Atto terzo

 

Scena unica

Orfeo, Speranza

 
[Sinfonia]

 N 

 

ORFEO

Scorto da te, mio nume,  

Speranza unico bene

de gli afflitti mortali, omai son giunto

a questi regni tenebrosi e mesti

ove raggio di sol giammai non giunse.

Tu, mia compagna e duce,

in così strane e sconosciute vie

reggesti il passo debile e tremante,

ond'oggi ancora spero

di riveder quelle beate luci

che sol a gli occhi miei portano il giorno.

SPERANZA

Ecco l'atra palude, ecco il nocchiero

che trae gli spirti ignudi a l'altra sponda,

dov'ha Pluton de l'ombre il vasto impero.

Oltra quel nero stagno, oltra quel fiume,

in quei campi di pianto e di dolore,

destin crudele ogni tuo ben t'asconde.

Or d'uopo è d'un gran core e d'un bel canto:

io fin qui t'ho condotto, or più non lice

teco venir, ch'amara legge il vieta,

legge scritta col ferro in duro sasso

de l'ima reggia in su l'orribil soglia,

che in queste note il fiero senso esprime:

«Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate.»

Dunque, se stabilito hai pur nel core

di porre il piè ne la città dolente,

da te me n' fuggo e torno

a l'usato soggiorno.

 

Speranza ->

ORFEO

Dove, ah, dove te n' vai,  

unico del mio cor dolce conforto?

Poiché non lunge omai

del mio lungo cammin si scopre il porto,

perché ti parti e m'abbandoni, ahi lasso,

sul periglioso passo?

Qual bene or più m'avanza

se fuggi tu, dolcissima Speranza?

 

<- Caronte

CARONTE

O tu ch'innanzi morte a queste rive  

temerato te n' vieni, arresta i passi;

solcar quest'onde ad uom mortal non dassi,

né può coi morti albergo aver chi vive.

Che? vuoi forse nemico al mio signore,

Cerbero trar de le tartaree porte?

O rapir brami sua cara consorte,

d'impudico desire acceso il core?

Pon freno al folle ardir, ch'entr'al mio legno

non accorrò più mai corporea salma,

sì de gli antichi oltraggi ancora ne l'alma

serbo acerba memoria e giusto sdegno.

 
[Sinfonia]

 N 

 

ORFEO

Possente spirto e formidabil nume,  

senza cui far passaggio a l'altra riva

alma da corpo sciolta in van presume,

non viv'io no, che poi di vita è priva

mia cara sposa, il cor non è più meco,

e senza cor com'esser può ch'io viva?

Ritornello

 

A lei volt'ho il cammin per l'aër cieco,

a l'inferno non già, ch'ovunque stassi

tanta bellezza il paradiso ha seco.

Ritornello

 

Orfeo, son io che d'Euridice i passi

seguo per queste tenebrose arene,

ove già mai per uom mortal non vassi.

O de le luci mie luci serene;

s'un vostro sguardo può tornarmi in vita,

ahi, chi nega il conforto a le mie pene?

Sol tu, nobile dio, puoi darmi aita,

né temer déi che sopra un'aurea cetra

sol di corde soavi armo le dita

contra cui rigida alma invan s'impetra.

Brano musicale ()

CARONTE

Ben sollecita alquanto

dilettandomi il core,

sconsolato cantore,

il tuo pianto e 'l tuo canto.

Ma lunge, ah lunge sia da questo petto

pietà, di mio valor non degno affetto.

ORFEO

Ahi, sventurato amante,

sperar dunque non lice

ch'odan miei prieghi i cittadin d'Averno?

Onde qual ombra errante

d'insepolto cadavero infelice,

privo sarò del cielo e de l'inferno?

Così vuol empia sorte

ch'in questi orror di morte

da te, mio cor lontano,

chiami tuo nome invano,

e pregando e piangendo mi consumi?

Rendetemi il mio ben, tartarei numi.

Brano musicale ()

 
[Sinfonia]

 N 

 

 

Ei dorme, e la mia cetra,  

se pietà non impetra

ne l'indurato core, almeno il sonno

fuggir al mio cantar gli occhi non ponno.

Su dunque, a che più tardo?

Tempo è d'approdar su l'altra sponda,

s'alcun non è ch'il neghi;

vaglia l'ardir, se foran vani i preghi.

È vago fior del tempo

l'occasion, ch'esser dée colta a tempo.

Mentre versan quest'occhi amari fiumi

rendetemi il mio ben tartarei numi.

 

Orfeo ->

[Sinfonia]

 N 

 

<- Spiriti infernali

SPIRITI INFERNALI

Nulla impresa per uom si tenta invano,  

né contra lui più sa natura armarse,

e de l'instabil piano

arò gli ondosi campi, e 'l seme sparse

di sue fatiche, ond'aurea messe accolse.

Quinci perché memoria

vivesse di sua gloria,

la fama a dir di lui sua lingua sciolse,

che pose freno al mar con fragil legno,

che sprezzò d'austro e d'aquilon lo sdegno.

Per l'aeree contrade a suo viaggio

l'ali lievi spiegò Dedalo industre,

né di sol caldo raggio,

né distemprò sue penne umor palustre,

ma, novo augel sembrando in suo sentiero

a l'alta famiglia,

fece per meraviglia,

perché arridea fortuna al gran pensiero,

fermar il volo, e starsi e l'aure e i venti

a rimirar cotanto ardire intenti.

Altri dal carro ardente e de la face

ch'accende il giorno in terra al ciel salito,

furò fiamma vivace:

ma qual cor fu giammai cotanto ardito

che s'agguagli a costui ch'oggi si vede

per questi oscuri chiostri

fra larve e serpi e mostri

mover cantando baldanzoso il piede?

L'orecchie in van Caronte a i preghi ha sorde,

e invano omai Cerbero latra e morde.

 
[Sinfonia]

 N 

 

Fine (Atto terzo)

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Orfeo, Speranza
 

[Sinfonia]

Scorto da te, mio nume

Orfeo
Speranza ->

Dove, ah, dove te n' vai

Orfeo
<- Caronte

O tu ch'innanzi morte a queste rive

[Sinfonia]

Possente spirto e formidabil nume

[Sinfonia]

(Caronte si addormenta)

Ei dorme, e la mia cetra

Caronte
Orfeo ->

[Sinfonia]

Caronte
<- Spiriti infernali

[Sinfonia]

 
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