|
|
Scena prima |
La scena si cangia ne' lati in boscareccia, e nella prospettiva in un gran paese contiguo alla città d'Eocalia. Ercole. |
Q
Ercole
|
| |
|
Come si beffa Amor del poter mio!
A me cui cede il mondo
farà contrasto una donzella? (oh dio!)
Come si beffa Amor del poter mio!
Dunque chi tanti mostri
vide esangui trofei di sua fortezza
scempio farà di femminil fierezza,
e trafitto cadrà da un van desio?
Come si beffa Amor del poter mio!
| |
| |
|
Ah Cupido io non so già
perché il ciel soffrir ti deggia?
Di Pluton l'orrida reggia
un di te più reo non ha.
| |
| |
|
O di quale empietà
sacrilego tiranno ogn'or riempi
il credulo tuo regno?
Mentre ne' di lui tempi
l'adorate Cottine
di grazia, e di beltà
non celano altro alfine
ch'idoli abominevoli qua' sono
interesse, perfidia, orgoglio, e sdegno.
Così avvien per Iole
che l'altar del cor mio
sparga d'alti sospir malgrati i fumi,
e che vittima infausta io mi consumi.
| |
|
|
Scena seconda |
Cala dal cielo Venere con le Grazie in una macchina. Venere, Ercole, coro di Grazie. |
<- Venere, grazie
|
| |
VENERE |
Se ninfa a i pianti
di veri amanti
non mai pieghevole
niega mercé;
di ciò colpevole
amor non è.
| |
CORO |
Se ninfa a i pianti
di veri amanti
non mai pieghevole
niega mercé;
di ciò colpevole
amor non è.
| |
VENERE |
Scoglio sì rigido
mostro sì frigido
non regge il mar
ch'amato al pari non deva amar.
| |
CORO |
Scoglio sì rigido
mostro sì frigido
non regge il mar
ch'amato al pari non deva amar.
| |
| |
VENERE |
Ogn'impero ha ribelli
trasgressori ogni legge
or come e questi, e quelli
giusta forza corregge,
sì con soave incanto
(ch'al dominio d'Amore
forza è la più conforme)
superare a tuo pro spero il rigore
che maligna fortuna,
sempre al mio figlio avversa
d'Iole in sen per tuo tormento aduna;
e godrai de' miei detti
oggi al giardin de' fiori i dolci effetti.
| |
ERCOLE |
O dèa se tanto alle mie brame ottieni
giusto fia ch'io t'accenda
tutte d'Arabia l'odorate selve,
e che tutte a te sveni
dell'Erimanto le zannute belve;
ch'il ciel non può versare
de i contenti d'Amor grazie più care.
| |
VENERE |
Vanne al loco, e m'attendi, e fa ch'Iole
pur vi renda pria che manchi il sole,
ch'io dell'armi provvista
onde sua ferità vincer presumo,
preverrò diligente i di lei passi
per dispor quivi pria, ch'ella vi giunga
rovente acuto strale,
che per te l'arda, e punga.
| |
| |
|
Strale invisibile,
ch'inevitabile
tal forza avrà,
ch'all'insensibile
piaga insanabile
imprimerà.
| (♦)
(♦)
|
| |
VENERE |
Su dunque ogni tristezza
sia dal tuo cor sbandita,
ch'in amor l'allegrezza
come al ciel più gradita
con più felicità le gioie invita.
| |
| |
VENERE E ERCOLE |
Fuggano a vol
dal bell'impero
del nume arciero
le pene, e 'l duol.
| |
CORO |
E in lui così
gioie sol piovino,
e si rinnovino
quegli aurei dì.
| |
VENERE E ERCOLE |
Struggasi il gel
d'ogni fierezza
ogni amarezza
il cangi in miel.
| |
CORO |
E in lui così
gioie sol piovino,
e si rinnovino
quegli aurei dì.
| |
| |
La macchina di Venere rimonta al cielo. | Venere, grazie ->
|
| |
ERCOLE |
Infelice, e disperato
mentre mestissimo
vo notte, e dì,
qual di bene inaspettato
raggio purissimo
m'apparì?
| |
ERCOLE E CORO |
Ah che s'acceso un cor
avvien mai che disperi,
non sa come in amor
con sovrano poter fortuna imperi,
di tal nume alla possanza
nulla invincibile
già mai si dà
egli ogn'or con gran baldanza
fin l'impossibile
ceder fa.
| |
|
|
Scena terza |
Nel resto de' nuvoli di detta macchina essendo ascosa Giunone, questa si discovre assisa in un gran pavone. |
<- Giunone
|
| |
GIUNONE |
E vuol dunque ciprigna,
per far contro di me gl'ultimi sforzi
de' più pungenti oltraggi,
favorir chi le voglie ebbe sì intese
ad offendermi ogn'ora,
che ne gli impuri suoi principi ancora
prima d'esser m'offese?
Chi pria di spirar l'aure
spirò desio di danneggiarmi, e dopo
aver dal petto mio
tratti i primi alimenti al viver suo,
con ingrata insolenza
d'uccidermi tentando osò ferirmi?
Ah ch'intesi i disegni
ma non sia ch'a disfarli altri m'insegni.
Di reciproco affetto
ardon Hyllo, e Iole,
e sol per mio dispetto
l'iniqua dèa non vuole,
ch'Imeneo li congiunga? anzi procura
per il mio scorno maggiore,
ch'il nodo maritale ond'è ristretto
Ercole a Deianira alfin si rompa;
a ciò ch'Iole a questi
del di lei genitore empio omicida
con mostruosi amplessi oggi s'innesti.
E con qual arte oh dio? con arti indegne
d'ogni anima più vil non che divina.
| |
| |
|
Ma in amor ciò ch'altri fura
più d'amor gioia non è
e un'insipida ventura
ciò ch'egli in dono, o ver pietà non diè.
In amor ciò ch'altri fura
più d'amor gioia non è.
Se non vien da grata arsura
volontaria all'altrui fé
cangia affatto di natura
come d'odio condita ogni mercé.
| |
| |
|
Ma che più con inutili lamenti
il tempo scarso alla difesa io perdo?
Su portatemi o venti
alla grotta del Sonno, e d'aure infeste
corteggiato il mio tron versi per tutto
pompe del mio furor fiamme, e tempeste.
| |
| |
Giunone parte e fa cader dalle nuvole della sua macchina, Tempeste e Fulmini che formano una danza per fine del primo atto. | Ercole ->
<- danzatori come tempeste e fulmini
Giunone ->
|
| |