infermi, e monchi,
che d'ignote venture
disperata ignoranza il fil vi tronchi.
Ma se a scorger giungeste
in quegli inesplicabili volumi
scritti in zaffiri a lettere di stelle:
sovente ammirereste
esser in lor prefisso,
ch'inaridisca a lente piogge un prato
e lo renda fecondo
di Sirio, e d'aquilon l'arido fiato;
che resti in picciol stagno
d'un Giasone, e d'un Tisi il legno absorto,
ch'a i naufragi conduca aura tranquilla,
e avversa tempesta al lieto porto.
Vanne dunque, e pur spera, e non t'annoi
il dar più fede a me, ch'a i sensi tuoi.
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HYLLO |
Diva dovunque io sia
non so se posi in cielo, o in terra il piede,
così di tue fortune
pur incerta se n' va l'anima mia.
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GIUNONE
Congedo a gl'orridi
suoi flutti altissimi
poi ch'il mar diè,
zefiri floridi
su festosissimi
volate a me,
e in danza lepida
da voi si venere
la mia virtù,
che sempre intrepida
contro di Venere
vittrice fu.
Sol gl'amor regnino
da quali spieghisi
onesto ardor,
e i cieli sdegnino
ch'in altro impieghisi
il lor favor:
desir che seguino
affetti ignobili
stian sempre in duol,
e si dileguino
dell'alme nobili
qual nebbia al sol.
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Scendono sul palco Hyllo e Giunone e poi questa parte e rimonta al cielo nella sua macchina, nella quale i Zefiri invitati da essa formano la 5ª danza. | Giunone, Hyllo ->
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Scena sesta |
Si cangia la scena in un giardin di cipressi pieno di sepolcri reali. Deianira, Licco. |
Q
Deianira, Licco
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DEIANIRA |
Ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?
Ah che ben mi guidaro
gl'addolorati miei languidi passi
a trovare in alcun di questi sassi
come far sazio il mio destino avaro.
Ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?
Alfin perduto ho il figlio
e già vicina è l'ora,
che dona ad altra sposa il mio consorte,
né perciò avvien ch'io mora?
Armi non ha da uccidermi la morte,
già che tanti dolor non mi sbranaro;
ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?
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Prendi Licco fedele
questi de' miei tesor poveri avanzi
per passar meno incomodi i tuoi giorni,
e rimira se puoi,
un dì questi sepolcri aprirmi in cui
d'ogni speranza di conforto ignuda
per non mirar più il sol mi colchi, e chiuda.
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LICCO |
Ah Deianira io non son tanto accorto
che possa in sì gran carichi servirti
di tesoriere insieme, e beccamorto:
né so s'abbi pensato,
ch'esser preso così quindi io potrei
per omicida, e ladro,
e con solennità condotto al posto
di sublime appiccato,
onde fora tra noi sorte ben varia,
tu morresti sotterra, ed io nell'aria.
Deh scaccia o Deianira,
desio sì forsennato,
che di quanti nell'urna abbia Pandora
e disastri, e ruine, e pene, e danni,
e dolori, ed affanni,
e angoscie, e crepacuori io ti so dire,
ch'il peggior mal di tutti è di morire.
Ma che pompa funebre
scorgo venir? tiriamoci in un lato
che qual lugubre aspetto a te fia grato.
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Scena settima |
Iole con la pompa funebre, coro di Sacrificanti, ombra d'Eutyro, Deianira, Licco, coro di Damigelle d'Iole. |
<- Iole, sacrificanti, damigelle
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CORO DI SACRIFICANTI |
Gradisci o re,
il caldo pianto
ch'in mesto ammanto
afflitta gente
dal cor dolente
sparge per te!
Gradisci o re.
Tua sepoltura
i fior riceva
che selva oscura
germogliar fe':
e il sangue beva,
che per man monda
vacca infeconda
svenata diè,
gradisci o re.
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IOLE |
E se pur negli estinti
di generosità pregio rimane,
permetti o genitore,
che dopo aver io tanto (ahi lassa) invano
per vendicarti oprato
ceda al voler del fato,
e che non già quest'alma,
ma sol di lei la sventurata salma
per l'iniquo tiranno
(per cui grato mi fora
più del talamo il rogo)
di sforzati imenei sottentri al giogo.
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CORO |
Ah ch'il real sepolcro
formando entro di sé dubbi mugiti:
ah, ah, (ch'esser ciò puote?)
tutto trema, e si scuote.
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Rovina il sepolcro d'Eutyro, e apparisce l'ombra di lui. | sacrificanti ->
<- Eutyro
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EUTYRO |
Che sacrifici ingrati?
Che prieghi ingiuriosi?
Che voti obbrobriosi?
Porgonsi a me? così s'oltraggia Eutyro?
Così fia, ch'a sua voglia
fredda insensibil ombra ogn'un mi creda?
Farò ben, che s'avveda
l'omicida ladron, s'ancor m'adiro?
E se contro di lui
odio, rabbia, e furor più che mai spiro?
Dunque chi del mio sangue
fe' scempio ingiusto, del mio sangue ancora
far vorrà suo diletto? ah non fia mai:
e tu dar vita a i parti
di chi morte a me di è (figlia) potrai?
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IOLE |
Ben resistea l'avverso mio volere
d'Ercole alle preghiere,
e alla forza di lui pur fatta avrei
resistenza invincibile, ma d'Hyllo,
d'Hyllo a te già non men, ch'a me sì caro,
che delle nostre offese
non fu complice mai:
anzi che ne sofferse
al par di noi con amorosa, e immensa
compassione il duolo,
d'Hyllo, ohimè, di lui solo
il periglio mortale
m'astrinse a consentire
all'aborrite nozze,
com'unico riparo al suo morire:
dunque perdona, o genitor, l'intento
di queste sacre pompe
ch'Amor, che non ha legge
ogni legge a sua voglia o scioglie, o rompe.
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EUTYRO |
Tant'ha d'Eutyro il nudo spirto ancora
invisibil possanza,
che neglette, e schernite
le temerarie voglie
del nemico fellone,
saprà salvare insieme
l'innocente garzone.
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DEIANIRA |
O dio dunque lasciate,
ch'a me di chi v'offese offesa moglie
e di chi tanto favorir bramate
madre, ohimè, semiviva or sia concesso
d'accomunar con voi l'aspre mie doglie.
Per conservarmi il figlio
privarmi di marito,
o di rimedio reo misero aborto;
o disperata speme. Hyllo è già morto.
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IOLE |
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DEIANIRA |
Sul più vicino scoglio
della di lui prigion mentre attendevo,
che qualche picciol legno
colà mi conducesse
a consolarlo almen col mio cordoglio,
lo vidi all'improvviso, ohimè, dall'alto
cader nel mar d'un salto.
E se non lo seguii,
fu perché dal dolore, ahi, sopra fatta
caddi al suol tramortita,
e per man degli astanti
con mal saggia pietà quindi fui tratta.
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EUTYRO |
Dunque a qual altro fin, che per più strano
mio spregio, e scorno? Or di te far vorrai
un esecrabil dono
al barbaro inumano?
Ch'altra moglie trafigge, altra abbandona,
e né meno a suoi figli empio perdona.
Deh con giusto coraggio
saggiamente pentita,
rinunzia a un tanto error mentr'io ritorno
del fumante Cocito all'aria impura
alle sponde infocate
per unire in congiura
l'anime ch'il crudele a morte ha date:
e ben vedrai ch'invano io non prefissi
di sollevar contro di lui gli abissi.
(l'ombra di Eutyro sparisce)
| Eutyro ->
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IOLE |
Hyllo il mio bene è morto? altro che pianti
vuol da me tal dolore:
egli sol per mio amore
disperato s'uccise, ed io fra tanti
segni della sua fé sempre più chiari
fia ch'a morir dalla sua fede impari;
troppo io pregiai la vita, ed or m'avveggio
quanto il morir più vale;
questa spoglia mortale
scopo è sol di sventure, e degno seggio
d'Amor sono gli elisei, ov'ei più splende
né tirannia, né duolo alcun l'offende.
Attendetemi dunque, alme dilette
d'Hyllo, e d'Eutyro in pace,
ch'a raggiungervi io corro, ombra seguace.
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LICCO |
Ferma ti prego, e poiché (grazie al cielo)
tornò l'orribil ombra a casa sua,
e ch'a me così torna, e fiato, e voce;
vuò dar grato consiglio a tutte e dua.
E che miglior rimedio?
A' tanti vestri spasimi di quello
a proporvi son pronto
ch'è di guarire ad Ercole il cervello?
Quand'egli si raccenda
per te del coniugal dovuto affetto,
e che non curi più nuovi imenei,
ditemi ciò non parvi
assai per consolarvi?
Dunque non ti sovviene, o Deianira,
che per ciò far mezzo sì raro avemo?
Veggio, ch'il duol estremo
ti rende smemorata, e quella veste,
che già Nesso centauro
in morendo a te diè, qui pur non vale?
Per far ch'Alcide allor che l'abbia in dosso
ogn'altro amor ch'il tuo ponga in non cale?
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DEIANIRA |
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LICCO |
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IOLE |
Ma ciò per ravvivare Hyllo non giova.
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LICCO |
Oh che strane domande!
Ma ben potrei risuscitare un morto,
s'a contentar due femmine mi posi,
ch'è d'ogni altro impossibile il più grande,
s'in vece, che per troppa impazienza
posar monte su monte
avesser li giganti a sasso a sasso
fabbricato il lor ponte;
al dispetto di Giove
sarian montati in cielo a far fracasso.
Si va di là dal mondo a passo a passo.
Né fia vano il tentare
di levarci un ostacolo cotanto
com'è d'aver con Ercole a cozzare.
Che poi dall'altro canto
chi sa? ch'Hyllo sentendosi bagnato
fatto più saggio non si sia pentito
e a nuoto salvato.
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DEIANIRA, IOLE E LICCO
Una stilla di spene
oh che mar di dolcezza!
per un'anima avvezza
a languir sempre in pene.
Una stilla di spene,
benché tal'or mentita
nelle già fredde vene
riconduce la vita:
e per stupenda prova
fin con l'inganno giova.
| (♦)
(♦)
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Le Damigelle di Iole rimaste a piangere presso le rovine del sepolcro d'Eutyro, alla vista di quattr'Ombre si spaventano, e formano così con le dett'Ombre la 6ª danza, per fine dell'atto quarto. | Deianira, Iole, Licco ->
<- quattro ombre
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