L'ORONTEA
Dramma per musica.
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Libretto di Giacinto Andrea CICOGNINI, Giovanni Filippo APOLLONI.
Musica di Antonio CESTI.
Prima esecuzione: 19 febbraio 1656, Innsbruck.
Personaggi:
AMORE |
soprano |
ORONTEA regina d'Egitto |
soprano |
CREONTE filosofo aio della regina |
basso |
SILANDRA dama |
soprano |
CORINDO cavaliero di corte |
contralto |
GELONE buffone |
basso |
TIBRINO valletto |
soprano |
ARISTEA vecchia |
contralto |
ALIDORO creduto figlio d'Aristea, che si scopre essere Floridano figlio di Sidonio re dei Fenici |
tenore |
GIACINTA schiava in abito di maschio sotto nome d'Ismero |
soprano |
Soldati della guardia reale.
Due tritoni. Sirena.
Superbia. Pudicizia.
La scena è in Pafo.
La scena rappresenta il mar Rosso.
Due Tritoni; Sirena in mare; Amore in una nube che viene allargando.
TRITONE
Iº
Spirano ardori
queste marine.
IIº
Son tutto foco
l'umide stille.
TRITONI
Per l'onde brillanti
guizzano i pesci amanti.
SIRENA
Se del marino chiostro
ogni nume, ogni mostro
per queste algose valli
guida festosi balli,
dalle muscose arene
festeggiamo ancor noi ninfe e sirene.
TRITONE
Iº
Stende in aria i vanni d'oro
chiara nube
che diffonde di luce ampio tesoro.
IIº
Tanto ardor vien di là su
a incenerir quest'onde.
Forse il ciel piomba qua giù.
SIRENA
Cinto Amore
di splendore
maestoso a noi se n' viene
festeggiamo ancor noi ninfe, e sirene.
AMORE
I
Deità di quest'acque
nel cui sen Venere nacque:
udite Amore
che per domar una beltà superba
che il suo gran nume offese
oggi s'accinge a memorande imprese.
II
La regina di Egitto,
che sprezzò mio dardo invitto,
impari, che amore
dà legge al mondo e all'universo impera,
e tra pianti, e sospiri
bersaglio di miei strali arda, e sospiri.
SIRENA
Se all'apparir del tuo divin sembiante
abbrucian questi lidi
o gran monarca infante,
ben di quel regio
tuo valor
trionferà,
e la bella Orontea
arderà,
cederà.
TRITONI
Arderà,
cederà,
la superba beltà.
Più pomposa,
più fastosa
la tua gloria al fin sarà.
Arderà,
cederà
la superba beltà.
AMORE
Questo strale
immortale
guerreggi, trionfi in questo dì.
Ferisca.
Colpisca
quell'alma fiera, che tanto ardì.
Io del protervo core
alle vittorie intento
lascio il polo,
e al par del vento
al regno de' mortali abbasso il volo;
ecco in terra
donne belle
un che guerra
fa alle stelle.
Ma de' vostri sembianti al puro ardore
resta ammirato, e innamorato Amore.
Più degl'astri del ciel,
che scintillano sì,
i veri occhi da me, belle, si onorano:
quelli al fin non m'innamorano
ed i veri occhi sì, sì, sì...
SIRENA E TRITONI
Se a punir un cor severo
sdegnato arciero
Amor se n' va,
arderà,
cederà
la superba beltà.
Villaggio delizioso.
Orontea.
Superbo Amore
al mondo imperi,
ma nel mio core
regnar non speri,
un nume infante
d'alma regnante
non trionferà,
miei spirti reali,
miei spirti immortali
libertà, libertà.
Un cieco, un nudo
folle tiranno!
Spietato, e crudo
pieno d'inganno.
Non mi tormenta,
non mi spaventa
con sua ferita,
miei spirti reali
miei spirti immortali
libertà, libertà.
Creonte, Orontea.
CREONTE
E pur sempre fastosa
di libertà ti vanti,
e sempre sorda alle preghiere umili
dei vassalli adoranti,
ogni marito sdegni,
ogni monarca sprezzi,
e con superbo stile
sin dei Fenici il re ti rechi a vile?
Ben è saggio quel core,
che libero voler chiude, e raccoglie,
ma non è buon costume
sotto vel di prudenza
immascherar l'insuperbite voglie.
ORONTEA
I nodi d'Imeneo sol stringe Amore.
Io ch'amore in sen non ho,
al marito non ambisco,
e a ragion m'insuperbisco
perch'amante esser non so.
CREONTE
Politica reale
deve insegnarti a superar te stessa.
ORONTEA
Non si può superar genio fatale.
CREONTE
Io prevedo rovine.
ORONTEA
Non temon le regine.
CREONTE
Ti vuole sposa il regno.
ORONTEA
De le nozze mi sdegno.
CREONTE
Imprudente decreto.
ORONTEA
Filosofo indiscreto.
CREONTE
Amante ti vedrò.
ORONTEA
Non amerò no no.
CREONTE
Superba vanità.
ORONTEA
Libertà, libertà.
Tibrino con spada nuda, Orontea.
TIBRINO
Hai provato assassino
la spada di Tibrino.
ORONTEA
Tibrino, olà?
TIBRINO
Ben ti giovò il fuggire
per sottrarti al mio sdegno, a i colpi, a l'ire.
ORONTEA
Non odi ancor?
TIBRINO
Chi è?
Perdonami signora,
io non ti vidi a fé
or ch'il furor mi accieca, e mi divora.
ORONTEA
Qual novitade apporti?
TIBRINO
Affronti, offese, e poco men che morti.
Giovinetto gentile,
ch'ha 'l sol ne' lumi,
e nelle guance aprile,
passeggero innocente,
vidi assalir poc'anzi
da traditor fellone,
da ladron insolente
restò (oh dio) restò
dal primo colpo il bel garzon ferito:
io con il brando ardito
di quel sicario indegno
al sen m'avvento, e dell'infame spada
lo ritolsi allo sdegno;
ma vedi l'infelice,
che mentre in qua ne viene
appoggiato alle braccia
d'una femmina annosa
(non so, se di lui madre, o pur compagna)
di sanguinose stille il terren bagna.
ORONTEA
Bella pietà m'insegna
a sollevar gl'oppressi.
TIBRINO
Il duol di voce il priva,
deh miralo signora,
e di' se così bello
in grembo a Citerea Adon languiva.
Aristea, Alidoro, Tibrino, Orontea.
ARISTEA
Non affrettar il passo
o mio figlio, o mio bene:
spera spera mia vita,
che forse alle tue pene
qui potrai ritrovar pietosa aita.
ALIDORO
Ohimè misero ohimè,
e quanto quanto indugia
l'alma a partir da me?
ARISTEA
Signora, ahi per pietà
soccorri un'infelice,
che tradito,
che ferito in sen mi sta.
ORONTEA
Sostienilo Tibrino:
dimmi, chi t'assalì?
ALIDORO
L'assalitore è ignoto;
ma nel ferirmi, oh dio, disse così:
la principessa Arnea queste t'invia...
ORONTEA
Figlia del re fenice?
ALIDORO
Quella... sì...
oh dio, non posso più: nel duolo immerso
dalla ferita, ohimè, l'anima verso...
ORONTEA
Entro al real palazzo
conducete il languente,
e medica virtute
ivi al trafitto sen doni salute.
ARISTEA
Generoso soccorso...
ALIDORO
Cortesissima aita.
TIBRINO
Non temer languidetto,
nelle mani real sta la tua vita.
Orontea sola.
Un impero,
che mi tira
a colui, che illanguidì,
un pensiero
che s'adira
contro il reo, che lo ferì,
un affetto,
un dispetto,
ch'improvviso nasce in me,
è pietade, o che cos'è?
Sala con appartamenti.
Gelone.
Chi non beve,
vita breve
goderà.
Il buon vino
ch'è divino
viver fa,
quanti seguendo amor vivono afflitti,
quanti immersi nel gioco impoveriscono,
quanti filosofando illanguidiscono,
e quanti in guerra al fin cadon trafitti.
Faccia ognun quel, che gli par,
ami, giochi, filosofi, o guerreggi,
ch'io saprò con miglior leggi
giorno, e notte trionfar,
un brillante liquor solo m'alletta,
Bacco è la dama mia, Bacco è il mio Marte,
la mia filosofia, la mia Bassetta.
Femmine: in là.
Armi: Ohimè.
Carte: no no.
Libri: oibò;
vuole esser vino
per ben gioir
a piè d'un tino
io vo' morir.
Corindo, Gelone.
CORINDO
I
Com'è dolce il vezzeggiar
amorosa beltà,
che cortese ti dà
quanto il cor sa bramar,
e se dolce è quel piacer,
quant'è più dolce nel suo sen goder.
GELONE
II
Quant'è dolce il rimirar
dalla botte uscir fuor
marzimino liquor,
che può l'alma bear,
e se dolce è quel veder
quant'è più dolce imbriacarsi, e ber.
Silandra, Corindo, Gelone.
SILANDRA
III
Come l'alma m'invaghì
il bell'oro d'un crin,
come un guardo divin
i miei spirti ferì,
e se dolce è il suo ferir
quant'è più dolce nel suo sen gioir.
GELONE
O come dolce...
CORINDO
Taci, taci importuno.
GELONE
Taccio, perché di ber non son digiuno.
(si ritira)
CORINDO
Spuntò in ciel l'alba novella,
ed io torno ad inchinar
te dell'alba del ciel, alba più bella.
SILANDRA
Sorge il sol nell'alta mole,
io qui venni a riverir
nel sol del tuo bel volto un più bel sole.
CORINDO
Silandra io non ho core,
amor me lo rubò,
e nel tuo seno i furti suoi celò.
SILANDRA
Corindo io non ho vita,
amor morte mi diè,
e vuol, che viva la mia morte in te.
CORINDO
Mio ristoro.
SILANDRA
Mio desio.
CORINDO
Mio tesoro.
SILANDRA
Tutto mio.
CORINDO E SILANDRA
Quanto cara è tua beltà!
Per te questo core
al cielo d'amore
beato se n' va.
GELONE
Via, via, non più, non più,
dalla villa vicina
torna improvvisamente la regina.
SILANDRA
Maledetto ritorno.
CORINDO
Sventurato ragguaglio.
SILANDRA
Mi ritiro alle stanze.
CORINDO
Io parto pien di duolo.
GELONE
A imbriacarmi io volo.
Giardino.
Orontea, Alidoro col braccio al collo.
ORONTEA
Fu lieve la ferita,
in salvo è la tua vita.
ALIDORO
Salva è la vita mia,
ma se da tua pietade
generosa regnante io la ricevo
alla grandezza tua tutta la devo.
Signora ecco un tuo schiavo,
ch'altro non ti può dar se non sé stesso,
comanda tu che sia
cinto il mio piede da servil catena,
e in quei ferrei giri
instupidito il mondo
la tua clemenza e le mie pompe ammiri.
ORONTEA
Palesami chi sei.
ALIDORO
Alidoro è il mio nome
fu mio padre un corsaro,
e la vecchia Aristea mia genitrice,
con lei peregrinando
in Fenicia n'andai, e in quella corte
mi fe' regio pittor benigna sorte;
ivi la principessa
Arnea del re Sidonio unica erede
non so per qual sventura arse per me,
io per fuggir rovine
lasciai la reggia, e in qua rivolsi il piè,
ma la crudel Arnea
volto l'amore in rabida vendetta
brama il mio sangue, e la mia morte affretta.
ORONTEA
Amasti forse Arnea?
ALIDORO
Né per pensiero.
ORONTEA
Alidoro non schiavo,
ma nella reggia mia
libero cavalier vivi, e respira.
Ch'io ben saprò dell'adirata Arnea
sottrarti all'empietade, all'onte, all'ira.
ALIDORO
O clemenza, o pietà, ch'ogni altra eccede,
pongh'io le labbra, ove posasti il piede.
ORONTEA
Dove vieni?
ALIDORO
A servirti.
ORONTEA
Non dée servirmi, un ch'a li scettri è nato.
ALIDORO
Nacqui per obbedir gl'imperi tuoi.
ORONTEA
Perde la maestà chi ti rimira.
ALIDORO
Nel volto tuo l'adorazion risplende.
ORONTEA
Non adoran gli dèi, son adorati.
ALIDORO
Perché mio nume sei umil t'adoro.
ORONTEA
Fa' ciò che vuoi pur che da me non parta.
ALIDORO
Comanda qual mi vuoi seguace, o scorta.
ORONTEA
Vieni... resta... no, sì; oh dio son morta.
Alidoro.
Vieni, resta, no, sì? E a qual comando
devo obbedir, oh dio!
Ah, di nuovi portenti
mi fan temere troppo
questi contrari irresoluti accenti:
cielo, e quando avran fine
i miei danni, il mio duol, le mie rovine?
Destin plàcati un dì,
purissimo è il cor mio,
innocente il desio,
che l'anima nutrì,
fierissimo destin plàcati un dì.
Silandra, Alidoro.
SILANDRA
Qual nuova luce in questa reggia ammirasi,
e quai splendor di alta beltà pompeggiono?
Quai stupor quai miracoli si veggiono?
Forse un nume del ciel in terra aggirasi?
Un ferito pittor le dame onorano,
il nome di Alidoro umili adorano.
Chi m'insegna
dove egli è?
Deh chi sa
dove sta
tanta beltà?
Per pietà
lo dica a me.
ALIDORO
Deh cortese donzella.
SILANDRA
Ohimè, che miro?
ALIDORO
Al quartiere real fammi la scorta.
SILANDRA
Io giunsi al cielo, e non me n'ero accorta.
Tosto ti condurrò dove tu chiedi,
pur che...
ALIDORO
Di' pur.
SILANDRA
Oh dio...
ALIDORO
Non parli più?
SILANDRA
Pur che tu...
ALIDORO
Che sarà?
SILANDRA
Volessi...
ALIDORO
E che...
SILANDRA
Ohimè, dir non lo so.
ALIDORO
E se non parli, io non t'intenderò.
SILANDRA
Sentimi dunque.
ALIDORO
Ascolto.
SILANDRA
Idolatra son io del tuo bel volto.
ALIDORO
Alli scherni donneschi io sono avvezzo.
SILANDRA
Qual idolo d'amor t'inchino, e apprezzo.
ALIDORO
Non aspira tant'alto il mio pensiero.
SILANDRA
Non occorre aspirar dove s'è giunto.
ALIDORO
Non s'ama in un sol punto.
SILANDRA
Amore in un istante
mi nacque in seno, e diventò gigante.
ALIDORO
I
Donzelletta
vezzosetta
d'ascoltarti non mi pento,
con gl'accenti
tuoi pungenti
scherza pur, ch'io son contento.
SILANDRA
II
Non schernisco
riverisco
le celesti deità;
s'io t'adoro
Alidoro,
il mio cor trafitto il sa.
ALIDORO
III
Troppo bella
sei donzella,
ond'il cor, che mio già fu,
ben mi dice
(infelice)
ch'altro vago adori tu.
SILANDRA
IV
Altri rai
adorai
quando amor mi ti celò,
or ti guardo,
e tutt'ardo,
a quel sol, che m'infiammò.
ALIDORO
Dunque Amore
per me il core
dolcemente ti ferì?
Insieme
SILANDRA
Questo petto.
Son ferita.
ALIDORO
Mio diletto.
O mia vita.
SILANDRA
Stringi pur.
ALIDORO
La notte, e il dì.
SILANDRA E ALIDORO
Io t'adoro, sì sì sì.
Cortil regio.
Gelone imbriaco.
Ferma là
ferma là,
non urtar;
non urtar; t'ucciderò...
saldo in barca: irato è il mar,
e 'l buon vin mi fa buon pro...
O che caldo
mi abbrucian queste piume,
non ci posso star saldo,
smorza quel lume,
non ci posso dormire,
o che caldo maledetto,
poss'io morire
se non ho le fiamme in petto.
Voga, voga, non ber più,
vogo anch'io, e voga tu,
al tempo sì scuro
gir per l'acqua è mal sicuro.
Guarda, guarda dove vai?
Ohimè, ohimè
la nave ha percosso,
la poppa s'apre,
si squarcia la prora,
la vela si rompe,
il remo si spezza,
l'antenna è divisa,
ah ah, ah scoppio di risa.
Bestia te ridi?
Vostù zugar,
brutto animal,
che te traggo in canal?
E là chi me dà man?
Chi me conduse?
Menego.
Bortolo.
Bestie.
Portéme luse.
Tibrino, Gelone.
TIBRINO
Pur ti ritrovo al fine.
La regina di te con fretta chiede,
su tosto verso lei moviamo il piede.
GELONE
E là, e là, zi zi.
Suonasi il cembalo.
Tu, alza i mantici,
toccate gl'organi,
si senta il piffero,
s'accordi il zufolo,
batti le naccare,
suona la cetera,
io vo' ballar.
TIBRINO
Che balli? Che follie? Ah non m'intendi?
Nella sala vicina
ti attende la regina.
GELONE
La regina di Marocco
non vuol più pigliar tabacco.
Aborrì quel viso sciocco,
e si diede in preda a Bacco.
TIBRINO
Sei fuor del senno, o fingi?
Orontea ti chiama.
GELONE
Vuoi tu un buon consiglio? Arrendi a me.
All'or ch'aman le gatte
la consorte abbraccia stretto.
Quando l'ostrica è da latte
non tener femmina in letto.
TIBRINO
O gentil consigliero:
non è, ne fa da stolto,
ma nel vino è sepolto,
non m'intendi Gelone?
GELONE
Ah scellerato,
t'ho pur ritrovato,
s'io ben ti squadro
tu sei quel ladro,
che mi rubò;
non fuggirai, no, no,
prendetelo
legatelo
feritelo
svenatelo
uccidetelo
sbranatelo.
TIBRINO
Al fin in terra ei cadde;
Gelon Gelone ascoltami,
vuoi tu gire a dormire?
GELONE
In grembo ai fiori
lieto mi sto,
tra grati odori
io dormirò.
TIBRINO
Che sofferenza senti?
GELONE
La boccia prendete
mescete
prendete
spengete la sete.
TIBRINO
La regina.
GELONE
La regina?
TIBRINO
La regina sì.
GELONE
Taci.
TIBRINO
Non parlo.
GELONE
La regina è imbriaca
e mi vuol per marito,
io non la voglio
sai tu perché?
TIBRINO
Non affé.
GELONE
Perché il conto a me non torna,
su la corona d'or spuntar le corna.
TIBRINO
O pensiero leggiadro,
vieni, vieni.
GELONE
Dove, dove.
TIBRINO
Vieni a bere.
GELONE
Vengo, vengo
e in un lago di vin il sonno spengo.
TIBRINO
Dammi la man.
GELONE
Dammi il bicchier.
TIBRINO
O che gusto.
GELONE
O che piacer.
TIBRINO
A dormir a ber a ber.
GELONE
A gioir a ber a ber.
Marina.
Superbia, Pudicizia.
SUPERBIA
Io del cor d'Orontea trionfar voglio.
PUDICIZIA
Io dell'alma real tempro gl'affetti.
SUPERBIA
O pudicizia stolta.
PUDICIZIA
O superbia arrogante.
SUPERBIA
Cedi il campo a mia fierezza.
PUDICIZIA
Cedi il campo a mia grandezza.
SUPERBIA
Alla superbia imperi?
PUDICIZIA
A me vuoi tu dar legge?
SUPERBIA
Dunque non cedi?
PUDICIZIA
No.
SUPERBIA
O detti arditi
l'armi decideran le nostre liti.
PUDICIZIA E SUPERBIA
Armi pur, armi pur,
all'armi, all'armi.
Guerra in ciel, guerra, guerra.
SUPERBIA
Cedi pur cedi pur, a terra a terra.
Galleria.
Orontea.
Qual soave veleno,
qual incognito foco
per le vene mi scorre a poco a poco?
S'io non vedo Alidoro,
par, che manchin li spirti,
e lungi dal suo bel quasi mi moro;
s'io lo miro, respiro,
il fulgor de' suoi sguardi il cor ricrea,
e sento dirmi in tacita favella
adoralo Orontea.
Amor, ah ti conosco
dalla facella tua vien questo ardore,
so chi tu sei, t'ho conosciuto Amore,
Amore? Amore? Dunque
amo un vil peregrino,
io che dianzi sprezzai più d'un regnante,
ov'è il fasto real, ov'è il decoro?
O dio non posso più, vinta son io,
odami il mondo tutto, amo Alidoro.
Silandra, Orontea.
SILANDRA
Signora un forestiero audienza chiede.
ORONTEA
Ti disse il nome?
SILANDRA
No: mi disse solo,
ch'altra volta inchinò la tua grandezza.
ORONTEA
Digli, che venga.
SILANDRA
Il tuo comando adempio.
(parte)
ORONTEA
Ogn'aspetto m'affanna, e mi sconforta,
senza Alidoro mio lassa son morta.
Giacinta in abito virile, Orontea.
GIACINTA
Eccomi a' piedi tuoi
riverita signora:
la tua schiava fedele
umile alfin s'inchina, umil t'adora.
ORONTEA
Qual schiava? Chi sei?
GIACINTA
Se le spoglie virili,
se le recise chiome
non ti lasciano forse
riconoscer colei,
che dal re di Cirene
già tuo nemico fu rapita in guerra,
rimira il volto mio
ti torni in mente di mia voce il suono,
la tua schiava fedel Giacinta io sono.
ORONTEA
Giacinta, o cara, o cara;
o quanto volentieri
in Pafo or ti rivedo.
E con qual gioia, o dio
ti stringo, o mia fedel al seno mio.
GIACINTA
Io tua serva adorante
bacio con labbro umile
il terren, che calcar le regie piante.
ORONTEA
Non più, di tue sventure
narra l'istoria intera.
GIACINTA
Fui fatta prigioniera
da quelli di Cirene. Al duce Evandro
fui consegnata, egli di me s'accese,
di speme io lo nutrii, ei m'adorava,
quest'affetto mi pose
in stato tal, che con leggiadro inganno
mi liberai da servitù sì dura,
e in abito guerriero
volsi al regno fenice il piè fugace;
colà creduta Ismero
m'accolse in corte la regina Arnea,
ch'alla mia fedeltade
fidò del core i più riposti arcani,
e sdegnatasi un giorno
contro un pittor, che dimorava in corte
m'impose il seguitarlo, e dargli morte;
lo seguii, l'osservai: inverso Pafo
egli se n' venne: io nel vicino bosco
con volto mascherato,
l'assalgo, lo ferisco,
ma un valletto bizzarro,
mi sopraggiunse, e all'ira mia lo tolse.
Poscia per rassegnarti
alta regina l'immortal mia fede
rivolse a questa reggia il core, e 'l piede.
ORONTEA
Un pittor seguitasti?
GIACINTA
E ben vezzoso.
ORONTEA
Il suo nome?
GIACINTA
Alidoro.
ORONTEA
E lo feristi?
GIACINTA
E lo ferii.
ORONTEA
Oh scellerato.
(mette mano allo stile)
GIACINTA
Oh dio.
Creonte, Orontea, Giacinta.
CREONTE
Che farai troppo altera?
Ah ferma, ah ferma i colpi
regina troppo irata, e troppo fiera.
ORONTEA
Come ardisci frenar le mie vendette?
CREONTE
Perché so, che costui giammai t'offese.
ORONTEA
Offese la giustizia, è traditore.
CREONTE
Lassalo castigar da' tuoi ministri.
ORONTEA
Mi confessò le colpe, e il suo delitto.
CREONTE
D'aver ferito il forestier pittore?
ORONTEA
Questo mi confessò, di morte è degno.
CREONTE
Ah regina, ah regina,
e quando mai con la scettrata destra
svenano i regi i delinquenti, i rei;
tutto so, tutto intesi,
non son figli d'Astrea gli sdegni tuoi;
ma se ben miri ciò, che porti in core
sono li sdegni tuoi furie d'amore.
Il ferito Alidoro...
ORONTEA
Taci, taci non più,
da me partiti tu.
GIACINTA
Parto per obbedire,
ma se morta mi vuoi, torno a morire.
Orontea, Creonte.
ORONTEA
Così arrogante sei?
CREONTE
Filosofia m'insegna
a svelarti sincero i pensier miei:
tu, che dianzi acclamavi
la libertà de' tuoi superbi spirti,
tu, che dianzi sprezzavi
un monarca, un eroe, un semideo,
dimmi come in un punto
sei fatta schiava d'un amor plebeo?
Chi ti travolse il core,
chi ti fe' divenir da te diversa
nella viltà, nelle bassezze immersa?
ORONTEA
Chi mi pubblica amante è mentitore.
CREONTE
M'accende a sdegno il tuo parlar insano.
ORONTEA
Non amo, non amai, non amerò.
CREONTE
Amar tu déi, ma non oggetto indegno.
ORONTEA
Non è indegno di me chi a me par bello.
CREONTE
E se bello ti parve adunque l'ami.
ORONTEA
Sì ch'io l'amo, e l'adoro,
odami il mondo tutto, amo Alidoro.
Aristea.
I
Se amor insolente
per vaga beltà,
di strale pungente
bersaglio mi fa,
s'io ridere fo
chi mi vede languir
s'amor impazzò?
Non so, che mi dir;
all'età non perdona il cieco dio,
e se ben vecchia, son di carne anch'io.
II
S'io sento nel seno
soave martel,
s'io bevvi un veleno
più dolce di mel,
se l'alma languì
per beltà singolar
se amor vuol così,
non so, che mi far:
all'età non perdona il cieco dio,
e se ben vecchia, son di carne anch'io.
Ma qual stella benigna
fa comparirmi il mio bel sol davanti,
vuò tentarlo di nuovo
festeggiatemi in sen spiriti amanti.
Giacinta, Aristea.
GIACINTA
Dove infelice me,
per sottrarmi allo sdegno
dell'irata Orontea rivolgo il piè?
Non ho chi mi consiglia,
e parmi ad ogni passo
inciampar nella morte, e ne' perigli.
ARISTEA
Fermati bellissimo,
odimi vaghissimo,
non tanta crudeltà,
se la tua grazia allettami,
se tua beltà dilettami,
pietade Ismero mio pietà, pietà.
GIACINTA
Non ti dissi poc'anzi,
che sono infruttuosi i preghi miei;
e qual pietà da me ricerchi, e vuoi?
ARISTEA
Figurati mio bene,
ch'io sia nel mar d'amore
una spalmata nave
di cui gonfin le vele
i miei spirti adoranti
di cui sien remi i miei pensieri amanti.
Vorrei, (a dirti il vero)
che del naviglio mio
tu fossi fedelissimo nocchiero.
GIACINTA
Ben intendo Aristea
l'occulto senso delle tue parole;
ma per condurti in porto
altra perizia, altro nocchier ci vuole:
se il mar d'amor ti turba
disperato è per noi ogni conforto,
e nel marino orgoglio,
(credimi) tutti dui daremmo in scoglio.
ARISTEA
Provati vita mia tempra il mio affanno
e se in porto non vo sarà mio danno.
GIACINTA
Inefficace, e vana
sarebbe ogni esperienza
non può far prove buone
un debole nocchier senza timone.
ARISTEA
Poche stille amorose
posson temprare il mio cocente foco,
mi contento del poco.
GIACINTA
Il poco non appaga
un ardente desio, né men trastulla,
e so ch'il poco mio
nelle tue man diventerebbe un nulla.
ARISTEA
Indiscreti pensieri.
GIACINTA
Indiscreti ma veri.
ARISTEA
Dunque amar non mi vuoi.
GIACINTA
T'amo e gradisco.
ARISTEA
Abbi di me pietà.
GIACINTA
Piango il tuo male.
ARISTEA
Sanalo dunque.
GIACINTA
Potess'io.
ARISTEA
Che manca?
GIACINTA
La forza ch'io non ho.
ARISTEA
Fa' ciò che puoi.
GIACINTA
Nulla poss'io.
ARISTEA
Di sforzarti procura.
GIACINTA
Altro non sforzerei, che la natura.
ARISTEA
Oh Ismero crudele.
GIACINTA
Aristea poco accorta.
ARISTEA
Così lasciar mi sai?
GIACINTA
Non voglio udir tuoi guai.
ARISTEA
Arresta ancora il piè.
GIACINTA
Saria peggio per te,
Aristea datti pace,
né ti rassembri grave
s'io non prendo a guidare questa tua nave.
ARISTEA
Addio nocchiero sordo.
GIACINTA
Addio naviglio ingordo.
Aristea.
I
Invan sospira,
piange e delira
chi a dispetto cor dona gl'affetti.
Più s'adorano
più s'innamorano
i dispetti,
fa pur quanto vuoi tu
co' tuoi dispetti m'innamori più.
II
O rigidetto,
o ritrosetto,
straziami l'alma pur col tuo rigore.
Sarà stabile,
immutabile
questo core.
Fa' pur quanto vuoi tu
co' tuoi dispetti m'innamori più.
Appartamento di Silandra.
Silandra.
SILANDRA
Addio Corindo, addio, più non affisso
in te il pensier, né più per te sospiro.
Dove stassi Alidoro, un ciel rimiro.
E dove egli non è, parmi un abisso.
In questo loco attendo
il mio caro, il mio bene.
Vieni adorato mio,
giungi pietoso a consolar mie pene.
Corindo, Silandra.
CORINDO
Vengo vengo cor mio,
mia speranza, mio sol, vita, e desio.
SILANDRA
Chi mi chiama, che chiedi?
CORINDO
Non mi attendevi tu?
SILANDRA
Né per pensiero.
CORINDO
Che attendi?...
SILANDRA
Una nuova beltà, che mi invaghì.
CORINDO
So, che scherzi, o Silandra:
ma con gli scherzi ancor pena mi dai.
SILANDRA
Io non scherzo Corindo,
e se troppo stai qui, te n'avvedrai.
CORINDO
Dunque non m'ami più?
SILANDRA
Io più non t'amo.
CORINDO
Chi mi ti tolse, o dèi?
SILANDRA
Un che sembrò più bello agl'occhi miei.
CORINDO
Così cangiasti affetti, alma rubella.
SILANDRA
Taci, che per variar natura è bella.
CORINDO
O Silandra incostante.
SILANDRA
O Corindo arrogante.
CORINDO
Ritornami il cor mio.
SILANDRA
Chi te 'l contende?
CORINDO
Tu che già me 'l rubasti, e in sen l'ascondi.
SILANDRA
In petto? Sì? Fuori.
Fuori del petto mio cor di Corindo,
ritorna al tuo signore
fuori, fuori dich'io,
sta, sta, eccolo affé,
ecco il tuo cor, prendi, siam pari, addio.
Corindo.
O cielo, a che son giunto?
Come, come in un punto
cangiò pensiero, e voglie
questa ingrata bellezza?
Con qual perfidia scioglie
le voci, e mi disprezza?
Dianzi tutta amorosa,
or tutta disdegnosa
m'aborrisce, mi fugge,
e per novello foco
si consuma, si strugge?
S'incenerisce, e arde?
Mi schernì, mi lasciò?
O femmine bugiarde
più non vi credo no, no no no no.
Alidoro con tela, e pennelli. Tibrino.
ALIDORO
Fortunati colori
dalla terra prodotti
per figurar dal ciel gl'alti tesori,
pennelli in terra eletti,
tratti da morte spoglie
per colorir d'un vivo sol gl'aspetti.
TIBRINO
Ecco il telaro; ecco la tela.
ALIDORO
O caro
non mi scordo, che vivo io sol per te.
TIBRINO
Vivi pur per Silandra, e non per me:
ma vedila Alidor, che viene qua:
resta, e dipingi l'immortal beltà.
Silandra, Alidoro, Tibrino.
SILANDRA
Eccomi vita mia,
perché da' tuoi colori
questo mio volto immortalato sia.
ALIDORO
Qui t'assidi Silandra,
né ti prendere a vile
se di ritrarre ardisce
le tue celesti idee pennello umile.
Così ti ferma io do principio a l'opra.
SILANDRA
Immobile mi vedi.
ALIDORO
A pena il credo.
SILANDRA
Perché?
ALIDORO
Perché non suole
star immobile il sole.
SILANDRA
Eh tu mi burli o mio core.
ALIDORO
Ah non burla chi more.
SILANDRA
Sia pur come vuoi tu.
TIBRINO
Or se dir mi convien la verità
e dipinger una donna
del pittor uopo non è,
che non pria porta la gonna,
ch'ei la impara a dipingersi da sé.
Insomma oggidì,
sian belle
sian brutte
le femmine tutte
la voglion così,
perché star celata, e stretta
aborrisce per natura
ha trovato la donna una ricetta
d'esporsi almeno al pubblico in figura
or m'assalti la paura
cosa ch'esser mai non può,
se di brocco non conclude
l'argomento ch'io ne so,
dona il ritratto suo la tale al tale,
ergo dar gli vorria l'originale.
ALIDORO
Vorrei per imitare
di tue guance i color bianchi, e vermigli
dall'aurora ottenere le rose, e i gigli.
SILANDRA
Di Campaspe vorrei
posseder le sembianze uniche, e belle
per esser degna del mio nuovo Apelle.
ALIDORO
Vorrei per ben ritrarre
delle tue chiome l'immortal tesoro
del torrente di Lidia il più bell'oro.
SILANDRA
Se vuoi, ch'a me somigli
l'alta pittura, mostra in quei colori,
che l'artefice suo devota adori.
ALIDORO
Vorrei per far simile
il finto labbro al labbro suo divino
il rosso del corallo, e del rubino.
SILANDRA
Vorrei...
Orontea, Silandra, Alidoro, Tibrino.
ORONTEA
E che vorresti? E che si vuole?
Con sì sfrenato ardire,
con sì sfacciata brama
nei real gabinetti
tratta un vil peregrino, una mia dama?
Qual pittura si forma?
Qual natura s'imita?
Ah ah, v'ho discoperti
immodesta Silandra,
temerario Alidoro:
tu sei l'original, quest'è il pittore
lascivo indegno amore,
vi contamina il cor, l'alme v'infetta.
O coppia maledetta.
Maledetto ritratto
portentosi pennelli,
mostruosi colori,
empi ministri di lasciva guerra,
già vi sbrano, vi rompo,
già vi squarcio, vi spezzo, a terra, a terra.
Tu poc'onesta amante
d'Alidoro aborrisci
le memorie, e 'l sembiante;
tu da l'alma disgombra,
di Silandra per sempre
non sol l'aspetto, ma il suo nome, e l'ombra,
e se novelle colpe
vi renderanno inobbedienti, e rei,
cadrete ambi cadrete
vittime del mio sdegno a' piedi miei.
TIBRINO
La regina, Alidoro
tutto ciò che si fa tacita ascolta:
ti serva per avviso un'altra volta.
Alidoro.
Qual fulmine tonante,
mi atterrì, m'atterrò in un istante,
colei, che dianzi qui parlò, chi fu?
La regina d'Egitto, o degl'abissi?
Formava accenti, o vomitò saette...
Silandra? Ohimè, che dissi?
Taci mia lingua, taci.
Quel nome a cui soggetto amor mi rende,
altissimo decreto
proferir adorar, ahi mi contende;
ma lasso, e quale affanno
il cor m'assale, oh dio?
Di qual duolo tiranno
si fa preda il cor mio?
Non posso più, ohimè, non posso più,
il guardo s'abbagliò, vacilla il piè.
Gelone, Alidoro.
GELONE
Il sole ancor non spunta,
ed io già son in piè,
adunque il sole è più poltron di me.
O come saporoso
il sonno mi sembrò,
il brindisi, e il buon pro
sono la calamita del riposo.
Sognai (or mi sovviene)
sognai armi e cavalli,
arabi, turchi, e mori,
monti, pianure, e valli,
cervi, capre, monton, satiri, e tori,
e al finir della festa
parve ch'il sogno mi restasse in testa.
Ma, che veggo? Che miro?
Qual nuovo oggetto mi ferisce il guardo?
O che leggiadre forme?
O si svenne, o è ferito,
o che egl'è morto, o almen briaco, o dorme,
ehi là non dormir più,
camerata su su,
a punto: e muto e sordo, e stassi immoto,
né ben lo sveglierebbe il terremoto,
collane egli non ha, borsa non trovo.
Orontea, Gelone, Alidoro.
ORONTEA
E che si fa?
GELONE
(Ohimè.)
Io sfibbiavo costui per carità.
ORONTEA
Ove fosti sin ora?
GELONE
All'altro mondo.
ORONTEA
S'obbedisce così?
GELONE
Se delle mie dimore
Bacco fu la cagione:
la botte ch'il versò
si punisca, o signora, e non Gelone.
ORONTEA
Parti, fuggi di qua.
GELONE
Parto, fuggo, sparisco, e che sarà?
Orontea, Alidoro.
ORONTEA
I
Intorno all'idol mio
spirate pur spirate
aure soavi, e grate,
e nelle guance elette
baciatelo per me cortesi aurette.
II
Al mio ben che riposa
su l'ali della quiete
grati sogni assistete
e 'l mio racchiuso ardore
svelategli per me, larve d'amore.
Ohimè non son più mia,
son di questo dormiente,
moro di gelosia,
ohimè non son più mia.
Adorato mio tesoro
non amar Silandra, no,
son regina e per te moro,
senza te spirti non ho.
Questo diadema d'oro,
ch'io ti poso sul crine
questo scettro real nacque per te,
tu sei l'anima mia, tu sei mio re.
Oh dio chi vide mai
più bella maestà, più bel regnante?
Divino è quel sembiante,
innamorano il ciel quei chiusi rai:
più bella maestà chi vide mai?
Ohimè non son più mia,
son di questo dormiente,
moro di gelosia,
ma nel mio cor sepolto
non vo' tener lo stral, che mi ferì;
una regina amante
non vuol penat, non vuol morir così,
leggi, leggi, o mio caro
in negre note i miei sinceri amori,
in brevi accenti immensità di ardori.
Dormi, dormi ben mio,
non mi ingelosir più, riposa, addio.
Alidoro.
Qual profondo letargo
i sensi mi legò?
Dove dove son io, chi mi svegliò?
Chi mi diè questo scettro, e questa carta,
da qual peso le tempie
sento gravarmi? Ohimè,
chi mi ingemmò le chiome? E che sarà?
Così occulti misteri
questa carta ridir forse saprà.
(legge)
«Alidoro t'adoro:
Silandra è mia rivale:
vincon regio decoro
amor, e gelosia coppia fatale:
vinser le tue bellezze in cor invitto,
sarai mio sposo, e regnator d'Egitto,
all'adorato ben, che l'invaghì,
la gelosa Orontea scrisse così.»
Fissa il chiodo, o fortuna,
insegnami a bramar, o tieni immota
tua volubil rota,
se di me s'invaghì regia beltà
più desiar non sa
l'alma, che tutte in sé le gioie aduna;
fissa il chiodo, o fortuna:
così mi basta, e non aspiro a meglio,
m'addormentai mendico, e re mi sveglio.
I
Care note amorose
che palesate a me regia pietade
nel sacrario del core,
vi deposito umil note d'amore.
II
Resta in pace Silandra,
aspira a maggior segno il mio desire,
la mia brama è cangiata,
non voglia ingelosir sposa scettrata.
III
Fu l'ardor, ch'io provai
rogo di morte, e fu il mio cor fenice
incenerito er giacque,
morto a Silandra ad Orontea rinacque.
Amore in abito di medico.
Mortali, non ridete
se amor cangiato in medico vedete.
Pudicizia, e Superbia a me nemiche
han pugnato fra loro,
ma dal superno seggio
precipitò percossa
la Pudicizia, e se n'andò col peggio.
Questo mendico nume a me rivale
vogl'ir a visitar all'ospitale,
e gli darò in un tratto
un beveron che la rovini a fatto.
Amanti non ridete
se amor cangiato in medico vedete.
I
Amor, e medicina,
medicina, e amore
con simpatia divina
dan salute alle membra, e gioia al core.
II
Se alla dottrina io dedico
mio nume potentissimo,
or ch'io son fatto medico
il titol mi si dia d'eccellentissimo.
Delizie in città con fontane.
Silandra.
Rigorosa Orontea
genitrice crudel del mio dolore,
mi stacca il cor dal sen, l'alma del core
Alidoro mia vita (ah fiera sorte)
tu diviso da me, per me sospiri,
ed io lungi da te, presto ho la morte;
ma vedi il vago mio:
a me già s'avvicina,
mi sveni la regina
riverir la vogl'io
sospirato Alidoro umil t'inchino.
Alidoro, Silandra.
ALIDORO
A me?
SILANDRA
A te mio bene...
ALIDORO
Raffrena i moti tuoi
immodesta donzella, ed arrogante,
e se inchinar mi vuoi
inchinami qual re, non come amante.
SILANDRA
Ferma, ascoltami ingrato.
ALIDORO
Con ardir sì sfacciato?
SILANDRA
In che ti offesi mai?
ALIDORO
Non mi offendesti.
SILANDRA
Perché dunque mi spregi?
ALIDORO
Dell'opre lor non dan motivi i regi.
SILANDRA
Soccorso alle mie pene!
ALIDORO
Io non so chi mi tiene.
SILANDRA
Ferma, ascoltami, oh dio.
Tibrino, Gelone da diverse parti.
TIBRINO
La corte è sottosopra.
GELONE
Si sente un gran bisbiglio.
TIBRINO
La cittade è in scompiglio.
GELONE
La prudenza è smarrita.
TIBRINO E GELONE
La regina è impazzita.
TIBRINO
I
Amore attendi a te.
Lassami star, sai, che non vo' tua pratica,
faresti impazzir me
come Orontea che diventò lunatica:
no, non so chi tu sei, non me lo scordo.
Ch'io segua amor cu, cu
qualche balordo.
GELONE
II
Ami chi vuol amar,
e ne' gusti d'amor l'alme s'accoppino;
io voglio tracannar
fin che le vene, e le budelle scoppino:
no no, so chi tu sei amor audace
sentirmi in sen clo, clo
solo mi piace.
TIBRINO
Soldato son io.
GELONE
Io son bevitor.
TIBRINO
La spada è il cor mio.
GELONE
Il vino è il mio amor.
TIBRINO
Picciol Marte io sono in terra.
GELONE
Bacco è il nume mio divino.
TIBRINO
Alla guerra, alla guerra.
GELONE
Al vino, al vino.
Creonte, Orontea.
CREONTE
A così infausto segno
ti guidò sconsigliata
un smoderato ardor, un senso indegno!
La regina d'Egitto
di Tolomeo la figlia
la superba Orontea.
Orontea l'adorata
l'adorata sprezzante
ad un pittor vagante
a un peregrin negletto
sacra il cor, dona un regno, offerisce il letto?
Che credi, che dirà
l'impero mal trattato?
Come tacer potrà
Sidonio il re fenice
per marito sì vil da te sprezzato?
Ah dio, che da te stessa
ti demolisce il trono,
sprezzi lo scettro, i precipizi appresti
e con vergogna eterna
la porpora real squarci, e calpesti.
Le leggerezze tue
al pensier d'Alidor servono d'ali,
al ciel della Superbia egli se n' vola.
Si pompeggia tuo sposo,
si vanta re, si fa inchinar, si gonfia,
e in maestade indegna
dei caratteri tuoi spiega l'insegna.
Al popolo, al senato
alle ceneri invitte
del tuo gran genitore
ii sentimenti miei le tue follie
me n' volo a palesar regio tutore.
ORONTEA
Ferma il passo o Creonte.
CREONTE
Ritorna in te regina.
ORONTEA
Amor legge non ha.
CREONTE
Ancor deliri?
ORONTEA
O dio se tu potessi
Alidoro vedere con gl'occhi miei.
CREONTE
Da me stesso accecarmi io ben saprei.
ORONTEA
Farò forza a me stessa.
CREONTE
Non basta.
ORONTEA
Ch'io m'uccida?
CREONTE
È troppo.
ORONTEA
E che far deggio?
CREONTE
Sbandirlo, allontanarlo
dagl'occhi, e più dal core
quest'il collirio sia del tuo furore
ORONTEA
Non più al tuo consiglio
mi soscrivo, e m'appiglio.
CREONTE
O riverita, o grande
d'Egitto imperatrice
vivi regna felice: io ravvivato
delle tue voci generose accorte
parto a quietar la sollevata corte.
Orontea.
Maledette grandezze,
ti bestemmio o politica reale
cagion d'ogni mio male;
lassa, e pur mi conviene
su base immaginata
il colosso innalzar delle mie pene?
Alidoro, Orontea, Silandra in disparte osservando.
ALIDORO
De' tuoi doni arricchito
ti ricerco anelante
riverita regina
servo, schiavo, e marito.
ORONTEA
Non vi smarrite, o spirti,
dimmi: dell'amor mio chi t'assicura?
ALIDORO
I caratteri tuoi, la tua scrittura.
ORONTEA
Perché la lacerasti?
ALIDORO
Io?
ORONTEA
Così mi fu detto.
ALIDORO
Il relatore
è falso, e mentitore.
ORONTEA
Dunque ancor la conservi?
ALIDORO
Qual immortal tesoro
la conservo, l'ammiro, inchino, e adoro.
ORONTEA
Dove, dov'è?
ALIDORO
A te la mostro già;
chi tal nuova ti diè, fede non ha.
Vedi pure s'è d'essa.
ORONTEA
Temerario arrogante
tu re, tu mio consorte ancor non sai
che per troppo innalzarsi Icaro cadde
e che d'un vano ardir premio è la morte?
Vilissimo vagante
nel mar d'eterno oblio
spegni il foco mal nato
e dall'aspetto mio
in cui l'istessa maestà s'adorna,
ti dilegua per sempre, e più non torna.
(straccia la carta in minuti pezzi, e parte)
Alidoro.
Così, così mi sprezza
chi dianzi m'adorò?
Così mi fugge, e aborre
chi dianzi al ciel d'amor mi sollevò?
Misero che farò, chi mi difende
da fulmine sì fiero
di cui m'acceca il lampo, assorda il tuono?
Ah le regine al fin femmine sono.
Ma fra tante sventure
pur mi consola, che Silandra mia
amorosa, costante
darà pietosa amante
al mio sprezzar audace
generoso perdon benigna pace.
Dopo un'orrida notte
la pietà di costei
promette a me un luminoso giorno:
se mi scaccia Orontea
a primi affetti miei umil ritorno.
Alidoro, Silandra.
ALIDORO
Silandra anima cara
il pentito Alidor ti giura, o bella
eterna servitù perpetua fé...
SILANDRA
A me?
ALIDORO
A te mia vita.
SILANDRA
Indietro o temerario
temerario superbo, e arrogante.
E se servir mi vuoi
servimi come vil non come amante.
ALIDORO
Deh, Silandra cortese.
SILANDRA
Ancor mi tenti?
ALIDORO
Perdonami mio bene.
SILANDRA
Io non so, chi mi tiene.
Alidoro.
I
Il mondo così va,
dianzi gradito,
ora schernito
provo strazi, e crudeltà.
Il mondo così va.
Chi semina il gioir raccoglie pianti
imparate a mie spese o folli amanti.
II
Della femmina al sì
pazzo è chi crede
costanza, e fede
dal suo cor donna sbandì:
il mondo va così
più non vi credo no donne incostanti:
imparate a mie spese o folli amanti.
Borgo rovinato della città.
Gelone.
Dal pittore schernita
in pena acerba, e ria
piange Silandra, e dell'error pentita
al suo Corindo ambasciator m'invia.
I
Amanti udite me
a pianger notte, e dì
voi sete pazzi a fé,
io non vo' far così.
Se pianger per chi ride, io vi vedrò
al pianto d'una botte io riderò.
II
Se d'abbruciarmi il cor amor s'ingegnerà,
di Bacco il buon liquor
sue fiamme smorzerà,
e d'amor dentro al sen mi sentirò,
entro un lago di vin l'annegherò.
Ma quanto indugia a comparir Corindo?
Corindo, Gelone.
CORINDO
Che novelle Gelone?
GELONE
Silandra la dolente
d'averti disprezzato
si vergogna, si pente;
ti fa del suo voler libero dono,
e chiede a te del suo fallir perdono;
e del pentito cor l'aspro cordoglio
reverente t'invia su questo foglio.
CORINDO
Per un rozzo pittore
quest'empia mi scacciò?
GELONE
Perdonagli signore
il diavol la tentò.
CORINDO
(legge la lettera)
«Amoroso Corindo
la giustizia d'amor de' falli miei
mi fe' provar le meritate pene:
il mio amor, la mia fé
umil ritorna a te.
Tu pietoso, e clemente
perdonami l'error, ovver m'uccidi
ch'io con l'istessa sorte
da te riceverò perdono o morte.»
Quanto puote una donna?
Quanto puote una stilla
di pianto femminil, ch'a viva forza
dell'ire ancor, che giuste, il foco ammorza,
torna a Silandra, e digli
ch'io gli perdono: ma...
GELONE
Ohimè!
CORINDO
Ma che non speri
di vedere serenato il mio sembiante,
sin, che non cada esangue
il mio rival il suo gradito amante.
GELONE
Chi? Quel superbo forse
che si vantò poc'anzi
nuovo re d'Egitto?
Quel pittor Alidoro?
Quel forestier insano?
Se non c'è chi l'uccide,
io io lo svenerò con questa mano.
Tibrino, Gelone, Corindo.
TIBRINO
Flemma, flemma, pian piano
men rabbia, e men furore
signor ammazzatore,
son qui per Alidoro, e chi presume
oltraggiarlo, affrontarlo, e sia chi vuole
rivolga a me la spada, e le parole.
GELONE
Figliolo tu vaneggi
non parlai d'Alidoro.
TIBRINO
Io ben udii.
GELONE
L'udito t'ingannò;
Corindo lo può dir; dille di no.
CORINDO
Decidete fra voi le liti vostre
io farò, ciò che detta
al generoso cor sdegno, e vendetta.
Gelone, Tibrino.
GELONE
Signore vengo, vengo.
TIBRINO
Adagio, adagio,
minacciasti Alidoro io ben t'intesi,
e per lui me n'offesi.
GELONE
E ben che vuoi da me?
TIBRINO
Voglio saper l'intero,
e se mi lasci in fallo una parola
ti vo' scannar, ti vo' segar la gola.
GELONE
La gola? Oh questo no:
mi sian pur gl'ossi sminuzzati, e pesti
ma 'l condotto del vin salvo mi resti.
Senti.
TIBRINO
Di' tosto.
GELONE
Dico:
Corindo amò Silandra,
Silandra amò Corindo,
ma poi rivolse ad Alidoro il core;
Alidoro l'amò, poi si pentì,
a Corindo perdon chiese Silandra.
Li perdonò Corindo
ma con questo però ch'ella non speri
di veder serenato il suo sembiante,
sin ch'a terra non cada
il suo rival, il suo novello amante.
TIBRINO
Dunque Corindo vuole...
GELONE
Uccider Alidor?
TIBRINO
Così giurò.
GELONE
E tu perché Alidor sgridi, e minacci?
TIBRINO
Io? Io? Ohibò guardami il cielo:
codardo impertinente
temerario imbriaco, se mai più
d'Alidoro ragioni
se pur lo guardi, o tocchi
giuro sbranarti il cor, cavarti gli occhi.
GELONE
Come adirato giura?
Come mi minacciò?
A smaltir la paura
all'osteria me n' vo.
Aristea.
Ismero crudele
languire mi fa,
ma salda, e fedele
quest'alma si sta.
Se ben da tormento,
non reca spavento
severa beltà,
se fiero rigor
ritroso mostrò.
Quel rigido sen
maestra d'amor
assalirò,
e del rigido cor trionferò.
Ma vedi il mio diletto
che pensoso che vien. Vo ritirarmi,
e con maggior vantaggio
preparo ad assalirlo, e preghi, e armi.
Giacinta.
Infelice cor mio.
Ora, che d'Alidoro
il costume osservai, vidi il sembiante
son di sicario, divenuta amante.
Vorrei scoprirmi, o dio
ma l'anima macchiata
dall'indegno delitto
le voci affrena, e nelle fibre immonde.
Mi sequestra gl'affetti, ed il desio
infelice cor mio.
Aristea, Giacinta.
ARISTEA
Ismero ove vai tu?
GIACINTA
Son disperato.
ARISTEA
E che t'affligge?
GIACINTA
Ogni più rio dolore
mi contamina il core.
ARISTEA
O semplicetto mio pur che tu voglia
mi vanto consolar ogni tua voglia.
GIACINTA
L'impossibil tenti o Aristea.
ARISTEA
L'oro, e l'amor ogni martir ricrea.
GIACINTA
Oro non ho, amor sperar non devo.
ARISTEA
Ogni contraria sorte
si può schivar fuor, che lo stral di morte.
Dolce cor mio
mio bel tesoro,
amor, ed oro
darti poss'io.
Amor non è che foco
ed io, viso mio bello,
provo per te nel seno un Mongibello.
L'oro rallegra il core.
A bramar la sua luce
ogni brama è trascorsa,
e se non l'ho nel crin l'ho nella borsa.
Insomma, anima mia,
son copiosa d'amor, e d'oro abbondo,
accetta il primo io ti darò il secondo.
GIACINTA
Aristea tu mi burli.
ARISTEA
Parlo sul saldo Ismero
deh consolami caro
allor vedrai s'io burlo, o fo da vero
GIACINTA
In fin che vuoi da me?
ARISTEA
Voglio il tuo affetto.
GIACINTA
Quanto ti posso dar, io ti prometto...
ARISTEA
E me l'attenderai?
GIACINTA
Così ti giuro...
ARISTEA
Questa ricca medaglia
grave d'oro, e di gemme
da me o vezzosetto amante
e i miei cortesi doni
per memoria di me in sen riposi.
GIACINTA
Troppo è grande il tuo dono.
ARISTEA
Il tuo merto è maggiore,
prendilo omai, non lo sdegnar mio core.
GIACINTA
Ma se lo prendo, che vorrai da me?
ARISTEA
Un bacio solo mi contenta a fé.
GIACINTA
Se altro non vuoi te ne darò ben cento.
ARISTEA
Io moro di dolcezza, e di contento:
prendi, prendi mio bene, e alle mie stanze
muovi tacito il piede
io te seguendo umile
me n' vengo a conseguir l'alta mercede.
GIACINTA
Io parto, ove comandi: ai baci intanto
e le guance, e i labbri m'apparecchia
pur mi sbrigai da questa insana vecchia.
Aristea.
I
Nel regno d'Amore
chi cerca ristoro
chi brama la fé
vuol'esser oro
credetelo a me.
Nell'amorosa guerra
un pugno d'oro ogni fortezza atterra.
II
Il pianto i sospiri
il dire mi moro
a nulla giovò.
Vuol esser oro
per prova lo so
l'oro è d'amor la scorta
con una chiave d'or s'apre ogni porta.
Corindo.
Tanto ardisce un plebeo?
Un mendico pittor tant'alto aspira?
Sovverte un vagabondo
il cor d'una Silandra, e a me la toglie;
temerario Alidoro, indegne voglie.
Sala regia.
Tibrino, Corindo.
TIBRINO
Nel real gabinetto
signor trovai per te questo biglietto.
CORINDO
Carattere simil mai più vid'io.
Al cavalier Corindo:
apro la carta.
TIBRINO
In risentito stile
leggerà ch'Alidoro
ha generoso il cor, l'alma gentile.
Corindo.
(legge la lettera)
«Tu ti vanti o Corindo
di privarmi la vita
come se dal mio seno
generosa virtù fosse sbandita.
Corindo ho core anch'io,
né spargo come tu le voci al vento,
questa carta t'invio
sol per sfidarti a singolar cimento;
tu di buon cavalier serva le leggi
e l'armi, e il campo a tuo piacer eleggi.
Alidoro d'Ipparco.»
Tanto può la superbia in cor plebeo?
Tanto ardisce un villano?
Mi sfida, mi ammaestra
ch'io di buon cavalier le leggi osservi?
O mal nato Alidoro
tanta temerità
vedrai, vedrai, come a punir si fa.
Alidoro, Giacinta.
ALIDORO
Già che femmina sei,
e serva d'Orontea
dell'offese mi scordo, e ti perdono.
GIACINTA
Pietosissimo dono
ma degli ardori miei
non averai pietatde anima mia?
ALIDORO
Intesi il tuo pensiero
non ti prometto ancor, né ti dispero.
Altro chiedi da me?
GIACINTA
Perché tu veda
che ben, che schiava, generosa io sono,
senti: la madre tua
che maschio mi credé, di me s'accese,
e pensando da me comprar gl'affetti
donommi questo impronto
tutto recinto di diamanti eletti;
io con giusto consiglio
se la madre me 'l diè, lo rendo al figlio.
ALIDORO
Quanto sei tu diletta
tanto è la madre mia semplice, e vana.
Vanne Giacinta: e spera
ristoro al nuovo ardore;
questa tua cortesia mi punse il core.
Alidoro, Gelone da parte osservando.
ALIDORO
La genitrice mia
con l'acquisto degl'anni il senno perde
quest'è la sua medaglia: o che follia!
Di qua l'aquila appare
improntato di qua sta l'elefante
non è mostro più brutto
quant'una vecchia amante.
Gelone.
La gemmata medaglia
con l'impronto real costui possiede
io ben la riconobbi
lo vider gl'occhi, e a pena il lo crede;
o che pittor leggiadro
invece de' pennelli
adopra i grimaldelli?
Al ladro, al ladro.
Orontea, Corindo.
ORONTEA
In che t'offese?
CORINDO
A duellar mi sfida.
ORONTEA
E ben?
CORINDO
Son cavaliero, egli è plebeo.
ORONTEA
Alidoro è plebeo? E chi te 'l disse?
CORINDO
È figlio d'un corsaro, e tanto basti.
ORONTEA
Non più, io d'Alidoro
il nome renderò illustre, e chiaro:
cavaliero lo pubblico, e dichiaro.
Creonte, Orontea, Corindo.
CREONTE
Frena, frena le voci
o donzella inesperta,
un ladro un furatore
di cavalier il titolo non merta.
ORONTEA
Chi? Chi fu ladro? Chi?
Silandra, Creonte, Orontea, Corindo.
SILANDRA
La tua real medaglia
Alidoro possiede, ei la rapì.
ORONTEA
E come ciò sapesti?
Gelone, Silandra, Creonte, Orontea, Corindo.
GELONE
Io scopersi il fellone.
Io quel gemmato impronto
vidi celar in seno al rio ladrone.
ORONTEA
Alidoro dov'è?
Tibrino, Gelone, Silandra, Creonte, Orontea, Corindo.
TIBRINO
Da' tuoi soldati vien condotto a te:
signora s'egli è reo
del rapito tesoro
fa' pur che muora appeso a un laccio d'oro;
ma se 'l trovi innocente
assolvilo clemente, e fa' che sia
punito il rio Gelon infame spia.
Alidoro, Soldati, Tibrino, Gelone, Silandra, Creonte, Orontea, Corindo.
ALIDORO
Qual delitto commisi?
Qual legge violai?
ORONTEA
Se gli tragga dal sen quella medaglia.
CREONTE
Vedrai, ch'è la tua,
scorgerai, ch'è simile
a questa mia, ch'a me
già donò Tolomeo
tuo genitor, e a me signor, e re.
Mira, mira s'è dessa?
ORONTEA
È dessa, è dessa
dimmi come possiedi
quell'impronto reale?
ALIDORO
Poc'anzi a me l'ha consegnato Ismero.
Giacinta, Alidoro, Soldati, Orontea, Creonte, Tibrino, Gelone, Corindo, Silandra.
GIACINTA
Confermo i detti suoi: ei disse il vero.
ORONTEA
E tu come l'avesti?
GIACINTA
La sua madre Aristea me 'l diede in dono...
GELONE
Senti, che razze ladre,
è complice del furto anco la madre.
ORONTEA
Aristea venga a me.
Aristea, Giacinta, Alidoro, Soldati, Orontea, Creonte, Tibrino, Gelone, Corindo, Silandra.
ARISTEA
Ah pur troppo son qui alta regina:
ti supplico a svelarmi in qual periglio
si trovi, ohimè quell'infelice figlio.
ORONTEA
Non più; rispondi a me,
che donasti ad Ismero?
ARISTEA
Una medaglia, e di gran prezzo io diedi.
ORONTEA
La riconosceresti?
ARISTEA
E perché no?
ORONTEA
Mira s'è questa?
ARISTEA
È senza dubbio quella.
ORONTEA
Come in man ti pervenne?
ARISTEA
Ipparco il mio consorte
con altre gemme, e preziosi arredi
ora termina appunto il terzo lustro,
a me la diede.
ORONTEA
Vanne,
vedi s'entro al mio stipo
trovi simil medaglia, e a me la porta.
(Tibrino piglia la chiave, e parte)
E come l'ebbe Ipparco?
ARISTEA
Fu corsaro, Orontea; ecco te 'l detto.
ORONTEA
Narrami il tutto.
ARISTEA
Carco
al suo nativo albergo
tornò di spoglie Ipparco,
ed a me presentò tappeti, e gemme
fra queste quell'impronto
che tieni in man regina
pendea dal collo di vezzoso infante.
(torna Tibrino con un'altra medaglia simile)
TIBRINO
Ecco l'altra medaglia, ecco la chiave.
CREONTE
Ma l'infante chi era?
ARISTEA
Era un figlio rapito
dal corsaro marito.
ORONTEA
Innocente è Alidoro.
CREONTE
Ferma signora, troppo importa il resto
dimmi dove 'l rapì?
ARISTEA
Per il mar Rosso
entro a grossa feluca
che 'l conducea verso il feniceo regno
corseggiando il rubò; così mi disse...
CREONTE
Dell'infante che fu?
ARISTEA
Del mio latte il nutrii, l'amai qual figlio.
CREONTE
Ed or dov'è?
ARISTEA
Eh dio,
prigionier d'Orontea è il figliol mio.
CREONTE
Dunque Alidoro fu rapito infante.
ARISTEA
Sì, Alidoro sì.
CREONTE
Ohimè signora.
ORONTEA
E che t'affanna?
CREONTE
Oh dio non ti sovviene
che la regina Irene
del gran Sidonio regnator fenice
la diletta consorte,
passò da Pafo. E qui (tu ben il sai)
un figlio partorì in questa reggia?
ORONTEA
Ciò pur m'è noto.
CREONTE
Non mandò tuo padre
entro armata feluca
l'infante, e la nutrice, e a quel naviglio
non fu preso, e predato,
e i custodi uccisi?
ORONTEA
E ben?
CREONTE
Non sai, che tre medaglie
fe' improntar Tolomeo:
e che una a me donò,
l'altra al fanciul fenicio
tra le fasce ripose, e che la terza
tenne per sé, di cui sei fatta erede.
ORONTEA
Il tutto è ver.
CREONTE
Dimmi tu,
la nutrice vedesti?
ARISTEA
La vidi, gli parlai.
CREONTE
E che ti disse?
ARISTEA
Mi disse, che Selvaggia era il suo nome.
Più volea dirmi, ma trafitta il seno
spirò l'alma dolente, e venne a meno.
CREONTE
E che ricerco più:
col tempo e con i segni il tutto accorda:
Orontea, regina:
questo, che di ladron ebbe l'accusa,
quest'Alidor che amasti,
questo che discacciasti
per quietar della corte il gran scompiglio
è fratello d'Arnea,
è Floridan del re fenice il figlio.
ORONTEA
Disciolgasi
dai lacci indegni
la destra nobile
nata per sostener, e scettri, e regni.
Innocente mio tesoro
rasserena il tuo bel volto,
se legato fu Alidoro
Floridan resta disciolto.
ALIDORO
Fra sì tante vicende
si confonde la mente
e non l'intende
servo, schiavo, e consorte
ti farò qual più vuoi fino alla morte.
ORONTEA
Silandra, di Corindo io ti fo moglie.
SILANDRA
Corindo a te mi dono.
CORINDO
Tuo servo, tuo marito bella io sono,
e a te real signore
dono li spiriti riverenti, e il core.
ORONTEA
Così dall'alma mia
parta la gelosia.
CORINDO
E a te real signore
dono li spirti reverenti, e 'l core.
ALIDORO
Io re?
ORONTEA
Tu re.
CREONTE
Tu re.
TIBRINO
Tu re.
ORONTEA
Non erra
un'anima imperante,
un pittore adorai, ch'era un regnante
Floridano mio bene
gl'eccelsi tuoi natali
son delle gioie mie
paraninfi fatali;
con amoroso invito
ti supplico in marito.
ALIDORO
Fra sì tante vicende
si confonde la mente, e non l'intende:
servo, schiavo, e consorte
ti sarò qual più vuoi fino alla morte.
ORONTEA E ALIDORO
Castissimi amori,
vibrate
gl'ardori
beate
due cori.
ORONTEA
Fuggite tormenti.
SILANDRA
Sparite lamenti.
Insieme
ORONTEA
Per te caro bene
fur dolci le pene
fu gioia il martir.
SILANDRA
Per te mio respir
fur dolci le pene
fu gioia il martir.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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