Argomento

Vivea nella città di Lucca Riccardo Albenori, giovane scapestrato, e dissoluto, dedito a goder delle donne, senza che fosse capace il suo petto né pur d'una scintilla del fuoco d'amore. Arrivò egli, co' suoi tratti lusinghieri, ad ingannar Leonora Dorini, donzella della stessa città, a segno, che giunse a torle l'onore, dopo averle data la fede di farla sua sposa. Colla medesima fede allettò anche Doralice Rossetti, della mentovata città (ch'era prima innamorata d'Erminio Dorini, fratello di Leonora, che da più tempo si ritrovava partito per Livorno); ed avrebbe conseguito l'istesso intento, se in quella notte, che dovea ad essa portarsi, non gli fosse accaduto di fare un'ardita resistenza alla corte, per la quale si vide astretto a fuggire in un villaggio di Lucca, dove per più giorni trattenne nascosto, facendo correr voce d'essersi portato in Pisa. Aveva Riccardo per suo indivisibil compagno capitan Rodimarte, uomo scalacquato ancor esso, e di genio non differente al suo, dal quale eran secondate, assistite, e fomentate le leggerezze di quello, perché ne cavava il profitto di vivere a sue spese. Avendo ambedue dimorato alquanti giorni nel già detto villaggio, fecer essi pensiero di passar in Pisa, dove stava Flaminio Castravacca, zio di Riccardo, che tenea in cura alcuni poderi di esso, a sol fine di cavarne danari, per andar girando in altre parti d'Italia, e soddisfare alle loro dissolutezze; ma non fu senza pericolo il tragitto, ed ebbero in sorte di scampar da ministri della corte da quali furono inseguiti sino alle vicinanze di Pisa. Sparsasi la prima voce per Lucca, che Riccardo fosse venuto in Pisa, e giunta all'orecchie di Leonora, e di Doralice, dopo aver esse aspettato più giorni il suo ritorno, risolvettero, ciascuna da sé; la prima stimolata dall'onor perduto, e non meno dall'amore; e l'altra dal forte amore, e dalla fede di sposo; di venir in Pisa a ritrovar Riccardo, animate maggiormente dalla vicinanza dall'una all'altra città. Partì prima Leonora in una sera, ed avendo in pratica la via, per averla fatta più volte con suo fratello, arrivò stanca, e lassa al far del giorno in una villa poco distante da Pisa, dove, sovrapesa da un forte svenimento, fu accolta da Cornelia Buffacci, zia di Doralice; e questa, avendo per l'oscurità della notte smarrita la strada, vi giunse ore dopo, fu ricevuta ancor essa da sua zia. Nel tempo stesso capitò anche in quella villa Erminio Dorini, fratello di Leonora, che da Livorno ritornava in Lucca, dove ritrovò la sorella, e l'amata. Bastar deve questo per notizia del viluppo, giacché nella commedia potrà leggersi ciò, che venne a risultarne.

S'avvertisce il cortese leggitore, ch'essendo la commedia riuscita alquanto lunga di recitativo, è convenuto perciò d'abbreviarsi; imperocché si sappia, che non si cantano tutti quei versi, che hanno alla margine il frequente segno “.

E s'avverte ancora, che se qualche cosa, si trovasse mal ordinata nel suddetto accorciamento, o con mutazione di parole, o altro in bocca de rappresentanti, ciò deve condonarsi all'assenza dell'autore, stante la quale, vi pose altri le mani.

Si perdonino ancora alcune voci prese con renitenza, per accomodarsi alla scena, ed ove si ritrovavano le parole fato, destino, stella, ed altro, che sembrano scandalose, vien pregato chi legge a distinguere la profession cattolica di chi ha scritto, dall'uso poetico, che richiede questo modo di scrivere.

Eccellentissima signora Argomento
Atto primo Atto secondo Atto terzo

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