Volendo iddio, che il suo diletto popolo ebreo fosse sciolto dalla penosa schiavitù, in cui da più anni languiva in Egitto, impose a Mosè, che all'egizio re Faraone noto facesse questo suo divino volere. Ma essendosi costui pertinacemente ostinato a disubbidirlo, iddio lo flagellò con dieci piaghe, e punì con lui il popolo di Egitto, fino a che Faraone fu costretto a liberare gli Ebrei; ma poi di ciò tosto pentito, gl'inseguì, riducendoli alle sponde del mar Rosso, le di cui acque per divino prodigio duron divise, aprendosi così uno scampo agl'inseguiti Ebrei: e mentre Faraone col suo esercito creda di raggiungerli pe 'l sentiero medesimo, le acque si riunirono, e gli egiziani tutti vi perirono sommersi.
Questo fatto, ricavato dal capitolo primo al 15 del libro dell'Esodo, ha somministrato l'argomento alla presente tragedia, che, senza offendere le tracce della sacra storia, e seguendo la condotta della conosciuta tragedia del sig. Ringhieri, ho creduto di rendere più interessante coll'episodio degli amori di una donzella ebrea col figlio primogenito di Faraone, perché costui potesse con maggior fervore impegnarsi presso il padre a trattenere schiavo in Egitto il popolo d'Israele.
Nota. La poesia, e musica del terzo atto si è nuovamente composta per darsi miglior campo alla decorazione, che si spera di più felice immaginazione, e riuscita.