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Scena prima |
Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino, con sopra da scrivere. Tito e Publio. |
Q
Tito, Publio
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PUBLIO |
Già de' pubblici giuochi,
signor, l'ora trascorre. Il dì solenne
sai che non soffre il trascurarli. È tutto
colà, d'intorno alla festiva arena,
il popolo raccolto, e non si attende
che la presenza tua. Ciascun sospira,
dopo il noto periglio,
di rivederti salvo. Alla tua Roma
non differir sì bel contento.
| |
TITO |
Andremo,
Publio, fra poco. Io non avrei riposo,
se di Sesto il destino
pria non sapessi. Avrà il senato ormai
le sue discolpe udite; avrà scoperto,
vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe
tardar molto l'avviso.
| |
PUBLIO |
Ah! troppo chiaro
Lentulo favellò.
| |
TITO |
Lentulo forse
cerca al fallo un compagno,
per averlo al perdono. Ei non ignora
quanto Sesto m'è caro. Arte comune
questa è de' rei. Pur dal senato ancora
non torna alcun! Che mai sarà? Va', chiedi
che si fa, che s'attende. Io tutto voglio
saper pria di partir.
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PUBLIO |
Vado: ma temo
di non tornar nunzio felice.
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TITO |
E puoi
creder Sesto infedele? Io dal mio core
il suo misuro; e un impossibil parmi
ch'egli m'abbia tradito.
| |
PUBLIO |
Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
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| |
|
Tardi s'avvede
d'un tradimento
chi mai di fede
mancar non sa.
Un cor verace,
pieno d'onore,
non è portento,
se ogni altro core
crede incapace
d'infedeltà.
(parte)
| Publio ->
|
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Scena seconda |
Tito e poi Annio. |
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| |
TITO |
No, così scellerato
il mio Sesto non credo. Io l'ho veduto
non sol fido ed amico,
ma tenero per me. Tanto cambiarsi
un'alma non potrebbe.
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| <- Annio
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|
Annio, che rechi?
L'innocenza di Sesto,
come la tua, di', si svelò? Che dice?
Consolami.
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ANNIO |
Ah! signor, pietà per lui
io vengo ad implorar.
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TITO |
Pietà! Ma dunque
sicuramente è reo?
| |
ANNIO |
Quel manto, ond'io
parvi infedele, egli mi diè. Da lui
sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia,
esser da lui sedotto
Lentulo afferma, e l'accusato tace.
Che sperar si può mai?
| |
TITO |
Speriamo, amico,
speriamo ancora. Agl'infelici è spesso
colpa la sorte; e quel che vero appare,
sempre vero non è. Tu ne hai le prove:
con la divisa infame
mi vieni innanzi; ognun t'accusa: io chiedo
degl'indizi ragion; tu non rispondi,
palpiti, ti confondi... A tutti vera
non parea la tua colpa? E pur non era.
Chi sa? Di Sesto a danno
può il caso unir le circostanze istesse,
o somiglianti a quelle.
| |
ANNIO |
Il ciel volesse!
Ma se poi fosse reo?
| |
TITO |
Ma, se poi fosse reo, dopo sì grandi
prove dell'amor mio; se poi di tanta
enorme ingratitudine è capace,
saprò scordarmi appieno
anch'io... ma non sarà: lo spero almeno.
| |
|
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Scena terza |
Publio con foglio, e detti. |
<- Publio
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PUBLIO |
Cesare, no 'l diss'io? Sesto è l'autore
della trama crudel.
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TITO |
| |
PUBLIO |
Pur troppo ei di sua bocca
tutto affermò. Coi complici il senato
alle fiere il condanna. Ecco il decreto
terribile, ma giusto;
(dà il foglio a Tito)
né vi manca, o signor, che il nome augusto.
| |
TITO |
Onnipotenti dèi!
(si getta a sedere)
| |
ANNIO |
Ah! pietoso monarca...
(inginocchiandosi)
| |
TITO |
Annio, per ora
lasciami in pace.
| |
| (Annio si leva) | |
PUBLIO |
Alla gran pompa unite
sai che le genti ormai...
| |
TITO |
| |
| (Publio si ritira) | Publio ->
|
| |
|
ANNIO
Pietà, signor, di lui!
So che il rigore è giusto;
ma norma i falli altrui
non son del tuo rigor.
Se a' prieghi miei non vuoi,
se all'error suo non puoi,
donalo al cor d'augusto,
donalo a te, signor.
(parte)
| Annio ->
|
|
|
Scena quarta |
Tito solo a sedere. |
|
| |
|
Che orror! che tradimento!
Che nera infedeltà! Fingersi amico,
essermi sempre al fianco, ogni momento
esiger dal mio core
qualche prova d'amore; e starmi intanto
preparando la morte! Ed io sospendo
ancor la pena? e la sentenza ancora
non segno?... Ah! sì, lo scellerato mora.
(prende la penna per sottoscrivere, e poi s'arresta)
Mora!... ma senza udirlo
mando Sesto a morir?... Sì, già l'intese
abbastanza il senato. E s'egli avesse
qualche arcano a svelarmi? Olà!
| |
| (depone la penna; intanto esce una guardia) | <- guardia
|
|
(S'ascolti,
e poi vada al supplizio.) A me si guidi
Sesto.
| |
| (parte la guardia) | guardia ->
|
|
È pur di chi regna
infelice il destino!
(s'alza)
A noi si niega
ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco
quel villanel mendico, a cui circonda
ruvida lana il rozzo fianco, a cui
è mal fido riparo
dall'ingiurie del ciel tugurio informe,
placido i sonni dorme,
passa tranquillo i dì, molto non brama,
sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo
torna sicuro alla foresta, al monte,
e vede il core a ciascheduno in fronte.
Noi fra tante grandezze
sempre incerti viviam; ché in faccia a noi
la speranza o il timore
su la fronte d'ognun trasforma il core.
Chi dall'infido amico... Olà!... chi mai
questo temer dovea?
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Scena quinta |
Publio e Tito. |
<- Publio
|
| |
TITO |
Ma, Publio, ancora
Sesto non viene.
| |
PUBLIO |
Ad eseguire il cenno
già volaro i custodi.
| |
TITO |
Io non comprendo
un sì lungo tardar.
| |
PUBLIO |
Pochi momenti
sono scorsi, o signor.
| |
TITO |
Vanne tu stesso;
affrettalo.
| |
PUBLIO |
Ubbidisco.
(nel partire)
I tuoi littori
veggonsi comparir: Sesto dovrebbe
non molto esser lontano. Eccolo.
| |
TITO |
Ingrato!
All'udir che s'appressa,
già mi parla a suo pro l'affetto antico.
Ma no; trovi il suo prence e non l'amico.
(siede e si compone in atto di maestà)
| |
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Scena sesta |
Tito, Publio, Sesto e Custodi. Sesto, entrato appena, si ferma. |
<- Sesto, custodi
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SESTO |
(guardando Tito)
(Numi! è quello ch'io miro
di Tito il volto? Ah! la dolcezza usata
più non ritrovo in lui. Come divenne
terribile per me!)
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TITO |
(Stelle! ed è questo
il sembiante di Sesto? Il suo delitto
come lo trasformò! Porta sul volto
la vergogna, il rimorso e lo spavento.)
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PUBLIO |
(Mille affetti diversi ecco a cimento.)
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TITO (a Sesto con maestà) |
| |
SESTO |
(Oh voce
che mi piomba sul cor!)
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TITO (a Sesto con maestà) |
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SESTO |
(due passi e si ferma)
(Oh dio!
Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto
da gelido sudore;
l'angoscia del morir non è maggiore.)
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TITO |
| |
PUBLIO |
(Dubbio mi sembra,
se il pensar che ha fallito
più dolga a Sesto, o se il punirlo a Tito.)
| |
TITO |
(E pur mi fa pietà.) Publio, custodi,
lasciatemi con lui.
| |
| (parte Publio e le guardie) | Publio, custodi ->
|
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SESTO |
(No, di quel volto
non ho costanza a sostener l'impero.)
| |
TITO |
(rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa)
Ah! Sesto, è dunque vero?
Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese
il tuo prence, il tuo padre,
il tuo benefattor? Se Tito augusto
hai potuto obliar, di Tito amico
come non ti sovvenne? Il premio è questo
della tenera cura
ch'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi
in avvenir potrò, se giunse, oh dèi!
anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?
E il cor te lo sofferse?
| |
SESTO |
(prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a' piedi)
Ah, Tito! ah, mio
clementissimo prence!
Non più, non più. Se tu veder potessi
questo misero cor, spergiuro, ingrato,
pur ti farei pietà. Tutte ho su gli occhi,
tutte le colpe mie; tutti rammento
i benefizi tuoi: soffrir non posso
né l'idea di me stesso,
né la presenza tua. Quel sacro volto,
la voce tua, la tua clemenza istessa
diventò mio supplizio. Affretta almeno,
affretta il mio morir. Toglimi presto
questa vita infedel; lascia ch'io versi,
se pietoso esser vuoi,
questo perfido sangue a' piedi tuoi.
| |
TITO |
| |
| (Sesto si leva) | |
|
(Il contenersi è pena
a quel tenero pianto.) Or vedi a quale
lagrimevole stato
un delitto riduce, una sfrenata
avidità d'impero! E che sperasti
di trovar mai nel trono? Il sommo forse
d'ogni contento? Ah! sconsigliato, osserva
quai frutti io ne raccolgo;
e bramalo, se puoi.
| |
SESTO |
No, questa brama
non fu che mi sedusse.
| |
TITO |
| |
SESTO |
La debolezza mia,
la mia fatalità.
| |
TITO |
Più chiaro almeno
spiegati.
| |
SESTO |
| |
TITO |
Odimi, o Sesto:
siam soli; il tuo sovrano
non è presente. Apri il tuo core a Tito,
confidati all'amico; io ti prometto
che augusto no 'l saprà. Del tuo delitto
di' la prima cagion. Cerchiamo insieme
una via di scusarti. Io ne sarei
forse di te più lieto.
| |
SESTO |
Ah! la mia colpa
non ha difesa.
| |
TITO |
In contraccambio almeno
d'amicizia lo chiedo. Io non celai
alla tua fede i più gelosi arcani;
merito ben che Sesto
mi fidi un suo segreto.
| |
SESTO |
(Ecco una nuova
specie di pena! o dispiacere a Tito,
o Vitellia accusar.)
| |
TITO |
(comincia a turbarsi)
Dubiti ancora?
Ma, Sesto, mi ferisci
nel più vivo del cor. Vedi che troppo
tu l'amicizia oltraggi
con questo diffidar. Pensaci.
(con impazienza)
Appaga
il mio giusto desio.
| |
SESTO |
(con impeto di disperazione)
(Ma qual astro splendeva al nascer mio!)
| |
TITO |
E taci? e non rispondi? Ah! già che puoi
tanto abusar di mia pietà...
| |
SESTO |
Signore...
sappi dunque... (Che fo?)
| |
TITO |
| |
SESTO |
(Ma quando
finirò di penar?)
| |
TITO |
Parla una volta:
che mi volevi dir?
| |
SESTO |
Ch'io son l'oggetto
dell'ira degli dèi; che la mia sorte
non ho più forza a tollerar; ch'io stesso
traditor mi confesso, empio mi chiamo;
ch'io merito la morte e ch'io la bramo.
| |
TITO |
(ripiglia l'aria di maestà)
Sconoscente! e l'avrai! Custodi! il reo
toglietemi dinanzi.
| |
| (alle guardie, che saranno uscite) | <- custodi
|
| |
SESTO |
Il bacio estremo
su quella invitta man...
| |
TITO |
| |
SESTO |
Fia questo
l'ultimo don. Per questo solo istante
ricordati, signor, l'amor primiero.
| |
TITO |
(senza guardarlo)
Parti; non è più tempo.
| |
SESTO |
| |
| |
|
Vo disperato a morte;
né perdo già costanza
a vista del morir.
Funesta la mia sorte
la sola rimembranza
ch'io ti potei tradir.
| |
| (parte con le guardie) | Sesto, custodi ->
|
|
|
Scena settima |
Tito solo. |
|
| |
|
E dove mai s'intese
più contumace infedeltà! Poteva
il più tenero padre un figlio reo
trattar con più dolcezza? Anche innocente
d'ogni altro error, saria di vita indegno
per questo sol. Deggio alla mia negletta
disprezzata clemenza una vendetta.
(va con isdegno verso il tavolino, e s'arresta)
Vendetta! Ah! Tito, e tu sarai capace
d'un sì basso desio, che rende eguale
l'offeso all'offensor? Merita in vero
gran lode una vendetta, ove non costi
più che il volerla. Il torre altrui la vita
è facoltà comune
al più vil della terra: il darla è solo
de' numi e de' regnanti. Eh! viva... invano
parlan dunque le leggi? Io lor custode
le eseguisco così? di Sesto amico
non sa Tito scordarsi? Han pur saputo
obliar d'esser padri e Manlio e Bruto.
Sieguansi i grandi esempi.
(siede)
Ogni altro affetto
d'amicizia e pietà taccia per ora.
Sesto è reo: Sesto mora!
(sottoscrive)
Eccoci al fine
su le vie del rigore:
(s'alza)
eccoci aspersi
di cittadino sangue, e s'incomincia
dal sangue d'un amico. Or che diranno
i posteri di noi? Diran che in Tito
si stancò la clemenza,
come in Silla e in Augusto
la crudeltà. Forse diran che troppo
rigido io fui; ch'eran difese al reo
i natali e l'età; che un primo errore
punir non si dovea; che un ramo infermo
subito non recide
saggio cultor, se a risanarlo invano
molto pria non sudò; che Tito al fine
era l'offeso, e che le proprie offese,
senza ingiuria del giusto,
ben poteva obliar... ma dunque io faccio
sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro
sarò ch'altri m'approvi? Ah! non si lasci
il solito cammin.
(lacera il foglio)
Viva l'amico,
benché infedele; e, se accusarmi il mondo
vuol pur di qualche errore,
m'accusi di pietà, non di rigore.
(getta il foglio lacerato)
Publio!
| |
|
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Scena ottava |
Tito e Publio. |
<- Publio
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PUBLIO |
| |
TITO |
Andiamo
al popolo che attende.
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PUBLIO |
| |
TITO |
E Sesto
venga all'arena ancor.
| |
PUBLIO |
| |
TITO |
Sì, Publio, è già deciso.
| |
PUBLIO |
| |
| |
|
TITO
Se all'impero, amici dèi,
necessario è un cor severo,
o togliete a me l'impero,
o a me date un altro cor.
Se la fé de' regni miei
con l'amor non assicuro,
d'una fede io non mi curo
che sia frutto del timor.
(parte)
| S
(♦)
(♦)
Tito ->
|
|
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Scena nona |
Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio, che seguiva Tito. |
<- Vitellia
|
| |
VITELLIA |
| |
PUBLIO |
(in atto di partire)
Perdona;
deggio a cesare appresso
andar...
| |
VITELLIA |
| |
PUBLIO |
| |
VITELLIA |
| |
PUBLIO |
| |
VITELLIA |
| |
PUBLIO |
| |
VITELLIA |
(Ahimè!) Con Tito
Sesto ha parlato?
| |
PUBLIO |
| |
VITELLIA |
E sai
quel ch'ei dicesse?
| |
PUBLIO |
No. Solo con lui
restar cesare volle: escluso io fui.
(parte)
| Publio ->
|
|
|
Scena decima |
Vitellia, e poi Annio e Servilia da diverse parti. |
|
| |
VITELLIA |
Non giova lusingarsi;
Sesto già mi scoperse: a Publio istesso
si conosce sul volto. Ei non fu mai
con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme
di restar meco. Ah! secondato avessi
gl'impulsi del mio cor. Per tempo a Tito
dovea svelarmi e confessar l'errore.
Sempre in bocca d'un reo, che la detesta,
scema d'orror la colpa. Or questo ancora
tardi saria. Seppe il delitto augusto,
e non da me. Questa ragione istessa
fa più grave...
| |
| <- Annio, Servilia
|
SERVILIA |
| |
ANNIO |
| |
SERVILIA |
| |
ANNIO |
| |
SERVILIA |
| |
ANNIO |
Fra poco, in faccia
di Roma spettatrice,
delle fiere sarà pasto infelice.
| |
VITELLIA |
| |
SERVILIA |
Tutto. A' tuoi prieghi
Tito lo donerà.
| |
ANNIO |
Non può negarlo
alla novella augusta.
| |
VITELLIA |
Annio, non sono
augusta ancor.
| |
ANNIO |
Pria che tramonti il sole
Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,
per le pompe festive il cenno ei diede.
| |
VITELLIA |
(Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! oh fede!)
Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro
così, senza pensar?) Partite, amici:
vi seguirò.
| |
ANNIO |
Ma, se d'un tardo aiuto
Sesto fidar si dée, Sesto è perduto.
(parte)
| Annio ->
|
| |
VITELLIA (a Servilia) |
Precedimi tu ancor. Un breve istante
sola restar desio.
| |
SERVILIA |
Deh! non lasciarlo
nel più bel fior degli anni
perir così. Sai che fin or di Roma
fu la speme e l'amore. Al fiero eccesso
chi sa chi l'ha sedotto. In te sarebbe
obbligo la pietà. Quell'infelice
t'amò più di sé stesso; avea fra' labbri
sempre il tuo nome; impallidia qualora
si parlava di te. Tu piangi!
| |
VITELLIA |
| |
SERVILIA |
Ma tu perché restar? Vitellia, ah! parmi...
| |
VITELLIA |
Oh dèi! parti, verrò: non tormentarmi!
| |
| |
|
SERVILIA
Se altro che lagrime
per lui non tenti,
tutto il tuo piangere
non gioverà.
A questa inutile
pietà che senti,
oh, quanto è simile
la crudeltà!
(parte)
| Servilia ->
|
|
|
Scena undicesima |
Vitellia sola. |
|
| |
|
Ecco il punto, o Vitellia,
d'esaminar la tua costanza. Avrai
valor che basti a rimirare esangue
il tuo Sesto fedel? Sesto, che t'ama
più della vita sua? che per tua colpa
divenne reo? che t'ubbidì crudele?
che ingiusta t'adorò? che in faccia a morte
sì gran fede ti serba? E tu frattanto,
non ignota a te stessa, andrai tranquilla
al talamo d'augusto? Ah! mi vedrei
sempre Sesto d'intorno, e l'aure e i sassi
temerei che loquaci
mi scoprissero a Tito. A' piedi suoi
vadasi il tutto a palesar. Si scemi
il delitto di Sesto,
se scusar non si può. Speranze, addio,
d'impero e d'imenei! nutrirvi adesso
stupidità saria. Ma, pur che sempre
questa smania crudel non mi tormenti,
si gettin pur l'altre speranze a' venti.
| |
| |
|
Getta il nocchier talora
pur que' tesori all'onde,
che da remote sponde
per tanto mar portò;
e, giunto al lido amico,
gli dèi ringrazia ancora,
che ritornò mendico,
ma salvo ritornò.
(parte)
| Vitellia ->
|
| |
| | |
|
|
Scena dodicesima |
Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro, di cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si vedranno già nell'arena i Complici della congiura, condannati alle fiere. Nel tempo che si canta il coro, esce Tito, preceduto da' Littori, circondato da' Senatori e Patrizi romani, e seguìto da' Pretoriani; indi Annio e Servilia da diverse parti. |
Q
complici della congiura
<- littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani
|
| |
|
CORO
Che del ciel, che degli dèi
tu il pensier, l'amor tu sei,
grand'eroe, nel giro angusto
si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
non è già, felice augusto,
che gli dèi chi lor somiglia
custodiscano così.
| |
| |
TITO |
Pria che principio a' lieti
spettacoli si dia, custodi, innanzi
conducetemi il reo. (Più di perdono
speme ei non ha: quanto aspettato meno,
più caro esser gli dée.)
| |
| <- Annio, Servilia
|
ANNIO |
| |
SERVILIA |
| |
TITO |
Se a chiederla venite
per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.
| |
ANNIO |
E sì tranquillo in viso
lo condanni a morir?
| |
SERVILIA |
Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
| |
TITO |
| |
SERVILIA |
| |
ANNIO |
| |
|
|
Scena ultima |
Publio e Sesto fra' Littori, poi Vitellia, e detti. |
<- Publio, Sesto, altri littori
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| |
TITO |
Sesto, de' tuoi delitti
tu sai la serie, e sai
qual pena ti si dée. Roma sconvolta,
l'offesa maestà, le leggi offese,
l'amicizia tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De' tradimenti
sai pur ch'io son l'unico oggetto. Or senti.
| |
| <- Vitellia
|
VITELLIA |
Eccoti, eccelso augusto,
(s'inginocchia)
eccoti al piè la più confusa...
| |
TITO |
Ah! sorgi:
che fai? che brami?
| |
VITELLIA |
Io ti conduco innanzi
l'autor dell'empia trama.
| |
TITO |
Ov'è? chi mai
preparò tante insidie al viver mio?
| |
VITELLIA |
| |
TITO |
| |
VITELLIA |
| |
TITO |
| |
SESTO E SERVILIA |
| |
ANNIO E PUBLIO |
| |
TITO |
E quanti mai,
quanti siete a tradirmi?
| |
VITELLIA |
Io la più rea
son di ciascuno; io meditai la trama;
il più fedele amico
io ti sedussi; io del suo cieco amore
a tuo danno abusai.
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TITO |
Ma del tuo sdegno
chi fu cagion?
| |
VITELLIA |
La tua bontà. Credei
che questa fosse amor. La destra e il trono
da te speravo in dono; e poi negletta
restai due volte, e procurai vendetta.
| |
TITO |
Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso
che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando
troverò, giusti numi!
un'anima fedel? Congiuran gli astri,
cred'io, per obbligarmi, a mio dispetto,
a diventar crudel. No! non avranno
questo trionfo. A sostener la gara
già s'impegnò la mia virtù. Vediamo
se più costante sia
l'altrui perfidia o la clemenza mia.
Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo
Lentulo e i suoi seguaci
e vita e libertà. Sia noto a Roma
ch'io son l'istesso, e ch'io
tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.
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PUBLIO E ANNIO |
| |
SERVILIA |
E chi mai giunse a tanto?
| |
SESTO |
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VITELLIA |
Io non trattengo il pianto!
| |
TITO |
Vitellia, a te promisi
la destra mia; ma...
| |
VITELLIA |
Lo conosco, augusto:
non è per me. Dopo un tal fallo, il nodo
mostruoso saria.
| |
TITO |
Ti bramo in parte
contenta almeno. Una rival sul trono
non vedrai, te 'l prometto. Altra io non voglio
sposa che Roma: i figli miei saranno
i popoli soggetti;
serbo indivisi a lor tutti gli affetti.
Tu d'Annio e di Servilia
agl'imenei felici unisci i tuoi,
principessa, se vuoi. Concedi pure
la destra a Sesto: il sospirato acquisto
già gli costa abbastanza.
| |
VITELLIA |
Infin ch'io viva
fia sempre il tuo voler legge al mio core.
| |
SESTO |
Ah cesare! ah, signore! e poi non soffri
che t'adori la terra e che destini
tempii il Tebro al tuo nume? E come, e quando
sperar potrò che la memoria amara
de' falli miei...
| |
TITO |
Sesto, non più: torniamo
di nuovo amici, e de' trascorsi tuoi
non si parli più mai. Dal cor di Tito
già cancellati sono:
me gli scordo, t'abbraccio e ti perdono.
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| |
|
CORO
Che del ciel, che degli dèi
tu il pensier, l'amor tu sei,
grand'eroe, nel giro angusto
si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
non è già, felice augusto,
che gli dèi chi lor somiglia
custodiscano così.
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