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L'Ercole amante

L'ERCOLE AMANTE

Tragedia.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Francesco BUTI.
Musica di Francesco CAVALLI.

Prima esecuzione: 7 febbraio 1662, Parigi.


Personaggi:

CINZIA prologo

soprano

ERCOLE

basso

IOLE figlia del re Eutyro

soprano

VENERE

soprano

GIUNONE

soprano

HYLLO figlio d'Ercole

tenore

DEIANIRA moglie d'Ercole

soprano

MERCURIO

tenore

NETTUNO

basso

Ombra di EUTYRO padre di Iole

basso

TEVERE

basso

PASITHEA moglie del Sonno

soprano

Il SONNO personaggio muto

mezzosoprano

La BELLEZZA

soprano

L'Ombra di BUSSIRIDE

contralto

L'Ombra di LAOMEDONTE re di Troia

tenore

L'Ombra di CLERICA regina

soprano

Un PAGGIO

soprano

LICCO servo di Deianira

contralto


Coro musico de' Fiumi.
Coro musico delle tre Grazie.
Coro musico d'Aure, e Ruscelli.
Coro musico de' Sacrificanti al sepolcro d'Eutyro.
Coro musico d'Anime infernali.
Coro musico di Sacerdoti di Giunone Pronuba.
Coro armonico de' Tritoni, e Sirene.
Coro muto di Damigelle d'Iole.



Argomento

Avendo Ercole soggiogata l'Eocalia, Hyllo figlio di lui, e Iole figlia del vinto re Eutyro arsero di reciproco affetto, e non molto dopo innamoratosi della medesima anche Ercole la chiese per moglie al di lei padre, che non consapevole ancora dell'impegno di essa con Hyllo la promise, e informatone poi la negò, onde il semideo offeso di ciò l'uccise, che però tanto più divenuta Iole avversa al rifiutato amante, Venere come di lui amica, desiderosa di rendergliela propizia, e diffidando poter per ciò disporre di Cupido a sua voglia, ha ricorso a gl'incanti, a che Giuno altrettanto contraria studiosamente s'oppone; tra gli avvenimenti della qual gara avvistosi Ercole della rivalità del figlio, e insospettito (benché a torto) che questi gl'insidiasse alla vita, risolve di porlo a morte, ma sopraggiunta Deianira madre di lui, che per ministero della fama era stata a tal luogo tratta dalla gelosia si frappone per salvarlo senza però ottenere altro, che di accomunar a sé stessa un sì gran pericolo, onde Iole non scorgendo a ciò altro riparo, si risolve di dare all'infuriato eroe (purché perdoni ad Hyllo) qualche speranza di piegarsi ad amarlo, ad intuito di che Ercole sospendendo l'esecuzione de' suoi sdegni, manda (per assicurarsi dalla gelosia) il figlio prigioniero in una torre sul mare, e ordina (per liberarsi dalle contrarietà) che la moglie torni in Calidonia, quindi mostrandosi ogn'or più determinato, quando non ottenga le bramate nozze, di vendicarsene atrocemente contro Hyllo, riduce Iole alla necessità d'acconsentir più tosto a quelle, che di soffrir lo scempio di questi, il quale ricevuta di ciò novella, si precipita avanti a gli occhi della madre, (che andava per consolarlo) disperato nel mare, ma comparsa l'ombra d'Eutyro alla figlia, e con più ragioni, e particolarmente con la già seguita sommersione di Hyllo, dissuadendola dal maritarsi con Ercole, vien suggerito alla gelosa moglie da Licco suo servo, che con la veste lasciatagli già da Nesso Centauro, avrebbe ella potuto annichilare nello spirito del marito ogn'altro affetto ch'il suo; onde Iole più ripugnante che mai di maritarsi con Ercole, appigliandosi anch'essa a simile speranza, si carica di applicare a suo tempo un tal rimedio, dal cui contatto cagionate poi nel semideo furiose smanie, che lo portano a gettarsi nelle fiamme, si scopre essere stato il di lui figlio salvato in vita da Nettuno per opera di Giunone, dalla quale venendo appresso manifestato, come Ercole in vece di ardersi era stato da Giove trasportato al cielo, e quivi sposato alla Bellezza, e che così libero dalle passioni umane, consentendo egli al matrimonio d'Hyllo, e Iole, aveva ottenuto alle sue felicità il consenso della medesima dèa, seguono parimente le nozze tra li due amanti.

Prologo
Scena unica

La scena rappresenta ne' lati montagne di scogli su li quali si vedono giacenti 14 fiumi, che bagnano i regni e le provincie che sono o furono sotto la dominazione della corona di Francia. Nella prospettiva si vede il mare, e nell'aria Cinzia che discende in una gran macchina rappresentante il di lei cielo.

CORO DI FIUMI

Qual concorso indovino

oggi al mar più vicino

del festoso Parigi

noi raunò dal gemino emisfero,

noi, che del franco impero

vantiamo il nobil giogo, o i bei vestigi?

TEVERE

Ah che mentre la terra

di lunga orrida guerra

già dileguati ammira i fati rei

ne' beati imenei

di Maria di Luigi

adorna Cinzia di più bei candori

noi testimoni elesse

di quei, ch'a spiegar va', gallici onori.

CORO DI FIUMI

A i di lei veri accenti

su dunque attenti, attenti.

CINZIA

Ed ecco o Gallia invitta

i tuoi pregi più grandi, e immortali

mira del primo ciel ne' puri argenti

come in tempio d'onor lampe lucenti

l'idee delle maggior stirpi reali.

Di queste il ciel con ammirabil cura,

e con stupor del tempo, e di natura,

scettri a scettri innestando, e fregi, a fregi

la prosapia formò de i franchi regi;

che qual fiume di glorie

da' monti di Corone, e fasci alteri

trasse i fonti primieri

ed accresciuto ogn'or da copiosi

torrenti di vittorie,

e da' più generosi

rivi di sangue augusto oltre gli Achei

per interrotto, e limpido sentiero

tra margini di palme, e di trofei

inondò trionfante il mondo intero.

Alfin tra l'auree sponde

della Senna guerriera

fissò la reggia in cui benigna infonde

grazie a nembi ogni sfera,

ed or più che mai prodigo

di contentezze eteree

ad ibera beltà franco valore

su talamo di pace unisce Amore.

CORO DI FIUMI

Dopo belliche noie

oh che soavi gioie!

A dolcezze sì rare oltre ogni segno

Gallia dilata il cor, non men, ch'il regno.

CINZIA

Ma voi che più tardate inclite Idee?

Uscite ad inchinare

Anna la gran reina,

che le bell'alme onde sperar si dée

che la serie divina

de' vostri alti nipoti il ciel confermi

ambo sono di lei rampolli, e germi.

Uscite a festeggiare

ch'in sì degna allegrezza a i vostri balli

nelle cerulee valli

già cede il campo ossequioso il mare,

e poiché qual dopo guerrieri onori

della beltà fu sposo Ercole al fine,

tal dopo mille allori

e nel primo confine

di sua florida etade il re de' Galli,

su queste scene a i lieti Franchi innante

per accrescer diletti

riprenda oggi i coturni Ercole amante,

e veda ogn'un, che desiar non sa

un eroico valore

qui giù premio maggiore

che di godere in pace alta beltà.

CORO DI FIUMI

Oh Gallia fortunata

già per tante vittorie,

di pace, e d'imenei l'ultime glorie

ti fanno oltre ogni speme oggi beata.

E a fin ch'a tuoi contenti

gioia ogn'or s'augumenti

ecco, ch'in te si vede

alba di nuove glorie un regio erede;

per splender più di doppio sole ornata

oh Gallia fortunata.

Le dette Idee discendono sul palco a danzare, quindi rientrate nella medesima macchina, questa si chiude, e le riporta in cielo.

Atto primo
Scena prima

La scena si cangia ne' lati in boscareccia, e nella prospettiva in un gran paese contiguo alla città d'Eocalia.
Ercole.

Come si beffa Amor del poter mio!

A me cui cede il mondo

farà contrasto una donzella? (oh dio!)

Come si beffa Amor del poter mio!

Dunque chi tanti mostri

vide esangui trofei di sua fortezza

scempio farà di femminil fierezza,

e trafitto cadrà da un van desio?

Come si beffa Amor del poter mio!

Ah Cupido io non so già

perché il ciel soffrir ti deggia?

Di Pluton l'orrida reggia

un di te più reo non ha.

O di quale empietà

sacrilego tiranno ogn'or riempi

il credulo tuo regno?

Mentre ne' di lui tempi

l'adorate Cottine

di grazia, e di beltà

non celano altro alfine

ch'idoli abominevoli qua' sono

interesse, perfidia, orgoglio, e sdegno.

Così avvien per Iole

che l'altar del cor mio

sparga d'alti sospir malgrati i fumi,

e che vittima infausta io mi consumi.

Scena seconda

Cala dal cielo Venere con le Grazie in una macchina.
Venere, Ercole, coro di Grazie.

VENERE

Se ninfa a i pianti

di veri amanti

non mai pieghevole

niega mercé;

di ciò colpevole

amor non è.

CORO

Se ninfa a i pianti

di veri amanti

non mai pieghevole

niega mercé;

di ciò colpevole

amor non è.

VENERE

Scoglio sì rigido

mostro sì frigido

non regge il mar

ch'amato al pari non deva amar.

CORO

Scoglio sì rigido

mostro sì frigido

non regge il mar

ch'amato al pari non deva amar.

VENERE

Ogn'impero ha ribelli

trasgressori ogni legge

or come e questi, e quelli

giusta forza corregge,

sì con soave incanto

(ch'al dominio d'Amore

forza è la più conforme)

superare a tuo pro spero il rigore

che maligna fortuna,

sempre al mio figlio avversa

d'Iole in sen per tuo tormento aduna;

e godrai de' miei detti

oggi al giardin de' fiori i dolci effetti.

ERCOLE

O dèa se tanto alle mie brame ottieni

giusto fia ch'io t'accenda

tutte d'Arabia l'odorate selve,

e che tutte a te sveni

dell'Erimanto le zannute belve;

ch'il ciel non può versare

de i contenti d'Amor grazie più care.

VENERE

Vanne al loco, e m'attendi, e fa ch'Iole

pur vi renda pria che manchi il sole,

ch'io dell'armi provvista

onde sua ferità vincer presumo,

preverrò diligente i di lei passi

per dispor quivi pria, ch'ella vi giunga

rovente acuto strale,

che per te l'arda, e punga.

Strale invisibile,

ch'inevitabile

tal forza avrà,

ch'all'insensibile

piaga insanabile

imprimerà.

VENERE

Su dunque ogni tristezza

sia dal tuo cor sbandita,

ch'in amor l'allegrezza

come al ciel più gradita

con più felicità le gioie invita.

VENERE E ERCOLE

Fuggano a vol

dal bell'impero

del nume arciero

le pene, e 'l duol.

CORO

E in lui così

gioie sol piovino,

e si rinnovino

quegli aurei dì.

VENERE E ERCOLE

Struggasi il gel

d'ogni fierezza

ogni amarezza

il cangi in miel.

CORO

E in lui così

gioie sol piovino,

e si rinnovino

quegli aurei dì.

La macchina di Venere rimonta al cielo.

ERCOLE

Infelice, e disperato

mentre mestissimo

vo notte, e dì,

qual di bene inaspettato

raggio purissimo

m'apparì?

ERCOLE E CORO

Ah che s'acceso un cor

avvien mai che disperi,

non sa come in amor

con sovrano poter fortuna imperi,

di tal nume alla possanza

nulla invincibile

già mai si dà

egli ogn'or con gran baldanza

fin l'impossibile

ceder fa.

Scena terza

Nel resto de' nuvoli di detta macchina essendo ascosa Giunone, questa si discovre assisa in un gran pavone.

GIUNONE

E vuol dunque ciprigna,

per far contro di me gl'ultimi sforzi

de' più pungenti oltraggi,

favorir chi le voglie ebbe sì intese

ad offendermi ogn'ora,

che ne gli impuri suoi principi ancora

prima d'esser m'offese?

Chi pria di spirar l'aure

spirò desio di danneggiarmi, e dopo

aver dal petto mio

tratti i primi alimenti al viver suo,

con ingrata insolenza

d'uccidermi tentando osò ferirmi?

Ah ch'intesi i disegni

ma non sia ch'a disfarli altri m'insegni.

Di reciproco affetto

ardon Hyllo, e Iole,

e sol per mio dispetto

l'iniqua dèa non vuole,

ch'Imeneo li congiunga? anzi procura

per il mio scorno maggiore,

ch'il nodo maritale ond'è ristretto

Ercole a Deianira alfin si rompa;

a ciò ch'Iole a questi

del di lei genitore empio omicida

con mostruosi amplessi oggi s'innesti.

E con qual arte oh dio? con arti indegne

d'ogni anima più vil non che divina.

Ma in amor ciò ch'altri fura

più d'amor gioia non è

e un'insipida ventura

ciò ch'egli in dono, o ver pietà non diè.

In amor ciò ch'altri fura

più d'amor gioia non è.

Se non vien da grata arsura

volontaria all'altrui fé

cangia affatto di natura

come d'odio condita ogni mercé.

Ma che più con inutili lamenti

il tempo scarso alla difesa io perdo?

Su portatemi o venti

alla grotta del Sonno, e d'aure infeste

corteggiato il mio tron versi per tutto

pompe del mio furor fiamme, e tempeste.

Giunone parte e fa cader dalle nuvole della sua macchina, Tempeste e Fulmini che formano una danza per fine del primo atto.

Atto secondo
Scena prima

La scena si cangia in un gran cortile del palazzo reale.
Hyllo, e Iole.

HYLLO E IOLE

Amor ardor più rari

accesi mai non ha,

che quelli onde del pari

le nostre alme disfà

d'avverso ciel le lampe

contro di lui si sforzino,

ch'in vece, che l'amorzino,

l'arricchiran di vampe.

IOLE

Pure alfine il rispetto

di figlio al genitor fia ch'in te cangi

sì amoroso linguaggio.

HYLLO

Che più tosto il tuo affetto

non renda anch'egli al forte Alcide omaggio.

IOLE

Ah che forzar un core

no 'l puote altri che amore.

HYLLO

E di rivale il titolo odioso

qualunque altro bel nome,

che concorra con lui, rende ozioso;

una sol vita il genitor mi diede,

e per te, che mia vita

molto più cara sei

mille vite darei.

IOLE

E per te sol mio bene,

all'empio usurpator contenta i' cedo

il regno, e 'l mondo tutto, e te sol chiedo.

HYLLO E IOLE

Gare d'affetto ardenti

deh non cedete a i guai,

e nel goder non vi stancate mai,

che de' vostri argomenti

nell'uguaglianza sol tutta si sta

l'amorosa felicità.

Scena seconda

Paggio, Iole, e Hyllo.

PAGGIO

Ercole a dirti invia, ch'altro non bada,

che di saper, se nel giardin de' fiori

di condurti a diporto oggi t'aggrada.

IOLE

Come fia, che ciò nieghi?

D'un che sovra di me le stelle alzaro

son comandi anco i prieghi.

HYLLO

Ahi qual torbido, e amaro

velen presaga gelosia m'appresta,

di cui solo il timor già mi funesta.

IOLE

Non temere Hyllo caro:

che non potrà mai violenza ardita

togliermi a te, senza a me tor la vita.

HYLLO

E quando anche in tal guisa

ogn'un meco ti perda amato bene,

qual miglior sorte avrò, che cangiar pene?

IOLE

Da sì grave timor l'alma disvezza,

che quanto Ercol per me palesa affetto,

tant'ha rispetto, ed io per te fermezza.

Torna, digli, ch'io vado: Hyllo vien meco.

HYLLO

E quando io non son teco?

Se dovunque il mio piè giri, o la mente

t'adoro ogn'or presente.

Chi può vivere un sol istante

lunge dal bello che l'invaghì,

dica pur, ch'in lui morì

ogni pregio di vero amante;

d'amore il foco

per ogni poco

ch'intiepidiscasi ghiaccio diviene,

e le di lui catene

più strettamente avvolte

ogni poco, che cedano, son sciolte.

IOLE

O gloria

d'amor più nobile

con fede immobile

sempr'arde più;

memoria

non mai vi fu,

che la vittoria

mancassi tu.

Si sciogliono

qual or gl'instabili

rei più dannabili

Amor non ha.

Lo spogliono

di deità

poiché gli togliono

l'eternità.

Scena terza

Paggio.

E che cosa è quest'amore?

Di cui parlan tanto in corte,

e canzon di mille sorte

di lui cantano a tutt'ore.

Egli è qualche ciurmadore

poi che a quel, che sento dire

(senza punto intender come)

mentre a stille dà il gioire

e il penar dispensa a some,

fassi il mondo adoratore

egli è qualche ciurmadore.

Di vederlo ebbi gran brame

ma poi seppi, ch'è impossibile,

ch'egli sia già mai visibile

perché sempre è con le dame,

e che queste al finger dotte

se lo tengano celato,

come s'ei stesse appiattato

dentro le cimmerie grotte.

Scena quarta

Deianira, Licco, Paggio.

LICCO

Buon dì gentil fanciullo.

PAGGIO

E buona notte.

LICCO

Ma dove in tanta fretta?

PAGGIO

A far da gran messaggio.

LICCO

Ascolta un poco, aspetta;

che so qual possa aver faccende un Paggio.

PAGGIO

E che tu sai? ch'Iole

ad Ercole...

LICCO

T'invia.

PAGGIO

Sì affé m'invia...

LICCO

A dirgli.

PAGGIO

È vero a dirgli...

LICCO E PAGGIO

Ch'al giardino de' fiori

ella si renderà com'ei desia.

PAGGIO

Sei tu qualche indovino?

LICCO

E ben famoso,

ch'in simil guisa a me nulla è nascoso.

DEIANIRA

Ah crudo, ah disleale,

ah traditore, ingrato,

ah scellerato, ed empio

dell'amor coniugale

tra noi tanto giurato.

Qui dunque hai scelto il luogo a farne scempio?

Ah Deianira ogni ristor dispera,

ch'a morir di dolor sei destinata.

PAGGIO

Che? cotesta straniera

anch'essa è innamorata?

LICCO

Così mi dice, ma d'amor ben vero,

come saggio io non credo,

ch'a gli uomini, poco, ed alle donne un zero.

PAGGIO

Basta per questa corte ogn'or volare

si vede un sì gran numero d'amori,

che non abbiamo a fare,

che ne vengan di fuori.

Ama Hyllo Iole riamato, e l'ama

Ercole assai malvisto, ama Nicandro

Licori, e questa Oreste, e Oreste Olinda,

e Olinda, e Celia scaltre

aman le gemme, e l'oro,

e Niso, ed Alidoro aman cent'altre.

LICCO

E perché ha in odio Iole

Ercole?

PAGGIO

Perché uccise Eutyro.

LICCO

Ed ama

il figlio poi di chi gli uccise il padre?

Ha la pianta in orrore, ed ama il frutto?

Che vuoi giocar ch'io so

la ragion che di ciò

ella in sé covane?

Un d'essi è troppo adulto, e l'altro è giovane

PAGGIO

Fin da principio Iole ardea per Hyllo

onde per compiacerla

le già date promesse

delle nozze di lei ritolse Eutyro

ad Ercole, ch'al fin sì mal soffrillo,

ch'una tal dalla figlia opra gradita

all'infelice re costò la vita.

E tu, ch'il tutto sai

non sai, ch'Ercol' m'attende? e ch'egli è amante?

E che fra quanti mai

ardono al mondo d'amorosa fiamma

non v'è di pazienza una sol dramma.

Scena quinta

Deianira, Licco.

DEIANIRA

Misera, ohimè, ch'ascolto.

Non so, se più gelosa

esser dèa come madre, o come sposa;

che comune è il periglio

alla mia fede coniugale, e al figlio;

almen con soffrir l'uno

schivar l'altro potessi: oh dio qual sorte

prefisse iniquo fato a i miei natali:

ch'io soffra a doppio i mali,

né per schivarne alcun basti mia morte.

O presagi funesti:

Ercol spirti non ha, se non feroci,

e non ferian già questi

i di lui primi parricidi atroci.

Come mal mi lasciai

strascinar da' miei guai

a queste eubee contrade,

ove il destin mi fabbricò l'inferno:

ora, ahi lassa, discerno

quanto meglio era entro le patrie mura

di Calidonia sospirar piangendo

miei dubbi oltraggi, che con duol più orrendo

esserne qui sicura.

Ahi ch'amarezza

meschina me

è la certezza

di rotta fé!

Ahi come, ohimè,

la gelosia

di furie l'Erebo impoverì.

E l'alma mia

ne riempì.

S'in amor si raddoppiassero

tutti i guai, tutti i tormenti,

e ch'in lui solo mancassero

i sospetti, e i tradimenti

fora amor tutta dolcezza.

LICCO

Ah fu sempre in amor stolto consiglio

il cercar di sapere

punto di più, che quel basta a godere;

copron l'indiche balze

sotto aspetto villan viscere d'oro;

ma ben contrario affatto

l'amoroso terreno

sotto una superficie preziosa

sol cattiva materia ha in sé nascosa.

Onde chi vuole in lui

gir scavando tal'or con mesta prova

più s'inoltra a cercar peggio ritrova;

ben lo dicea, che noi sariam venuti

a incontrar pene, e rischi:

ah che d'Ercole irato

qualche stral ben rotato

parmi sentir, ch'intorno a me già fischi.

DEIANIRA

Ah Licco il cor ti manca, ohimè, che sia

di me senza il tuo aiuto?

LICCO

Ah Deianira:

dunque, dunque tu temi?

Io non ho già paura.

DEIANIRA

E in tanto tremi.

LICCO

Ma ve'; poiché nel mondo

ogni cosa ha misura;

forz'è che l'abbia ancor la mia bravura

e siccome tra quelli,

che se nemico ciel senza danari

chi ha quattro soldi è ricco:

così per bravo io solamente spicco

fra tutti quanti li poltron miei pari.

DEIANIRA

Dunque che far dovrem?

LICCO

N'han già cangiati

in guisa tal questi abiti villani,

che se guardinghi andremo

ad altro non potrà, ch'alla favella

Ercole riconoscerne: per tanto

avvertir ne conviene

che qualche beffa, o crocchio

(grazie, ch'alli stranier versa ogni corte)

non c'irriti a parlare, e di tal sorte

farem la guerra all'occhio.

Scena sesta

La scena si cangia nella grotta del Sonno.
Pasithea, il Sonno, coro d'Aure e Ruscelli.

PASITHEA

Mormorate

o fiumicelli,

sussurrate

o venticelli,

e col vostro sussurro, e mormorio

dolci incanti dell'oblio,

ch'ogni cura fugar ponno

lusingate al sonno il Sonno.

Chi da ver ama

vie più il diletto

del caro oggetto

che 'l proprio brama,

quind'è ch'io posi

la notte, e 'l die

le contentezze mie

del consorte gentil ne' bei riposi.

CORO

Dormi, dormi, o Sonno dormi

fra le braccia a Pasithea

ninfa aver non ti potea

più d'affetti a' tuoi conformi:

dormi, dormi o Sonno dormi.

Dormi, dormi o Sonno dormi

sovra a te gli amori istessi

lente movano le piume;

e al tuo cor placido nume,

gelosia mai non appressi

de' suoi rei sospetti i stormi

dormi, dormi o Sonno dormi.

Scena settima

Cala Giunone dal cielo.
Giunone, Pasithea, il Sonno, coro d'Aure e Ruscelli.

PASITHEA

O dèa sublime dèa,

e qual nuovo desio

a quest'umile albergo oggi ti mena?

GIUNONE

Zelo dell'onor mio

e della fede altrui

a me già sacra, e da sacrarsi, a cui

e frodi, e violenze altri prepara,

onde per fare a ciò schermo innocente

sol per una breve ora

di condur meco il Sonno uopo mi fora.

PASITHEA

Ohimè di nuovo esporre

di Giove all'ire ogni mio ben vorrai?

No, ciò non fia più mai.

GIUNONE

Non temer Pasithea,

che solo è mio pensiero

di valermi di lui con men che numi

di già soggetti al di lui pigro impero.

PASITHEA

E di ciò m'assicuri?

GIUNONE

S'ancor vuoi che te 'l giuri

sul germano di lui lo stigio Lete.

PASITHEA

Basta Giuno: quiete

son già le mie voglie al tuo desir sovrano.

GIUNONE

Porgilo dunque a me, diva, pian piano...

Giunone prende nel suo carro il Sonno e parte.

Dell'amorose pene

sospirato ristoro,

vital dolce tesoro,

ch'il mondo più che Cerere mantiene

dal neghittoso speco

soffri di venir meco,

ch'Amore oggi dispone

contro l'empia insolenza

di straniera potenza

della sua libertà fatti campione.

TUTTI

Le rugiade più preziose

tuoi papaveri ogn'or bagnino,

e per tutto gigli, e rose

co' lor aliti t'accompagnino.

PASITHEA

Vanne, e fa breve dimora,

che s'il tuo tardar noioso

ad ogn'un tanto è penoso,

che sarà per chi t'adora?

E Amore ha ben la gloria

di saper nel Sonno ancora

tener desta la memoria.

Li Sogni giacenti per la grotta formano sognando la 3ª danza per fine del 2º atto.

Atto terzo
Scena prima

Si cangia la scena in un giardino d'Eocalia, e Venere cala dal cielo a terra, in una nuvola, che sparisce.
Venere, Ercole.

VENERE

Sol s'inarcan gli emisferi

per stupor

che trovar l'inferno io speri

più cortese oggi, ch'Amor,

ma per me fin dalla cuna

fu geloso ei del suo imper,

e vi soffre di fortuna

il tirannico voler,

che timor non gli arreca,

compagnia nel regnar pur che sia cieca.

ERCOLE

E per me cangi o dèa

le delizie del ciel con questo suolo

ed or perché non manda

la palude Lerneà

e la selva Nemeà

nov'idre, altri leoni a far qui meco

gloriosi contrasti,

onde a te formi o dèa grati olocausti?

VENERE

Pur ch'io giunga a cangiar nel crudo seno

d'Iole il core, e te lo renda amante

ne trarrò tal piacere,

che fia d'ogni opra mia premio bastante,

mira quest'è la verga onde fa Circe

magiche meraviglie;

al di cui moto ubbidienti ancelle

per patto inalterabile son tutte

de' lidi Acherontei l'anime felle.

Or in virtù di sì potente stelo

dove tocco la terra

nascerà seggio erboso in cui riposte,

da spiriti lascivi a ciò costretti

le mandragore oscene

di pallido color la Lidia pietra

e d'amorose rondinelle i cori

faran ch'Iole allor, ch'in lui s'affida

cangi per te il suo sdegno in dolci amori.

(nasce di sotto terra la sedia incantata fatta di erbe e di fiori)

ERCOLE

Diva ad opre sì rare

insolito tremor tutto mi scuote,

e poi ch'esser non puote

timor (da me non conosciuto ancora)

forz'è che sia per inspirar superno

di futuro gioir presagio interno.

Ma pur nel pensier mio sceman di pregio

quelli, ch'a me prometti

sospirati diletti,

qual or lasso m'avveggio

ch'a far miei dì giocondi

tratte non fian tai gioie

dal mar d'amor, ma da gli stigi fondi.

VENERE

O di questa canzon

pur che tu goda

ch'importa a te?

Che sia per froda

o per mercé?

Pur che tu goda

ch'importa a te?

Ch'altro è l'amare?

Ch'un guerreggiare,

ove in trionfo egual lieti se n' vanno

il valor, e l'inganno;

infelice non sai?

Che nel gran regno del mio figlio arciero

non v'è (tolto il penar) nulla di vero.

Prendi il crin, che fortuna

per mia man t'offre in dono.

Torbido rivo ancora

spegne sete infinita,

e per languida inedia un che si mora

non sceglie i cibi a sostenersi in vita:

ma mentre a te giusta ragion m'invola

se d'altro uopo ti sia

Mercurio invierò, che ratto vola.

VENERE E ERCOLE

E perché Amor non fa,

ch'all'amorosa schiera

sol delle gioie sue sia dispensiera

o ragione, o pietà?

E perché crudeltà

perché il rigor,

in guardia ogn'or le avrà?

Dunque per involarle ogn'arte ancor

lecita altrui sarà:

d'un ardente desio giungerà 'l segno

sì, sì, gioco è d'ingegno.

Scena seconda

Ercole, Paggio.

ERCOLE

Amor contar ben puoi

fra tuoi non minor vanti

che dell'ardir, che torre a me non seppe

co' latrati di Cerbero, e orrendi

strepiti suoi lo spaventoso abisso;

tu disarmato m'hai, sì ch'io, che colsi

ad onta del terribile custode,

con intrepida man l'Esperie frutta,

quasi di sostenere or non ardisco

l'avvicinar del bel per cui languisco.

O quale instillano

in arso petto

rai, che sfavillano

di gran beltà,

umil rispetto,

bassa umiltà:

il ciel ben sa

a sì suprema

adorabil maestà,

s'ei pur non trema?

PAGGIO

Sarà com'hai disposto

Iole qui ben tosto.

ERCOLE

E dove la trovasti?

PAGGIO

Nel cortil regio a favellar d'amore.

ERCOLE

A favellar d'amor? con chi? deh dillo,

dell'amor mio?

PAGGIO

Dell'amor suo con Hyllo.

ERCOLE

Come? Dunque il mio figlio

mio rivale divenne?

A tal temerità sarebbe ei giunto?

Tu non hai ben compreso

semplicetto garzone.

PAGGIO

Eccoli appunto.

Scena terza

Ercole, Iole, Hyllo, coro di Damigelle, e Paggio.

ERCOLE

Bella Iole, e quando mai

sentirai

di me pietà?

Chi la chiede al tuo rigore

ha valore

per domare ogn'impietà

ma non sia, che teco impieghi

se non prieghi

e mesti lai;

bell'Iole, e quando mai?

IOLE

Quando il mio cor capace

fosse d'un lieve amor per chi m'uccise

il genitor diletto

aver per me dovresti

orrore, e non affetto.

ERCOLE

Ah bella Iole

a sì gran crime, e di sì gran castigo

degno, qual per me fora

l'impossibilità dell'amor tuo:

imputar mi vorrai

una prova fatale,

ed un impulso senza freno, oh dio,

dell'infinito ardor, dell'amor mio?

Quand'il tonante istesso

negarmi com'Eutyro, avesse ardito

un ben sì desiato, e a me promesso,

come già contro il sole, e 'l dio triforme

stato non fora contra lui men parco

di strali avvelenati il mio grand'arco.

IOLE

Io sola fui cagion, che il re mio padre

rompesse a te la data fede.

ERCOLE

Ah come

a ciò tu l'inducesti?

Dunque tu l'uccidesti.

Che d'un mal, che si feo,

chi la causa ne diè, quegli n'è reo.

Ma pon bella in oblio

sì funeste memorie, e sì noiose,

e qui meco t'assidi,

poiché depost'anch'io

l'innata mia ferocia, anzi cangiata

in conocchia la clava

ravisar ti farò, che quale ogn'altra

tua più devota ancella

non mai prenderò a vile

di renderti ogni ossequio il più servile;

qua gira gli occhi Atlante

e per somma beltà

mira quel, ch'oggi fa

Ercole amante:

ma non ne rider già

che se tale è il voler

del pargoletto arcier.

Tutte son opre gloriose, e belle

tanto il filar, che sostener le stelle.

Sol per voler d'Amore,

chi in ciel Etho frenò

armenti ancor guidò

nume, e pastore:

e non ne riser no

gl'altri dèi, ch'il mirar,

che fan ben ch'in amar:

tutte son opre gloriose, e belle

tanto il filar, che sostener le stelle.

IOLE

Ma qual? ma come io sento

spuntare entro il mio petto

per te improvviso, e involontario affetto

onde forz'è ch'io t'ami

e ch'amor mio ti chiami.

HYLLO

Ohimè, ch'ascolto!

E non sogno? e son desto? e non già stolto?

Così cangiasi Iole?

Fragil femminea fede;

ben merta i tradimenti un, che ti crede.

ERCOLE

Hyllo, di che ti offendi?

Che senso ha tal linguaggio?

(Non mal l'intese il Paggio)

ami tu dunque Iole?

HYLLO

Io per un'empia

ingrata al padre, al mondo, al ciel spergiura,

che soffrissi nel cuor d'amor l'arsura?

Per una sì mutabile, ch'a un tratto

con subito contento

alla mia genitrice, a Deianira

tecò a far sì gran torto (ohimè) cospira?

Versi pria sul mio capo irato Giove

tutti i fulmini suoi,

e il più negro baratto m'ingoi.

IOLE

O me infelice, o misera, che fei?

Uccidetemi, oh dèi.

ERCOLE

Finora a te d'Eutyro

ne men di Deianira unqua non calse.

Parti, e ringrazia il ciel; che ben ti valse,

che d'esser mite oggi disposi.

HYLLO

A dio:

andrò morte a cercar per quelle balze.

Scena quarta

Ercole, Iole, Paggio.

ERCOLE

E tu a che pensi Iole?

IOLE

All'error mio,

se ben ciò che mia lingua

disse pur dianzi ah no, non lo diss'io.

E l'alma forsennata,

nel frenetico errore

altra parte non ebbe

che di gran pentimento alto dolore.

ERCOLE

Deh non volere, o bella,

far con tai sentimenti

d'Hyllo più grave il fallo,

e le giuste ire mie tanto più ardenti;

di nuovo qui meco t'affidi, e pensa,

pensa meglio al tuo dire,

ch'or con rigide voglie, or con infide,

troppo è tentar di sofferenza Alcide.

IOLE

Ah chi sì tosto invola

all'attonita mente

l'impression più care? e del mio seno

la più tenera parte

per te di strano affetto

con recidiva d'incostanza imprime?

Chi l'avverso mio cor suolge ad amarte?

Ah che tra miei pensieri

più non ne trovo alcuno

ch'idolatra non sia de' tuoi desiri,

ah che non spiro più che i tuoi respiri.

ERCOLE

E pur potranno in breve

dell'instabil tuo spirto

le solite vicende

ricangiar tanto amore

in più crudo rigore.

IOLE

Ciò non temer, che sono

sì fortemente rannodati, e stretti

i lacci ond'è di nuovo

per te quest'alma avvolta,

che più come scamparne ella non vede,

chiedi qual pegno vuoi della mia fede.

ERCOLE

Dunque su di tua mano

per fermezza amorosa

quello porgimi sol d'esser mia sposa.

IOLE

No 'l rifiuto, ma lascia,

ch'in segrete preghiere

del genitore all'oltraggiato spirto

per addolcirlo in qualche guisa almeno

prima, ch'affatto a te mi doni in preda,

io licenza ne chieda.

ERCOLE

Pur che ciò sia sol cerimonia al vento

sì, sì, ne son contento.

Scena quinta

Torna ad apparir in aria Giunone nel suo carro col Sonno.
Giunone col Sonno, Ercole, Iole, Paggio.

GIUNONE

Sonno potente nume

fu qui pur opportuno il nostro arrivo;

dunque poiché tu sei

dell'innocenza amico,

e de' misfatti rei cotanto schivo,

che da loro fuggendo

d'inesorabil vol sazi tue piume,

co' più forti legami,

che mai tua fredda suora a te prestasse

impedisci pietoso al par, che giusto

oggi un crime il più nero,

che contro amor la frode unqua tentasse,

e con la verga a cui fu facil prova

le sempre deste luci

tutte velare ad Argo

vanne veloce, e in Ercole produci

un più cieco letargo.

IOLE

E quale inaspettato

sonno prodigioso

prevenendo Imeneo lega il mio sposo?

GIUNONE

Iole, Iole, ah sorgi

sorgi rapida, e fuggi, e t'allontana

dall'incantato seggio, e a me t'appressa

che di ben tosto risanarti è d'uopo

dal magico veleno,

ond'hai l'anima oppressa:

prendi, fiuta quest'erba,

che ne gli orti filliridi raccolsi,

il cui medico odore,

che le malie dilegua,

ti sanerà ad un tratto

dalle tartaree infezioni il core.

IOLE

O diva, o dèa, da quali

orridi precipizi

d'infedeltà, d'iniquità risorgo?

Ohimè! di quali errori

rea, quantunque innocente ora mi scorgo!

Pure il mio primo, e sol gradito fuoco,

ch'in me pareva estinto

mentre il cor mi ralluma,

con usura di fiamme

più che mai mi consuma.

Ma che pro? s'Hyllo intanto

l'unico mio tesoro

senza mia colpa a ragion meco irato,

a ragion da me fugge, e a torto io moro.

GIUNONE

Ah perché perdi Iole

in superflue querele

tempo sì prezioso, Hyllo non lunge

per mio consiglio in un cespuglio ascoso

tutto guata, e ascolta. Arma più tosto

arma figlia la mano

di questo acuto acciaro,

(ch'abile a penetrare ogni riparo

per me temprò Vulcano)

e mentre imprigionato

da i legami del Sonno i più tenaci

sta quel mostro sì crudo

d'ogni difesa ignudo,

vanne, e vendica ardita

con la morte di lui

le mie offese, e i tuoi danni,

ch'altro scampo non ha d'Hyllo la vita.

Vanne, e poiché spedita al ciel'io torno

ad ovviare in ciò l'ire di Giove

fa' ch'io vi giunga il crin di lauri adorno.

Scena sesta

Iole, Hyllo, Ercole che dorme, Paggio.

IOLE

D'Eutyro anima grande

a questo core, a questo braccio imbelle

tanto furor, tanto vigor comparti

che possa or qui sacrarti,

con insigne vendetta

(universal di cui desio rimbomba)

vittima sì dovuta alla tua tomba.

Prendi o mio genitor dall'arso lido

di Flegetonte, il sangue

di quest'empio tiranno,

che nel tuo nome uccido.

HYLLO

Ohimè, che fai?

Cessa.

IOLE

Deh lascia.

HYLLO

Ah cessa.

IOLE

Lascia se m'ami.

HYLLO

Ah che del pari io sono

tuo vero amante, e di lui figlio.

IOLE

Ah senti:

io non l'odio già più come uccisore

del caro padre mio (senti che dico)

che come avverso al comun nostro ardore

onde più che padre egli è nemico.

HYLLO

Lo placherò, quando non basti il pianto,

con la mia morte.

IOLE

E sì poco è gradita

la speme a te d'esser mio sposo (oh dio)

che per essa non pregi

punto di più la vita?

Scena settima

Mercurio d'un volo risveglia Ercole e parte.
Mercurio, Hyllo, Iole, Ercole, Paggio.

MERCURIO

Svegliati Alcide, e mira.

ERCOLE

E dove, o bella?

Dove? ah qui pur di nuovo

temerario importuno io ti ritrovo?

Ed a qual fine impugni

ferro micidial? per tor la vita

a chi s'ingiustamente a te la diede?

Ah se cotanto eccede

tuo scellerato ardir, giust'è la voglia,

che quel viver ingrato,

ch'a torto a te fu dato

ora a ragione io toglia.

IOLE

Ohimè, s'amore

nulla in te puote, arresta.

HYLLO

Ah genitore.

ERCOLE

E con sì dolce nome ancor mi chiami?

HYLLO

Non creder già, ch'io più di viver brami

che per mia miglior sorte

non so più desiar altro, che morte,

ma sol di parricida

l'ingiusto infame titolo rifiuto,

e s'ebbi di ciò mai solo un pensiero

sovra l'anima mia,

qual or sciolta ella sia,

ogni martir più fiero,

che chiuda Averno in sé, grandini Pluto.

IOLE

Alcide, ah ch'io fui quella

per vendicar Eutyro,

e per sottrarmi alle tue insidie, io quella,

che sola di trafiggerti tentai.

Quindi è, che s'Hyllo uccidi,

com'essend'io sola cagion, ch'ei mora,

di me stessa farò giustizia, e or ora

morta qui mi vedrai.

Scena ottava

Deianira, Licco, Ercole, Iole, Hyllo, Paggio.

DEIANIRA

Ah che scorgo? il mio figlio

post'è in grave periglio?

Forz'è ben, che io mi scopra.

LICCO

Il ciel ti guardi

da cotanta follia,

che quando ancor (com'è suo stil) per gioco

Ercol l'ammazzi un poco,

tu ne puoi far de gli altri;

ma se n'uccide noi fia molto peggio,

che poi chi ne resusciti, no 'l veggio.

ERCOLE

Più di salvarlo tenti

più l'accusi, e tu menti,

ma ch'al tuo crime, o pure

a mie gelose cure

il tuo morir s'ascriva

soffrir più non saprei, no che tu viva.

DEIANIRA

Ah barbaro di fé, di pietà avaro.

Non basta avermi l'amor tuo ritolto,

ch'ancor toglier mi vuoi pegno sì caro;

fa' pur tua sposa Iole,

abbandonami pure a ogni martoro,

ma per solo ristoro

lasciami la mia prole.

Innocente, che sia,

chi propizio gli sia, se ingiusto è il padre?

E quand'anche sia reo, concedi il vanto

d'impetrarli perdono

d'una misera madre al largo pianto.

ERCOLE

In mal punto giungesti

e chi qua ti portò?

LICCO

Non fu già Licco;

chi m'insegna una tana?

Che quand'anche ella fosse,

d'un gran lupo affamato io mi ci ficco.

ERCOLE

Ambo morrete, e fra tant'altre prove

che fer di me già sì famoso il grido

dicasi ancor, ch'altri duo mostri uccisi

una moglie gelosa, e un figlio infido.

DEIANIRA

Ah crudo.

IOLE

Ah senti pria: s'alcuna spene

ch'io pieghi all'amor tuo, restar ti puote,

solo al viver di lui questa s'attiene;

s'ei mor, fia, ch'ogni speme anco a te pera,

e s'egli vive, spera.

LICCO

Ora ch'il crederia: quel grand'invitto

domator de' Giganti,

che i diavoli stessi ha trionfato

eccolo tra due femmine intrigato!

ERCOLE

E s'egli vive spera? ogni possanza

sovra l'anime amanti ha la speranza.

Vanne tu dunque, e torna al patrio nido,

e tu va' prigioniero

nella torre del mar, ch'altro riparo

sicuro aver non può mia gelosia,

e con Iole intanto io vedrò chiaro

del mio sperar, del viver tuo che fia?

Scena nona

Deianira, Hyllo.

DEIANIRA

Figlio tu prigioniero?

HYLLO

Madre tu discacciata?

DEIANIRA

E vive in sen di padre un cor sì fiero?

HYLLO

Ed in cor di marito alma sì ingrata.

DEIANIRA

Figlio tu prigioniero?

HYLLO

Madre tu discacciata?

DEIANIRA

Non fosse a te crudele,

e gli perdonerei l'infedeltà.

HYLLO

Non fosse a te infedele,

e lieve troverei sua crudeltà.

DEIANIRA E HYLLO

S'a te pietà non spero

ogni sorte a me fia sempre spietata.

DEIANIRA

Figlio tu prigioniero?

HYLLO

Madre tu discacciata?

DEIANIRA

Figlio...

HYLLO

Madre...

DEIANIRA E HYLLO

Ogn'or desti

a me dell'amor tuo segni più espressi,

ah voglia il ciel, che questi

non sian gli ultimi amplessi.

Scena decima

Licco, Paggio.

LICCO

A dio, Paggio.

PAGGIO

A dio, tutti.

LICCO

A rivederci;

che della donna a cui Ercol presume

di far sì facilmente cangiar clima,

non fu mai suo costume

d'obbedir alla prima.

PAGGIO

Oh che gran cose ho viste! ancor l'orrore

tutto mi raccapriccia.

LICCO

Ed è sol mastro Amore,

che si fatti bitumi oggi impiastriccia,

ma contro un sì pestifero bigatto

senti gentil garzone

impara una canzone.

LICCO E PAGGIO

Amor, chi ha senno in sé,

va già d'accordo,

ch'il più contento è in te

chi è il più balordo.

Ogni dolce, che puoi dare

è d'assenzio atro sciroppo

e le tue gioie più rare

o son false, o costan troppo:

e così in simil frode

lieto è più chi men vede, e crede, e gode.

La sedia incantata sparisce, e gli Spiriti ch'erano costretti in essa, entrano nelle statue del giardino, e animandole formano la 4ª danza per fine dell'atto terzo.

Atto quarto
Scena prima

La scena si cangia in un mare sui liti del quale sono molte torri, ed in una di esse Hyllo prigioniero.
Hyllo.

Ahi che pena è gelosia

ad un'alma innamorata

ch'a i sospetti abbandonata

teme ogn'or sorte più ria.

Ad Alcide allor ch'Iole

crudelmente in ver me pia,

di sperar alfin concesse;

io credei, che m'uccidesse,

solo il suon di tai parole,

ma il morir manco duol fia.

Ma che veggio? ecco un messo,

che viene a dritta voga, è il Paggio? è desso.

Scena seconda

Apparisce nel detto mare il Paggio in una barchetta.
Paggio, Hyllo.

PAGGIO

Zefiri che gite

da' vicini fiori

involando odori

e qua poi fuggite;

fate alla mia prora

ch'oggi il mar si spiani,

voi pur cortigiani

siete de l'aurora.

Noto è a voi Cupido

che d'ogn'un fa giuoco,

e per l'altrui fuoco

or me trae dal lido.

A voi pur convenne

far l'ufficio mio,

così avessi anch'io

come voi le penne.

HYLLO

Che novella m'arrechi? è buona, o rea?

Ma che parlo infelice?

Sperar più verun bene a me non lice.

PAGGIO

Iole alfin astretta

di maritarsi al furibondo Alcide

con questo foglio a te mi spinse in fretta.

HYLLO

Porgilo dunque;

(legge il biglietto)

«Alla tua fé tradita,

chiedo giusto perdono,

se per serbarti in vita

ad Ercole mi dono.»

Che per serbarmi in vita? Oh cieco errore!

Ah, che ciò per me fia morte peggiore.

Torna veloce, oh dio,

torna veloce, e dille,

ch'essendo essa fedele all'amor mio,

se morrò, sì contento

scenderà questo spirto al basso mondo,

ch'in alcun tempo mai

non ne vider gli elisei un più giocondo.

Ma che, s'altrui si dona, o il duol atroce

di sì perfida sorte,

o la mia destra mi darà in tal punto

una sì amara, e sconsolata morte,

ch'affannosa, e dolente

quest'alma in approdar le stigie arene

infin quivi parrà mostro di pene.

Dille, che s'ella almeno

per costanza d'amor sarà pur mia

non farà di me strage altri ch'Alcide,

ma che s'ella mi lascia, ella m'uccide.

Saprai tu ben ridir queste querele?

PAGGIO

Pur ch'il mar infedele

non mi vieti il ritorno, e di già parmi

che ben voglia agitarmi: o numi algosi

correte al mio soccorso.

Si muove la tempesta in mare.

Scena terza

Hyllo.

E non si trova

fra gl'armenti squamosi

un cor benché gelato,

che qual già d'Arione

di quel meschin garzone

senta qualche pietade, e salvi insieme

gl'ultimi avanzi in lui d'ogni mia speme

ohimè, ch'il mar con cento fauci, e cento

tutte rabbia spumanti

non par ch'ad altro furioso aneli

ch'a divorar quel poverello. Ah date

a sì mortal periglio

pronto soccorso o cieli;

ohimè, che più tardate?

Il Paggio si sommerge.

Ah che quella voragine l'ingoia,

dunque forz'è, che disperato io moia:

e chi sia più che vieti

alla mia bella d'eseguire i suoi

mal'accorti decreti? a che più penso?

Che più tardo a finire

con un breve morire un duolo immenso?

Cerulei umidi numi,

ricevete propizi un sventurato,

che dal ciel, dalla terra, e da gl'abissi,

sempre a gara oltraggiato

viene a cercar tra le vostre acque in sorte

per gran favor la morte.

Hyllo, su al mar t'avventa;

che temi, orche, e balene?

O pur di'! ti spaventa

l'imagin del morir squallida, e tetra;

chi fugge gelosia nulla l'arretra:

su, su, dunque a morir, ché 'l chiaro nome

dell'amato mio sole

indorar mi potrà l'ombre più dense

del Tartaro profondo: Iole, Iole.

Hyllo si precipita in mare.

Scena quarta

Apparisce nell'aria Giunone, in un gran trono e cala in soccorso d'Hyllo.
Giunone, Nettuno, Hyllo.

GIUNONE

Salva, Nettuno, ah salva

quel troppo ardito giovine, e sovvienti,

che t'acquistò non favorevol grido

il negato soccorso

all'amoroso nuotator d'Abido.

Salvalo, o dio triforme,

che d'Ercole comun nostro nemico

all'alma inviperita

far non si può da noi più grande oltraggio

che di salvare il di lui figlio in vita;

poi che l'iniquo padre,

che qual rival geloso

la morte sol di quel meschino agogna,

vedendolo da noi ridotto illeso,

doppia ne ritrarrà smania, e vergogna.

Ah tu non m'odi? o vi ripugni? adunque?

In quest'onde ver me già sì cortesi

quell'antica bontà del tutto è spenta?

Sorge dal mar Nettuno in una gran conchiglia tirata da cavalli marini, e in essa si vede Hyllo salvato.

NETTUNO

Eccoti, o dèa contenta;

che nulla al tuo voler negar poss'io;

né fu mia negligenza

ma ben sua renitenza il tardar mio;

né credo unqua più avvenne,

che dall'orribil gola

della vorace, e non mai sazia Dite

fosser ritorti a forza

contro la lor voglia i miseri mortali

come or succede in questo, o forsennato,

e chi rende al tuo gusto

di sì amabil sapor l'estremo fato?

HYLLO

D'un amor disperato

alla tantalea sete

il nettare più grato

è sol l'onda di Lete.

NETTUNO

Oh semplicetto ascolta,

ciò, che per suo diletto,

cantò Glauco talvolta.

Amanti che tra pene

ogn'or gridate ohimè:

perché bramate di morir, perché?

Ah non negate mai fede alla spene.

Per chi vive il ciel gira,

e non sempre un sospira,

anzi lieto è tal'or chi mesto fu,

ma per chi more il ciel non gira più.

O stolti, ov'è il ristoro

nel morir poi? dov'è?

E che val più di vostra vita, e che?

Ah non si può dar mai più gran tesoro.

E sian pur buone o felle

stile al par cangian le stelle

né può sempre il destin gire all'in giù

ma per chi muore?

GIUNONE

Saggiamente a te parla, Hyllo, quel nume.

NETTUNO

Vanne veloce, e la gran diva inchina

a dio forma reina.

Hyllo entra nella macchina di Giunone, e Nettuno s'attuffa nel mare.

Scena quinta

Giunone, Hyllo, coro di Zefiri, che danzano, e suonano.

GIUNONE

Dunque del mio potere

diffiderai tu solo?

HYLLO

Diva a che viver più chi vive al duolo?

Ma pure ossequioso

ti chieggio umil perdono,

che quantunque penoso,

grato il viver mi fia poich'è tuo dono.

GIUNONE

Non lice a voi mortali

del destin preveder gl'alti decreti

quanto più strani tanto più segreti.

Quindi è che nel mirare

de' futuri nascosti

i preludi talvolta al fine opposti,

spesso ciechi lasciate

con i vostri giudizi infermi, e monchi,

che d'ignote venture

disperata ignoranza il fil vi tronchi.

Ma se a scorger giungeste

in quegli inesplicabili volumi

scritti in zaffiri a lettere di stelle:

sovente ammirereste

esser in lor prefisso,

ch'inaridisca a lente piogge un prato

e lo renda fecondo

di Sirio, e d'aquilon l'arido fiato;

che resti in picciol stagno

d'un Giasone, e d'un Tisi il legno absorto,

ch'a i naufragi conduca aura tranquilla,

e avversa tempesta al lieto porto.

Vanne dunque, e pur spera, e non t'annoi

il dar più fede a me, ch'a i sensi tuoi.

HYLLO

Diva dovunque io sia

non so se posi in cielo, o in terra il piede,

così di tue fortune

pur incerta se n' va l'anima mia.

GIUNONE

Congedo a gl'orridi

suoi flutti altissimi

poi ch'il mar diè,

zefiri floridi

su festosissimi

volate a me,

e in danza lepida

da voi si venere

la mia virtù,

che sempre intrepida

contro di Venere

vittrice fu.

Sol gl'amor regnino

da quali spieghisi

onesto ardor,

e i cieli sdegnino

ch'in altro impieghisi

il lor favor:

desir che seguino

affetti ignobili

stian sempre in duol,

e si dileguino

dell'alme nobili

qual nebbia al sol.

Scendono sul palco Hyllo e Giunone e poi questa parte e rimonta al cielo nella sua macchina, nella quale i Zefiri invitati da essa formano la 5ª danza.

Scena sesta

Si cangia la scena in un giardin di cipressi pieno di sepolcri reali.
Deianira, Licco.

DEIANIRA

Ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?

Ah che ben mi guidaro

gl'addolorati miei languidi passi

a trovare in alcun di questi sassi

come far sazio il mio destino avaro.

Ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?

Alfin perduto ho il figlio

e già vicina è l'ora,

che dona ad altra sposa il mio consorte,

né perciò avvien ch'io mora?

Armi non ha da uccidermi la morte,

già che tanti dolor non mi sbranaro;

ed a che peggio i fati ahi mi serbaro?

Prendi Licco fedele

questi de' miei tesor poveri avanzi

per passar meno incomodi i tuoi giorni,

e rimira se puoi,

un dì questi sepolcri aprirmi in cui

d'ogni speranza di conforto ignuda

per non mirar più il sol mi colchi, e chiuda.

LICCO

Ah Deianira io non son tanto accorto

che possa in sì gran carichi servirti

di tesoriere insieme, e beccamorto:

né so s'abbi pensato,

ch'esser preso così quindi io potrei

per omicida, e ladro,

e con solennità condotto al posto

di sublime appiccato,

onde fora tra noi sorte ben varia,

tu morresti sotterra, ed io nell'aria.

Deh scaccia o Deianira,

desio sì forsennato,

che di quanti nell'urna abbia Pandora

e disastri, e ruine, e pene, e danni,

e dolori, ed affanni,

e angoscie, e crepacuori io ti so dire,

ch'il peggior mal di tutti è di morire.

Ma che pompa funebre

scorgo venir? tiriamoci in un lato

che qual lugubre aspetto a te fia grato.

Scena settima

Iole con la pompa funebre, coro di Sacrificanti, ombra d'Eutyro, Deianira, Licco, coro di Damigelle d'Iole.

CORO DI SACRIFICANTI

Gradisci o re,

il caldo pianto

ch'in mesto ammanto

afflitta gente

dal cor dolente

sparge per te!

Gradisci o re.

Tua sepoltura

i fior riceva

che selva oscura

germogliar fe':

e il sangue beva,

che per man monda

vacca infeconda

svenata diè,

gradisci o re.

IOLE

E se pur negli estinti

di generosità pregio rimane,

permetti o genitore,

che dopo aver io tanto (ahi lassa) invano

per vendicarti oprato

ceda al voler del fato,

e che non già quest'alma,

ma sol di lei la sventurata salma

per l'iniquo tiranno

(per cui grato mi fora

più del talamo il rogo)

di sforzati imenei sottentri al giogo.

CORO

Ah ch'il real sepolcro

formando entro di sé dubbi mugiti:

ah, ah, (ch'esser ciò puote?)

tutto trema, e si scuote.

Rovina il sepolcro d'Eutyro, e apparisce l'ombra di lui.

EUTYRO

Che sacrifici ingrati?

Che prieghi ingiuriosi?

Che voti obbrobriosi?

Porgonsi a me? così s'oltraggia Eutyro?

Così fia, ch'a sua voglia

fredda insensibil ombra ogn'un mi creda?

Farò ben, che s'avveda

l'omicida ladron, s'ancor m'adiro?

E se contro di lui

odio, rabbia, e furor più che mai spiro?

Dunque chi del mio sangue

fe' scempio ingiusto, del mio sangue ancora

far vorrà suo diletto? ah non fia mai:

e tu dar vita a i parti

di chi morte a me di è (figlia) potrai?

IOLE

Ben resistea l'avverso mio volere

d'Ercole alle preghiere,

e alla forza di lui pur fatta avrei

resistenza invincibile, ma d'Hyllo,

d'Hyllo a te già non men, ch'a me sì caro,

che delle nostre offese

non fu complice mai:

anzi che ne sofferse

al par di noi con amorosa, e immensa

compassione il duolo,

d'Hyllo, ohimè, di lui solo

il periglio mortale

m'astrinse a consentire

all'aborrite nozze,

com'unico riparo al suo morire:

dunque perdona, o genitor, l'intento

di queste sacre pompe

ch'Amor, che non ha legge

ogni legge a sua voglia o scioglie, o rompe.

EUTYRO

Tant'ha d'Eutyro il nudo spirto ancora

invisibil possanza,

che neglette, e schernite

le temerarie voglie

del nemico fellone,

saprà salvare insieme

l'innocente garzone.

DEIANIRA

O dio dunque lasciate,

ch'a me di chi v'offese offesa moglie

e di chi tanto favorir bramate

madre, ohimè, semiviva or sia concesso

d'accomunar con voi l'aspre mie doglie.

Per conservarmi il figlio

privarmi di marito,

o di rimedio reo misero aborto;

o disperata speme. Hyllo è già morto.

IOLE

Ohimè, che di'!

DEIANIRA

Sul più vicino scoglio

della di lui prigion mentre attendevo,

che qualche picciol legno

colà mi conducesse

a consolarlo almen col mio cordoglio,

lo vidi all'improvviso, ohimè, dall'alto

cader nel mar d'un salto.

E se non lo seguii,

fu perché dal dolore, ahi, sopra fatta

caddi al suol tramortita,

e per man degli astanti

con mal saggia pietà quindi fui tratta.

EUTYRO

Dunque a qual altro fin, che per più strano

mio spregio, e scorno? Or di te far vorrai

un esecrabil dono

al barbaro inumano?

Ch'altra moglie trafigge, altra abbandona,

e né meno a suoi figli empio perdona.

Deh con giusto coraggio

saggiamente pentita,

rinunzia a un tanto error mentr'io ritorno

del fumante Cocito all'aria impura

alle sponde infocate

per unire in congiura

l'anime ch'il crudele a morte ha date:

e ben vedrai ch'invano io non prefissi

di sollevar contro di lui gli abissi.

(l'ombra di Eutyro sparisce)

IOLE

Hyllo il mio bene è morto? altro che pianti

vuol da me tal dolore:

egli sol per mio amore

disperato s'uccise, ed io fra tanti

segni della sua fé sempre più chiari

fia ch'a morir dalla sua fede impari;

troppo io pregiai la vita, ed or m'avveggio

quanto il morir più vale;

questa spoglia mortale

scopo è sol di sventure, e degno seggio

d'Amor sono gli elisei, ov'ei più splende

né tirannia, né duolo alcun l'offende.

Attendetemi dunque, alme dilette

d'Hyllo, e d'Eutyro in pace,

ch'a raggiungervi io corro, ombra seguace.

LICCO

Ferma ti prego, e poiché (grazie al cielo)

tornò l'orribil ombra a casa sua,

e ch'a me così torna, e fiato, e voce;

vuò dar grato consiglio a tutte e dua.

E che miglior rimedio?

A' tanti vestri spasimi di quello

a proporvi son pronto

ch'è di guarire ad Ercole il cervello?

Quand'egli si raccenda

per te del coniugal dovuto affetto,

e che non curi più nuovi imenei,

ditemi ciò non parvi

assai per consolarvi?

Dunque non ti sovviene, o Deianira,

che per ciò far mezzo sì raro avemo?

Veggio, ch'il duol estremo

ti rende smemorata, e quella veste,

che già Nesso centauro

in morendo a te diè, qui pur non vale?

Per far ch'Alcide allor che l'abbia in dosso

ogn'altro amor ch'il tuo ponga in non cale?

DEIANIRA

Chi sa, che fia ben ver?

LICCO

Ne farem prova.

IOLE

Ma ciò per ravvivare Hyllo non giova.

LICCO

Oh che strane domande!

Ma ben potrei risuscitare un morto,

s'a contentar due femmine mi posi,

ch'è d'ogni altro impossibile il più grande,

s'in vece, che per troppa impazienza

posar monte su monte

avesser li giganti a sasso a sasso

fabbricato il lor ponte;

al dispetto di Giove

sarian montati in cielo a far fracasso.

Si va di là dal mondo a passo a passo.

Né fia vano il tentare

di levarci un ostacolo cotanto

com'è d'aver con Ercole a cozzare.

Che poi dall'altro canto

chi sa? ch'Hyllo sentendosi bagnato

fatto più saggio non si sia pentito

e a nuoto salvato.

DEIANIRA, IOLE E LICCO

Una stilla di spene

oh che mar di dolcezza!

per un'anima avvezza

a languir sempre in pene.

Una stilla di spene,

benché tal'or mentita

nelle già fredde vene

riconduce la vita:

e per stupenda prova

fin con l'inganno giova.

Le Damigelle di Iole rimaste a piangere presso le rovine del sepolcro d'Eutyro, alla vista di quattr'Ombre si spaventano, e formano così con le dett'Ombre la 6ª danza, per fine dell'atto quarto.

Atto quinto
Scena prima

La scena si cangia in inferno.
Ombra d'Eutyro, coro di Anime infernali, Clerica, Laomedonte, Bussiride.

EUTYRO

Come solo ad un grido,

che giunto a pena d'Acheronte al lido

formai, vi radunate anime ardite?

Su, così pur contro il comun nemico

vostro furore alla mia rabbia unite,

che più dunque s'aspetta?

Pera mora il crudel, su su vendetta.

CORO

Pera mora il crudel, su su vendetta.

CLERICA

regina di Cos

Pera mora l'indegno

di cui più scellerato unqua non visse,

che del troiano eccidio ancor fumante

non mai sazio di sangue

i miei poveri figli, e me trafisse,

o bella gloria in vero

d'un uccisor di mostri,

impiegare il vigore

con cui d'aver si vanta

sostenute le stelle

contro teneri parti, e madre imbelle.

Ah ver'un chiostro

più fiero mostro

di lui non ha.

E se il crudel

per nostro ufficio

oggi cadrà

mai sacrificio

più grato al ciel

altri fe', né mai farà.

Che più dunque si aspetta?

Pera mora il crudel, su su vendetta.

CORO

Pera mora il crudel, su su vendetta.

LAOMEDONTE

re di Troia

Pera mora il perverso

che d'un sol atto di pietà, che mai

tra le barbarie sue contar potesse,

qual mercenario vile

richiedendone il prezzo,

ne' contenti assai tosto

gl'avidi suoi desir quanto malvagi,

si pagò col mio sangue, e mille stragi.

Su su sbraniamolo,

su laceriamolo

giustizia il vol,

paghi egl'ancor

l'altrui dolor

col proprio duol.

Che più dunque s'aspetta?

Pera mora il crudel, su su vendetta.

CORO

Pera mora il crudel, su su vendetta.

BUSSIRIDE

re d'Egitto

Pera mora l'iniquo,

che dell'etereo Giove,

ingratissimo al pari,

ch'in legittimo figlio,

di sacerdoti, e vittime più degne,

con sacrilega man spogliò l'altari.

Pera l'abominevole; ma pera

della più cruda morte,

che per esempio eterno,

inventar possa mai l'irato inferno.

Quanti mai strazii,

nei negri spazii,

Pluto adunò

tutti s'unischino,

e assalischino,

chi ne svenò:

che più dunque s'aspetta?

Pera mora il crudel, su su vendetta.

CORO

Pera mora il crudel, su su vendetta.

EUTYRO

Se nel terrestre mondo

per iniquo favor d'ingiusto cielo

il suo corporeo velo

alla nostra mortal spoglia prevalse,

ad onta del suo orgoglio al fine impari,

che di sdegno, e di forze ogn'alma è pari.

Che? se più lo lasciamo

respirar impunito

in pace, e tirannia l'aure vitali,

crederà con ragione,

che fian di timid'ombre, e neghittose

i regni di Pluton tane oziose.

Su, su dunque ombre terribili

su voliam tutte in Eocalia,

nuova in ciel schiera stimfalia

contra il reo furie invisibili,

e con le vipere

onde Tesifone

tormenta l'anime

flagellamogli il cor;

fin ch'immenso dolor

con angoscie rabbiose il renda esanime.

CORO

Su, su dunque all'armi, su, su,

su corriamo a vendicarci,

ch'altro ben non può mai darci

il destino di quaggiù.

E che giova assordar quest'antri più

con il vano rumor de' nostri carmi?

Su, su dunque all'armi, all'armi.

EUTYRO

Ah più val più diletta,

che quante gioie ha il ciel una vendetta.

CORO

Ah più val più diletta,

che quante gioie ha il ciel una vendetta.

Scena seconda

La scena si cangia in un portico del tempio di Giunone Pronuba.
Ercole, Iole, Licco, Deianira, coro di Sacerdoti di Giunone Pronuba.

ERCOLE

Alfine il ciel d'Amor

per me si serenò,

e i nembi di rigor,

in gioie distemprò,

sol nel mio cor pur sento

un soave martir,

ch'abbia per gir più lento

dati il tempo i suoi vanni al mio desir.

Ma pur l'amata Iole

l'adorato mio sole ecco a me viene,

dunque affatto il mio sen sgombrate o pene,

che di sì rigid'alma

qual si sia la vittoria io n'ho la palma,

e l'ardente mio spirto

pospon tutti i suoi lauri a un sì bel mirto.

LICCO

Quando com'è tuo uffizio,

dar quella veste ad Ercole dovrai

per far di nozze tali il sacrifizio,

quest'altra in vece, il cui valor ben sai,

destramente da me prender potrai.

IOLE

Così farò: ma che? per diffidenza

di rimedio sì incerto, ho il sen ripieno

di gelosa temenza,

pur quando mi tradisca ogn'altro scampo,

soccorso mi darà pronto veleno.

ERCOLE

Deh non muovere Iole il piè restio,

ver chi dominator del mondo intero

solo in goder dell'alma tua l'impero

pon la felicità del suo desio.

E il sacro concento

sciolgasi omai, ch'a me di tali indugi

grado è d'immensa pena ogni momento.

CORO

Pronuba, e casta dèa

l'alme de' nuovi sposi

con lacci avventurosi

annoda, e bea.

E quieta, e gioconda

da' lor nestorea vita,

e gl'amplessi feconda

con progenie infinita.

ERCOLE

E di che temi, Iole, e di che tremi?

IOLE

Ecco il mio viver giunto

a un formidabil punto.

ERCOLE

Deh su porgimi ardita

la veste, ond'io ben tosto

per i nostri imenei

renda olocausto a i dèi.

CORO

Pronuba, e casta dèa

l'alme de' nuovi sposi

con lacci avventurosi

annoda, e bea.

E quieta, e gioconda

da' lor nestorea vita,

e gl'amplessi feconda

con progenie infinita.

ERCOLE

Ma qual pungente arsura

la mia ruvida scorza intorno assale?

Qual incognito male

d'offendermi temendo

serpe nascoso per le vene al core?

Qual immenso dolore, ahi, mi conquide?

E per dar morte a me tanto più dura

in vista de' contenti, oh dio, m'uccide?

E tu lo soffri, o genitore? E lasci,

ch'io, che con piè temuto

passeggiai della morte i regni illeso,

e che fin dalla cuna

di belle glorie adorni

tutti contai della mia vita i giorni,

or senz'avere a fronte

sanguinoso nemico (ah rio martire,

che della morte ancor vie più m'accora)

in ozio vil qui mora?

Senza che gloria alcuna

renda almen di me degno il mio morire.

Almen di nubi oscure

vela quest'aria in torno

sì che sorte maligna

di me grato spettacolo non faccia

all'implacabil mia cruda matrigna;

e per quando la tua

insensata pigrizia, (oh gran tonante)

il conquasso destina

dell'universo, ohimè, s'ora no 'l fai?

E a che riserbi il cielo?

Che nel perder Alcide a perder vai?

Ma l'atroce mia doglia

imperversando ogn'or pochi respiri

mi lascia più, deh s'il morire è forza,

ardasi la mia spoglia

né della terra, i di cui figli uccisi

s'esponga un rifiuto:

a dio, cielo, a dio Iole, eccomi Pluto.

LICCO

Che dite? Il mio non fu rimedio tardo,

ma un poco più (ch'io non credea) gagliardo.

Pur ciascuna di voi di già rimira

il penoso destin per sé finito

d'un amante importun, d'un reo marito.

E non piangete già,

che comunque ch'avvenga a un saggio core

dar non si può qui giù sorte migliore,

che di vivere in pace, e libertà.

IOLE

Qual tra perigli estremi

di strepitose, ed orride rovine

un ch'è salvato a sorte

stupido resta, sì rimasi anch'io

senza moto, né voce; ah perché dunque

Hyllo il mio caro ben, perché morto?

DEIANIRA

Ah Nesso mi tradì, deh ti perdoni

o Licco il ciel l'involontario errore;

a dolor su dolore

egualmente infinito

più resister non so, mostrami o morte

e del figlio la traccia, e del consorte.

Ma che? l'ombra del figlio

ecco ch'ad incontrarmi

ver me riede pietosa.

Scena terza

Iole, Deianira, Licco, Hyllo.

IOLE

Veggio, o di veder parmi?

Non atteso contento!

Ah che dar fede a gl'occhi il cor non osa.

DEIANIRA

Oh che opportun ristoro!

LICCO

Oh che spavento!

IOLE

Hyllo?

DEIANIRA

Figlio?

DEIANIRA E IOLE

Sei tu?

HYLLO

Mercé di Giuno

son io dal mar salvato

acciò per gl'occhi miei

versi in un mar di pianto il cor stemprato.

Se qual ridirlo intendo

vero è del caro padre il fato orrendo.

DEIANIRA

Ah figlio ahi troppo è ver, che mi rivedi

vedova afflitta, e sola.

IOLE

Pur mio ben ti consola,

che se perdesti il genitor crudele

me qui ritrovi, e l'amor mio fedele.

HYLLO

Ah dunque il ciel non seppe

farmi teco felice?

Senza misero farmi, e sventurato

con la mia genitrice?

LICCO

Oh ben tornato.

HYLLO

Ahi che con forza eguale a un tempo istesso

da gioia, e da dolore

tratto in contrarie parti

sento squarciarmi il core.

DEIANIRA

Ohimè dunque che fia?

LICCO

Forz'è ch'io rida

quel che è stato mai sempre

da che morte impugnò falce omicida,

ch'altri avvien, che si stempre

in pochi, ed altri in copiosi lutti.

Ma chi muore suo danno,

che tosto, o tardi si consolan tutti.

DEIANIRA

Saranno almen le ceneri d'Alcide

le più pompose de' funebri onori

e più sparse di lagrime, e di fiori.

HYLLO

Certo è che i miei singulti

non avran fin.

IOLE

Ma non fia già che solo

tu pianga amato ben, che se comune

ho teco il cor fia pur comune il duolo.

LICCO

Or che sorte è la mia?

Che senza averne voglia,

anch'io per compagnia

converrà che mi doglia.

DEIANIRA, IOLE, HYLLO E LICCO

Dall'occaso a gl'Eoi

ah non fia chi non pianga,

ch'oggi il sol de gl'eroi

estinto, ohimè, rimanga.

Dall'occaso a gl'Eoi

ah non fia chi non pianga.

Scena quarta

Cala Giunone nell'ultima macchina corteggiata dall'armonia de' cieli, ed apparisce nella più alta parte di questi Ercole sposato alla Bellezza.
Giunone, Deianira, Iole, Hyllo, Licco.

GIUNONE

Su, su allegrezza

non più lamenti

deh non più no,

ch'ogni amarezza

il ciel cangiò

tutt'in contenti

tutt'in dolcezza

non più lamenti

su, su, allegrezza.

Non morì Alcide

tergete i lumi

non morì no,

su nel ciel ride,

che lo sposò

il re de' numi

alla Bellezza

tergete i lumi

su, su, allegrezza.

GIUNONE

Così deposti alfin gl'umani affetti

così l'alma purgata

d'ogni rea gelosia

ciò che qui giù sdegnò, lassù desia.

Quindi ammorzati anch'io gl'antichi sdegni

per il vostro godere:

a me sì glorioso

consentii, ch'egli goda in su le sfere

un beato riposo,

onde a compire ogni desio celeste

sol de' vostri imenei mancan le feste.

Su dunque a i giubili

anime nubili

e felicissimi

i miei dolcissimi

nodi insolubili

al par d'amor v'allaccino,

e nelle vostre destre i cor s'abbraccino.

Se a pro d'un vero amore il giusto Giove

meraviglie non fa,

a che riserberà sue maggior prove?

IOLE E HYLLO

Oh dèa come n'arrequii.

DEIANIRA

Ch'a i detti tuoi

non lice a noi

fede negar né ossequi

oh dèa come n'arrequii.

IOLE E HYLLO

Che dolci gioie oh dèa

versi nel nostro seno,

il ciel benigno a pieno

che più dar ne potea?

Che dolci gioie oh dèa.

LICCO

Come a tante rovine

succeduto ad un tratto è un tanto bene

in fatti è ver qui giù danzano in giro

e si tengon per man contenti, e pene.

GIUNONE, DEIANIRA, IOLE, HYLLO E LICCO

Contro due cor ch'avvampano

tra loro innamorati

in van del ciel s'accampano

per guerreggiar i fati.

Da lega d'amore

fia vinto il furore

d'ogni contraria sorte:

d'un reciproco amor nulla è più forte.

Scena quinta

Ercole, la Bellezza, coro di Pianeti.

CORO

Quel grand'eroe, che già

laggiù tanto penò

sposo della beltà

per goder nozze eterne al ciel volò!

Virtù, che soffre alfin mercede impetra

e degno campo a' suoi trionfi è l'etra.

BELLEZZA E ERCOLE

Così un giorno avverrà con più diletto,

che della Senna in su la riva altera

altro gallico Alcide arso d'affetto

giunga in pace a goder bellezza ibera;

ma noi dal ciel traem viver giocondo

e per tal coppia sia beato il mondo.

TUTTI

Virtù che soffre alfin mercede impetra

e degno campo a' suoi trionfi è l'etra.

Le varie influenze di sette Pianeti scendono sul palco successivamente a danzare, e in fine anche un coro di Stelle.

Fine del libretto.

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Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta