Atto secondo

 

Scena prima

Rappresenta la scena un villaggio.
Egisto.

 Q 

Egisto

 

D'Hipparco e di Climene ospiti miei    

fuggo l'alte accoglienze, e quivi solo

vengo per isfogare il mio gran duolo.

Lasso io vivo, e non ho vita,

Clori ahimè non è più mia,

invaghita d'altro oggetto,

oh tormento,

rotto ha il nodo, e il foco spento.

Mai credei mirar rubelli

di mia fé gl'astri lucenti

di due lumi innamorati,

che pietosi

m'influivano riposi.

Ah quei labri, ond'io succhiai

dolce umor per l'alma inferma

recheranno ad altro amante,

oh dolore,

molli baci a tutte l'ore?

In quel sen, ch'è un mar di latte,

di nuotar non ho più speme,

altri il gode, altri lo solca,

oh martire,

questo premio ha il mio servire.

Dimmi ingrata, e disleale

sono questi i giuramenti,

o spergiura e le promesse,

sconoscente,

d'adorarmi eternamente?

Odi il cielo anco ha saette

per chi infida inganna amanti,

la sua destra un giorno, un giorno,

incostante,

punirà tue colpe tante.

Ma di chi mi lamento,

con qual ragion di Clori io mi querelo?

Credendo che di vita fossi spento

avrà di nova fiamma acceso il core,

che non può star beltà priva d'amore;

or scorgendomi vivo

tosto raviverà gl'estinti ardori,

via si ricerchi, e si ritrovi Clori.

S

 

Scena seconda

Clori, Egisto.

<- Clori

 

CLORI

Piagge apriche,  

selve amiche,

or v'invita.

EGISTO

Oh, mia vita.

 

CLORI

(Ohimè, ch'Egisto è questi,  

fingerò non conoscerlo); chi sei

tu, che vita m'appelli?

EGISTO

Un vostro fido amante, occhi miei belli,

il tuo Egisto son io

Clori, Clori cor mio.

CLORI

Io non ti vidi mai,

è ben vero, ch'amai

un Egisto di Delo,

ma l'infelice è morto

privo di libertade e di conforto.

EGISTO

No che morto io non sono,

così trista novella

chi t'arrecò mio bene?

Fuggo da le catene,

e prigioniero de la tua bellezza

ora ritorno al carcere bramato

da cui rigido ciel m'avea levato.

CLORI

Misero tu vaneggi

quel che vivo ti fingi è un'ombra errante

le cui ceneri ho piante.

EGISTO

Ah, non m'uccise no, mi fece servo

il pirata protervo:

tanto difforme io sono

dall'esser mio primiero,

che non mi raffiguri?

O pur son io, deh vani sian gli auguri,

abbandonato insin dal tuo pensiero?

CLORI

Tragico avvenimento

povero mentecatto

certo impazzir t'ha fatto,

tu sei degno di riso

io ti ridico, Egisto è stato ucciso.

EGISTO

E l'incostanza tua fu l'omicida:

la scitica fierezza

ch'in te Clori si annida

ha quell'Egisto estinto, e incenerito;

che viver non potea

se non da te gradito;

et io di lui son l'anima vagante

che rimprovera a te la rotta fede,

e l'ingrata mercede,

ch'a l'amor suo tu dai fallace amante;

non mi conosci no, perché abbattuta

dal tempio del tuo petto,

da l'ara del tuo core

l'imago mia, che vi scolpì Cupido,

hai nova effigie eretta,

a cui fatta soggetta

l'inchini, l'idolatri e la profumi

dei tuoi caldi sospir co' grati fumi.

Crudel crudel or a te solo ignoto

poich'hai te stessa offerta a Lidio in voto.

CLORI

Sarei per sciocca ben mostrata a dito,

se vedova rimasta

del primo amor, nel giovanil mio fiore

volessi passar l'ore

di sì dolce desio mendica, e casta;

ma vaneggiar più teco

non vo', rimanti, a dio.

EGISTO

Ferma, dammi il cor mio,

che non vo' che lo sbrani

col tuo rigor natìo:

ferma, dammi il cor mio.

CLORI

Il tuo cuor chiedi a me?

EGISTO

A te lo chiedo, a te.

CLORI

E che facc'io macello

de' cori? oh miserello:

or la cagion di tua follia comprendo,

a più gradito amante

ha concesso l'impero

di sue bellezze la tua donna, è vero?

Odimi e ti consola

da chi ti fugge, non fuggir, ma vola.

Clori ->

 

Scena terza

Egisto.

 

 

Oh scherni troppo amari,  

ferità senza pari,

oh, portenti, oh portenti,

sono mobili i sassi, anzi volanti?

Ed io qui senza spirto ho il moto, e sento

l'angoscioso tormento?

Arresta il piede, arresta

animato diaspro, errante scoglio,

ritorna qui, ritorna

furia inumana, io voglio

poiché del mio morir ti mostri ingorda,

con l'avermi tradito,

che da profonda gemina ferita

indivisa col sangue esca la vita.

Ma di morir che dico?

Non ha ragion la morte

ne' cadaveri esangui,

salma disanimata

ahi lasso io sono, a tradimento ucciso

da la perfidia, ohimè, di questa ingrata:

Lidio nel mar d'amore

fuggi questa sirena,

col bello ingannatore

alletta, e poi divora

chi di lei s'innamora:

Egisto sventurato

il tuo perverso fato

piangi, deh piangi tanto

sin che tu affoghi nel tuo proprio pianto.

Egisto ->

 

Scena quarta

Climene.

<- Climene

 

 

Hipparco il mio germano  

trovato ho nel contado

in cui per quanto intesi

ancor Lidio dimora,

onde qui per vederlo io mossi il piede

che da lui spera il mio penar mercede.

 

Perfida gelosia  

lungi dall'alma mia,

col tuo letal velen

non infettarmi il sen.

Perfida gelosia

lungi dall'alma mia.

Gl'assalti tuoi raffrena,

non m'apportar più pena.

Infedele non vo'

creder Lidio no no.

Perfida gelosia

lungi dall'alma mia.

Forse ch'egli disprezza

la seguace bellezza,

ei come fu sarà

né mia fé tradirà.

Perfida gelosia

lungi dall'alma mia.

 

Scena quinta

Lidio, Climene.

<- Lidio

 

LIDIO

Clori, Clori gentile  

negl'occhi ha il sol diviso,

e tiene nel bel viso

un odorato aprile,

Clori, Clori gentile.

CLIMENE

Ohimè che non fu vano il mio timore,

con il canto m'uccide il traditore.

LIDIO

Clori, Clori vezzosa,

la bocca ha di rubino

e l'or lucido, e fino

ne la chioma pomposa,

Clori, Clori vezzosa.

CLIMENE

Clori, Clori vezzosa? e di Climene

or più non ti sovviene?

LIDIO

Che miro? invida sorte

per turbarmi il diletto

tratta ha costei de le servil ritorte.

CLIMENE

Così accogli la sposa?

Così accorri, e m'abbracci,

e di mia libertà festeggi, e godi?

Tra le colpe tu agghiacci

de le svelate frodi:

quanto, quanto era meglio

servire incatenata

al barbaro signore,

che vedermi, oh dolore,

in libertà gradita

da te crudel tradita.

LIDIO

L'antico, e comun detto

Climene tu sai pure

altri tempi, altre cure.

CLIMENE

Come parla l'iniquo, il fraudolente?

LIDIO

Amor s'ebbe il natale

non è eterno, è mortale,

e dimostran le penne,

di cui gl'omeri veste,

che sa lieve fuggir com'egli venne:

t'amai quanto amar puossi,

e la memoria antica

de' passati piaceri anco m'è dolce,

fosti un tempo mia luce, e spirto mio,

ma novello desio

il vecchio ardore estinse,

guerreggiò meco altra bellezza, e vinse.

CLIMENE

Così libero sciogli

la lingua scelerata

a narrare sfacciata

l'empie tue fellonie,

e le miserie mie?

Così ardito dileggi

de gl'uomini, e de' dèi

l'intemerate leggi?

Mal tuo grado mio sei.

LIDIO

Son tuo? no 'l seppi mai,

quando mi ti donai?

CLIMENE

Quando malvagio, quando?

O Giove, e tu consenti

sì enormi tradimenti?

Quando in braccio t'accolsi,

e che mi disciogliesti, o disleale

la zona verginale.

LIDIO

Se godei tu godesti,

anzi che per gioire

nel seno m'accogliesti:

l'amor tuo fu interesse,

e le tue cortesie desti ad usura,

poiché d'un puro bacio in un momento

ne ricevevi cento:

tu per fruirmi solo

mi donasti te stessa.

Or rifiuto i tuoi doni,

non voglio guiderdoni:

ma parto, non vorrei

che venisse il mio bene

per non ingelosirlo, a dio Climene.

Lidio ->

 

Scena sesta

Climene.

 

Ah miscredente ah ingrato,    

non ha flagel Cocito

ugual al tuo peccato:

inventi pure, inventi

novi strazi e tormenti

il giudice d'Averno,

che non potrà in eterno

con feroce martire

le colpe tue punire,

troppo grave è il tu' errore

o Lidio traditore.

Piangete occhi dolenti,

e al flebil pianto mio

pianga la fonte, e il rio;

articolate accenti

frondose, e mute piante

de' miei casi infelici

selvagge spettatrici.

E narrate pietose

a chi di qua se n' passa

l'empia mia sorte, ahi lassa,

e l'altrui tradimento;

al mesto mio lamento

e Progne, e Filomena

accompagnino i loro

queruli e tristi canti.

Ah simplicette amanti

non credete a promesse

di giovane amatore,

ch'ha volubile il core,

e la sciagura mia

de' suoi spergiuri esempio ora vi sia.

S

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Scena settima

Hipparco, Climene.

<- Hipparco

 

HIPPARCO

Rabida gelosia, nemico amore  

con flagelli inuditi

a me squarciano il core;

novo Titio son io,

ma da più acuto rostro

d'alato, e fiero mostro

vengono divorate

le mie viscere interne,

o doglie troppo acerbe e sempiterne.

CLIMENE

Di Cerbero il produsse

lo pestifero seme.

Derelitta son io fin da la speme.

HIPPARCO

Climene mia? sorella?

Qual pioggia lagrimosa

cade dagl'occhi tuoi precipitosa?

Qual torbido vapore,

qual nube di dolore

dimmi l'ha generata?

Chi mi ti rende afflitta, e sconsolata?

Tu che emular dovresti

di primavera il riso, or che respiri

sotto il clima natìo,

in libertà tornata

l'aura tanto bramata

porti mesta la fronte, umido il ciglio?

Cagion troppo possente

ti conturba la mente.

CLIMENE

A ragion mi lagno

e di pianto mi bagno:

l'ingrato Lidio nega

d'esser mio sposo, e mi deride, e sprezza

con superba fierezza,

vedi se scaturir può la mia pena

da più feconda, e dolorosa vena.

HIPPARCO

L'onta cancella l'onta,

né lascia invendicata

l'offesa alma onorata:

le lagrime rasciuga,

e l'animo tranquilla

va, che in breve vedrai

quanto i scherni comuni

mi furono importuni.

CLIMENE

Ah s'io l'avessi in mio poter vorrei,

de gl'ingrati ad esempio,

far di lui strage e memorando scempio.

HIPPARCO

Così aggiunge costui

a l'offese d'amore

gl'oltraggi de l'onore?

Sa pur, che la mia destra

fulmina le vendette,

sa pur che la mia spada

punisce chi m'offende,

sa pur, che chi m'accende

col focil de l'ingiurie ad ira il core,

estingue col suo sangue il nato ardore.

Sagittario lo sdegno

l'arco, ch'ha teso scocchi

l'oltraggiatore indegno

ne' precipizii, che ei si fe' trabocchi.

Climene, Hipparco ->

 

Scena ottava

Dema.

<- Dema

 

Te n' pentirai  

credilo a me,

o ritrosetta,

o sdegnosetta:

quella beltà

ch'insuperbire

ora ti fa

vedrò rapire

dal tempo edace,

ch'il tutto sface,

così tu sprezzi

chi il cor ti diè?

Te n' pentirai

credilo a me.

 

 

Hipparco se non hai  

altra amante che Clori

celibe tu vivrai:

il ripregar non giova

il ritentare è vano,

lei sol per Lidio si consuma e sface,

sol di lui si compiace:

s'io fui sempre nemica

di quella continenza e ferità

l'età prisca lo sa,

né coi capei d'argento

di non aver goduto

or appunto m'accora il pentimento

ho solo dispiacere

non trovar cibo a l'avido desio

per potere di novo anco godere.

 

Piacque a me sempre più  

la vaga gioventù d'ogn'altra etade;

sempre quella beltade

mi porse più contento,

che non avea ruvido pelo al mento.

Chi ha provato il mio amor mi dica: errai?

Non credo un sì, non credo udir giammai.

Labro lanoso a me

un sol bacio non diè, che mi ricordi

ben con desiri ingordi

io volsi ambrosie care

da guance tenerelle ognor succhiare.

Chi ha provato il mio amor mi dica: errai?

Non credo un sì, non credo udir giammai.

Dolcezze non gustò

colei che non amò, com'io già feci;

ori, sospiri e preci

cederò a' giovinetti

che non vendei, mercai ben sì diletti.

Chi ha provato il mio amor mi dica: errai?

Non credo un sì, non credo udir giammai.

 

Dema ->

 

Scena nona

Si trasforma la scena nella selva dei Mirti dell'Erebo ricetto di quelle Heroide che per amor miseramente perirono.
Semele, Fedra, Didone, Hero, Amore, coro di Heroidi.

 Q 

Semele, Fedra, Didone, Hero, Amore, Heroidi

 

SEMELE

Che non fugga il crudel  

chiudiamli il varco, o là

Clitia, Fedra di qua.

FEDRA

Egli volar non puote

sì l'aere umido, e grave

di questa selva nubilosa, e oscura

le penne agili, e preste ora le preme

i dovuti castighi il fiero teme.

DIDONE

A te Canace, a te.

HERO

Quasi ti ho preso a fé.

SEMELE

Invan tenti fuggir crudo garzone.

FEDRA

L'hai colto pur Didone.

DIDONE

Malvagio, scelerato

sei giunto in parte, dove

non troverai pietade a le tue colpe

ne l'insidie cadé l'astuta volpe.

SEMELE

Lascia l'arme omicide e questa face,

che per arder il mondo

dentro fiamma vorace

accendesti spietato in Flegetonte,

a tormenti, a le stragi, a crucci, a l'onte.

CORO

A' tormenti, a le stragi, a crucci, a l'onte.

 

AMORE

Contro d'un innocente,

che con bocca di latte

forma indistinte voci

esser volete voi barbare, e atroci?

E che mai vi fec'io?

HERO

Oh temerario, oh rio,

ne l'onde m'affogasti.

SEMELE, FEDRA E DIDONE

Nel foco m'abbruciasti.

Col ferro il sen ci apristi.

Ma le nostre sciagure

vendicheremo or ora aspe infernale,

de la morte rivale.

AMORE

Chi mi soccorre, ohimè,

non v'è pietà per me?

FEDRA

Di noi l'avesti tu?

Al flagellarlo su.

CORO

Al flagellarlo su.

 

AMORE

Madre per li tuoi sdegni

del perduto Cocito

ne' tenebrosi regni

scesi all'altrui ruina, e trovo, oh dèi,

i precipizi miei.

HERO

Gettiamolo nel mare.

SEMELE

No, perché se nel mar Venere nacque

non lo sommergeranno amiche l'acque.

Diamolo al foco ardente.

DIDONE

No, ch'il foco è parzial de l'inumano,

il generò Vulcano,

una spada pungente

le passi il petto, e le trafigga il core.

FEDRA

Questo il castigo sia del traditore.

AMORE

Lasso, per te si trova a tal partito

il tuo germe, il tuo figlio, o dèa di Gnido,

ahi misero Cupido.

 

Scena decima

Apollo, Amore, Didone, Hero, Semele, Fedra, coro di Heroidi.

<- Apollo

 

APOLLO

Amor, tu prigioniero?  

Ove son le saette, ove la face?

Tu che sei tanto audace,

tu che reggi le stelle

piangi le tue sventure

con tenerezze tali, e cor s'imbelle?

Sovvengati, che tieni

del domato universo il vasto impero,

Amor tu prigioniero?

AMORE

Deh di schernirmi invece

aitami cortese

o luminoso Apollo, e oblia le offese,

che disporre d'Amore

potrai tu poi come di lui signore.

DIDONE

Come sempre il malvagio

tenta fuggir le meritate pene.

APOLLO

Da gl'elisi vicini

il tu' infortunio intesi, e qui veloce

venni, del tuo dolore

per esser spettatore;

ma cangiat'ho parer, se mi prometti

d'oprar che rieda Clori

qual fu d'Egisto mio pietosa amante,

vo' che libero torni

a gl'eterei soggiorni.

AMORE

Per l'acque inviolabili di Stige

cortesissimo nume,

che se illeso ritorno

da l'ire di quest'alme al puro lume

farò, che riaccenda i spenti ardori

e che languisca per Egisto Clori.

APOLLO

Heroide generose

se vendicar credete

sopra d'Amore i vostri fini amari

errate, egl'è innocente,

i ferri, i fochi, i mari,

per esizio vi diè fato inclemente;

degli misfatti altrui

non punite costui,

de gl'errori non suoi trovi il perdono,

e se ben fosse reo ve 'l chieggio in dono.

HERO

A intercessor sì degno

non si neghi Didon l'empio fanciullo.

SEMELE

Inver fu del destin forza immortale

che ci spinse a morir, non lo suo strale.

FEDRA

Sedata in parte l'ira

comprendo il vero anch'io.

DIDONE

Si conceda il cattivo a un tanto dio.

APOLLO

Amor sciolto tu sei

prendi l'arco, e la face e men severo

gl'acuti dardi aventa, o vago arciero.

 

AMORE

Solo ristoro  

vogl'apportar,

saette d'oro

sol vo scoccar.

Amor crudele

più non sarà

il mio fedele

sol goderà.

 

DIDONE E FEDRA

Non li credete amanti

perch'egli è mentitore,

bugiardo e traditore,

sitibondo di pianti,

non li credete amanti.

APOLLO

Non li credete no,

son finte le promesse,

io per prova lo so;

non li credete no.

HERO E SEMELE

Fuggite il suo seren,

che tempeste promette,

le sue dolcezze elette

passano in un balen,

fuggite il suo seren.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Villaggio.

Egisto
 
Egisto
<- Clori
Clori e Egisto
Piagge apriche

Ohimè, ch'Egisto è questi

Egisto
Clori ->

Oh scherni troppo amari

Egisto ->
<- Climene

Hipparco il mio germano

Climene
<- Lidio

Clori, Clori gentile

Climene
Lidio ->
Climene
<- Hipparco

Rapida gelosia, nemico amore

Climene, Hipparco ->
<- Dema

Hipparco se non hai altra amante

Dema ->

Selva dei Mirti dell'Erebo.

Semele, Fedra, Didone, Hero, Amore, Heroidi
 

Che non fugga il crudel

Semele, Fedra, Didone, Hero, Amore, Heroidi
<- Apollo

Amor, tu prigioniero?

Amore, Didone, Fedra, Apollo, Hero e Semele
Solo ristoro vogl'apportar
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima
Boschereccia. Palagio di Venere. Villaggio. Selva dei Mirti dell'Erebo. Boschereccia deliziosa. Cortile del palagio d'Hipparco in villa. Scena parte selvosa, e parte marittima.
Prologo Atto primo Atto terzo

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