Andronico, il mio amore  

dallo sdegno d'Asteria acquista lena;

irritato ed offeso

odiarla, il so, dovrei, quanto m'oltraggia

dovrei punirla. Ma quel volto ch'ebbe

forza fin di placarmi

a pro' di Baiazete, frena i miei sdegni.

(Principio infausto!)

Io stesso

scendo fra queste mura, acciò da voi

intenda, me presente, i suoi trionfi;

diteli, che il mio trono è ancora vuoto.

Signor, co' suoi nemici non si placa

l'odio degl'Ottomani. Io poi non sono

ugual al grand'impiego,

e chi seppe tradirmi

su le prime domande

potrà poi rifiutar anco i miei voti.

Voi dunque al maggior segno

da me beneficato, e fatto grande,

vorrete essermi ingrato?

Parlate, o che vi credo

della colpa d'Asteria autore e reo.

Asteria...

Non mi dannate almeno

prima d'udirmi; è tempo

ch' Andronico con voi parli da amante.

(Qual voce?)

Chiesi e pregai

a pro' del Tamerlan nozze ed affetti;

ma questa mia richiesta è il mio rimorso.

Voi la puniste con fatal consenso,

né del gran colpo mi voleste a parte;

ora lo son dell'odio vostro, e dico

che son rival del Tamerlano, e v'amo.

Che ascolto mai?

Si, Tamerlano, udite:

un amante, un rival.

No, che pria vo' compir la mia protesta.

Tenga il Tartaro pure

tutti i vasti suoi doni, e ancor maggiori,

che per placar Asteria io gli rifiuto.

Se non dovessi al braccio tuo gran prove,

ardito prence, no 'l diresti impune.

Ma che risponde Asteria?

Perfida! L'amor tuo fa' ciò che invano

sino ad ora tentò tutto il mio sdegno.

Ben ti farò pentir d'esser sì ardita.

Or lo vedremo.

Tronchisi il capo a Baiazete, e Asteria

allo schiavo più vil sia fatta sposa.

Dunque real donzella...

Non favellar, o la sentenza affretto.

Costui m'incanta, e a tollerar mi sforza

ciò che mal soffrirei da un vincitore.

(Non l'irritate!)

Baiazete, l'ira mia non ha più freno.

Sappi, che non più solo

sei mio nemico: altri due rei son teco.

Ora con un sol colpo

voglio veder puniti

un rival, un'ingrata, e un superbo.

Baiazete ed Asteria

sian trascinati alle mie mense. Seco

venga Andronico, e miri

in Asteria i suoi scorni;

se poi tal piace, all'amor suo ritorni.

Non badai che a placarla, e mi compiacqui

del suo stesso delitto esser a parte.

Asteria, allor che andaste  

regina al soglio, vi provai sdegnata;

ora che andate rea, siete placata?

Anche ciò contro di me? Povero amante!

Cedi due regni, e ti vien tolto il prezzo.

Voglio dunque morir con te, mia vita!

Eccoti, Baiazete, dall'angusto ritiro  

in cui t'avea già l'ira mia ristretto,

innanzi allo splendor delle mie mense:

cortese è il Tamerlan più che non pensi.

L'indovinasti, ho già risolto il modo

che avvilir ti potrà.

A questo non resisti.

Or lo saprai; ne venga Asteria, e intenda

dal vincitor offeso il suo destino.

E tu, Andronico, impara, e segui ancora

ad essermi rival, che ti perdono.

O la difendo, o Andronico non sono.

Atto da grande è vincere il nemico,

ma se l'opprimi poi, è un atto indegno.

Parla per te, non per altrui, t'è d'uopo.

Altro per me non dico,

che se mi togli Asteria,

sei un ingiusto, un ingrato, un empio core.

Chi ha la vendetta in man, sprezza il furore.

Accostati, superba, e fissa il guardo

nel posto luminoso, che perdesti.

Ma ciò non basta; venga

serva chi rifiutò d'esser regina.

Tosto ad Asteria un nappo! e al basso impiego

innanzi al suo signor pieghi il ginocchio.

Ingiusto...

Che risolve?

Or ecco,

donde comincio ad avvilirti, o fiero,

e di te a vendicarmi, o prence ardito.

Mira la figlia, Baiazete! Vagheggia,

Andronico, l'amata!

Questo è suo dono, e perché suo, consacro

questa tazza all'amante e al genitore.

Ancora qui la temeraria? E come?

Chi ti concesse tanto ardire?

Tu Irene?

(ad Asteria)

Tu sì audace?

Sieda Irene; e tu iniqua,

il cui pallor già fece rea, che dici?

No, che sei disperata; o padre, o amante

me n'assicuri pria.

Fa' che l'assaggi o l'uno, o l'altro, e bevo.

Sconsigliata, che tenti?

Ad assisterti io vengo, alma costante!

(parte)

Seguitela, soldati, e a cenni miei  

sia custodita! Empia, due volte rea

di enorme tradimento, onde incomincio

il suo castigo? Dalla morte è poco:

dall'infamia si cerchi. E Baiazete

ne sia lo spettator. Si guidi il fiero

al serraglio de' schiavi; ivi a momenti

condotta Asteria, lui presente, sia

alla turba servil concessa in preda.

Irene sarà mia sposa. Il tradimento alfine

sia punito in Asteria,

e coronata sia la fé in Irene.

E ciò fia ver?

Placato? Parlarmi? E come?

Che dir saprà? Già viene.

Quant'ha le luci placide e serene!

Ma chi di man può trarti al furor mio?

Barbaro! alfin sei sazio ancor?  

Lo vedi già steso a terra.

A me convien seguir l'idol mio.  

No, prence, attendete.

Almeno lasciate...

Basta; Zaida, voi la seguite, e l'assistete.

E capace ei sarà d'aver pietade?

Andronico ed Irene

meglio a conoscer Tamerlano impari;

spinto da' suoi furori, è morto Baiazete,

entro a quell'urna io chiudo gli odi antichi

e i nuovi amori.

Prence, Asteria vi rendo;

il vostro puro affetto

conforti il suo dolor,

e asciughi il pianto,

e allor che dia natura

alle lacrime tregua, al dì riposo,

di Bisanzio alla reggia con voi ne vada

a terminar sua sorte, compagna al trono

e fida a voi consorte.

Per così grande e inaspettato dono,

signor, molto ti devo.

L'odio adesso placato, e resi amici,

cominceremo oggi a regnar felici.

Ora, invitta regina, il mio delitto  

so che perdon non merta;

ma pur sperar mi giovi,

che la vostra bontà m'assolva,

e ascolti d'un monarca pentito

i caldi prieghi.