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Tito Vespasiano

TITO VESPASIANO

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Johann Adolph HASSE.

Prima esecuzione: 24 settembre 1735, Pesaro.


Personaggi:

TITO Vespasiano, imperator di Roma

tenore

VITELLIA figlia dell'imperator Vitellio

soprano

SERVILIA sorella di Sesto, amante d'Annio

soprano

SESTO amico di Tito, amante di Vitellia

soprano

ANNIO amico di Sesto, amante di Servilia

basso

PUBLIO prefetto del pretorio

soprano


Senatori, Patrizi, Legati, Pretoriani, Littori, Popolo.

La Scena è in Roma.

Argomento

Non ha conosciuto l'antichità né migliore né più amato principe di Tito Vespasiano. Le sue virtù lo resero a tutti sì caro, che fu chiamato «la delizia del genere umano». E pure due giovani patrizi, uno de' quali era suo favorito, cospirarono contro di lui. Scoperta però la congiura, furono dal senato condannati a morire. Ma il clementissimo Cesare, contento d'averli paternamente ammoniti, concesse loro ed a' loro complici un generoso perdono.

(SVETONIO, AURELIO VITTORE, DIONE, ZONARA ecc.).

Licenza

Non crederlo, signor; te non pretesi

ritrarre in Tito. Il rispettoso ingegno

sa le sue forze appieno,

né a questo segno io gli rallento il freno.

Veggo ben che ciascuno

ti riconobbe in lui. So che tu stesso

quegli affetti clementi,

che in sen Tito sentiva, in sen ti senti.

Ma, cesare, è mia colpa

la conoscenza altrui?

È colpa mia che tu somigli a lui?

Ah! vieta, invitto augusto,

se le immagini tue mirar non vuoi,

vieta alle muse il rammentar gli eroi.

Sempre l'istesso aspetto

ha la virtù verace;

benché in diverso petto,

diversa mai non è.

E ogni virtù più bella

se in te, signor, s'aduna,

come ritrarne alcuna

che non somigli a te?

Atto primo
Scena prima

Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia.
Vitellia e Sesto.

VITELLIA

Ma che! sempre l'istesso,

Sesto, a dir mi verrai? So che sedotto

fu Lentulo da te; che i suoi seguaci

son pronti già; che il Campidoglio acceso

darà moto a un tumulto, e sarà il segno

onde possiate uniti

Tito assalir; che i congiurati avranno

vermiglio nastro al destro braccio appeso,

per conoscersi insieme. Io tutto questo

già mille volte udii: la mia vendetta

mai non veggo però. S'aspetta forse

che Tito a Berenice in faccia mia

offra, d'amore insano,

l'usurpato mio soglio e la sua mano?

Parla! di'! che s'attende?

SESTO

Oh dio!

VITELLIA

Sospiri?

Intenderti vorrei. Pronto all'impresa

sempre parti da me; sempre ritorni

confuso, irresoluto. Onde in te nasce

questa vicenda eterna

d'ardire e di viltà?

SESTO

Vitellia, ascolta:

ecco, io t'apro il mio cor. Quando mi trovo

presente a te, non so pensar, non posso

voler che a voglia tua; rapir mi sento

tutto nel tuo furor; fremo a' tuoi torti;

Tito mi sembra reo di mille morti.

Quando a lui son presente,

Tito, non ti sdegnar, parmi innocente.

VITELLIA

Dunque...

SESTO

Pria di sgridarmi,

ch'io ti spieghi il mio stato almen concedi.

Tu vendetta mi chiedi;

Tito vuol fedeltà. Tu di tua mano

con l'offerta mi sproni; ei mi raffrena

co' benefizi suoi. Per te l'amore,

per lui parla il dover. Se a te ritorno,

sempre ti trovo in volto

qualche nuova beltà; se torno a lui,

sempre gli scopro in seno

qualche nuova virtù. Vorrei servirti;

tradirlo non vorrei. Viver non posso,

se ti perdo, mia vita; e, se t'acquisto,

vengo in odio a me stesso.

Questo è lo stato mio: sgridami adesso.

VITELLIA

No, non meriti, ingrato!

l'onor dell'ire mie.

SESTO

Pensaci, o cara,

pensaci meglio. Ah! non togliamo, in Tito,

la sua delizia al mondo, il padre a Roma,

l'amico a noi. Fra le memorie antiche

trova l'egual, se puoi. Fingiti in mente

eroe più generoso o più clemente.

Parlagli di premiar: poveri a lui

sembran gli erari sui.

Parlagli di punir: scuse al delitto

cerca in ognun. Chi all'inesperta ei dona,

chi alla canuta età. Risparmia in uno

l'onor del sangue illustre; il basso stato

compatisce nell'altro. Inutil chiama,

perduto il giorno ei dice,

in cui fatto non ha qualcun felice.

VITELLIA

Ma regna.

SESTO

Ei regna, è ver; ma vuol da noi

sol tanta servitù quanto impedisca

di perir la licenza. Ei regna, è vero;

ma di sì vasto impero,

tolto l'alloro e l'ostro,

suo tutto il peso, e tutto il frutto è nostro.

VITELLIA

Dunque a vantarmi in faccia

venisti il mio nemico; e più non pensi

che questo eroe clemente un soglio usurpa

dal suo tolto al mio padre?

Che m'ingannò, che mi ridusse (e questo

è il suo fallo maggior) quasi ad amarlo?

E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro

richiamar Berenice! Una rivale

avesse scelta almeno

degna di me fra le beltà di Roma:

ma una barbara, o Sesto,

un'esule antepormi! una regina!

SESTO

Sai pur che Berenice

volontaria tornò.

VITELLIA

Narra a' fanciulli

codeste fole. Io so gli antichi amori;

so le lagrime sparse allor che quindi

l'altra volta partì; so come adesso

l'accolse e l'onorò. Chi non lo vede?

Il perfido l'adora.

SESTO

Ah! principessa,

tu sei gelosa.

VITELLIA

Io!

SESTO

Sì.

VITELLIA

Gelosa io sono,

se non soffro un disprezzo?

SESTO

E pure...

VITELLIA

E pure

non hai cor d'acquistarmi.

SESTO

Io son...

VITELLIA

Tu sei

sciolto d'ogni promessa. A me non manca

più degno esecutor dell'odio mio.

SESTO

Sentimi!

VITELLIA

Intesi assai.

SESTO

Fermati!

VITELLIA

Addio.

SESTO

Ah, Vitellia! ah, mio nume!

Non partir. Dove vai?

Perdonami, ti credo: io m'ingannai.

Tutto, tutto farò. Prescrivi, imponi,

regola i moti miei:

tu la mia sorte, il mio destin tu sei.

VITELLIA

Prima che il sol tramonti,

voglio Tito svenato, e voglio...

Scena seconda

Annio e detti.

ANNIO

Amico,

cesare a sé ti chiama.

VITELLIA

Ah! non perdete

questi brevi momenti. A Berenice

Tito gli usurpa.

ANNIO

Ingiustamente oltraggi,

Vitellia, il nostro eroe: Tito ha l'impero

e del mondo e di sé. Già per suo cenno

Berenice partì.

SESTO

Come!

VITELLIA

Che dici!

ANNIO

Voi stupite a ragion. Roma ne piange

di meraviglia e di piacere. Io stesso

quasi no 'l credo; ed io

fui presente, o Vitellia, al grande addio.

VITELLIA

(Oh speranze!)

SESTO

Oh virtù!

VITELLIA

Quella superba

oh, come volentieri udita avrei

esclamar contro Tito!

ANNIO

Anzi giammai

più tenera non fu. Partì; ma vide

che adorata partiva, e che al suo caro

men che a lei non costava il colpo amaro.

VITELLIA

Ognun può lusingarsi.

ANNIO

Eh! si conobbe

che bisognava a Tito

tutto l'eroe per superar l'amante.

Vinse, ma combatté. Non era oppresso,

ma tranquillo non era; ed in quel volto,

dicasi per sua gloria,

si vedea la battaglia e la vittoria.

VITELLIA

(E pur forse con me, quanto credei,

Tito ingrato non è.)

(a parte a Sesto)

Sesto, sospendi

d'eseguire i miei cenni. Il colpo ancora

non è maturo.

SESTO

(con isdegno)

E tu non vuoi ch'io vegga...

ch'io mi lagni, o crudele...

VITELLIA

(con isdegno)

Or che vedesti?

Di che ti puoi lagnar?

SESTO

(con sommissione)

Di nulla. (Oh dio!

chi provò mai tormento eguale al mio?)

VITELLIA

Deh! se piacer mi vuoi,

lascia i sospetti tuoi;

non mi stancar con questo

molesto dubitar.

Chi ciecamente crede,

impegna a serbar fede;

chi sempre inganni aspetta,

alletta ad ingannar.

(parte)

Scena terza

Sesto ed Annio.

ANNIO

Amico, ecco il momento

di rendermi felice. All'amor mio

Servilia promettesti. Altro non manca

che d'Augusto l'assenso. Ora da lui

impetrar lo potresti.

SESTO

Ogni tua brama,

Annio, m'è legge. Impaziente anch'io

son che alla nostra antica

e tenera amicizia aggiunga il sangue

un vincolo novello.

ANNIO

Io non ho pace

senza la tua germana.

SESTO

E chi potrebbe

rapirtene l'acquisto? Ella t'adora;

io sino al giorno estremo

sarò tuo; Tito è giusto.

ANNIO

Il so, ma temo.

Io sento che in petto

mi palpita il core,

né so qual sospetto

mi faccia temer.

Se dubbio è il contento,

diventa in amore

sicuro tormento

l'incerto piacer.

(parte)

Scena quarta

Sesto solo.

Numi, assistenza! A poco a poco io perdo

l'arbitrio di me stesso. Altro non odo

che il mio funesto amor. Vitellia ha in fronte

un astro che governa il mio destino.

La superba lo sa, ne abusa; ed io

né pure oso lagnarmi. Oh sovrumano

poter della beltà! Voi, che dal cielo

tal dono aveste, ah! non prendete esempio

dalla tiranna mia. Regnate, è giusto;

ma non così severo,

ma non sia così duro il vostro impero.

Opprimete i contumaci;

son gli sdegni allor permessi:

ma infierir contro gli oppressi!

Questo è un barbaro piacer.

Non v'è trace in mezzo a' traci

sì crudel, che non risparmi

quel meschin che getta l'armi,

che si rende prigionier.

(parte)

Scena quinta

Innanzi, atrio del tempio di Giove statore, luogo già celebre per le adunanze del senato; indietro, parte del foro romano, magnificamente adornato d'archi, obelischi e trofei; da' lati, veduta in lontano del monte Palatino e d'un gran tratto della via sacra; in faccia, aspetto esteriore del Campidoglio, e magnifica strada per cui vi si ascende.
Nell'atrio suddetto saranno Publio, i Senatori romani e i Legati delle province soggette, destinati a presentare al senato gli annui imposti tributi.

Mentre Tito, preceduto da' Littori, seguìto da' Pretoriani, accompagnato da Sesto e da Annio, e circondato da numeroso Popolo, scende dal Campidoglio, cantasi il seguente

CORO

Serbate, o dèi custodi

della romana sorte,

in Tito, il giusto, il forte,

l'onor di nostra età.

Voi gl'immortali allori

su la cesarea chioma,

voi custodite a Roma

la sua felicità.

Fu vostro un sì gran dono;

sia lungo il dono vostro;

l'invidii al mondo nostro

il mondo che verrà.

Sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell'atrio, e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti.

PUBLIO

(a Tito)

Te «della patria il padre»

oggi appella il senato; e mai più giusto

non fu ne' suoi decreti, o invitto augusto.

ANNIO

Né padre sol, ma sei

suo nume tutelar. Più che mortale

giacché altrui ti dimostri, a' voti altrui

comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio

ti destina il senato; e là si vuole

che fra divini onori

anche il nume di Tito il Tebro adori.

PUBLIO

Quei tesori che vedi,

delle serve province annui tributi,

all'opra consacriam. Tito non sdegni

questi del nostro amor pubblici segni.

TITO

Romani, unico oggetto

è dei voti di Tito il vostro amore;

ma il vostro amor non passi

tanto i confini suoi,

che debbano arrossirne e Tito e voi.

Più tenero, più caro

nome che quel di padre

per me non v'è; ma meritarlo io voglio,

ottenerlo non curo. I sommi dèi,

quanto imitar mi piace,

aborrisco emular. Li perde amici

chi li vanta compagni: e non si trova

follia la più fatale

che potersi scordar d'esser mortale.

Quegli offerti tesori

non ricuso però: cambiarne solo

l'uso pretendo. Udite. Oltre l'usato

terribile il Vesevo ardenti fiumi

dalle fauci eruttò; scosse le rupi,

riempié di ruine

i campi intorno e le città vicine.

Le desolate genti

fuggendo van; ma la miseria opprime

quei che al fuoco avanzar. Serva quell'oro

di tanti afflitti a riparar lo scempio.

Questo, o romani, è fabbricarmi il tempio.

ANNIO

Oh vero eroe!

PUBLIO

Quanto di te minori

tutti i premi son mai, tutte le lodi!

CORO

Serbate, o dèi custodi

della romana sorte,

in Tito, il giusto, il forte,

l'onor di nostra età.

TITO

Basta, basta, o quiriti.

Sesto a me s'avvicini; Annio non parta;

ogni altro si allontani.

(si ritirano tutti fuori dell'atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio)

ANNIO

(Adesso, o Sesto,

parla per me.)

SESTO

Come, signor, potesti

la tua bella regina...

TITO

Ah, Sesto, amico,

che terribil momento! Io non credei...

basta, ho vinto: partì. Grazie agli dèi!

Giusto è ch'io pensi adesso

a compir la vittoria. Il più si fece:

facciasi il meno.

SESTO

E che più resta?

TITO

A Roma

toglier ogni sospetto

di vederla mia sposa.

SESTO

Assai lo toglie

la sua partenza.

TITO

Un'altra volta ancora

partissi e ritornò. Del terzo incontro

dubitar si potrebbe; e, fin che vuoto

il mio talamo sia d'altra consorte,

chi sa gli affetti miei

sempre dirà ch'io lo conservo a lei.

Il nome di regina

troppo Roma aborrisce. Una sua figlia

vuol veder sul mio soglio;

e appagarla convien. Giacché l'amore

scelse invano i miei lacci, io vuò che almeno

l'amicizia or gli scelga. Al tuo s'unisca,

Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa

sarà la tua germana.

SESTO

Servilia?

TITO

Appunto.

ANNIO

(Oh me infelice!)

SESTO

(Oh dèi!

Annio è perduto.)

TITO

Udisti?

Che dici? Non rispondi?

SESTO

E chi potrebbe

risponderti, o signor? M'opprime a segno

la tua bontà, che non ho cor... Vorrei...

ANNIO

(Sesto è in pena per me.)

TITO

Spiegati. Io tutto

farò per tuo vantaggio.

SESTO

(Ah! si serva l'amico.)

ANNIO

(Annio, coraggio!)

SESTO

(risoluto)

Tito!...

ANNIO

(risoluto)

Augusto, io conosco

di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme

tenero amor ne stringe. Ei, di sé stesso

modesto estimator, teme che sembri

sproporzionato il dono; e non s'avvede

ch'ogni distanza eguaglia

d'un cesare il favor. Ma tu consiglio

da lui prender non déi. Come potresti

sposa elegger più degna

dell'impero e di te? Virtù, bellezza,

tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto

ch'era nata a regnar. De' miei presagi

l'adempimento è questo.

SESTO

(Annio parla così! Sogno o son desto?)

TITO

E ben! recane a lei,

Annio, tu la novella; e tu mi siegui,

amato Sesto, e queste

tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte

tu ancor nel soglio, e tanto

t'innalzerò, che resterà ben poco

dello spazio infinito,

che frapposer gli dèi fra Sesto e Tito.

SESTO

Questo è troppo, o signor. Modera almeno,

se ingrati non ci vuoi,

modera, Augusto, i benefizi tuoi.

TITO

Ma che! se mi negate

che benefico io sia, che mi lasciate?

Del più sublime soglio

l'unico frutto è questo:

tutto è tormento il resto,

e tutto è servitù.

Che avrei, se ancor perdessi

le sole ore felici

che ho nel giovar gli oppressi,

nel sollevar gli amici,

nel dispensar tesori

al merto e alla virtù?

(parte con Sesto)

Scena sesta

Annio e poi Servilia.

ANNIO

Non ci pentiam. D'un generoso amante

era questo il dover. Se a lei che adoro,

per non esserne privo,

tolto l'impero avessi, amato avrei

il mio piacer, non lei. Mio cor, deponi

le tenerezze antiche. È tua sovrana

chi fu l'idolo tuo. Cambiar conviene

in rispetto l'amore. Eccola. Oh dèi!

Mai non parve sì bella agli occhi miei.

SERVILIA

Mio ben...

ANNIO

Taci, Servilia. Ora è delitto

il chiamarmi così.

SERVILIA

Perché?

ANNIO

Ti scelse

cesare (che martìr!) per sua consorte.

A te (morir mi sento!), a te m'impose

di recarne l'avviso (oh pena!), ed io...

io fui... (parlar non posso)... augusta, addio!

SERVILIA

Come! Fermati! Io sposa

di cesare! E perché?

ANNIO

Perché non trova

beltà, virtù che sia

più degna d'un impero, anima... oh stelle!

che dirò? Lascia, augusta,

deh! lasciami partir.

SERVILIA

Così confusa

abbandonar mi vuoi? Spiegati, dimmi:

come fu? per qual via?...

ANNIO

Mi perdo s'io non parto, anima mia.

Ah! perdona al primo affetto

questo accento sconsigliato:

colpa fu del labbro, usato

a chiamarti ognor così.

Mi fidai del mio rispetto,

che vegliava in guardia al core;

ma il rispetto dall'amore

fu sedotto e mi tradì.

(parte)

Scena settima

Servilia sola.

Io consorte d'augusto! In un istante

io cambiar di catene! Io tanto amore

dovrei porre in oblio! No, sì gran prezzo

non val per me l'impero.

Annio, non lo temer; non sarà vero.

Amo te solo;

te solo amai:

tu fosti il primo;

tu pur sarai

l'ultimo oggetto

che adorerò.

Quando sincero

nasce in un core,

ne ottien l'impero,

mai più non muore

quel primo affetto

che si provò.

(parte)

Scena ottava

Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino.
Tito e Publio con un foglio.

TITO

Che mi rechi in quel foglio?

PUBLIO

I nomi ei chiude

de' rei che osar con temerari accenti

de' cesari già spenti

la memoria oltraggiar.

TITO

Barbara inchiesta,

che agli estinti non giova e somministra

mille strade alla frode

d'insidiar gl'innocenti! Io da quest'ora

ne abolisco il costume; e, perché sia

in avvenir la frode altrui delusa,

nelle pene de' rei cada chi accusa.

PUBLIO

Giustizia è pur...

TITO

Se la giustizia usasse

di tutto il suo rigor, sarebbe presto

un deserto la terra. Ove si trova

chi una colpa non abbia, o grande o lieve?

Noi stessi esaminiam. Credimi: è raro

un giudice innocente

dell'error che punisce.

PUBLIO

Hanno i castighi...

TITO

Hanno, se son frequenti,

minore autorità. Si fan le pene

familiari a' malvagi. Il reo s'avvede

d'aver molti compagni; ed è periglio

il pubblicar quanto sian pochi i buoni.

PUBLIO

Ma v'è, signor, chi lacerare ardisce

anche il tuo nome.

TITO

E che perciò? Se il mosse

leggerezza, no 'l curo;

se follia, lo compiango;

se ragion, gli son grato; e se in lui sono

impeti di malizia, io gli perdono.

PUBLIO

Almen...

Scena nona

Servilia e detti.

SERVILIA

Di Tito al piè...

TITO

Servilia! Augusta!

SERVILIA

Ah! signor, sì gran nome

non darmi ancora: odimi prima. Io deggio

palesarti un arcan.

TITO

Publio, ti scosta,

ma non partir.

(Publio si ritira)

SERVILIA

Che del cesareo alloro

me, fra tante più degne,

generoso monarca, inviti a parte,

e dono tal, che desteria tumulto

nel più stupido core. Io ne comprendo

tutto il valor. Voglio esser grata, e credo

doverlo esser così. Tu mi scegliesti,

né forse mi conosci. Io, che, tacendo,

crederei d'ingannarti,

tutta l'anima mia vengo a svelarti.

TITO

Parla.

SERVILIA

Non ha la terra

chi più di me le tue virtudi adori:

per te nutrisco in petto

sensi di meraviglia e di rispetto.

Ma il cor... Deh! non sdegnarti.

TITO

Eh! parla.

SERVILIA

Il core

signor, non è più mio: già da gran tempo

Annio me lo rapì. L'amai che ancora

non comprendea d'amarlo, e non amai

altri fin or che lui. Genio e costume

unì l'anime nostre. Io non mi sento

valor per obliarlo. Anche dal trono

il solito sentiero

farebbe a mio dispetto il mio pensiero.

So che oppormi è delitto

d'un cesare al voler; ma tutto almeno

sia noto al mio sovrano:

poi se mi vuol sua sposa, ecco la mano.

TITO

Grazie, o numi del ciel! Pure una volta

senza larve sul viso

mirai la verità. Pur si ritrova

chi s'avventuri a dispiacer col vero.

Servilia, oh qual contento

oggi provar mi fai! quanta mi porgi

ragion di meraviglia! Annio pospone

alla grandezza tua la propria pace!

Tu ricusi un impero

per essergli fedele! Ed io dovrei

turbar fiamme sì belle? Ah! non produce

sentimenti sì rei di Tito il core.

Figlia, ché padre in vece

di consorte m'avrai, sgombra dall'alma

ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio

stringer nodo sì degno. Il ciel cospiri

meco a farlo felice; e n'abbia poi

cittadini la patria eguali a voi.

SERVILIA

O Tito! o Augusto! o vera

delizia de' mortali! io non saprei

come il grato mio cor...

TITO

Se grata appieno

esser mi vuoi, Servilia, agli altri inspira

il tuo candor. Di pubblicar procura

che grato a me si rende,

più del falso che piace, il ver che offende.

Ah! se fosse intorno al trono

ogni cor così sincero,

non tormento un vasto impero,

ma saria felicità.

Non dovrebbero i regnanti

tollerar sì grave affanno,

per distinguer dall'inganno

l'insidiata verità.

(parte)

Scena decima

Servilia e Vitellia.

SERVILIA

Felice me!

VITELLIA

Posso alla mia sovrana

offrir del mio rispetto i primi omaggi?

Posso adorar quel volto,

per cui, d'amor ferito,

ha perduto il riposo il cor di Tito?

SERVILIA

(Che amaro favellar! Per mia vendetta

si lasci nell'inganno). Addio.

(in atto di partire)

VITELLIA

Servilia

sdegna già di mirarmi!

Oh dèi! partir così! così lasciarmi!

SERVILIA

Non ti lagnar s'io parto,

o lagnati d'Amore,

che accorda a quei del core

i moti del mio piè.

Al fin non è portento

che a te mi tolga ancora

l'eccesso d'un contento,

che mi rapisce a me.

(parte)

Scena undicesima

Vitellia, poi Sesto.

VITELLIA

Questo soffrir degg'io

vergognoso disprezzo? Ah, con qual fasto

già mi guarda costei! Barbaro Tito!

Ti parea dunque poco

Berenice antepormi? Io dunque sono

l'ultima de' viventi? Ogni altra è degna

di te, fuor che Vitellia? Ah, trema, ingrato!

Trema d'avermi offesa! Oggi il tuo sangue...

SESTO

Mia vita.

VITELLIA

E ben, che rechi? Il Campidoglio

è acceso? è incenerito?

Lentulo dove sta? Tito è punito?

SESTO

Nulla intrapresi ancor.

VITELLIA

Nulla! E sì franco

mi torni innanzi? e con qual merto ardisci

di chiamarmi tua vita?

SESTO

È tuo comando

il sospendere il colpo.

VITELLIA

E non udisti

i miei novelli oltraggi? Un altro cenno

aspetti ancor? Ma ch'io ti creda amante,

dimmi, come pretendi,

se così poco i miei pensieri intendi?

SESTO

Se una ragion potesse

almen giustificarmi...

VITELLIA

Una ragione!

Mille ne avrai, qualunque sia l'affetto

da cui prenda il tuo cor regola e moto.

È la gloria il tuo voto? Io ti propongo

la patria a liberar. Frangi i suoi ceppi;

la tua memoria onora;

abbia il suo Bruto il secol nostro ancora.

Ti senti d'un illustre

ambizion capace? Eccoti aperta

una strada all'impero. I miei congiunti,

gli amici miei, le mie ragioni al soglio

tutte impegno per te. Può la mia mano

renderti fortunato? Eccola! corri,

mi vendica, e son tua. Ritorna asperso

di quel perfido sangue; e tu sarai

la delizia, l'amore,

la tenerezza mia. Non basta? Ascolta,

e dubita, se puoi. Sappi che amai

Tito fin or; che del mio cor l'acquisto

ei t'impedì; che, se rimane in vita,

si può pentir; ch'io ritornar potrei,

non mi fido di me, forse ad amarlo.

Or va': se non ti muove

desio di gloria, ambizione, amore;

se tolleri un rivale,

che usurpò, che contrasta,

che involar ti potrà gli affetti miei,

degli uomini il più vil dirò che sei.

SESTO

Quante vie d'assalirmi!

Basta, basta, non più! Già m'inspirasti,

Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai

fra poco il Campidoglio; e questo acciaro

nel sen di Tito... (Ah, sommi dèi, qual gelo

mi ricerca le vene!)

VITELLIA

Ed or che pensi?

SESTO

Ah, Vitellia!

VITELLIA

Il previdi:

tu pentito già sei...

SESTO

Non son pentito;

ma...

VITELLIA

Non stancarmi più. Conosco, ingrato,

che amor non hai per me. Folle ch'io fui!

Già ti credea, già mi piacevi, e quasi

cominciavo ad amarti. Agli occhi miei

involati per sempre,

e scordati di me.

SESTO

Fermati! io cedo;

io già volo a servirti.

VITELLIA

Eh! non ti credo.

M'ingannerai di nuovo. In mezzo all'opra

ricorderai...

SESTO

No: mi punisca Amore,

se penso ad ingannarti.

VITELLIA

Dunque, corri! Che fai? perché non parti?

SESTO

Parto; ma tu, ben mio,

meco ritorna in pace.

Sarò qual più ti piace;

quel che vorrai farò.

Guardami, e tutto oblio,

e a vendicarti io volo.

Di quello sguardo solo

io mi ricorderò.

(parte)

Scena dodicesima

Vitellia, poi Publio.

VITELLIA

Vedrai, Tito, vedrai che al fin sì vile

questo volto non è. Basta a sedurti

gli amici almen, se ad invaghirti è poco.

Ti pentirai...

PUBLIO

Tu qui, Vitellia? Ah! corri:

va Tito alle tue stanze.

VITELLIA

Cesare! E a che mi cerca?

PUBLIO

Ancor no 'l sai?

Sua consorte ti elesse.

VITELLIA

Io non sopporto,

Publio, d'esser derisa.

PUBLIO

Deriderti! Se andò cesare istesso

a chiederne il tuo assenso.

VITELLIA

E Servilia?

PUBLIO

Servilia,

non so perché, rimane esclusa.

VITELLIA

Ed io...

PUBLIO

Tu sei la nostra augusta. Ah! principessa,

andiam: cesare attende.

VITELLIA

Aspetta. (Oh dèi!)

Sesto?... (Misera me!) Sesto?...

(verso la scena)

È partito.

Publio, corri... raggiungi...

digli... no. Va più tosto... (Ah! mi lasciai

trasportar dallo sdegno.) E ancor non vai?

PUBLIO

Dove?

VITELLIA

A Sesto.

PUBLIO

E dirò?

VITELLIA

Che a me ritorni;

che non tardi un momento.

PUBLIO

Vado. (Oh, come confonde un gran contento!)

(parte)

Scena tredicesima

Vitellia sola.

Che angustia è questa! Ah! caro Tito, io fui

teco ingiusta, il confesso. Ah! se frattanto

Sesto il cenno eseguisse, il caso mio

sarebbe il più crudel... No, non si faccia

sì funesto presagio. E se mai Tito

si tornasse a pentir?... Perché pentirsi?

Perché l'ho da temer? Quanti pensieri

mi si affollano in mente! Afflitta e lieta,

godo, torno a temer, gelo, m'accendo;

me stessa in questo stato io non intendo.

Quando sarà quel dì,

ch'io non ti senta in sen

sempre tremar così,

povero core?

Stelle, che crudeltà!

Un sol piacer non v'è

che, quando mio si fa,

non sia dolore.

(parte)

Atto secondo
Scena prima

Portici.
Sesto solo, col distintivo de' congiurati sul manto.

Oh dèi, che smania è questa!

Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio:

m'incammino, m'arresto: ogni aura, ogni ombra

mi fa tremare. Io non credea che fosse

sì difficile impresa esser malvagio.

Ma compirla convien. Già per mio cenno

Lentulo corre al Campidoglio. Io deggio

Tito assalir. Nel precipizio orrendo

è scorso il piè. Necessità divenne

ormai la mia ruina. Almen si vada

con valore a perir. Valore? E come

può averne un traditor? Sesto infelice,

tu traditor! Che orribil nome! E pure

t'affretti a meritarlo. E chi tradisci?

Il più grande, il più giusto, il più clemente

principe della terra, a cui tu devi

quanto puoi, quanto sei. Bella mercede

gli rendi in vero! Ei t'innalzò per farti

il carnefice suo. M'inghiotta il suolo

prima ch'io tal divenga. Ah! non ho core,

Vitellia, a secondar gli sdegni tui:

morrei, prima del colpo, in faccia a lui.

S'impedisca... ma come,

or che tutto è disposto?... Andiamo, andiamo

Lentulo a trattener. Sieguane poi

quel che il fato vorrà. Stelle, che miro!

Arde già il Campidoglio! Ahimè! l'impresa

Lentulo incominciò. Forse già tardi

sono i rimorsi miei.

Difendetemi Tito, eterni dèi!

(vuol partire)

Scena seconda

Annio e detto.

ANNIO

Sesto, dove t'affretti?

SESTO

Io corro, amico...

Oh dèi! non m'arrestar.

(vuol partire)

ANNIO

Ma dove vai?

SESTO

Vado... per mio rossor già lo saprai.

(parte)

Scena terza

Annio, poi Servilia, indi Publio con Guardie.

ANNIO

«Già lo saprai per mio rossor»! Che arcano

si nasconde in que' detti! A quale oggetto

celarlo a me? Quel pallido sembiante,

quel ragionar confuso,

stelle! che mai vuol dir? Qualche periglio

sovrasta a Sesto. Abbandonar no 'l deve

un amico fedel. Sieguasi.

(vuol partire)

SERVILIA

Al fine,

Annio, pur ti riveggo.

ANNIO

Ah! mio tesoro,

quanto deggio al tuo amor! Torno a momenti:

perdonami, se parto.

SERVILIA

E perché mai

così presto mi lasci?

PUBLIO

Annio, che fai?

Roma tutta è in tumulto, il Campidoglio

vasto incendio divora; e tu frattanto

puoi star senza rossore

tranquillamente a ragionar d'amore?

SERVILIA

Numi!

ANNIO

(Or di Sesto i detti

più mi fanno tremar. Cerchisi...)

(in atto di partire)

SERVILIA

E puoi

abbandonarmi in tal periglio?

ANNIO

(Oh dio!

fra l'amico e la sposa

divider mi vorrei.) Prendine cura,

Publio, per me. Di tutti i giorni miei

l'unico ben ti raccomando in lei.

(parte frettoloso)

Scena quarta

Servilia e Publio.

SERVILIA

Publio, che inaspettato

accidente funesto!

PUBLIO

Ah, voglia il cielo

che un'opra sia del caso, e che non abbia

forse più reo disegno

chi destò quelle fiamme!

SERVILIA

Ah! tu mi fai

tutto il sangue gelar.

PUBLIO

Torna, o Servilia,

a' tuoi soggiorni e non temer. Ti lascio

quei custodi in difesa, e corro intanto

di Vitellia a cercar. Tito m'impone

d'aver cura d'entrambe.

SERVILIA

E ancor di noi

Tito si rammentò?

PUBLIO

Tutto rammenta;

provvede a tutto; a riparare i danni,

a prevenir le insidie, a ricomporre

gli ordini già sconvolti... Oh, se il vedessi

della confusa plebe

gl'impeti regolar! Gli audaci affrena;

i timidi assicura; in cento modi

sa promesse adoprar, minacce e lodi.

Tutto ritrovi in lui: ci vedi insieme

il difensor di Roma,

il terror delle squadre,

l'amico, il prence, il cittadino, il padre.

SERVILIA

Ma, sorpreso così, come ha saputo...

PUBLIO

Eh! Servilia, t'inganni:

Tito non si sorprende. Un impensato

colpo non v'è, che no 'l ritrovi armato.

Sia lontano ogni cimento,

l'onda sia tranquilla e pura,

buon guerrier non s'assicura,

non si fida il buon nocchier.

Anche in pace, in calma ancora,

l'armi adatta, i remi appresta,

di battaglia o di tempesta

qualche assalto a sostener.

(parte)

Scena quinta

Servilia sola.

Dall'adorato oggetto

vedersi abbandonar; saper che a tanti

rischi corre ad esporsi; in sen per lui

sentirsi il cor tremante, e nel periglio

non poterlo seguir: questo è un affanno

d'ogni affanno maggior; questo è soffrire

la pena del morir senza morire.

Almen, se non poss'io

seguir l'amato bene,

affetti del cor mio,

seguitelo per me.

Già sempre a lui vicino

raccolti Amor vi tiene,

e insolito cammino

questo per voi non è.

(parte)

Scena sesta

Vitellia e poi Sesto.

VITELLIA

Chi per pietà m'addita

Sesto dov'è? Misera me! Per tutto

ne chiedo invano, in van lo cerco. Almeno

Tito trovar potessi!

SESTO

(senza veder Vitellia)

Ove m'ascondo!

Dove fuggo, infelice!

VITELLIA

Ah, Sesto! ah, senti!

SESTO

Crudel, sarai contenta. Ecco adempito

il tuo fiero comando.

VITELLIA

Ahimè! che dici?

SESTO

Già Tito... oh dio! già dal trafitto seno

versa l'anima grande.

VITELLIA

Ah, che facesti!

SESTO

No, no 'l fec'io, ché, dell'error pentito,

a salvarlo correa; ma giunsi appunto

che un traditor del congiurato stuolo

da tergo lo feria. «Ferma!» gridai;

ma il colpo era vibrato. Il ferro indegno

lascia colui nella ferita e fugge.

A ritrarlo io m'affretto;

ma con l'acciaro il sangue

n'esce, il manto m'asperge, e Tito, oh dio!

Manca, vacilla e cade.

VITELLIA

Ah! ch'io mi sento

morir con lui.

SESTO

Pietà, furor mi sprona

l'uccisore a punir; ma il cerco invano;

già da me dileguossi. Ah! principessa,

che fia di me? come avrò mai più pace?

Quanto, ahi quanto mi costa

il desio di piacerti!

VITELLIA

Anima rea,

piacermi! Orror mi fai. Dove si trova

mostro peggior di te? quando s'intese

colpo più scellerato? Hai tolto al mondo

quanto avea di più caro; hai tolto a Roma

quanto avea di più grande. E chi ti fece

arbitro de' suoi giorni?

Di': qual colpa, inumano!

Punisti in lui? L'averti amato? È vero:

questo è l'error di Tito;

ma punir no 'l dovea chi l'ha punito.

SESTO

Onnipotenti dèi! son io? Mi parla

così Vitellia? E tu non fosti...

VITELLIA

Ah! taci,

barbaro, e del tuo fallo

non volermi accusar. Dove apprendesti

a secondar le furie

d'un'amante sdegnata?

Qual anima insensata

un delirio d'amor nel mio trasporto

compreso non avrebbe? Ah! tu nascesti

per mia sventura. Odio non v'è che offenda

al par dell'amor tuo. Nel mondo intero

sarei la più felice,

empio! se tu non eri. Oggi di Tito

la destra stringerei; leggi alla terra

darei dal Campidoglio; ancor vantarmi

innocente potrei. Per tua cagione

son rea, perdo l'impero,

non spero più conforto;

e Tito, ah, scellerato! e Tito è morto.

Come potesti, oh dio!

perfido traditor!...

Ah, che la rea son io!

sento gelarmi il cor,

mancar mi sento.

Pria di tradir la fé,

perché, crudel! perché...

Ah! che del fallo mio

tardi mi pento.

(parte)

Scena settima

Sesto e poi Annio.

SESTO

Grazie, o numi crudeli! Or non mi resta

più che temer. Della miseria umana

questo è l'ultimo segno. Ho già perduto

quanto perder potevo. Ho già tradito

l'amicizia, l'amor, Vitellia e Tito.

Uccidetemi almeno,

smanie che m'agitate,

furie che lacerate

questo perfido cor. Se lente siete

a compir la vendetta,

io stesso, io la farò.

(in atto di snudar la spada)

ANNIO

Sesto, t'affretta!

Tito brama...

SESTO

Lo so, brama il mio sangue:

tutto si verserà.

(in atto di snudar la spada)

ANNIO

Ferma! che dici?

Tito chiede vederti. Al fianco suo

stupisce che non sei, che l'abbandoni

in periglio sì grande.

SESTO

Io!... Come?... E Tito

nel colpo non spirò?

ANNIO

Qual colpo? Ei torna

illeso dal tumulto.

SESTO

Eh! tu m'inganni:

io stesso lo mirai cader trafitto

da scellerato acciaro.

ANNIO

Dove?

SESTO

Nel varco augusto, ove si ascende

quinci presso al Tarpeo.

ANNIO

No, travedesti:

tra il fumo e tra il tumulto,

altri Tito ti parve.

SESTO

Altri? E chi mai

delle cesaree vesti

ardirebbe adornarsi? Il sacro alloro,

l'augusto ammanto...

ANNIO

Ogni argomento è vano:

vive Tito ed è illeso. In questo istante

io da lui mi divido.

SESTO

Oh dèi pietosi!

Oh caro prence! oh dolce amico! Ah! lascia

che a questo sen... ma non m'inganni?

ANNIO

Io merto

sì poca fé! Dunque tu stesso a lui

corri e 'l vedrai.

SESTO

Ch'io mi presenti a Tito

dopo averlo tradito?

ANNIO

Tu lo tradisti?

SESTO

Io del tumulto, io sono

il primo autor.

ANNIO

Come! Perché?

SESTO

Non posso

dirti di più.

ANNIO

Sesto è infedele!

SESTO

Amico,

m'ha perduto un istante. Addio. M'involo

alla patria per sempre.

Ricordati di me. Tito difendi

da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto

a pianger fra le selve il mio delitto.

ANNIO

Fermati! Oh dèi! pensiam... Senti. Finora

la congiura è nascosta; ognuno incolpa

di quest'incendio il caso: or la tua fuga

indicar la potrebbe.

SESTO

E ben, che vuoi?

ANNIO

Che tu non parta ancor, che taccia il fallo,

che torni a Tito, e che con mille emendi

prove di fedeltà l'error passato.

SESTO

Colui, qualunque sia, che cadde estinto,

basta a scoprir...

ANNIO

Là dov'ei cadde, io volo.

Saprò chi fu; se il ver si sa; se parla

alcun di te. Pria che s'induca augusto

a temer di tua fé, potrò avvertirti:

fuggir potrai. Dubbio è 'l tuo mai, se resti;

certo, se parti.

SESTO

Io non ho mente, amico,

per distinguer consigli. A te mi fido.

Vuoi ch'io vada? anderò... Ma Tito, oh numi!

mi leggerà sul volto.

(s'incammina e si ferma)

ANNIO

Ogni tardanza,

Sesto, ti perde.

SESTO

Eccomi, io vo...

(come sopra)

Ma questo

manto asperso di sangue?

ANNIO

Chi quel sangue versò?

SESTO

Quell'infelice

che per Tito io piangea.

ANNIO

Cauto l'avvolgi,

nascondilo, e t'affretta.

SESTO

Il caso, oh dio!

potria...

ANNIO

Dammi quel manto: eccoti il mio.

(cambia il manto)

Corri: non più dubbiezze,

fra poco io ti raggiungo.

(parte)

SESTO

Io son sì oppresso,

così confuso io sono,

che non so se vaneggio o se ragiono.

Fra stupido e pensoso,

dubbio così s'aggira

da un torbido riposo

chi si destò talor;

che desto ancor delira

fra le sognate forme,

che non sa ben se dorme,

non sa se veglia ancor.

(parte)

Scena ottava

Galleria terrena adornata di statue, corrispondente a' giardini.
Tito e Servilia.

TITO

Contro me si congiura! Onde il sapesti?

SERVILIA

Un de' complici venne

tutto a scoprirmi, acciò da te gl'implori

perdono al fallo.

TITO

E Lentulo è infedele?

SERVILIA

Lentulo è della trama

lo scellerato autor. Sperò di Roma

involarti l'impero, unì seguaci,

dispose i segni, il Campidoglio accese

per destare un tumulto; e già correa,

cinto del manto augusto,

a sorprender l'indegno! ed a sedurre

il popolo confuso.

Ma, giustizia del ciel! le istesse vesti,

ch'ei cinse per tradirti,

fur tua difesa e sua ruina. Un empio,

fra i sedotti da lui, corse, ingannato

dalle auguste divise,

e, per uccider te, Lentulo uccise.

TITO

Dunque morì nel colpo?

SERVILIA

Almen, se vive,

egli no 'l sa.

TITO

Come l'indegna tela

tanto poté restarmi occulta?

SERVILIA

E pure

fra' tuoi custodi istessi

de' complici vi son. Cesare, è questo

lo scellerato segno onde fra loro

si conoscono i rei. Porta ciascuno

pari a questo, signor, nastro vermiglio,

che su l'omero destro il manto annoda:

osservalo e ti guarda.

TITO

Or di', Servilia:

che ti sembra un impero? Al bene altrui

chi può sacrificarsi

più di quello ch'io feci? E pur non giunsi

a farmi amar; pur v'è chi m'odia e tenta

questo sudato alloro

svellermi dalla chioma,

e ritrova seguaci, e dove? in Roma.

Tito, l'odio di Roma! Eterni dèi!

Io, che spesi per lei

tutti i miei dì, che per la sua grandezza

sudor, sangue versai,

e or sul Nilo, or su l'Istro arsi e gelai!

Io, che ad altro, se veglio,

fuor che alla gloria sua pensar non oso;

che, in mezzo al mio riposo,

non sogno che il suo ben; che, a me crudele,

per compiacere a lei,

sveno gli affetti miei, m'opprimo in seno

l'unica del mio cor fiamma adorata!

Oh patria! oh sconoscenza! oh Roma ingrata!

Scena nona

Sesto, Tito e Servilia.

SESTO

(Ecco il mio prence. Oh, come

mi palpita, al mirarlo, il cor smarrito!)

TITO

Sesto, mio caro Sesto, io son tradito!

SESTO

(Oh rimembranza!)

TITO

Il crederesti, amico?

Tito è l'odio di Roma. Ah! tu che sai

tutti i pensieri miei, che senza velo

hai veduto il mio cor, che fosti sempre

l'oggetto dei mio amor, dimmi se questa

aspettarmi io dovea crudel mercede!

SESTO

(L'anima mi trafigge e non se 'l crede.)

TITO

Dimmi: con qual mio fallo

tant'odio ho mai contro di me commosso?

SESTO

Signor...

TITO

Parla.

SESTO

Ah! signor, parlar non posso.

TITO

Tu piangi, amico Sesto: il mio destino

ti fa pietà. Vieni al mio seno. Oh, quanto

mi piace, mi consola

questo tenero segno

della tua fedeltà!

SESTO

(Morir mi sento:

non posso più. Parmi tradirlo ancora

col mio tacer. Si disinganni appieno.)

Scena decima

Sesto, Vitellia, Tito e Servilia.

VITELLIA

(Ah! Sesto è qui. Non mi scoprisse almeno.)

SESTO

Sì, sì, voglio al suo piè...

(vuol andare a Tito)

VITELLIA

(s'inoltra e l'interrompe)

Cesare invitto,

preser gli dèi cura di te.

SESTO

(Mancava

Vitellia ancor.)

VITELLIA

Pensando

al passato tuo rischio, ancor pavento.

(piano a Sesto)

Per pietà, non parlar!

SESTO

(Questo è tormento!)

TITO

Il perder, principessa,

e la vita e l'impero

affliggermi non può. Già miei non sono

che per usarne a benefizio altrui.

So che tutto è di tutti, e che né pure

di nascer meritò chi d'esser nato

crede solo per sé. Ma, quando a Roma

giovi ch'io versi il sangue,

perché insidiarmi? Ho ricusato mai

di versarlo per lei? Non sa l'ingrata

che son romano anch'io, che Tito io sono?

Perché rapir quel che offerisco in dono?

SERVILIA

Oh vero eroe!

Scena undicesima

Sesto, Vitellia, Tito, Servilia, ed Annio col manto di Sesto.

ANNIO

(Potessi

Sesto avvertir. M'intenderà.)

(a Tito)

Signore,

già l'incendio cedé; ma non è vero

che il caso autor ne sia. V'è chi congiura

contro la vita tua: prendine cura.

TITO

Annio, il so... (Ma che miro!)

(a parte a Servilia)

Servilia, il segno, che distingue i rei,

Annio non ha sul manto?

SERVILIA

Eterni dèi!

TITO

Non v'è che dubitar. Forma, colore,

tutto, tutto è concorde.

SERVILIA

(ad Annio)

Ah, traditore!

ANNIO

Io traditor!

SESTO

(Che avvenne!)

TITO

E sparger vuoi

tu ancora il sangue mio?

Annio, figlio, e perché? che t'ho fatt'io?

ANNIO

Io spargere il tuo sangue! Ah! pria m'uccida

un fulmine del ciel.

TITO

T'ascondi invano:

già quel nastro vermiglio,

divisa de' ribelli, a me scoperse

che a parte sei del tradimento orrendo.

ANNIO

Questo! Come!...

SESTO

(Ah, che feci! Or tutto intendo.)

ANNIO

Nulla, signor, m'è noto

di tal divisa. In testimonio io chiamo

tutti i numi celesti.

TITO

Da chi dunque l'avesti?

ANNIO

L'ebbi... (Se dico il ver, l'amico accuso.)

TITO

E ben?

ANNIO

L'ebbi... non so...

TITO

L'empio è confuso.

SESTO

(Oh amicizia!)

VITELLIA

(Oh timor!)

TITO

Dove si trova

principe, o Sesto amato,

di me più sventurato? Ogni altro acquista

amici almen co' benefici suoi:

io co' miei benefici

altro non fo che procurar nemici.

ANNIO

(Come scolparmi?)

SESTO

(Ah, non rimanga oppressa

l'innocenza per me.)

(piano a Vitellia, incamminandosi a Tito)

Vitellia, ormai

tutto è forza ch'io dica.

VITELLIA

(piano a Sesto)

Ah, no! che fai?

Deh! pensa al mio periglio.

SESTO

(Che angustia è questa!)

ANNIO

(Eterni dèi, consiglio!)

TITO

Servilia, e un tale amante

val sì gran prezzo?

SERVILIA

Io dell'affetto antico

ho rimorso, ho rossor.

SESTO

(Povero amico!)

TITO

(ad Annio)

Ma dimmi, anima ingrata: il sol pensiero

di tanta infedeltà non è bastato

a farti inorridir?

SESTO

(Son io l'ingrato.)

TITO

Come ti nacque in seno

furor cotanto ingiusto?

SESTO

(Più resister non posso.) Eccomi, augusto,

a' piedi tuoi.

(s'inginocchia)

VITELLIA

(Misera me!)

SESTO

La colpa

ond'Annio è reo...

VITELLIA

Sì, la sua colpa è grande;

ma la bontà di Tito

sarà maggior. Per lui, signor, perdono

Sesto domanda e lo domando anch'io.

(piano a Sesto)

Morta mi vuoi?

SESTO

(s'alza)

(Che atroce caso è il mio!)

TITO

Annio si scusi almeno.

ANNIO

Dirò... (Che posso dir?)

TITO

Sesto, io mi sento

gelar per lui. La mia presenza istessa

più confonder lo fa. Custodi, a voi

Annio consegno. Esamini il senato

il disegno, l'errore

di questo... Ancor non voglio

chiamarti traditor. Rifletti, ingrato!

Da quel tuo cor perverso

del tuo principe il cor quanto è diverso.

Tu, infedel, non hai difese;

è palese il tradimento:

io pavento d'oltraggiarti

nel chiamarti traditor.

Tu, crudel, tradir mi vuoi

d'amistà col finto velo;

io mi celo agli occhi tuoi

per pietà del tuo rossor.

(parte)

Scena dodicesima

Vitellia, Servilia, Sesto ed Annio.

ANNIO

(a Servilia)

E pur, dolce mia sposa...

SERVILIA

A me t'invola:

tua sposa io più non son.

(in atto di partire)

ANNIO

Fermati e senti.

SERVILIA

Non odo gli accenti

d'un labbro spergiuro;

gli affetti non curo

d'un perfido cor.

Ricuso, detesto

il nodo funesto,

le nozze, lo sposo,

l'amante e l'amor.

(parte)

Scena tredicesima

Sesto, Vitellia ed Annio.

ANNIO

(E Sesto non favella?)

SESTO

(Io moro.)

VITELLIA

(Io tremo.)

ANNIO

Ma, Sesto, al punto estremo

ridotto io sono, e non ascolto ancora

chi s'impieghi per me. Tu non ignori

quel che mi dice ognun, quel ch'io non dico.

Questo è troppo soffrir. Pensaci, amico.

Ch'io parto reo, lo vedi;

ch'io son fedel, lo sai:

di te non mi scordai;

non ti scordar di me.

Soffro le mie catene;

ma questa macchia in fronte,

ma l'odio del mio bene

soffribile non è.

(parte fra le guardie)

Scena quattordicesima

Sesto e Vitellia.

SESTO

Posso al fine, o crudele...

VITELLIA

Oh dio! l'ore in querele

non perdiamo così. Fuggi e conserva

la tua vita e la mia.

SESTO

Ch'io fugga e lasci

un amico innocente...

VITELLIA

Io dell'amico

la cura prenderò.

SESTO

No, fin ch'io vegga

Annio in periglio...

VITELLIA

A tutti i numi il giuro,

io lo difenderò.

SESTO

Ma che ti giova

la fuga mia?

VITELLIA

Con la tua fuga è salva

la tua vita, il mio onor. Tu sei perduto,

se alcun ti scopre, e, se scoperto sei,

pubblico è il mio segreto.

SESTO

In questo seno

sepolto resterà. Nessuno il seppe:

tacendolo morrò.

VITELLIA

Mi fiderei,

se minor tenerezza

per Tito in te vedessi. Il suo rigore

non temo già; la sua clemenza io temo:

questa ti vincerebbe. Ah! per que' primi

momenti in cui ti piacqui, ah! per le care

dolci speranze tue, fuggi, assicura

il mio timido cor. Tanto facesti:

l'opra compisci. Il più gran dono è questo

che far mi puoi. Tu non mi rendi meno

che la pace e l'onor. Sesto, che dici?

Risolvi.

SESTO

Oh dio!

VITELLIA

Sì, già ti leggo in volto

la pietà che hai di me; conosco i moti

del tenero tuo cor. Di': m'ingannai?

Sperai troppo da te? Ma parla, o Sesto!

SESTO

Partirò, fuggirò. (Che incanto è questo!)

VITELLIA

Respiro!

SESTO

Almen tal volta,

quando lungi sarò...

Scena quindicesima

Publio con Guardie, e detti.

PUBLIO

Sesto!

SESTO

Che chiedi?

PUBLIO

La tua spada.

SESTO

E perché?

PUBLIO

Per tua sventura,

Lentulo non morì. Già il resto intendi.

Vieni.

VITELLIA

(Oh colpo fatale!)

(Sesto dà la spada)

SESTO

Al fin, tiranna...

PUBLIO

Sesto, partir conviene. È già raccolto

per udirti il senato, e non poss'io

differir di condurti.

SESTO

Ingrata, addio!

Se mai senti spirarti sul volto

lieve fiato che lento s'aggiri,

di': «Son questi gli estremi sospiri

del mio fido, che muore per me.»

Al mio spirto, dal seno disciolto,

la memoria di tanti martìri

sarà dolce con questa mercé.

(parte con Publio e guardie)

Scena sedicesima

Vitellia sola.

Misera! che farò? Quell'infelice,

oh dio! muore per me. Tito fra poco

saprà il mio fallo, e lo sapran con lui

tutti, per mio rossor. Non ho coraggio

né a parlar, né a tacere,

né a fuggir, né a restar. Non spero aiuto,

non ritrovo consiglio. Altro non veggo

che imminenti ruine; altro non sento

che moti di rimorso e di spavento.

Tremo fra' dubbi miei;

pavento i rai dei giorno;

l'aure, che ascolto intorno,

mi fanno palpitar.

Nascondermi vorrei,

vorrei scoprir l'errore:

né di celarmi ho core,

né core ho di parlar.

(parte)

Atto terzo
Scena prima

Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino, con sopra da scrivere.
Tito e Publio.

PUBLIO

Già de' pubblici giuochi,

signor, l'ora trascorre. Il dì solenne

sai che non soffre il trascurarli. È tutto

colà, d'intorno alla festiva arena,

il popolo raccolto, e non si attende

che la presenza tua. Ciascun sospira,

dopo il noto periglio,

di rivederti salvo. Alla tua Roma

non differir sì bel contento.

TITO

Andremo,

Publio, fra poco. Io non avrei riposo,

se di Sesto il destino

pria non sapessi. Avrà il senato ormai

le sue discolpe udite; avrà scoperto,

vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe

tardar molto l'avviso.

PUBLIO

Ah! troppo chiaro

Lentulo favellò.

TITO

Lentulo forse

cerca al fallo un compagno,

per averlo al perdono. Ei non ignora

quanto Sesto m'è caro. Arte comune

questa è de' rei. Pur dal senato ancora

non torna alcun! Che mai sarà? Va', chiedi

che si fa, che s'attende. Io tutto voglio

saper pria di partir.

PUBLIO

Vado: ma temo

di non tornar nunzio felice.

TITO

E puoi

creder Sesto infedele? Io dal mio core

il suo misuro; e un impossibil parmi

ch'egli m'abbia tradito.

PUBLIO

Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.

Tardi s'avvede

d'un tradimento

chi mai di fede

mancar non sa.

Un cor verace,

pieno d'onore,

non è portento,

se ogni altro core

crede incapace

d'infedeltà.

(parte)

Scena seconda

Tito e poi Annio.

TITO

No, così scellerato

il mio Sesto non credo. Io l'ho veduto

non sol fido ed amico,

ma tenero per me. Tanto cambiarsi

un'alma non potrebbe.

Annio, che rechi?

L'innocenza di Sesto,

come la tua, di', si svelò? Che dice?

Consolami.

ANNIO

Ah! signor, pietà per lui

io vengo ad implorar.

TITO

Pietà! Ma dunque

sicuramente è reo?

ANNIO

Quel manto, ond'io

parvi infedele, egli mi diè. Da lui

sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia,

esser da lui sedotto

Lentulo afferma, e l'accusato tace.

Che sperar si può mai?

TITO

Speriamo, amico,

speriamo ancora. Agl'infelici è spesso

colpa la sorte; e quel che vero appare,

sempre vero non è. Tu ne hai le prove:

con la divisa infame

mi vieni innanzi; ognun t'accusa: io chiedo

degl'indizi ragion; tu non rispondi,

palpiti, ti confondi... A tutti vera

non parea la tua colpa? E pur non era.

Chi sa? Di Sesto a danno

può il caso unir le circostanze istesse,

o somiglianti a quelle.

ANNIO

Il ciel volesse!

Ma se poi fosse reo?

TITO

Ma, se poi fosse reo, dopo sì grandi

prove dell'amor mio; se poi di tanta

enorme ingratitudine è capace,

saprò scordarmi appieno

anch'io... ma non sarà: lo spero almeno.

Scena terza

Publio con foglio, e detti.

PUBLIO

Cesare, no 'l diss'io? Sesto è l'autore

della trama crudel.

TITO

Publio, ed è vero?

PUBLIO

Pur troppo ei di sua bocca

tutto affermò. Coi complici il senato

alle fiere il condanna. Ecco il decreto

terribile, ma giusto;

(dà il foglio a Tito)

né vi manca, o signor, che il nome augusto.

TITO

Onnipotenti dèi!

(si getta a sedere)

ANNIO

Ah! pietoso monarca...

(inginocchiandosi)

TITO

Annio, per ora

lasciami in pace.

(Annio si leva)

PUBLIO

Alla gran pompa unite

sai che le genti ormai...

TITO

Lo so. Partite.

(Publio si ritira)

ANNIO

Pietà, signor, di lui!

So che il rigore è giusto;

ma norma i falli altrui

non son del tuo rigor.

Se a' prieghi miei non vuoi,

se all'error suo non puoi,

donalo al cor d'augusto,

donalo a te, signor.

(parte)

Scena quarta

Tito solo a sedere.

Che orror! che tradimento!

Che nera infedeltà! Fingersi amico,

essermi sempre al fianco, ogni momento

esiger dal mio core

qualche prova d'amore; e starmi intanto

preparando la morte! Ed io sospendo

ancor la pena? e la sentenza ancora

non segno?... Ah! sì, lo scellerato mora.

(prende la penna per sottoscrivere, e poi s'arresta)

Mora!... ma senza udirlo

mando Sesto a morir?... Sì, già l'intese

abbastanza il senato. E s'egli avesse

qualche arcano a svelarmi? Olà!

(depone la penna; intanto esce una guardia)

(S'ascolti,

e poi vada al supplizio.) A me si guidi

Sesto.

(parte la guardia)

È pur di chi regna

infelice il destino!

(s'alza)

A noi si niega

ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco

quel villanel mendico, a cui circonda

ruvida lana il rozzo fianco, a cui

è mal fido riparo

dall'ingiurie del ciel tugurio informe,

placido i sonni dorme,

passa tranquillo i dì, molto non brama,

sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo

torna sicuro alla foresta, al monte,

e vede il core a ciascheduno in fronte.

Noi fra tante grandezze

sempre incerti viviam; ché in faccia a noi

la speranza o il timore

su la fronte d'ognun trasforma il core.

Chi dall'infido amico... Olà!... chi mai

questo temer dovea?

Scena quinta

Publio e Tito.

TITO

Ma, Publio, ancora

Sesto non viene.

PUBLIO

Ad eseguire il cenno

già volaro i custodi.

TITO

Io non comprendo

un sì lungo tardar.

PUBLIO

Pochi momenti

sono scorsi, o signor.

TITO

Vanne tu stesso;

affrettalo.

PUBLIO

Ubbidisco.

(nel partire)

I tuoi littori

veggonsi comparir: Sesto dovrebbe

non molto esser lontano. Eccolo.

TITO

Ingrato!

All'udir che s'appressa,

già mi parla a suo pro l'affetto antico.

Ma no; trovi il suo prence e non l'amico.

(siede e si compone in atto di maestà)

Scena sesta

Tito, Publio, Sesto e Custodi. Sesto, entrato appena, si ferma.

SESTO

(guardando Tito)

(Numi! è quello ch'io miro

di Tito il volto? Ah! la dolcezza usata

più non ritrovo in lui. Come divenne

terribile per me!)

TITO

(Stelle! ed è questo

il sembiante di Sesto? Il suo delitto

come lo trasformò! Porta sul volto

la vergogna, il rimorso e lo spavento.)

PUBLIO

(Mille affetti diversi ecco a cimento.)

TITO

(a Sesto con maestà)

Avvicinati.

SESTO

(Oh voce

che mi piomba sul cor!)

TITO

(a Sesto con maestà)

Non odi?

SESTO

(due passi e si ferma)

(Oh dio!

Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto

da gelido sudore;

l'angoscia del morir non è maggiore.)

TITO

(Palpita l'infedel.)

PUBLIO

(Dubbio mi sembra,

se il pensar che ha fallito

più dolga a Sesto, o se il punirlo a Tito.)

TITO

(E pur mi fa pietà.) Publio, custodi,

lasciatemi con lui.

(parte Publio e le guardie)

SESTO

(No, di quel volto

non ho costanza a sostener l'impero.)

TITO

(rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa)

Ah! Sesto, è dunque vero?

Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese

il tuo prence, il tuo padre,

il tuo benefattor? Se Tito augusto

hai potuto obliar, di Tito amico

come non ti sovvenne? Il premio è questo

della tenera cura

ch'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi

in avvenir potrò, se giunse, oh dèi!

anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?

E il cor te lo sofferse?

SESTO

(prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a' piedi)

Ah, Tito! ah, mio

clementissimo prence!

Non più, non più. Se tu veder potessi

questo misero cor, spergiuro, ingrato,

pur ti farei pietà. Tutte ho su gli occhi,

tutte le colpe mie; tutti rammento

i benefizi tuoi: soffrir non posso

né l'idea di me stesso,

né la presenza tua. Quel sacro volto,

la voce tua, la tua clemenza istessa

diventò mio supplizio. Affretta almeno,

affretta il mio morir. Toglimi presto

questa vita infedel; lascia ch'io versi,

se pietoso esser vuoi,

questo perfido sangue a' piedi tuoi.

TITO

Sorgi, infelice!

(Sesto si leva)

(Il contenersi è pena

a quel tenero pianto.) Or vedi a quale

lagrimevole stato

un delitto riduce, una sfrenata

avidità d'impero! E che sperasti

di trovar mai nel trono? Il sommo forse

d'ogni contento? Ah! sconsigliato, osserva

quai frutti io ne raccolgo;

e bramalo, se puoi.

SESTO

No, questa brama

non fu che mi sedusse.

TITO

Dunque che fu?

SESTO

La debolezza mia,

la mia fatalità.

TITO

Più chiaro almeno

spiegati.

SESTO

Oh dio! non posso.

TITO

Odimi, o Sesto:

siam soli; il tuo sovrano

non è presente. Apri il tuo core a Tito,

confidati all'amico; io ti prometto

che augusto no 'l saprà. Del tuo delitto

di' la prima cagion. Cerchiamo insieme

una via di scusarti. Io ne sarei

forse di te più lieto.

SESTO

Ah! la mia colpa

non ha difesa.

TITO

In contraccambio almeno

d'amicizia lo chiedo. Io non celai

alla tua fede i più gelosi arcani;

merito ben che Sesto

mi fidi un suo segreto.

SESTO

(Ecco una nuova

specie di pena! o dispiacere a Tito,

o Vitellia accusar.)

TITO

(comincia a turbarsi)

Dubiti ancora?

Ma, Sesto, mi ferisci

nel più vivo del cor. Vedi che troppo

tu l'amicizia oltraggi

con questo diffidar. Pensaci.

(con impazienza)

Appaga

il mio giusto desio.

SESTO

(con impeto di disperazione)

(Ma qual astro splendeva al nascer mio!)

TITO

E taci? e non rispondi? Ah! già che puoi

tanto abusar di mia pietà...

SESTO

Signore...

sappi dunque... (Che fo?)

TITO

Siegui.

SESTO

(Ma quando

finirò di penar?)

TITO

Parla una volta:

che mi volevi dir?

SESTO

Ch'io son l'oggetto

dell'ira degli dèi; che la mia sorte

non ho più forza a tollerar; ch'io stesso

traditor mi confesso, empio mi chiamo;

ch'io merito la morte e ch'io la bramo.

TITO

(ripiglia l'aria di maestà)

Sconoscente! e l'avrai! Custodi! il reo

toglietemi dinanzi.

(alle guardie, che saranno uscite)

SESTO

Il bacio estremo

su quella invitta man...

TITO

(no 'l concede)

Parti.

SESTO

Fia questo

l'ultimo don. Per questo solo istante

ricordati, signor, l'amor primiero.

TITO

(senza guardarlo)

Parti; non è più tempo.

SESTO

È vero, è vero!

Vo disperato a morte;

né perdo già costanza

a vista del morir.

Funesta la mia sorte

la sola rimembranza

ch'io ti potei tradir.

(parte con le guardie)

Scena settima

Tito solo.

E dove mai s'intese

più contumace infedeltà! Poteva

il più tenero padre un figlio reo

trattar con più dolcezza? Anche innocente

d'ogni altro error, saria di vita indegno

per questo sol. Deggio alla mia negletta

disprezzata clemenza una vendetta.

(va con isdegno verso il tavolino, e s'arresta)

Vendetta! Ah! Tito, e tu sarai capace

d'un sì basso desio, che rende eguale

l'offeso all'offensor? Merita in vero

gran lode una vendetta, ove non costi

più che il volerla. Il torre altrui la vita

è facoltà comune

al più vil della terra: il darla è solo

de' numi e de' regnanti. Eh! viva... invano

parlan dunque le leggi? Io lor custode

le eseguisco così? di Sesto amico

non sa Tito scordarsi? Han pur saputo

obliar d'esser padri e Manlio e Bruto.

Sieguansi i grandi esempi.

(siede)

Ogni altro affetto

d'amicizia e pietà taccia per ora.

Sesto è reo: Sesto mora!

(sottoscrive)

Eccoci al fine

su le vie del rigore:

(s'alza)

eccoci aspersi

di cittadino sangue, e s'incomincia

dal sangue d'un amico. Or che diranno

i posteri di noi? Diran che in Tito

si stancò la clemenza,

come in Silla e in Augusto

la crudeltà. Forse diran che troppo

rigido io fui; ch'eran difese al reo

i natali e l'età; che un primo errore

punir non si dovea; che un ramo infermo

subito non recide

saggio cultor, se a risanarlo invano

molto pria non sudò; che Tito al fine

era l'offeso, e che le proprie offese,

senza ingiuria del giusto,

ben poteva obliar... ma dunque io faccio

sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro

sarò ch'altri m'approvi? Ah! non si lasci

il solito cammin.

(lacera il foglio)

Viva l'amico,

benché infedele; e, se accusarmi il mondo

vuol pur di qualche errore,

m'accusi di pietà, non di rigore.

(getta il foglio lacerato)

Publio!

Scena ottava

Tito e Publio.

PUBLIO

Cesare.

TITO

Andiamo

al popolo che attende.

PUBLIO

E Sesto?

TITO

E Sesto

venga all'arena ancor.

PUBLIO

Dunque il suo fato...

TITO

Sì, Publio, è già deciso.

PUBLIO

(Oh sventurato!)

TITO

Se all'impero, amici dèi,

necessario è un cor severo,

o togliete a me l'impero,

o a me date un altro cor.

Se la fé de' regni miei

con l'amor non assicuro,

d'una fede io non mi curo

che sia frutto del timor.

(parte)

Scena nona

Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio, che seguiva Tito.

VITELLIA

Publio, ascolta.

PUBLIO

(in atto di partire)

Perdona;

deggio a cesare appresso

andar...

VITELLIA

Dove?

PUBLIO

(come sopra)

All'arena.

VITELLIA

E Sesto?

PUBLIO

Anch'esso.

VITELLIA

Dunque morrà?

PUBLIO

(come sopra)

Pur troppo.

VITELLIA

(Ahimè!) Con Tito

Sesto ha parlato?

PUBLIO

E lungamente.

VITELLIA

E sai

quel ch'ei dicesse?

PUBLIO

No. Solo con lui

restar cesare volle: escluso io fui.

(parte)

Scena decima

Vitellia, e poi Annio e Servilia da diverse parti.

VITELLIA

Non giova lusingarsi;

Sesto già mi scoperse: a Publio istesso

si conosce sul volto. Ei non fu mai

con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme

di restar meco. Ah! secondato avessi

gl'impulsi del mio cor. Per tempo a Tito

dovea svelarmi e confessar l'errore.

Sempre in bocca d'un reo, che la detesta,

scema d'orror la colpa. Or questo ancora

tardi saria. Seppe il delitto augusto,

e non da me. Questa ragione istessa

fa più grave...

SERVILIA

Ah, Vitellia!

ANNIO

Ah, principessa!

SERVILIA

Il misero germano...

ANNIO

Il caro amico...

SERVILIA

È condotto a morir.

ANNIO

Fra poco, in faccia

di Roma spettatrice,

delle fiere sarà pasto infelice.

VITELLIA

Ma che posso per lui?

SERVILIA

Tutto. A' tuoi prieghi

Tito lo donerà.

ANNIO

Non può negarlo

alla novella augusta.

VITELLIA

Annio, non sono

augusta ancor.

ANNIO

Pria che tramonti il sole

Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,

per le pompe festive il cenno ei diede.

VITELLIA

(Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! oh fede!)

Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro

così, senza pensar?) Partite, amici:

vi seguirò.

ANNIO

Ma, se d'un tardo aiuto

Sesto fidar si dée, Sesto è perduto.

(parte)

VITELLIA

(a Servilia)

Precedimi tu ancor. Un breve istante

sola restar desio.

SERVILIA

Deh! non lasciarlo

nel più bel fior degli anni

perir così. Sai che fin or di Roma

fu la speme e l'amore. Al fiero eccesso

chi sa chi l'ha sedotto. In te sarebbe

obbligo la pietà. Quell'infelice

t'amò più di sé stesso; avea fra' labbri

sempre il tuo nome; impallidia qualora

si parlava di te. Tu piangi!

VITELLIA

Ah! parti.

SERVILIA

Ma tu perché restar? Vitellia, ah! parmi...

VITELLIA

Oh dèi! parti, verrò: non tormentarmi!

SERVILIA

Se altro che lagrime

per lui non tenti,

tutto il tuo piangere

non gioverà.

A questa inutile

pietà che senti,

oh, quanto è simile

la crudeltà!

(parte)

Scena undicesima

Vitellia sola.

Ecco il punto, o Vitellia,

d'esaminar la tua costanza. Avrai

valor che basti a rimirare esangue

il tuo Sesto fedel? Sesto, che t'ama

più della vita sua? che per tua colpa

divenne reo? che t'ubbidì crudele?

che ingiusta t'adorò? che in faccia a morte

sì gran fede ti serba? E tu frattanto,

non ignota a te stessa, andrai tranquilla

al talamo d'augusto? Ah! mi vedrei

sempre Sesto d'intorno, e l'aure e i sassi

temerei che loquaci

mi scoprissero a Tito. A' piedi suoi

vadasi il tutto a palesar. Si scemi

il delitto di Sesto,

se scusar non si può. Speranze, addio,

d'impero e d'imenei! nutrirvi adesso

stupidità saria. Ma, pur che sempre

questa smania crudel non mi tormenti,

si gettin pur l'altre speranze a' venti.

Getta il nocchier talora

pur que' tesori all'onde,

che da remote sponde

per tanto mar portò;

e, giunto al lido amico,

gli dèi ringrazia ancora,

che ritornò mendico,

ma salvo ritornò.

(parte)

Scena dodicesima

Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro, di cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si vedranno già nell'arena i Complici della congiura, condannati alle fiere.
Nel tempo che si canta il coro, esce Tito, preceduto da' Littori, circondato da' Senatori e Patrizi romani, e seguìto da' Pretoriani; indi Annio e Servilia da diverse parti.

CORO

Che del ciel, che degli dèi

tu il pensier, l'amor tu sei,

grand'eroe, nel giro angusto

si mostrò di questo dì.

Ma cagion di meraviglia

non è già, felice augusto,

che gli dèi chi lor somiglia

custodiscano così.

TITO

Pria che principio a' lieti

spettacoli si dia, custodi, innanzi

conducetemi il reo. (Più di perdono

speme ei non ha: quanto aspettato meno,

più caro esser gli dée.)

ANNIO

Pietà, signore!

SERVILIA

Signor, pietà!

TITO

Se a chiederla venite

per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.

ANNIO

E sì tranquillo in viso

lo condanni a morir?

SERVILIA

Di Tito il core

come il dolce perdé costume antico?

TITO

Ei s'appressa: tacete!

SERVILIA

Oh Sesto!

ANNIO

Oh amico!

Scena ultima

Publio e Sesto fra' Littori, poi Vitellia, e detti.

TITO

Sesto, de' tuoi delitti

tu sai la serie, e sai

qual pena ti si dée. Roma sconvolta,

l'offesa maestà, le leggi offese,

l'amicizia tradita, il mondo, il cielo

voglion la morte tua. De' tradimenti

sai pur ch'io son l'unico oggetto. Or senti.

VITELLIA

Eccoti, eccelso augusto,

(s'inginocchia)

eccoti al piè la più confusa...

TITO

Ah! sorgi:

che fai? che brami?

VITELLIA

Io ti conduco innanzi

l'autor dell'empia trama.

TITO

Ov'è? chi mai

preparò tante insidie al viver mio?

VITELLIA

No 'l crederai.

TITO

Perché?

VITELLIA

Perché son io.

TITO

Tu ancora!

SESTO E SERVILIA

Oh stelle!

ANNIO E PUBLIO

Oh numi!

TITO

E quanti mai,

quanti siete a tradirmi?

VITELLIA

Io la più rea

son di ciascuno; io meditai la trama;

il più fedele amico

io ti sedussi; io del suo cieco amore

a tuo danno abusai.

TITO

Ma del tuo sdegno

chi fu cagion?

VITELLIA

La tua bontà. Credei

che questa fosse amor. La destra e il trono

da te speravo in dono; e poi negletta

restai due volte, e procurai vendetta.

TITO

Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso

che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando

troverò, giusti numi!

un'anima fedel? Congiuran gli astri,

cred'io, per obbligarmi, a mio dispetto,

a diventar crudel. No! non avranno

questo trionfo. A sostener la gara

già s'impegnò la mia virtù. Vediamo

se più costante sia

l'altrui perfidia o la clemenza mia.

Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo

Lentulo e i suoi seguaci

e vita e libertà. Sia noto a Roma

ch'io son l'istesso, e ch'io

tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.

PUBLIO E ANNIO

Oh generoso!

SERVILIA

E chi mai giunse a tanto?

SESTO

Io son di sasso!

VITELLIA

Io non trattengo il pianto!

TITO

Vitellia, a te promisi

la destra mia; ma...

VITELLIA

Lo conosco, augusto:

non è per me. Dopo un tal fallo, il nodo

mostruoso saria.

TITO

Ti bramo in parte

contenta almeno. Una rival sul trono

non vedrai, te 'l prometto. Altra io non voglio

sposa che Roma: i figli miei saranno

i popoli soggetti;

serbo indivisi a lor tutti gli affetti.

Tu d'Annio e di Servilia

agl'imenei felici unisci i tuoi,

principessa, se vuoi. Concedi pure

la destra a Sesto: il sospirato acquisto

già gli costa abbastanza.

VITELLIA

Infin ch'io viva

fia sempre il tuo voler legge al mio core.

SESTO

Ah cesare! ah, signore! e poi non soffri

che t'adori la terra e che destini

tempii il Tebro al tuo nume? E come, e quando

sperar potrò che la memoria amara

de' falli miei...

TITO

Sesto, non più: torniamo

di nuovo amici, e de' trascorsi tuoi

non si parli più mai. Dal cor di Tito

già cancellati sono:

me gli scordo, t'abbraccio e ti perdono.

CORO

Che del ciel, che degli dèi

tu il pensier, l'amor tu sei,

grand'eroe, nel giro angusto

si mostrò di questo dì.

Ma cagion di meraviglia

non è già, felice augusto,

che gli dèi chi lor somiglia

custodiscano così.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena ultima