Illustrissimo

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...ed eccellentissimo signore, signore e padrone colendissimo.

Discepolto da le tombe di Tracia dovea risorger sotto il patrocinio di v.e. su le scene dell'Adria quell'Orfeo, che flagellando una lira, trar sapea da i canori tormenti d'una corda la dolcezza d'un canto, mentre nel glorioso stipite di v.e. campeggiando il leone, chi non sa esser proprio lo stillar ex forti dulcedo? e folgorandovi dentro una spada: io meglio non potea armarmi contro il tempo, che accoppiando il filo canoro d'un carme al tagliente filo d'un brando. E proprietà d'una porpora l'imprimer i rossori in chi s'accosta ai raggi del di lei riverbero; ma rammentandomi poscia, che nell'armonia d'un politico governo n'è v.e. in questo serenissimo cielo una intelligenza motrice, ben dovea sotto l'ombra luminosa del di lei ostro ricovrarsi quell'Orfeo, che con un'armonica dolcezza fu bastante ad inserir sensi ne' tronchi, e registrar leggi ne' sassi. E s'egli germe d'Apollo vantò già per genitore il nume de letterati, era ben anco di ragione rinascesse accolto da l'e.v. ch'è un fecondo Giove di minerve. Quindi è, che non fu sol dell'Egitto il trar pellegrini ammiratori a le regali soglie dei sapienti salomoni, quando su le sponde adriatiche inarca un mondo le ciglia per dar il varco a lo stupore in ammirando ne i palagi cornelii rinate le faconde carmene, e l'eloquenti polimmmie, che stancando la dorata tromba della Fama, più che con cento lingue ne parla di esse con una spada questa dea. E però sin da un tempo prevedendo gli spartani dover esser non men faconda d'una lingua una spada, archittetorono le spade in figura di lingue.

Arroti pur dunque su la mole d'una malevole Fortuna mordace Momo d'armi l'armi sue feritrici, che il mio Orfeo tra le famose pareti di v. e. (dove Pallade recisi i più fini allori ne compose eruditi serti a quelle fronti litterali) non paventerà il fulmine d'una lingua; e s'egli è vero, che da un lieve, e picciolo tributo può argomentarsi ciò che chiude di vasto un'animo ossequioso, cioè a dire ex ungue leonem, nulla può temere de' cinnici i latrati chi nel petto porta per cuore un leone.

Degnisi per tanto l'e. v. di accogliere con sereno ciglio sotto il di lei manto porporato il parto d'un cigno il più debole tra i canori di Pindo. E se tra i popoli pennuti dell'aere solo questi gloriasi d'una dolce morte cantando, sia mia gloria col canto del presente drama il poter sino al sepolcro rassegnarmi

di v. e. illustrissima

umilissimo devoto ed ossequiosissimo servo

Aurelio Aureli

Venezia li 14 dicembre 1672.

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