Atto secondo

 

Scena prima

Galleria.
Orontea.

 Q 

Orontea

 

 

Qual soave veleno,  

qual incognito foco

per le vene mi scorre a poco a poco?

 

S'io non vedo Alidoro,  

par, che manchin li spirti,

e lungi dal suo bel quasi mi moro;

s'io lo miro, respiro,

il fulgor de' suoi sguardi il cor ricrea,

e sento dirmi in tacita favella

adoralo Orontea.

Amor, ah ti conosco

dalla facella tua vien questo ardore,

so chi tu sei, t'ho conosciuto Amore,

Amore? Amore? Dunque

amo un vil peregrino,

io che dianzi sprezzai più d'un regnante,

ov'è il fasto real, ov'è il decoro?

O dio non posso più, vinta son io,

odami il mondo tutto, amo Alidoro.

 

Scena seconda

Silandra, Orontea.

<- Silandra

 

SILANDRA

Signora un forestiero audienza chiede.  

ORONTEA

Ti disse il nome?

SILANDRA

No: mi disse solo,

ch'altra volta inchinò la tua grandezza.

ORONTEA

Digli, che venga.

SILANDRA

Il tuo comando adempio.

(parte)

Silandra ->

 

ORONTEA

Ogn'aspetto m'affanna, e mi sconforta,  

senza Alidoro mio lassa son morta.

 

Scena terza

Giacinta in abito virile, Orontea.

<- Giacinta

 

GIACINTA

Eccomi a' piedi tuoi  

riverita signora:

la tua schiava fedele

umile alfin s'inchina, umil t'adora.

ORONTEA

Qual schiava? Chi sei?

GIACINTA

Se le spoglie virili,

se le recise chiome

non ti lasciano forse

riconoscer colei,

che dal re di Cirene

già tuo nemico fu rapita in guerra,

rimira il volto mio

ti torni in mente di mia voce il suono,

la tua schiava fedel Giacinta io sono.

ORONTEA

Giacinta, o cara, o cara;  

o quanto volentieri

in Pafo or ti rivedo.

E con qual gioia, o dio

ti stringo, o mia fedel al seno mio.

GIACINTA

Io tua serva adorante

bacio con labbro umile

il terren, che calcar le regie piante.

ORONTEA

Non più, di tue sventure

narra l'istoria intera.

GIACINTA

Fui fatta prigioniera

da quelli di Cirene. Al duce Evandro

fui consegnata, egli di me s'accese,

di speme io lo nutrii, ei m'adorava,

quest'affetto mi pose

in stato tal, che con leggiadro inganno

mi liberai da servitù sì dura,

e in abito guerriero

volsi al regno fenice il piè fugace;

colà creduta Ismero

m'accolse in corte la regina Arnea,

ch'alla mia fedeltade

fidò del core i più riposti arcani,

e sdegnatasi un giorno

contro un pittor, che dimorava in corte

m'impose il seguitarlo, e dargli morte;

lo seguii, l'osservai: inverso Pafo

egli se n' venne: io nel vicino bosco

con volto mascherato,

l'assalgo, lo ferisco,

ma un valletto bizzarro,

mi sopraggiunse, e all'ira mia lo tolse.

Poscia per rassegnarti

alta regina l'immortal mia fede

rivolse a questa reggia il core, e 'l piede.

ORONTEA

Un pittor seguitasti?

GIACINTA

E ben vezzoso.

ORONTEA

Il suo nome?

GIACINTA

Alidoro.

ORONTEA

E lo feristi?

GIACINTA

E lo ferii.

ORONTEA

Oh scellerato.

(mette mano allo stile)

GIACINTA

Oh dio.

 

Scena quarta

Creonte, Orontea, Giacinta.

<- Creonte

 

CREONTE

Che farai troppo altera?  

Ah ferma, ah ferma i colpi

regina troppo irata, e troppo fiera.

ORONTEA

Come ardisci frenar le mie vendette?

CREONTE

Perché so, che costui giammai t'offese.

ORONTEA

Offese la giustizia, è traditore.

CREONTE

Lassalo castigar da' tuoi ministri.

ORONTEA

Mi confessò le colpe, e il suo delitto.

CREONTE

D'aver ferito il forestier pittore?

ORONTEA

Questo mi confessò, di morte è degno.

CREONTE

Ah regina, ah regina,

e quando mai con la scettrata destra

svenano i regi i delinquenti, i rei;

tutto so, tutto intesi,

non son figli d'Astrea gli sdegni tuoi;

ma se ben miri ciò, che porti in core

sono li sdegni tuoi furie d'amore.

Il ferito Alidoro...

ORONTEA

Taci, taci non più,

da me partiti tu.

GIACINTA

Parto per obbedire,

ma se morta mi vuoi, torno a morire.

Giacinta ->

 

Scena quinta

Orontea, Creonte.

 

ORONTEA

Così arrogante sei?  

CREONTE

Filosofia m'insegna

a svelarti sincero i pensier miei:

tu, che dianzi acclamavi

la libertà de' tuoi superbi spirti,

tu, che dianzi sprezzavi

un monarca, un eroe, un semideo,

dimmi come in un punto

sei fatta schiava d'un amor plebeo?

Chi ti travolse il core,

chi ti fe' divenir da te diversa

nella viltà, nelle bassezze immersa?

ORONTEA

Chi mi pubblica amante è mentitore.

CREONTE

M'accende a sdegno il tuo parlar insano.

ORONTEA

Non amo, non amai, non amerò.

CREONTE

Amar tu déi, ma non oggetto indegno.

ORONTEA

Non è indegno di me chi a me par bello.

CREONTE

E se bello ti parve adunque l'ami.

ORONTEA

Sì ch'io l'amo, e l'adoro,

odami il mondo tutto, amo Alidoro.

Orontea, Creonte ->

 

Scena sesta

Aristea.

<- Aristea

 

I

Se amor insolente  

per vaga beltà,

di strale pungente

bersaglio mi fa,

s'io ridere fo

chi mi vede languir

s'amor impazzò?

Non so, che mi dir;

all'età non perdona il cieco dio,

e se ben vecchia, son di carne anch'io.

II

S'io sento nel seno

soave martel,

s'io bevvi un veleno

più dolce di mel,

se l'alma languì

per beltà singolar

se amor vuol così,

non so, che mi far:

all'età non perdona il cieco dio,

e se ben vecchia, son di carne anch'io.

Ma qual stella benigna

fa comparirmi il mio bel sol davanti,

vuò tentarlo di nuovo

festeggiatemi in sen spiriti amanti.

 

Scena settima

Giacinta, Aristea.

<- Giacinta

 

GIACINTA

Dove infelice me,  

per sottrarmi allo sdegno

dell'irata Orontea rivolgo il piè?

Non ho chi mi consiglia,

e parmi ad ogni passo

inciampar nella morte, e ne' perigli.

ARISTEA

Fermati bellissimo,

odimi vaghissimo,

non tanta crudeltà,

se la tua grazia allettami,

se tua beltà dilettami,

pietade Ismero mio pietà, pietà.

GIACINTA

Non ti dissi poc'anzi,

che sono infruttuosi i preghi miei;

e qual pietà da me ricerchi, e vuoi?

ARISTEA

Figurati mio bene,

ch'io sia nel mar d'amore

una spalmata nave

di cui gonfin le vele

i miei spirti adoranti

di cui sien remi i miei pensieri amanti.

Vorrei, (a dirti il vero)

che del naviglio mio

tu fossi fedelissimo nocchiero.

GIACINTA

Ben intendo Aristea

l'occulto senso delle tue parole;

ma per condurti in porto

altra perizia, altro nocchier ci vuole:

se il mar d'amor ti turba

disperato è per noi ogni conforto,

e nel marino orgoglio,

(credimi) tutti dui daremmo in scoglio.

ARISTEA

Provati vita mia tempra il mio affanno

e se in porto non vo sarà mio danno.

GIACINTA

Inefficace, e vana

sarebbe ogni esperienza

non può far prove buone

un debole nocchier senza timone.

ARISTEA

Poche stille amorose

posson temprare il mio cocente foco,

mi contento del poco.

GIACINTA

Il poco non appaga

un ardente desio, né men trastulla,

e so ch'il poco mio

nelle tue man diventerebbe un nulla.

ARISTEA

Indiscreti pensieri.

GIACINTA

Indiscreti ma veri.

ARISTEA

Dunque amar non mi vuoi.

GIACINTA

T'amo e gradisco.

ARISTEA

Abbi di me pietà.

GIACINTA

Piango il tuo male.

ARISTEA

Sanalo dunque.

GIACINTA

Potess'io.

ARISTEA

Che manca?

GIACINTA

La forza ch'io non ho.

ARISTEA

Fa' ciò che puoi.

GIACINTA

Nulla poss'io.

ARISTEA

Di sforzarti procura.

GIACINTA

Altro non sforzerei, che la natura.

ARISTEA

Oh Ismero crudele.

GIACINTA

Aristea poco accorta.

ARISTEA

Così lasciar mi sai?

GIACINTA

Non voglio udir tuoi guai.

ARISTEA

Arresta ancora il piè.

GIACINTA

Saria peggio per te,

Aristea datti pace,

né ti rassembri grave

s'io non prendo a guidare questa tua nave.

ARISTEA

Addio nocchiero sordo.

GIACINTA

Addio naviglio ingordo.

Giacinta ->

 

Scena ottava

Aristea.

 

I

Invan sospira,  

piange e delira

chi a dispetto cor dona gl'affetti.

Più s'adorano

più s'innamorano

i dispetti,

fa pur quanto vuoi tu

co' tuoi dispetti m'innamori più.

II

O rigidetto,

o ritrosetto,

straziami l'alma pur col tuo rigore.

Sarà stabile,

immutabile

questo core.

Fa' pur quanto vuoi tu

co' tuoi dispetti m'innamori più.

 
 

Scena nona

Appartamento di Silandra.
Silandra.

 Q 

Silandra

 

SILANDRA

Addio Corindo, addio, più non affisso  

in te il pensier, né più per te sospiro.

Dove stassi Alidoro, un ciel rimiro.

E dove egli non è, parmi un abisso.

In questo loco attendo

il mio caro, il mio bene.

Vieni adorato mio,

giungi pietoso a consolar mie pene.

 

Scena decima

Corindo, Silandra.

<- Corindo

 

CORINDO

Vengo vengo cor mio,  

mia speranza, mio sol, vita, e desio.

SILANDRA

Chi mi chiama, che chiedi?

CORINDO

Non mi attendevi tu?

SILANDRA

Né per pensiero.

CORINDO

Che attendi?...

SILANDRA

Una nuova beltà, che mi invaghì.

CORINDO

So, che scherzi, o Silandra:

ma con gli scherzi ancor pena mi dai.

SILANDRA

Io non scherzo Corindo,

e se troppo stai qui, te n'avvedrai.

CORINDO

Dunque non m'ami più?

SILANDRA

Io più non t'amo.

CORINDO

Chi mi ti tolse, o dèi?

SILANDRA

Un che sembrò più bello agl'occhi miei.

CORINDO

Così cangiasti affetti, alma rubella.

SILANDRA

Taci, che per variar natura è bella.

CORINDO

O Silandra incostante.

SILANDRA

O Corindo arrogante.

CORINDO

Ritornami il cor mio.

SILANDRA

Chi te 'l contende?

CORINDO

Tu che già me 'l rubasti, e in sen l'ascondi.

SILANDRA

In petto? Sì? Fuori.

Fuori del petto mio cor di Corindo,

ritorna al tuo signore

fuori, fuori dich'io,

sta, sta, eccolo affé,

ecco il tuo cor, prendi, siam pari, addio.

Silandra ->

 

Scena undicesima

Corindo.

 

O cielo, a che son giunto?  

Come, come in un punto

cangiò pensiero, e voglie

questa ingrata bellezza?

Con qual perfidia scioglie

le voci, e mi disprezza?

Dianzi tutta amorosa,

or tutta disdegnosa

m'aborrisce, mi fugge,

e per novello foco

si consuma, si strugge?

S'incenerisce, e arde?

Mi schernì, mi lasciò?

O femmine bugiarde

più non vi credo no, no no no no.

Corindo ->

 

Scena dodicesima

Alidoro con tela, e pennelli. Tibrino.

<- Alidoro

 

ALIDORO

Fortunati colori  

dalla terra prodotti

per figurar dal ciel gl'alti tesori,

pennelli in terra eletti,

tratti da morte spoglie

per colorir d'un vivo sol gl'aspetti.

 

<- Tibrino

TIBRINO

Ecco il telaro; ecco la tela.  

ALIDORO

O caro

non mi scordo, che vivo io sol per te.

TIBRINO

Vivi pur per Silandra, e non per me:

ma vedila Alidor, che viene qua:

resta, e dipingi l'immortal beltà.

 

Scena tredicesima

Silandra, Alidoro, Tibrino.

<- Silandra

 

SILANDRA

Eccomi vita mia,  

perché da' tuoi colori

questo mio volto immortalato sia.

ALIDORO

Qui t'assidi Silandra,

né ti prendere a vile

se di ritrarre ardisce

le tue celesti idee pennello umile.

Così ti ferma io do principio a l'opra.

SILANDRA

Immobile mi vedi.

ALIDORO

A pena il credo.

SILANDRA

Perché?

ALIDORO

Perché non suole

star immobile il sole.

SILANDRA

Eh tu mi burli o mio core.

ALIDORO

Ah non burla chi more.

SILANDRA

Sia pur come vuoi tu.

TIBRINO

Or se dir mi convien la verità

e dipinger una donna

del pittor uopo non è,

che non pria porta la gonna,

ch'ei la impara a dipingersi da sé.

Insomma oggidì,

sian belle

sian brutte

le femmine tutte

la voglion così,

perché star celata, e stretta

aborrisce per natura

ha trovato la donna una ricetta

d'esporsi almeno al pubblico in figura

or m'assalti la paura

cosa ch'esser mai non può,

se di brocco non conclude

l'argomento ch'io ne so,

dona il ritratto suo la tale al tale,

ergo dar gli vorria l'originale.

ALIDORO

Vorrei per imitare

di tue guance i color bianchi, e vermigli

dall'aurora ottenere le rose, e i gigli.

SILANDRA

Di Campaspe vorrei

posseder le sembianze uniche, e belle

per esser degna del mio nuovo Apelle.

ALIDORO

Vorrei per ben ritrarre

delle tue chiome l'immortal tesoro

del torrente di Lidia il più bell'oro.

SILANDRA

Se vuoi, ch'a me somigli

l'alta pittura, mostra in quei colori,

che l'artefice suo devota adori.

ALIDORO

Vorrei per far simile

il finto labbro al labbro suo divino

il rosso del corallo, e del rubino.

SILANDRA

Vorrei...

 

Scena quattordicesima

Orontea, Silandra, Alidoro, Tibrino.

<- Orontea

 

ORONTEA

E che vorresti? E che si vuole?  

Con sì sfrenato ardire,

con sì sfacciata brama

nei real gabinetti

tratta un vil peregrino, una mia dama?

Qual pittura si forma?

Qual natura s'imita?

Ah ah, v'ho discoperti

immodesta Silandra,

temerario Alidoro:

tu sei l'original, quest'è il pittore

lascivo indegno amore,

vi contamina il cor, l'alme v'infetta.

O coppia maledetta.

Maledetto ritratto

portentosi pennelli,

mostruosi colori,

empi ministri di lasciva guerra,

già vi sbrano, vi rompo,

già vi squarcio, vi spezzo, a terra, a terra.

Tu poc'onesta amante

d'Alidoro aborrisci

le memorie, e 'l sembiante;

tu da l'alma disgombra,

di Silandra per sempre

non sol l'aspetto, ma il suo nome, e l'ombra,

e se novelle colpe

vi renderanno inobbedienti, e rei,

cadrete ambi cadrete

vittime del mio sdegno a' piedi miei.

TIBRINO

La regina, Alidoro

tutto ciò che si fa tacita ascolta:

ti serva per avviso un'altra volta.

Orontea, Tibrino, Silandra ->

 

Scena quindicesima

Alidoro.

 

 

Qual fulmine tonante,  

mi atterrì, m'atterrò in un istante,

colei, che dianzi qui parlò, chi fu?

La regina d'Egitto, o degl'abissi?

Formava accenti, o vomitò saette...

Silandra? Ohimè, che dissi?

Taci mia lingua, taci.

Quel nome a cui soggetto amor mi rende,

altissimo decreto

proferir adorar, ahi mi contende;

ma lasso, e quale affanno

il cor m'assale, oh dio?

Di qual duolo tiranno

si fa preda il cor mio?

Non posso più, ohimè, non posso più,

il guardo s'abbagliò, vacilla il piè.

 

Scena sedicesima

Gelone, Alidoro.

<- Gelone

 

GELONE

Il sole ancor non spunta,  

ed io già son in piè,

adunque il sole è più poltron di me.

O come saporoso

il sonno mi sembrò,

il brindisi, e il buon pro

sono la calamita del riposo.

Sognai (or mi sovviene)

sognai armi e cavalli,

arabi, turchi, e mori,

monti, pianure, e valli,

cervi, capre, monton, satiri, e tori,

e al finir della festa

parve ch'il sogno mi restasse in testa.

Ma, che veggo? Che miro?

Qual nuovo oggetto mi ferisce il guardo?

O che leggiadre forme?

O si svenne, o è ferito,

o che egl'è morto, o almen briaco, o dorme,

ehi là non dormir più,

camerata su su,

a punto: e muto e sordo, e stassi immoto,

né ben lo sveglierebbe il terremoto,

collane egli non ha, borsa non trovo.

 

Scena diciassettesima

Orontea, Gelone, Alidoro.

<- Orontea

 

ORONTEA

E che si fa?  

GELONE

(Ohimè.)

Io sfibbiavo costui per carità.

ORONTEA

Ove fosti sin ora?

GELONE

All'altro mondo.

ORONTEA

S'obbedisce così?

GELONE

Se delle mie dimore

Bacco fu la cagione:

la botte ch'il versò

si punisca, o signora, e non Gelone.

ORONTEA

Parti, fuggi di qua.

GELONE

Parto, fuggo, sparisco, e che sarà?

Gelone ->

 

Scena diciottesima

Orontea, Alidoro.

 

ORONTEA
I

Intorno all'idol mio    

spirate pur spirate

aure soavi, e grate,

e nelle guance elette

baciatelo per me cortesi aurette.

II

Al mio ben che riposa

su l'ali della quiete

grati sogni assistete

e 'l mio racchiuso ardore

svelategli per me, larve d'amore.

S

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Ohimè non son più mia,  

son di questo dormiente,

moro di gelosia,

ohimè non son più mia.

Adorato mio tesoro

non amar Silandra, no,

son regina e per te moro,

senza te spirti non ho.

Questo diadema d'oro,

ch'io ti poso sul crine

questo scettro real nacque per te,

tu sei l'anima mia, tu sei mio re.

Oh dio chi vide mai

più bella maestà, più bel regnante?

Divino è quel sembiante,

innamorano il ciel quei chiusi rai:

più bella maestà chi vide mai?

Ohimè non son più mia,

son di questo dormiente,

moro di gelosia,

ma nel mio cor sepolto

non vo' tener lo stral, che mi ferì;

una regina amante

non vuol penat, non vuol morir così,

leggi, leggi, o mio caro

in negre note i miei sinceri amori,

in brevi accenti immensità di ardori.

Dormi, dormi ben mio,

non mi ingelosir più, riposa, addio.

Orontea ->

 

Scena diciannovesima

Alidoro.

 

 

Qual profondo letargo  

i sensi mi legò?

Dove dove son io, chi mi svegliò?

Chi mi diè questo scettro, e questa carta,

da qual peso le tempie

sento gravarmi? Ohimè,

chi mi ingemmò le chiome? E che sarà?

Così occulti misteri

questa carta ridir forse saprà.

(legge)

«Alidoro t'adoro:

Silandra è mia rivale:

vincon regio decoro

amor, e gelosia coppia fatale:

vinser le tue bellezze in cor invitto,

sarai mio sposo, e regnator d'Egitto,

all'adorato ben, che l'invaghì,

la gelosa Orontea scrisse così.»

Fissa il chiodo, o fortuna,

insegnami a bramar, o tieni immota

tua volubil rota,

se di me s'invaghì regia beltà

più desiar non sa

l'alma, che tutte in sé le gioie aduna;

fissa il chiodo, o fortuna:

così mi basta, e non aspiro a meglio,

m'addormentai mendico, e re mi sveglio.

 

I

Care note amorose  

che palesate a me regia pietade

nel sacrario del core,

vi deposito umil note d'amore.

II

Resta in pace Silandra,

aspira a maggior segno il mio desire,

la mia brama è cangiata,

non voglia ingelosir sposa scettrata.

III

Fu l'ardor, ch'io provai

rogo di morte, e fu il mio cor fenice

incenerito er giacque,

morto a Silandra ad Orontea rinacque.

Alidoro ->

 

Scena ventesima

Amore in abito di medico.

<- Amore

 

 

Mortali, non ridete  

se amor cangiato in medico vedete.

Pudicizia, e Superbia a me nemiche

han pugnato fra loro,

ma dal superno seggio

precipitò percossa

la Pudicizia, e se n'andò col peggio.

Questo mendico nume a me rivale

vogl'ir a visitar all'ospitale,

e gli darò in un tratto

un beveron che la rovini a fatto.

Amanti non ridete

se amor cangiato in medico vedete.

 

I

Amor, e medicina,  

medicina, e amore

con simpatia divina

dan salute alle membra, e gioia al core.

II

Se alla dottrina io dedico

mio nume potentissimo,

or ch'io son fatto medico

il titol mi si dia d'eccellentissimo.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Galleria.

Orontea
 

Qual soave veleno

Orontea
<- Silandra

Signora un forestiero audienza chiede

Orontea
Silandra ->

Ogn'aspetto m'affanna, e mi sconforta

Orontea
<- Giacinta

(Giacinta in abito virile)

Eccomi a' piedi tuoi

(Giacinta si rivela)

Giacinta, o cara, o cara

Orontea, Giacinta
<- Creonte

Che farai troppo altera?

Orontea, Creonte
Giacinta ->

Così arrogante sei?

Orontea, Creonte ->
<- Aristea
Aristea
<- Giacinta

(Giacinta in abiti virili)

Dove infelice me

Aristea
Giacinta ->

Appartamento di Silandra.

Silandra
 
Silandra
<- Corindo

Vengo vengo cor mio

Corindo
Silandra ->
Corindo ->
<- Alidoro

Fortunati colori

Alidoro
<- Tibrino

Ecco il telaro; ecco la tela

Alidoro, Tibrino
<- Silandra

Eccomi vita mia

Alidoro, Tibrino, Silandra
<- Orontea

E che vorresti? E che si vuole?

Alidoro
Orontea, Tibrino, Silandra ->

Qual fulmine tonante

(Alidoro si addormenta)

Alidoro
<- Gelone

Il sole ancor non spunta

Alidoro, Gelone
<- Orontea

E che si fa? / Ohimè

Alidoro, Orontea
Gelone ->

Ohimè non son più mia

Alidoro
Orontea ->

(Alidoro si sveglia)

Qual profondo letargo

Alidoro ->
<- Amore

Mortali, non ridete

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima
La scena rappresenta il mar Rosso. Villaggio delizioso. Sala con appartamenti. Giardino. Cortil regio. Marina. Galleria. Appartamento di Silandra. Delizie in città con fontane. Borgo rovinato della città. Sala regia.
Prologo Atto primo Atto terzo

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