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L'Orfeo

L'ORFEO

Favola in musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Alessandro STRIGGIO.
Musica di Claudio MONTEVERDI.

Prima esecuzione: 24 febbraio 1607, Mantova.


Personaggi:

La MUSICA

soprano

PASTORE (I)

soprano

PASTORE (II)

tenore

Una NINFA

soprano

ORFEO

tenore

EURIDICE

soprano

Silvia, MESSAGGIERA

soprano

La SPERANZA

soprano

CARONTE

basso

PROSERPINA

soprano

Tre SPIRITI INFERNALI (tenore, tenore, baritono)

altro

PLUTONE

basso

ECO

tenore

APOLLO

tenore


Cori di Ninfe, Pastori, Spiriti infernali, Baccanti.



Prologo
Scena unica

[Tocata]

Ritornello

MUSICA

Dal mio Permesso amato a voi ne vegno,

incliti eroi, sangue gentil di regi,

di cui narra la fama eccelsi pregi,

né giugne al ver perch'è troppo alto il segno.

Io la Musica son, ch'a i dolci accenti

so far tranquillo ogni turbato core,

ed or di nobil ira, ed or d'amore

posso infiammar le più gelate menti.

Io su cetera d'or cantando soglio

mortal orecchio lusingar talora,

e in guisa tal de l'armonia sonora

de le rote del ciel più l'alme invoglio.

Quinci a dirvi d'Orfeo desio mi sprona,

d'Orfeo che trasse al suo cantar le fere,

e servo fe' l'inferno a sue preghiere,

gloria immortal di Pindo e d'Elicona.

Or mentre i canti alterno, or lieti, or mesti,

non si mova augellin fra queste piante,

né s'oda in queste rive onda sonante,

ed ogni auretta in suo camin s'arresti.

Ritornello

Atto primo
Scena unica

[Sinfonia]

[Introduzione]

PASTORE (I)

In questo lieto e fortunato giorno

ch'ha posto fine a gli amorosi affanni

del nostro semideo, cantiam, pastori,

in sì soavi accenti

che sian degni d'Orfeo nostri concenti.

Oggi fatt'è pietosa

l'alma già sì sdegnosa

de la bella Euridice;

oggi fatt'è felice

Orfeo nel sen di lei, per cui già tanto

per queste selve ha sospirato, e pianto.

Dunque in sì lieto e fortunato giorno

ch'ha posto fine a gli amorosi affanni

del nostro semideo, cantiam, pastori,

in sì soavi accenti

che sian degni d'Orfeo nostri concenti.

CORO DI NINFE, PASTORI

Vieni, Imeneo, deh vieni,

e la tua face ardente

sia quasi un sol nascente

ch'apporti a questi amanti i dì sereni

e lunge omai disgombre

de gli affanni e del duol le nebbie e l'ombre.

NINFA

Muse, onor di Parnaso, amor del cielo

gentil conforto a sconsolato core,

vostre cetre sonore

squarcino d'ogni nube il fosco velo;

e mentre oggi propizio al vostro Orfeo

invochiamo Imeneo

su ben temprate corde

col vostro suon, nostra armonia s'accorde.

CORO DI NINFE, PASTORI

Lasciate i monti,

lasciate i fonti,

ninfe vezzose e liete

e in questi prati

a i balli usati

leggiadro il piè rendete.

Qui miri il sole

vostre carole

più vaghe assai di quelle

ond'a la luna,

a l'aria bruna,

danzano in ciel le stelle.

Ritornello

PASTORE (I)

Ma tu, gentil cantor, s'a' tuoi lamenti

già festi lagrimar queste campagne,

perch'or al suon de la famosa cetra

non fai teco gioir le valli e i poggi?

Sia testimon del core

qualche lieta canzon che detti amore.

ORFEO

Rosa del ciel, gemme del giorno, e degna

prole di lui che l'universo affrena,

sol, ch'il tutto circondi e 'l tutto miri,

da gli stellanti giri,

dimmi: vedesti mai

alcun di me più fortunato amante?

Fu ben felice il giorno,

mio ben, che pria ti vidi,

e più felice l'ora

che per te sospirai,

perch'al mio sospirar tu sospirasti:

felicissimo il punto

che la candida mano

pegno di pura fede a me porgesti!

Se tanti cori avessi

quant'occhi ha il ciel sereno e quante chiome

sogliono i colli aver l'aprile e 'l maggio,

colmi si farien tutti e traboccanti

di quel piacere ch'oggi mi fa contento.

EURIDICE

Io non dirò qual sia

nel tuo gioire, Orfeo, la gioia mia,

che non ho meco il core,

ma teco stassi in compagnia d'Amore;

chiedilo dunque a lui s'intender brami

quanto lieta i' gioisca e quanto t'ami.

CORO DI NINFE, PASTORI

Lasciate i monti,

lasciate i fonti,

ninfe vezzose e liete

e in questi prati

a i balli usati

leggiadro il piè rendete.

Qui miri il sole

vostre carole

più vaghe assai di quelle

ond'a la luna,

a l'aria bruna,

danzano in ciel le stelle.

Poi che bei fiori,

per voi s'onori

di queste amanti il crine,

ch'or de i martiri

de i lor desiri

godon beati al fine.

Vieni, Imeneo, deh vieni

e la tua face ardente

sia quasi un sol nascente

ch'apporti a questi amanti i dì sereni,

e lunge omai disgombre

de gli affanni e del duol le nebbie e l'ombre.

Ritornello

PASTORE (I)

Ma s'il nostro gioir dal ciel deriva,

com'è dal ciel ciò che qua giù s'incontra,

giusto è ben che divoti

gli offriam incensi e voti.

Dunque al tempio ciascun rivolga i passi

a pregar lui ne la cui destra è il mondo,

che lungamente il nostro ben conservi.

Ritornello

PASTORI

Alcun non sia che disperato in preda

si doni al duol, benché talor n'assaglia

possente sì che la nostra vita inforsa.

Ritornello

CORO DI NINFE, PASTORI

Che poiché nembo rio gravido il seno

d'atra tempesta inorridito ha il mondo,

dispiega il sol più chiaro i rai lucenti.

Ritornello

PASTORI

E dopo l'aspro gel del verno ignudo

veste di fior la primavera i campi.

CORO DI NINFE, PASTORI

Orfeo, di cui pur dianzi

furon cibo i sospir, bevanda il pianto,

oggi felice è tanto

che nulla è più che da bramar gli avanzi.

CORO DI NINFE, PASTORI

Ma perché tal gioire

dopo tanto morire? Eterni numi,

vost'opre eccelse occhio mortal non vede

ché splendente caligine le adombra;

pur, se lece spiegar pensiero interno

sol per cangiarlo ove l'error si scopra,

direm ch'in questa guisa,

mentre i voti d'Orfeo seconda il cielo,

prova vuol far di sua virtù più certa:

ch'il soffrir le miserie è picciol pregio,

ma 'l cortese girar di sorte amica

suol dal dritto cammin traviare l'alme.

Oro così per foco è più pregiato;

combattuto valore

godrà così di più sublime onore.

Atto secondo
Scena unica

[Sinfonia]

ORFEO

Ecco pur ch'a voi ritorno

care selve e piagge amate,

da quel sol fatte beate

per cui sol mie notti han giorno.

Ritornello

PASTORE (I)

Mira, ch'a sé n'alletta

l'ombra Orfeo di que' faggi

or ch'infocati raggi

Febo dal ciel saetta.

Ritornello

PASTORE (II)

Su quelle erbose sponde

posiamci e 'n vari modi

ciascun sua voce snodi

al mormorio de l'onde.

Ritornello

PASTORI

In questo prato adorno

ogni selvaggio nume

sovente ha per costume

di far lieto soggiorno.

Ritornello

Qui Pan, dio de i pastori,

s'udì talor dolente

rimembrar dolcemente

suoi sventurati amori.

Ritornello

Qui le Napee vezzose,

(schiera sempre fiorita)

con le candide dita

fur viste a coglier rose.

Ritornello

CORO DI NINFE, PASTORI

Dunque fa' degni Orfeo,

del suon de l'aurea lira

questi campi ove spira

aura d'odor sabeo.

Ritornello

ORFEO

Vi ricorda, o boschi ombrosi,

de' miei lunghi aspri tormenti,

quando i sassi a' miei lamenti

rispondean, fatti pietosi?

Ritornello

Dite, allor non vi sembrai

più d'ogni altro sconsolato?

Or fortuna ha stil cangiato

ed ha volti in festa i guai.

Ritornello

Vissi già mesto e dolente,

or gioisco e quegli affanni

che sofferti ho per tant'anni

fan più caro il ben presente.

Ritornello

Sol per te, bella Euridice,

benedico il mio tormento,

dopo 'l duol vie più contento,

dopo il mal vie più felice.

PASTORE (I)

Mira, deh mira, Orfeo, che d'ogni intorno

ride il bosco e ride il prato,

segui pur col plettro aurato

d'addolcir l'aria in sì beato giorno.

MESSAGGIERA

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

PASTORE (I)

Qual suon dolente il lieto dì perturba?

MESSAGGIERA

Lassa, dunque debb'io,

mentre Orfeo con sue note il ciel consola

con le parole mie passargli il core?

PASTORE (I)

Questa è Silvia gentile,

dolcissima compagna

de la bella Euridice; o quanto è in vista

dolorosa! or che fia? Deh, sommi dèi,

non torcete da noi benigni il guardo.

MESSAGGIERA

Pastor, lasciate il canto,

ch'ogni nostra allegrezza in doglia è volta.

ORFEO

Donde vieni? Ove vai? Ninfa, che porti?

MESSAGGIERA

A te ne vengo, Orfeo,

messaggiera infelice

di caso più infelice e più funesto!

La tua bella Euridice...

La tua diletta sposa è morta.

ORFEO

Ohimè che odo? Ohimè.

MESSAGGIERA

In un fiorito prato

con l'altre sue compagne,

giva cogliendo fiori

per farne una ghirlanda a le tue chiome,

quando angue insidioso,

ch'era fra l'erbe ascoso,

le punse un piè con velenoso dente:

ed ecco immantinente

scolorirsi il bel viso e ne' suoi lumi

sparir que' lampi, ond'ella al sol fea scorno.

Allor noi tutte sbigottite e meste

le fummo intorno, richiamar tentando

gli spirti in lei smarriti

con l'onda fresca e coi possenti carmi;

ma nulla valse, ahi lassa!

ch'ella i languidi lumi alquanto aprendo,

e te chiamando Orfeo,

dopo un grave sospiro

spirò fra queste braccia, ed io rimasi

pieno il cor di pietade e di spavento.

PASTORE (I)

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

PASTORE (II)

A l'amara novella

rassembra l'infelice un muto sasso,

che per troppo dolor non può dolersi.

PASTORE (I)

Ahi, ben avrebbe un cor di tigre o d'orsa

chi non sentisse del tuo mal pietate.

Privo d'ogni tuo ben, misero amante.

ORFEO

Tu se' morta, mia vita, ed io respiro?

tu se' da me partita

per mai più non tornare, ed io rimango?

No, che se i versi alcuna cosa ponno

n'andrò sicuro a' più profondi abissi,

e intenerito il cor del re de l'ombre

meco trarrotti a riveder le stelle.

O se ciò negherammi empio destino

rimarrò teco in compagnia di morte,

a dio, terra; a dio, cielo; e sole, a dio.

CORO DI NINFE, PASTORI

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

Non si fidi uom mortale

di ben caduco e frale

che tosto fugge, e spesso

a gran salita il precipizio è presso.

MESSAGGIERA

Ma io ch'in questa lingua

ho portato il coltello

ch'ha svenata d'Orfeo l'anima amante,

odiosa a i Pastori ed a le Ninfe,

odiosa a me stessa, ove m'ascondo?

Nottola infausta, il sole

fuggirò sempre e in solitario speco

menerò vita al mio dolor conforme.

[Sinfonia]

PASTORI

Chi ne consola, ahi lassi?

O pur chi ne concede

negl'occhi un vivo fonte

da poter lagrimar come conviensi

in questo mesto giorno,

quanto più lieto già, tant'or più mesto?

Oggi turbo crudele

i due lumi maggiori

di queste nostre selve,

Euridice e Orfeo,

l'una punta da l'angue,

l'altro dal duol trafitto, ahi lassi, ha spenti.

CORO DI NINFE, PASTORI

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

PASTORI

Ma dove, ah, dove or sono

de la misera Ninfa

le belle e fredde membra,

che per suo degno albergo

quella bell'alma elesse

ch'oggi è partita in sul fiorir de' giorni?

Andiam Pastori, andiamo

pietosi a ritrovarle,

e di lagrime amare

il dovuto tributo

per noi si paghi almeno al corpo esangue.

CORO DI NINFE, PASTORI

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

Ritornello

PASTORI

Ma qual funebre pompa

degna fia d'Euridice?

Portino il gran feretro

le Grazie in veste nera,

e con le lor chiome sparse

le Muse sconsolate

l'accompagnin cantando

con flebil voce i suoi passati pregi.

Di nubi il ciel si cinga

e con oscura pioggia

pianga sopra il sepolcro:

e poi ch'egli avrà pianto,

languida luce spieghi,

e lampada funesta

sia di sì nobil tomba il sol dolente.

CORO DI NINFE, PASTORI

Ahi caso acerbo! ahi fato empio e crudele!

ahi stelle ingiuriose! ahi cielo avaro!

Qui si muta la scena.

Atto terzo
Scena unica

[Sinfonia]

ORFEO

Scorto da te, mio nume,

Speranza unico bene

de gli afflitti mortali, omai son giunto

a questi regni tenebrosi e mesti

ove raggio di sol giammai non giunse.

Tu, mia compagna e duce,

in così strane e sconosciute vie

reggesti il passo debile e tremante,

ond'oggi ancora spero

di riveder quelle beate luci

che sol a gli occhi miei portano il giorno.

SPERANZA

Ecco l'atra palude, ecco il nocchiero

che trae gli spirti ignudi a l'altra sponda,

dov'ha Pluton de l'ombre il vasto impero.

Oltra quel nero stagno, oltra quel fiume,

in quei campi di pianto e di dolore,

destin crudele ogni tuo ben t'asconde.

Or d'uopo è d'un gran core e d'un bel canto:

io fin qui t'ho condotto, or più non lice

teco venir, ch'amara legge il vieta,

legge scritta col ferro in duro sasso

de l'ima reggia in su l'orribil soglia,

che in queste note il fiero senso esprime:

«Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate.»

Dunque, se stabilito hai pur nel core

di porre il piè ne la città dolente,

da te me n' fuggo e torno

a l'usato soggiorno.

ORFEO

Dove, ah, dove te n' vai,

unico del mio cor dolce conforto?

Poiché non lunge omai

del mio lungo cammin si scopre il porto,

perché ti parti e m'abbandoni, ahi lasso,

sul periglioso passo?

Qual bene or più m'avanza

se fuggi tu, dolcissima Speranza?

CARONTE

O tu ch'innanzi morte a queste rive

temerato te n' vieni, arresta i passi;

solcar quest'onde ad uom mortal non dassi,

né può coi morti albergo aver chi vive.

Che? vuoi forse nemico al mio signore,

Cerbero trar de le tartaree porte?

O rapir brami sua cara consorte,

d'impudico desire acceso il core?

Pon freno al folle ardir, ch'entr'al mio legno

non accorrò più mai corporea salma,

sì de gli antichi oltraggi ancora ne l'alma

serbo acerba memoria e giusto sdegno.

[Sinfonia]

ORFEO

Possente spirto e formidabil nume,

senza cui far passaggio a l'altra riva

alma da corpo sciolta in van presume,

non viv'io no, che poi di vita è priva

mia cara sposa, il cor non è più meco,

e senza cor com'esser può ch'io viva?

Ritornello

A lei volt'ho il cammin per l'aër cieco,

a l'inferno non già, ch'ovunque stassi

tanta bellezza il paradiso ha seco.

Ritornello

Orfeo, son io che d'Euridice i passi

seguo per queste tenebrose arene,

ove già mai per uom mortal non vassi.

O de le luci mie luci serene;

s'un vostro sguardo può tornarmi in vita,

ahi, chi nega il conforto a le mie pene?

Sol tu, nobile dio, puoi darmi aita,

né temer déi che sopra un'aurea cetra

sol di corde soavi armo le dita

contra cui rigida alma invan s'impetra.

CARONTE

Ben sollecita alquanto

dilettandomi il core,

sconsolato cantore,

il tuo pianto e 'l tuo canto.

Ma lunge, ah lunge sia da questo petto

pietà, di mio valor non degno affetto.

ORFEO

Ahi, sventurato amante,

sperar dunque non lice

ch'odan miei prieghi i cittadin d'Averno?

Onde qual ombra errante

d'insepolto cadavero infelice,

privo sarò del cielo e de l'inferno?

Così vuol empia sorte

ch'in questi orror di morte

da te, mio cor lontano,

chiami tuo nome invano,

e pregando e piangendo mi consumi?

Rendetemi il mio ben, tartarei numi.

[Sinfonia]

Ei dorme, e la mia cetra,

se pietà non impetra

ne l'indurato core, almeno il sonno

fuggir al mio cantar gli occhi non ponno.

Su dunque, a che più tardo?

Tempo è d'approdar su l'altra sponda,

s'alcun non è ch'il neghi;

vaglia l'ardir, se foran vani i preghi.

È vago fior del tempo

l'occasion, ch'esser dée colta a tempo.

Mentre versan quest'occhi amari fiumi

rendetemi il mio ben tartarei numi.

[Sinfonia]

SPIRITI INFERNALI

Nulla impresa per uom si tenta invano,

né contra lui più sa natura armarse,

e de l'instabil piano

arò gli ondosi campi, e 'l seme sparse

di sue fatiche, ond'aurea messe accolse.

Quinci perché memoria

vivesse di sua gloria,

la fama a dir di lui sua lingua sciolse,

che pose freno al mar con fragil legno,

che sprezzò d'austro e d'aquilon lo sdegno.

Per l'aeree contrade a suo viaggio

l'ali lievi spiegò Dedalo industre,

né di sol caldo raggio,

né distemprò sue penne umor palustre,

ma, novo augel sembrando in suo sentiero

a l'alta famiglia,

fece per meraviglia,

perché arridea fortuna al gran pensiero,

fermar il volo, e starsi e l'aure e i venti

a rimirar cotanto ardire intenti.

Altri dal carro ardente e de la face

ch'accende il giorno in terra al ciel salito,

furò fiamma vivace:

ma qual cor fu giammai cotanto ardito

che s'agguagli a costui ch'oggi si vede

per questi oscuri chiostri

fra larve e serpi e mostri

mover cantando baldanzoso il piede?

L'orecchie in van Caronte a i preghi ha sorde,

e invano omai Cerbero latra e morde.

[Sinfonia]

Atto quarto
Scena unica

[Sinfonia]

PROSERPINA

Signor, quell'infelice

che per queste di morte ampie campagne

va chiamando Euridice,

ch'udito hai tu pur dianzi

così soavemente lamentarsi,

mess'ha tanta pietà dentro al mio core

ch'io torno un'altra volta a porger preghi

perch'il tuo nume al suo pregar si pieghi.

Deh, se da queste luci

amorosa dolcezza unqua traesti

se ti piacque il seren di questa fronte

che tu chiami tuo cielo, onde mi giuri,

di non invidiar sua sorte a Giove,

pregoti per quel foco

con cui già la grand'alma Amor t'accese,

d'Orfeo dolente il lagrimar consola,

e fa' che la sua donna in vita torni

al bel seren dei sospirati giorni.

PLUTONE

Benché severo ed immutabil fato

contrasti, amata sposa, a' tuoi desiri,

pur nulla omai si neghi

a tal beltà congiunta a tanti preghi.

La sua cara Euridice

contra l'ordin fatale Orfeo ricovri.

Ma, pria ch'ei tragga il piè da questi abissi

non mai volga ver lei gli avidi lumi,

ché di perdita eterna

gli fia certa cagione un solo sguardo.

Io così stabilisco. Or nel mio regno

fate, o ministri, il mio voler palese,

sì che l'intenda Orfeo

e l'intenda Euridice

e di cangiarlo or più tentar non lice.

SPIRITI INFERNALI

O de gli abitator de l'ombre eterne

possente re, legge ne sia tuo cenno,

ché ricercar altre cagioni interne

di tuo voler nostri pensier non denno;

trarrà da queste orribili caverne

sua sposa Orfeo, s'adoprerà suo senno

sì che no 'l vinca giovanil desio,

né i gravi imperi tuoi sparga d'oblio.

PROSERPINA

Quali grazie ti rendo

or che sì nobil dono

concedi a' prieghi miei signor cortese?

Sia benedetto il dì che pria ti piacqui,

benedetta la preda e 'l dolce inganno,

poiché per mia ventura

feci acquisto di te perdendo il sole.

PLUTONE

Tue soavi parole

d'amor l'antica piaga

rinfrescan nel mio core,

così l'anima tua non sia più vaga

di celeste diletto,

sì ch'abbandoni il marital tuo letto.

SPIRITI INFERNALI

Pietate oggi e Amore

trionfan ne l'inferno.

Ecco il gentil cantore,

che sua sposa conduce al ciel superno.

Ritornello

ORFEO

Qual onor di te fia degno,

mia cetra onnipotente,

s'hai nel tartareo regno

piegar potuto ogn'indurata mente?

Ritornello

Luogo avrai fra le più belle

immagini celesti

ond'al tuo suon le stelle

danzeranno co' giri or tardi or presti.

Ritornello

Io, per te felice a pieno,

vedrò l'amato volto,

e nel candido seno

de la mia donna oggi sarò raccolto.

Ma mentre io canto, ohimè chi m'assicura

ch'ella mi segua? Ohimè, chi mi nasconde

de l'amate pupille il dolce lume?

Forse d'invidia punte

le deità d'Averno

perch'io non sia qua giù felice a pieno

mi tolgono il mirarvi,

luci beate e liete,

che sol col guardo altrui bear potete?

Ma che temi, mio core?

Ciò che vieta Pluton, comanda Amore;

a nume più possente,

che vince uomini e dèi,

ben ubbidir dovrei.

(qui si fa strepito dietro alla scena)

Ma che odo, ohimè lasso?

S'arman forse a' miei danni

con tal furor le Furie innamorate

per rapirmi il mio bene, ed io 'l consento?

(qui si volta)

O dolcissimi lumi, io pur vi veggio,

io pur... ma qual eclissi, ohimè, v'oscura?

UNO SPIRITO

Rott'hai la legge, e se' di grazia indegno.

EURIDICE

Ahi, vista troppo dolce e troppo amara!

Così per troppo amor dunque mi perdi?

Ed io, misera, perdo

il poter più godere

e di luce e di vita, e perdo insieme

te d'ogni ben mio più caro, o mio consorte.

SPIRITI INFERNALI

Torna a l'ombre di morte,

infelice Euridice,

né più sperar di riveder il sole,

ch'omai fia sordo a' prieghi altrui l'inferno.

ORFEO

Dove te n' vai, mia vita? ecco i' ti seguo.

Ma chi me 'l vieta, ohimè, sogno o vaneggio?

Qual poter, qual furor da questi orrori,

da questi amati orrori

mal mio grado mi tragge e mi conduce

a l'odiosa luce?

[Sinfonia]

SPIRITI INFERNALI

È la virtute un raggio

di celeste bellezza,

fregio dell'alma ond'ella sol s'apprezza:

questa di tempo oltraggio

non teme, anzi maggiore

divien se più s'attempa il suo splendore.

Nebbia l'adombra sol d'affetto umano,

a cui talor invano

tenta opporsi ragion, ch'ei la sua luce

spegne, e l'uomo cieco a cieco fin conduce.

Orfeo vinse l'inferno e vinto poi

fu da gli affetti suoi.

Degno d'eterna gloria

fia sol colui ch'avrà di sé vittoria.

[Sinfonia]

Qui di nuovo si volge la scena.

Atto quinto
Scena unica

Ritornello

ORFEO

Questi i campi di Tracia, e questo è il loco

dove passommi il core

per l'amara novella il mio dolore.

Poiché non ho più spene

di ricovrar pregando,

piangendo e sospirando

il perduto mio bene,

che poss'io più se non volgermi a voi,

selve soavi, un tempo

conforto ai miei martir, mentre a dio piacque

di farvi per pietà meco languire

al mio languire?

Voi vi doleste, o monti, e lagrimaste

voi, sassi, al dipartir del nostro sole,

ed io con voi lagrimerò mai sempre,

e mai sempre dorròmmi, ahi doglia, ahi pianto!

ECO

Ahi pianto.

ORFEO

Cortese Eco amorosa,

che sconsolata sei,

e consolar mi vuoi ne' dolor miei,

benché queste mie luci

sien già per lagrimar fatte due fonti,

in così grave mia fiera sventura

non ho pianto però tanto che basti.

ECO

Basti.

ORFEO

Se gli occhi d'Argo avessi

e spandessero tutti un mar di pianto,

non fora il duol conforme a tanti guai.

ECO

Ahi.

ORFEO

S'hai del mio mal pietade, io ti ringrazio

di tua benignitate.

Ma, mentr'io mi querelo,

deh, perché mi rispondi

sol con gl'ultimi accenti?

Rendimi tutti integri i miei lamenti.

Ma tu, anima mia, se mai ritorna

la tua fredd'ombra a queste amiche piagge,

prendi or da me queste tue lodi estreme

ch'or a te sacro la mia cetra e 'l canto

come a te già sopra l'altar del core

lo spirto acceso in sacrifizio offersi.

Tu bella fusti e saggia, e in te ripose

tutte le grazie sue cortese il cielo

mentre ad ogni altra de' suoi don fu scarso;

d'ogni lingua ogni lode a te conviensi

ch'albergasti in bel corpo alma più bella,

fastosa men quanto d'onor più degna.

Or l'altre donne son superbe e perfide,

ver chi le adora, dispietate instabili,

prive di senno e d'ogni pensier nobile,

ond'a ragion opra di lor non lodasi;

quinci non fia giammai che per vil femina

Amor con aureo stral il cor trafiggami.

Ma ecco stuol nemico

di donne amiche a l'ubriaco nume:

sottrar mi voglio a l'odiosa vista,

che fuggon gli occhi ciò che l'alma aborre.

[Sinfonia]

CORO DI BACCANTI

Evoè, padre Lieo,

Bassareo,

te chiamiam con chiari accenti.

Evoè, liete e ridenti

te lodiam padre Leneo,

or ch'abbiam colmo il core

del tuo divin furore.

BACCANTE

Fuggito è pur da questa destra ultrice

l'empio nostro avversario, il trace Orfeo,

disprezzator de' nostri pregi alteri.

UN'ALTRA BACCANTE

Non fuggirà, ché grave

suol esser più quanto più tarda scende

sovra nocente capo ira celeste.

DUE BACCANTI

Cantiam di Bacco in tanto, e in vari modi

sua deità si benedica e lodi.

CORO DI BACCANTI

Evoè, padre Lieo,

Bassareo,

te chiamiam con chiari accenti.

Evoè, liete e ridenti

te lodiam padre Leneo,

or ch'abbiam colmo il core

del tuo divin furore.

BACCANTE

Tu pria trovasti la felice pianta

onde nasce il licore

che sgombra ogni dolore,

ed a gli egri mortali

del sonno è padre e dolce oblio de i mali.

CORO DI BACCANTI

Evoè, padre Lieo,

Bassareo,

te chiamiam con chiari accenti.

Evoè, liete e ridenti

te lodiam padre Leneo,

or ch'abbiam colmo il core

del tuo divin furore.

BACCANTE

Te domator del lucido oriente

vide di spoglie alteramente adorno

sopr'aureo carro il portator del giorno.

UN'ALTRA BACCANTE

Tu, qual leon possente,

con forte destra e con invitto core

spargesti e abbattesti

le gigantee falangi, ed al furore

de lor braccia ferreo fren ponesti

allor che l'empia guerra

mosse co' suoi gran figli al ciel la terra.

CORO DI BACCANTI

Evoè, padre Lieo,

Bassareo,

te chiamiam con chiari accenti.

Evoè, liete e ridenti

te lodiam padre Leneo,

or ch'abbiam colmo il core

del tuo divin furore.

BACCANTE

Senza te l'alma dèa che Cipro onora

fredda e insipida fora,

o d'ogni uman piacer gran condimento

e d'ogni afflitto cor dolce contento.

CORO DI BACCANTI

Evoè, padre Lieo,

Bassareo,

te chiamiam con chiari accenti.

Evoè, liete e ridenti

te lodiam padre Leneo,

or ch'abbiam colmo il core

del tuo divin furore.

Variante: finale in alternativa al coro di Baccanti

Versione tratta dalla partitura del 1609.

Apollo discende in una nuvola cantando.

[Sinfonia]

APOLLO

Perch'a lo sdegno ed al dolor in preda

così ti doni, o figlio?

Non è, non è consiglio

di generoso petto

servir al proprio affetto.

Quinci biasmo e periglioso già sovrastar ti veggio

onde muovo dal ciel per darti aita;

or tu m'ascolta e ne avrai lode e vita.

ORFEO

Padre cortese, al maggio uopo arrivi,

ch'a disperato fine

con estremo dolore

m'avean condotto già sdegno ed amore.

Eccomi dunque attento a tue ragioni,

celeste padre: or ciò che vuoi, m'imponi.

APOLLO

Troppo, troppo gioisti

di tua lieta ventura,

or troppo piagni

tua sorte acerba e dura. Ancor non sai

come nulla qua giù diletta e dura?

Dunque se goder brami immortal vita

vientene meco al ciel ch'a sé t'invita.

ORFEO

Sì non vedrò più mai

de l'amata Euridice i dolci rai?

APOLLO

Nel sole e ne le stelle

veggherai le sue sembianze belle.

ORFEO

Ben di cotanto padre

sarei non degno figlio

se non seguissi il tuo fedel consiglio.

APOLLO E ORFEO

Saliam cantando al cielo,

dove ha virtù verace

degno premio di sé, diletto e pace.

Ritornello

CORO

Vanne, Orfeo, felice e pieno

a goder celeste onore,

là 've ben non vien mai meno,

là 've mai non fu dolore,

mentr'altari, incensi e voti

noi t'offriam lieti e devoti.

Così va chi non s'arretra

al chiamar di nume eterno,

così grazia in ciel impetra

chi qua giù provò l'inferno,

e chi semina fra doglie

d'ogni grazia il frutto coglie.

[Moresca]

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena unica Atto secondo Scena unica Atto terzo Scena unica Atto quarto Scena unica Atto quinto Scena unica Variante: finale in alternativa al coro di Baccanti