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Scena prima |
Città. Dario. Cloridaspe. Brimonte. |
Q
Dario, Cloridaspe, Brimonte
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[Recitativo] | N
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DARIO |
Pronto eseguir delle consulte è il frutto,
perché oziosa man nuoce al pensiero:
chi tra il dir, e l'oprar tempo frappone,
i casi tenta, e provoca i perigli;
che un solo istante semina accidenti,
e dissipa i disegni, e guasta l'opre.
Si getti un ponte su l'Eufrate, e vada
un esercito intero,
per la nascosta valle,
ad aggredir l'armeno,
da' fianchi, e da le spalle.
Tu va', forte Brimonte,
con le tue truppe ad assaltarlo a fronte.
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CLORIDASPE |
L'impeto da più parti in giro armato
cinga il nemico a lo spuntar dell'alba,
all'or ch'il sonno a le palpebre umane,
tende insidie soavi, e le sorprende.
Con fatica minor le regie spade,
e a minor costo la vittoria avranno.
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BRIMONTE |
Vado a mercar decoro, e in nome eterno
a permutar la momentanea vita,
o della Persia invitta, alto monarca.
Vo a cimentar la povertà del merto,
dell'ossequio la gloria è mia ricchezza;
ma perché spesse volte,
tra capi al tuo voler subordinati,
gara di precedenza,
idra perversa di furor discorde,
precipita del principe i disegni;
e l'ambizion privata
pestilenza degl'animi ventosi,
quel, ch'è pubblico ben calca, e distrugge;
dammi titolo, e modo,
che purghi umori, e che puntigli escluda.
Altrimenti il nemico
profitterà delle discordie nostre,
e di Persia i difetti,
fabbri saran delle vittorie armene;
pondera ben, signor, queste ragioni,
e a me permetti liberi i sermoni.
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DARIO |
I diademi, i scettri,
che non voglion tragedie,
fingono gl'impotenti;
conosco i delinquenti,
dissimulo i delitti:
castigar tutti è un spopolar il regno,
punir nessuno è un fomentar le colpe;
la via di mezzo, che i rigori adopra,
sol contro a pochi è il pessimo de' mali:
il punito m'ha in odio,
perché agl'altri perdono,
l'impunito mi sprezza, perché stima
ch'io non osi punirlo. Il ciel m'aiuti.
Oggi crescendo raggi al tuo decoro
te, nobile Brimonte,
comandante supremo, io qui dichiaro;
il tuo merito insigne,
con caratteri d'oro
a te medesmo estende alta patente;
la battaglia all'armeno omai presenta,
le voci mie qualifica, e sostenta.
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Scena seconda |
Messo. Dario. Cloridaspe. Brimonte. |
<- Messo
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MESSO |
Signor, dal campo io vengo,
novelle funestissime t'arreco:
il re d'Armenia, tuo crudel nemico,
ha diviso le forze: e tolte in mezzo
le tue genti migliori,
n'ha fatto strage tal, ch'il ciel ne piange.
Signor, manda soccorso,
a salvar quel che resta; acciò l'armeno,
per tutto dove il grand'Eufrate bagna,
non rimanga padron della campagna.
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DARIO |
Non si può più versar ne' dubbi. Giove
s'è dichiarato armeno.
Già son partiti i tutelari numi,
che fur sostegni a questo impero: il fato
provo inimico aperto,
l'armeno col destin van di concerto.
Come, prode guerrier, ti stilla il sangue?
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MESSO |
Del ferro ostil m'arrivò un colpo, io mostro
del cor la fé nelle trafitte vene.
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DARIO |
Questa gioia, ch'è pompa alla mia mano,
sia rimarco d'onore alla tua destra;
premio a virtù s'unisca,
le tue ferite il guiderdon guarisca.
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| Messo ->
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CLORIDASPE |
Concedimi, signor, ch'armato io voli
in soccorso de' tuoi con le mie genti;
il mio genio, il mio debito mi chiama,
avrà dell'opre mie, cura la fama.
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DARIO |
Vanne: sia mia ventura,
l'ardir, l'ardor, che mostri,
nel salvarmi da barbari, e da mostri.
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BRIMONTE |
Il comando supremo a me donato,
eccettua, alto signor, la tua persona.
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DARIO |
Tua modestia ti onora;
questo ceder t'innalza,
e rispetto sì bel t'accresce il merto.
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CLORIDASPE |
Nel servirti, signor, godo esser primo;
godran le mie ferite ambiziose,
quest'anzianità; sarà il mio sangue
foriero a la vittoria; e se morissi,
meritarò dall'inimico applausi;
e sarà gloria del tuo nome invitto,
che la mia morte avventurata, ascenda
anco dell'oste a conseguir le lodi.
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DARIO |
Cessin gl'auguri mesti; in mezzo al cielo
sia preparato da propizie stelle
il sito a la fortuna.
Andate: vi accompagno, vi prevengo,
con augurar felice. I vostri brandi,
sian destini di morte,
compassi di sepolcro,
ordigni di ruina a chi ci insulta.
Fiorirà, mercé vostra, questo scettro,
pace a me, fama a voi, decoro al regno,
nell'opre vostre gareggiare io veggo,
brava spada, gran sorte, accorto ingegno.
| Dario, Cloridaspe, Brimonte ->
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Scena terza |
Floralba. |
Q
Floralba
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[Aria] | N
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Cresce il foco, avvampa il core;
ahi fortuna, che farò?
Io no 'l so:
nelle lagrime mie sommergo Amore.
Stelle perfide, che mi diedero
un affetto per inferno,
tal governo
fan di me,
che la stessa pietà,
nel vedermi, ed udirmi,
singulti non ha più per compatirmi.
Rivi limpidi, gorghi rapidi,
che al giardin nutrite i fiori
degl'amori,
chiusi in me,
deh, vi tocchi pietà,
con le vostre onde pure,
piaciavi sussurrar le mie sventure.
| (♦)
(♦)
|
| |
|
Da questo bel giardin, partire io voglio,
getti il caso a le sorti il viver mio,
sotto altro cielo consolar sper'io,
del combattuto seno, il rio cordoglio.
Il giocator cangiando carte, e sito,
prende talor della fortuna i crini,
chi sa, che ciel cangiato non destini,
amorosa salute al cor ferito.
| Floralba ->
|
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Scena quarta |
Vaffrino. Nicarco. Ermosilla. |
<- Vaffrino, Nicarco, Ermosilla
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VAFFRINO |
Questo è il boschetto ameno,
de' platani, ove disse
di trovarsi Ermosilla.
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NICARCO |
Vedila di lontan, ch'a noi se n' viene.
Mira l'andar, ch'abbonda in leggiadria,
e 'l portamento altero,
che lussureggia vezzi, e dardi scocca.
Guarda quella avvenenza peregrina,
osserva, come il grazioso piede,
rose crea, fiori stampa, ove cammina.
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VAFFRINO |
(Che nascerebbe poi,
là dove ella applicasse
delle labbra rosate un dolce succhìo?
Po' far, che no 'l vo' dir, ma quasi il dissi.
Mira di quelle guancie, le fossette,
dove Amore nascosto, notte e dì,
con lo strale fa all'alme, il chi va lì.
O Giove, o ciel, perché punir gl'errori
de' cori innamorati,
se son sì belli, e amabili i peccati?)
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NICARCO |
Che farnetichi e mormori, Vaffrino?
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VAFFRINO |
Dicevo, che non so, dirollo poi,
dirollo tra me stesso,
mi distempero tutto, e mi dileguo,
a quel bel viso appresso.
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NICARCO |
Ermosilla, un tuo sguardo,
m'è venuto a sfidare a morte il core;
con un raggio omicida,
svenò mia libertà, ferì la vita,
che supplica pietà, mercede grida.
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ERMOSILLA |
Piaccio a me stessa, perché piaccio a te,
e l'amor tuo Nicarco,
di superbia mi tenta.
Pecco di pretensione; e in uno istante,
o gradita cagion de' falli miei,
il mio misfatto, e la mia gloria sei.
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NICARCO |
Beato il dì, che queste luci apersi,
per ricever nel petto
un così caro, ed adorato oggetto.
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ERMOSILLA |
Se m'obblighi tua fede,
e prometti eseguire un mio pensiero,
io verrò teco in abito virile,
tua compagna sarò, guerrier gentile.
Che Vaffrin no 'l ridica.
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VAFFRINO |
Il tutto ho già obliato,
ferro, foco, tormento,
non mi trarrà da queste fauci un fiato,
non che per voi nocivo, un solo accento.
O destra mano, a te, cortese, e pia
traerà svaporar, l'angoscia mia.
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ERMOSILLA |
Vanne, ti seguirò, Nicarco mio,
disponi l'alma a' segnalati impieghi,
assuefa' te stesso,
a favorir di questo core i preghi.
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NICARCO |
Di me medesimo io diverrò maggiore,
per arrivar de' tuoi comandi al merto.
| Nicarco, Vaffrino ->
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Scena quinta |
Ermosilla. |
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Ira, infiammato affetto,
vindice dell'onore,
ti lusingo con viscere ferventi,
per satollar di questo cor le brame.
Un arabo mi esclude?
A colpi di vergogna,
la mia grand'alma è diventata incude?
Son percosso, e non nasce,
da le percosse mie,
riverbero mortale,
che il percussore esanimi, ed opprima?
Ascolto i tuoi protesti,
Nilo, che irrighi di mio padre il regno;
macchie d'infamia l'onda tua non lava;
troverà la vendetta il vero bagno,
che abolirà della mia fronte i nei.
Ermosilla rimanga in questi arnesi,
sgraverassi Usiman da gl'altri pesi.
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[Aria] | N
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Non parto io no, bella crudel, da te,
tu t'involi e ti rapisci a me.
Resta qui la mia fé,
ma giro altrove il piè,
empia, sai tu perché,
per ferir, e svenar l'arabo re.
Non parto io no, bella crudel, da te,
tu t'involi e ti rapisci a me.
Fama, che per gl'orecchi al cor m'entrò,
in Egitto, di te m'innamorò.
Il cor, che t'adorò,
a servirti volò;
or più speme non ho,
ed all'angoscie in grembo io morirò.
Fama, che per gl'orecchi al cor m'entrò,
in Egitto, di te m'innamorò.
Un tuo martire, o sorte, al suo fin va,
forse Statira un dì, mi piangerà.
Se fera crudeltà,
di ben nudato mi ha,
a la mia povertà,
elemosina, o stelle, o ciel pietà.
Un tuo martire, o sorte, al suo fin va,
forse Statira un dì, mi piangerà.
| Ermosilla ->
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Scena sesta |
Statira. Elissena. |
<- Statira, Elissena
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[Recitativo] | N
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STATIRA |
Cercati del giardin tutti i recessi,
non si trova Ermosilla, né Floralba.
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ELISSENA |
Saran forse elle uscite,
senza che tu il permetti?
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STATIRA |
Poteano uscir a lor bell'agio: mai
non le ho impedite. Or mira,
son questi d'Ermosilla e vesti, e veli.
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ELISSENA |
Se alcun l'avrà rapita,
l'avrà voluta ignuda,
che sogliono le vesti,
coprir magagne, e mascherar difetti.
Spesso velano i veli,
spalle ineguali, e montuose terga:
massime a questi tempi fortunati,
che il liscio delle carni,
e 'l crine infarinato,
tante bugie conduce sul mercato.
Sono dell'ambra stessa,
gl'odori condannati,
d'acconcie bocche a profumare i fiati.
Così non fosse il vero,
che l'amante tal'ora,
mentre crede baciar labbra gentili,
lambisce fiele, ed un sepolcro odora.
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STATIRA |
Ermosilla qui giunse di ventura,
Floralba, tu mi consegnasti.
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ELISSENA |
È vero.
Oh Floralba, Floralba,
se sapesti di te, quel che so io.
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STATIRA |
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ELISSENA |
A tempo lo saprai. Qui Dario viene.
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Scena settima |
Dario. Cloridaspe. Statira. Elissena. |
<- Dario, Cloridaspe
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DARIO |
Figlia, d'Armenia il re,
circonvallata ha questa patria omai.
Il re d'Arabia, a cumulare avvezzo
benefici immortali,
risolve andar con la fulminea spada,
a difendere te, me stesso e 'l regno.
Pria, ch'ei copra con l'elmo il bel sembiante,
a te viene in quest'ora,
e 'l tuo giardino un'altra volta onora.
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CLORIDASPE |
Principessa reale,
se in ciel la lattea via,
ch'è un gemmaio di stelle,
forma il sentier, ch'al sommo Giove adduce,
di virtute, e di grazie l'armonia,
con mistura divina, in te concorde,
forma la via ch'al paradiso arriva.
Tale ti riverisco, e in grazia chiedo
d'amor, d'onore un segno
che mi fortuni l'armi,
mentre le impugno, a custodirti il regno.
Da tanta grazia immortalato, io spero,
la vita a me serbar, a te l'impero.
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STATIRA |
Prefigura trionfi, o re cortese,
sopra il tuo brando, della Persia il trono.
Se per legge fatale
dal nembo d'oro delle stelle piove
necessità a' mortali,
la insigne tua virtù domina gl'astri.
Questa vermiglia piuma, che io ti dono,
sovra l'elmo fatal riponerai,
a vincer va'. Già sento
di mille trombe, e timpani i clangori,
de' gesti tuoi, preconizzar gl'onori.
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CLORIDASPE |
| |
STATIRA |
| |
ELISSENA |
Trangugia le parole i sensi doma,
che per mia fé ti stracciarò la chioma.
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CLORIDASPE |
Dove non può la lingua, il gesto parla.
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STATIRA |
Con amorosa cifra,
intenda il tuo pensier quello che scrive,
con i sospir, chi per te solo vive.
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[Aria] | N
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Va' singolar campion,
di Persia la ragion tratta col brando;
occhio fulminator,
del braccio feritor prevenga i colpi;
da mano così illustre, e così forte,
imparerà felicità la morte.
Come tua man vital
darà colpo mortal, re del cor mio?
Chi per te caderà,
sul morir troverà lieto il passaggio,
e sotto al grandinar d'aspre ferite,
t'udirai ringraziar,
dal mancar, dal spirar di mille vite.
| Dario, Statira, Elissena ->
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Scena ottava |
Cloridaspe. |
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| |
|
Statira, oh dio, partì,
sol bacerò la imago,
di quel sembiante vago,
che tra quest'aure luminosa uscì.
Una lacrima dia,
concedo a lei per la partenza mia.
Vattene, o mio sospir,
vapor della mia fede;
umìliati al bel piede,
bacialo e dì, che amaro è il mio partir.
Statira, idolo mio,
in te non entri a' danni miei l'oblio.
| S
Cloridaspe ->
|
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Scena nona |
Nicarco. Ermosilla. Vaffrino. |
<- Nicarco, Ermosilla, Vaffrino
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[Recitativo] | N
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NICARCO |
Si parte or or con la vanguardia il re;
seguitiamlo, Ermosilla,
ma dimmi apertamente il tuo pensiero.
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ERMOSILLA |
| |
NICARCO |
Vadan la vita, e le fortune, e cada
sopra la casa mia
di precipizi un monte,
per servirti, o mia bella,
le voglie ho più che pronte.
Tenti di codardia
un cor che t'idolatra?
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ERMOSILLA |
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NICARCO |
Torna a dir, non t'intendo.
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ERMOSILLA |
| |
NICARCO |
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ERMOSILLA |
Sì, sei sordo, o t'infingi?
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NICARCO |
Chi, Dario, o Cloridaspe?
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ERMOSILLA |
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NICARCO |
Il mio re?
L'udito mio rifugge
dall'ascoltar, si inorridisce il core,
s'arretra l'alma, ed il pensier vacilla;
l'immaginare in superficie il caso,
l'istantaneo fantasma è reo di morte.
Solo a pronunciar tanto misfatto,
sacrilega è la lingua, il fiato è in colpa,
di lesa maestà col dirlo io pecco.
Ma che offesa mortal da te ricevo
per dimanda sì indegna?
Traditor ti rassembro?
Ribelle mi supponi?
Mentono le tue false opinioni.
Se tu non fossi donna,
danno dell'uomo, e non del cielo dono,
risponderei con questo nobil ferro,
ch'a ruggine di infamia non soccombe;
l'amor che ti portai, converto in odio,
e l'error mio col pentimento io lavo;
vendi a qualche carnefice te stessa;
aborrisco, rifuggo,
diletti atroci, e manigoldi amplessi:
cerca un genio fellon, per tali eccessi.
| |
ERMOSILLA |
Scuso l'ardor, perché non sai chi io sia.
| |
NICARCO |
Sii pur quel che tu vuoi,
sono iniqui, ed indegni i sensi tuoi.
| |
ERMOSILLA |
| |
NICARCO |
Io no, contro una donna,
non son avvezzo ad avvilir la spada;
contro il debole sesso, arma impugnata
brutta il decoro al bellicoso nome;
femmina vinta, al vincitor è scorno.
| |
ERMOSILLA |
Vilissimo plebeo, schiavo arricchito,
vapor di fango sollevato a caso,
contrapposto all'onor, onta dell'armi,
osi così parlarmi? Apprendi, impara
co' principi a trattar, di cui si deve,
riverir l'ombra, idolatrare il cenno.
Nessun merto già mai, nessun destino,
conciliò al tuo fin sì degna sorte,
da coronata mano aver la morte.
| |
| Nicarco ->
|
VAFFRINO |
Di vostra grazia date o sommi dèi
un picciol donativo a' casi miei.
| |
ERMOSILLA |
| |
VAFFRINO |
Tagliatemi la lingua,
serenissime mani.
Così sarai del mio tacer sicuro.
Ma caverai da me poco costrutto,
vertigini patisco, e tremo tutto.
| |
ERMOSILLA |
Veggo genti venir, scostati alquanto.
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VAFFRINO |
Andrò da questo, e da quell'altro canto.
| Vaffrino ->
|
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Scena decima |
Ermosilla. |
|
| |
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Mente ondeggia, vicine
sono le sirti, e i naufragi miei.
Di me medesmo or mai,
disperate son l'opre, ed i pensieri.
Andiamo al campo: no,
se non mi scoprirò,
mi si faranno incontro ingiurie, e danni:
se chi io mi son dirò,
sarò sospetto introduttor d'inganni.
Ahi Statira, ahi Statira,
tue bellezze divine,
m'hanno condotto a periglioso fine.
Nicarco, estinto già, non può accusarmi;
Vaffrin tacerà: sì,
ma dove, e come viverò così?
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| |
[Aria] | N
|
|
Menfi, mia patria, regno,
padre, madre, ove sete?
Deh le mie amaritudini piangete;
lunge da voi per volontario esilio,
son mendico di core, e di consiglio.
Sconosciuto, solingo,
dovunque volgo i passi,
in fonti di pietà converto i sassi.
Ciel, protettor de' principi, a te solo
fa suo ricorso un disperato duolo.
| |
|
|
Scena undicesima |
Floralba, Ermosilla, Vaffrino. |
<- Floralba, Vaffrino
|
| |
[Recitativo e Aria] | N
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| |
FLORALBA |
Ecco Ermosilla in abito virile;
ove si va, compagna,
a sfidare gli eserciti in campagna?
| |
ERMOSILLA |
Floralba, chi t'indusse
a lasciare il giardino?
Statira che dirà,
quando né te, né me ritroverà?
| |
FLORALBA |
Un destino insolente,
agita la mia fuga.
| |
ERMOSILLA |
Una stella inclemente
persegue la mia pace: al campo io vado.
| |
FLORALBA |
| |
ERMOSILLA |
| |
VAFFRINO |
Io volo
a servirti, signor, signora, ohimè
ho la testa fra piè, corro, ove vuoi.
| |
ERMOSILLA |
Taciturno, e modesto, vien con noi.
| Ermosilla, Floralba ->
|
| |
[Aria] | N
|
|
VAFFRINO
Iº
Deluso giardiniero,
la mia purpurea rosa all'improvviso
invirilita io trovo in un narciso;
Cupido menzognero,
per divertirmi i sospirati amplessi,
trasmuta le nature, e cangia i sessi.
IIº
Pazientar m'è bisogno,
la mia coperta è diventata un velo,
e la mia sfera è divenuta un cielo;
o ch'io deliro, o sogno,
gli stupori confondo, e le parole,
s'è la mia stella trasformata in sole.
IIIº
Voglio stracciar le carte,
che di guadagno ogni speranza è morta,
chiamo a la dritta, e il punto esce alla storta.
Di tue bravure o Marte,
disordinati io provo gl'arsenali,
se su le targhe nascono i pugnali.
| Vaffrino ->
|
|
|
Scena dodicesima |
Birsante. Tersandro. |
<- Birsante, Tersandro
|
| |
[Recitativo] | N
|
| |
BIRSANTE |
Cercata ho in Libia, e Mauritania tutta,
la Cina, e l'India, infino al Gange ho corsa,
né ho d'Usiman, del re d'Egitto, figlio,
notizia, relazion, memoria alcuna.
Cerco la Persia, e fino ad ora indarno.
Mi saperesti tu,
venerando signore,
portar qualche ragguaglio,
d'Usimano d'Egitto?
| |
TERSANDRO |
(Costui certo è una spia.)
Temerario, che ardisci
qui dentro por l'insidioso piede,
che da te si richiede?
| |
BIRSANTE |
Nacqui grande in Egitto, e di quel re,
in altri tempi, ambasciator qui fui:
cerco Usiman suo figlio, e spia non sono.
Già Dario a me donò questo rubino,
ove intagliata la sua imago onoro:
mira, e la lingua mordi,
poiché a modestia, il dir, sì male accordi.
| |
TERSANDRO |
Riconosco la gemma, e la figura,
perdona a' miei sospetti,
e me pentito, a te medesimo giura.
Del principe, che cerchi,
né pur minimo avviso dar ti posso;
ma tra ben mille, e mille,
che già poc'ora andaro armati al campo,
forse, ch'egli si cela.
| |
BIRSANTE |
Al campo andrò, mi guidi il cielo i passi.
| Birsante, Tersandro ->
|
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|
Scena tredicesima |
Vaffrino. |
<- Vaffrino
|
| |
|
Mi manda il mio padrone, o la padrona,
femina, maschio, ermafrodito, e vuole
ch'io ben mi informi se Nicarco è morto;
già lo spogliaro i ladri, e nudo giace.
Io non so dove io vada,
per non errar sentiero, i piè dubbiosi,
informazion dimandano a la strada.
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| |
[Aria] | N
|
|
Era pur bella cosa,
se Ermosilla amoreggiando,
nel voler goder la sposa,
faceva ella di rimando.
Accidenti non già strani,
stravaganze dozzinali,
spesse volte i casi umani,
dan di cozzo in cose tali.
Soglion dire i letterati,
più profondi, e più saputi,
questi casi inopinati,
fanno i sposi ben venuti.
Ma se il maschio era nascoso,
fu Statira mal sicura;
nel giardin delizioso
le avrà detta la ventura.
Ma chi è costui, ch'alla mia volta vien?
Della madre natura egli è un sbadiglio,
o d'una quercia è figlio;
o che bella anticaglia,
è un uomo travestito da medaglia.
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Scena quattordicesima |
Birsante. Vaffrino. |
<- Birsante
|
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[Recitativo] | N
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BIRSANTE |
Sei tu di Persia, o amico?
| |
VAFFRINO |
Ti risponda il mio volto.
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BIRSANTE |
Del tuo volto le tenebre
ti figurano etiope.
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VAFFRINO |
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BIRSANTE |
Mi sapresti dar nova
d'Usimano, ch'è principe d'Egitto?
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VAFFRINO |
Descrivimi la sua fisionomia.
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BIRSANTE |
È di comun statura, ha chiome nere,
negri gl'occhi, e vivaci,
di poco eccede il sestodecimo anno:
del bianco mento a la sinistra parte,
minutissimo neo lo contrassegna;
nel destro ciglio ha per caduta un taglio,
ch'è vezzo, e non difetto in quel bel volto.
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VAFFRINO |
(Costui cerca Ermosilla...)
E chi sei tu che 'l cerchi?
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BIRSANTE |
Messo del re è suo padre.
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VAFFRINO |
E quant'è ch'il tuo principe è perduto?
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BIRSANTE |
Un anno in circa, e fino all'or fu detto,
ch'in abito mentito di donzella,
ramingava soletto.
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VAFFRINO |
(Ecco il tutto è svelato:
Ermosilla è Usimano,
largo di spalle, e stretto di cintura,
giovinetto bizzarro a dismisura;
pretensione d'Amor, sopra Statira,
lo fe' bramar dell'arabo la morte.)
Amico, io non saprei
che dirti d'Usiman, non lo conosco.
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BIRSANTE |
(Costui sa qualche cosa, e forse il tutto.
Ma ridirlo non osa.)
Se qualche avviso, etiope, mi darai,
questo piropo in regal dono avrai.
Prendi: minimo segno questo sia,
d'egizia cortesia.
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VAFFRINO |
Ringrazio vostra altezza,
venga ella meco al campo,
e troverà Usimano,
o come splende questa gioia, o dèi,
un atomo cortese,
di vostra grazia indora i giorni miei.
| Vaffrino, Birsante ->
|
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Scena quindicesima |
Tersandro, Servo indiano. |
<- Tersandro, Servo
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TERSANDRO |
Che cignetti, che mormori, che stilli,
pappagallo mal dotto, scimmia pazza.
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SERVO |
Addosso a Nicarco,
ucciso in campagna,
è stata ritrovata
questa bella medaglia.
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TERSANDRO |
Questa medaglia è di purissimo oro,
con lettere d'arabico idioma.
Intendi arabo, tu?
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SERVO |
Lascia un poco vedere,
co' giovinetti miei compagni andando,
alla scola ho imparato
molti linguaggi; l'arabo non mai.
Leggi tu, gran barone,
che delle bestie anco il linguaggio sai.
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TERSANDRO |
Questa è Lindaura, figlia
d'Orgonte re d'Arabia.
Ma chi uccise Nicarco?
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SERVO |
Non si sa chi ne fosse interfettore;
chiama qualche indovino
da le prove famose,
che ti farà chiarissime le cose.
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TERSANDRO |
Qualche regio rimarco,
qualche memoria insigne
si nasconde qui dentro.
Qui sta intagliato ancora
un sigillo reale.
Ma chi ti diè questa medaglia?
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SERVO |
Addosso
a Nicarco medesimo io la trovai,
quando per carità lo dispogliai.
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TERSANDRO |
Spogliare i morti è carità?
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SERVO |
Sta meglio,
e cosa è più morale in ogni conto,
tener vestito un vivo, che un defunto.
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TERSANDRO |
Orsù vientene in corte, e non partire.
| Tersandro ->
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Scena sedicesima |
Servo indiano. |
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[Aria] | N
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In India vo' tornar, corte non voglio;
questo viso di canape,
m'ha già stordito, con sì lungo imbroglio.
Sempre frodi, sempre inganni
han la corte riempita,
meglio è ber l'acqua di vita,
che tranghiottir, di pane in vece, affanni.
Sempre guerra, sempre sacco,
e diluvio di gabelle,
non cur'io saper novelle,
Bellona, e Marte, è a me, pipa, e tabacco.
Lascio al re, che ci governa,
trionfare in ogni parte,
mio trionfo è nelle carte,
ed il mio padiglione, è una taverna.
Non mi vo' fare immortale,
col tentar la dubbia sorte,
da la fame avrò la morte,
canterà le mie glorie un ospedale.
| (♦)
(♦)
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