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(Rimprovero tremendo!

Non lacerarmi il petto!

Ah! Troppo il mio comprendo

reo, pertinace error!)

Venga Mosè.

I torti miei ravviso.

Mano ultrice di un dio! Tardi conosco

l'immenso tuo poter, che troppo... ahi folle!

a' danni dell'Egitto io provocai.

I tuoi diletti Ebrei

chiami al deserto, onde si compia il grande

sacrificio che brami? Io lo prometto,

più non m'oppongo, e 'l tuo voler rispetto.

Al suo desio, severo

più non è Faraon: venga, ed arresti

il flagello divino.

Quel Mosè, che chiedesti, è a te vicino.

A che mi chiami? Ad ascoltar novelli

sprezzi, ed ingiurie al dio, che di sua possa

tante prove ti diè?

Purché sereno

splenda l'egizio ciel, col popol tuo,

Mosè, lo giuro, ove ti piaccia andrai.

Ti accheta,

malvagio consiglier, false ragioni

mi han sedotto finor; ma questa volta

han le tenebre orrende

idee di alto terror nell'alma impresse,

e fido attenderò le mie promesse.

Ebben quel dio, che volentier perdona,

mentre tardi punisce, accoglie ancora

la data fé. Tu all'apparir di nuova

luce, che il ciglio, e i sensi tuoi rischiara,

l'alto suo nume a venerare impara.

Eterno! Immenso! Incomprensibil dio!

Ah tu, che vegli ognora

de' tuoi servi allo scampo, e 'l popolo tuo

colmi di benefizi! Ah tu, che in giusta

lance delle opre nostre osservi il peso!

Ah tu, che sei il santo, il giusto, il forte,

che l'oppressor del popol tuo punisci,

glorifica il tuo nome,

fa' pompa di clemenza,

e dell'Egitto a nuova meraviglia,

il lume, che sparì, rendi alle ciglia.

Qual portento è questo!

Faraone!

E il nume onnipotente

quai figli vi amerà.

Non più: pria del meriggio

con quanti v'ha de' tuoi

là nel deserto puoi

muover sicuro il piè.

Ingrato!

Luogo a pensar non vi è.

Tutto mi è noto.

Sposa ti accheta...

La benda,

che un fattucchier maligno

pose al credulo ciglio,

grazie agli dèi! seppe squarciarmi il figlio.

Son tutt'inganni.

Non più: va' Mambre,

prence, tu stesso il piede affretta, e sappia

da voi Mosè, che revocato è il cenno.

E se da Egitto un sol partire ardisca

acerba morte il punirà.

Taci, regina: ho risoluto, e basta.

Ah! Tremi il mio nemico,

tremi Mosè, se il voler mio contrasta.

A rispettarmi apprenda

chi ad obbedir sol nacque,

né seco più discenda

a patti vili un re.

Io deggio al ben del regno

ogni mi cura, o sposa:

è quell'affanno indegno

del tuo bel cor, di te.

Oh quanto grato

al tuo consiglio,

saggio mio figlio,

è il genitor!

Se ognora a lato,

caro, mi sei,

nemico agguato

non temo allor.

(ad Amaltea)

Ti calma, e taci.

(ad Osiride)

Miei cenni adempi

e se quegli empi

resisteranno,

destar sapranno

più il mio furor.

(parte)

(ad Osiride)

Che narri?

M'inganni,

né a' detti tuoi do fede.

Superbi! Iddio lo vuole?

Iddio lo esigerà!

Fra poco

la grandine, ed il foco

Egitto struggerà.

Fermate... audaci olà!

Signor...

Io mai

credei, che i cenni tui

osassi rivocar.

Vile! Lo dissi e il voglio...

Ah! Dunque è ver?

L'orgoglio

deponi, o alle ritorte...

Se nuovo ardire ostenta,

io lo farò svenar.

Tu del mio dio paventa,

arresta i fulmin suoi,

e il fallo tuo, che puoi,

ti affretta ad emendar.

Schiavo!... Ti abbassa, e taci,

frena quei detti audaci,

e al tuo signore apprendi

da schiavo a favellar.

No, viva il dio di Giuda,

che i figli suoi difende!

Mira se chi l'offende

sa pronto fulminar!

Cielo! Qual turbine!

Ecco in tua mano, Aronne,

il decreto real: fatale al regno

fia la vostra dimora, anzi di morte

è reo chi d'Israele a Tani intorno

si aggira ancor, quando risorge il giorno.

Debole tanto

Faraon non sarà.

Sì, covra eterno oblio

le passate sciagure, e lieto ognora

splenda l'egizio ciel! Ah! Vieni, o figlio!

Esulti per quell'alma!

Oh quali delizie a te destina il fato.

Tornò d'Armenia

Ittaco ambasciator.

Accoglie

la tua destra, il tuo cor, le offerte nozze

la real principessa.

Appena

de' vili Ebrei sgombrato fia l'Egitto,

si accendano le tede

e sì augurate, e amabili catene

succedano una volta a tante pene.

Perché dolente

prence ti veggo il volto?

Qual grave affanno hai nel tuo seno accolto?

È il ciel per noi sereno,

se pria fu avverso, e fiero:

ti calmerà, lo spero,

dolce, e soave amor.

Perché? Qual tristo fato?

Favella...

È a te ragion rubella?

Non ti comprendo ancor.

(Palpito a quell'aspetto

gemo nel suo dolore

ah! Qual sarà l'oggetto

del grave suo penar.)

Gentil regina, oh quanto

mi è noto il tuo bel cor! Tu mia difesa,

tu scudo al popolo mio presso il consorte

fosti mai sempre, e se a' consigli tuoi

ceduto avesse il re, straziato, afflitto

da tanti affanni or non sarebbe Egitto.

Eh, temo ancora!

Più dell'aura incostante, e di una fronda

esposta al vento è più legger...

Che rechi?

Oh folle

allo sguardo di dio chi mai si asconde?

Ad Amaltea veloce

tu vanne Aronne, e tutto

a lei palesa: ella con te sorprenda

la coppia contumace. A radunare

io corro i miei. S'Elcìa non vien, se ancora

v'ha chi audace resiste al nostro dio,

i giorni suoi ne pagheranno il fio.

Che potrai dir? Di Achimelecco, il rege

di Madian, non leggesti

testé il foglio o Mosè? Moabbo, Ammone

co' Madianiti, e i Filistei feroci

inonderan le mie campagne, il regno.

Se lascerò, come indicò l'editto,

i perigliosi Ebrei partir da Egitto.

E da misera gente

qual mal si può temer?

Tutto: bramosa

di formarsi un asil, dalla violenza

ottenerlo saprà: quindi turbati

de' vicini regnanti

i domini saranno.

Oh debole pretesto! Oh nuovo inganno,

e chi sono costoro

in faccia al nostro dio? Polve, che il vento

ed agita, e disperde in un momento?

Giusta ragion di stato

a rivocar mi astringe.

Tu il vedi ben, l'ordin già dato.

Oh cieco,

oh affascinato re, nuovi flagelli

richiami sul tuo capo.

Olà, favelli,

qual dée, Mosè.

Non è Mosè... ragiona

sul tuo labbro quel dio, che tante pruove

ti diè del suo poter: quel dio, che stanco

di più soffrirti, atroce

colpo già scaglia al tuo paterno core,

che costar ti saprà pianto, e dolore.

Superbo.

Il real prence,

con tutt'i primogeniti saranno

fulminati da dio.

Guardie, tra ceppi

costui sia tratto: or or vedrem, se il fulmine

abbatterà sul trono il figlio mio,

o te da morte salverà il tuo dio.

Tu di ceppi mi aggravi la mano?

Mi minacci di morte funesta?

Ma non sai, che non tanto è lontano

a colpirti lo sdegno del ciel.

Tra gli affanni, tra i fieri tormenti

troppo tardi l'error piangerai,

e pietade, ma invan chiederai,

che non merta chi tanto è infedel.

Oh nume Osiri, oh dèi, ch'Egitto adora,

e neghittosi un tanto ardir soffrite?

Ah no... se il poter vostro oltraggia un empio,

tanti misfatti or pagherà il tuo scempio.

Giungi opportuno, o Mambre. Al real prence,

e a tutt'i primogeniti del regno

osò poc'anzi minacciare i giorni

l'orgoglioso Mosè.

Sul tron d'Egitto, e al fianco mio lo vegga

però quel vil, e di sua morte il cenno

abbia dal prence istesso,

che un suo folle presagio annunzia oppresso.

Or tu raduna

i grandi, o Mambre: al principe sul soglio

fedeltade ciascun giuri e rispetto.

E sempre fiera

col figlio mio, perché non madre, incolpi

al suo giovane ardor, sì puro zelo

tutto il mal che ne oppresse?

So, che di colpa

è Osiride incapace:

pensa a te stessa, e me pur lascia in pace.

Oh prence, o cara

parte del sangue mio! Vieni.

Come veloce

Mambre servì al mio cenno! I grandi a gara

si appressan già: tu meco il soglio ascendi,

e nel punire i rei pago me rendi.

Sì, popoli di Egitto, io vi offro in lui

di voi degno sovrano, e in voi pur gli offro

sudditi di lui degni. Or stringi, o figlio,

questo scettro real: del regno mio

ti chiamo a parte, e teco

ne divido il poter.

Venga Mosè, venga, e l'opprima il peso

del tuo regio splendore,

dell'altrui fedeltà, del suo rossore.

(Umana cecità! Sei pertinace!)

Come tuo servo

obbedisco al comando, e re t'inchino:

come di un dio ministro alzo la voce,

e torno a minacciar: sciogli Israele,

se te vuoi salvo, e il popol tuo: se il nieghi,

a cader ti prepara:

tu ti credi sul trono, e sei sull'ara.

E nelle offese ei più imperversa?

Chi è mai costei.

Signor, tu vedi in lei...

Che ascolto? E tu potesti!...

Ma di te indegno è un tale amor.

Io non ti temo.

Così atterra iddio

un pertinace ardir.

Figlio! Mio caro figlio!

Ei più non vive!

(sviene sul cadavere di Osiride)

E a così gran portento

non vi arrendete ancor!

Eccone in salvo, o figli. Ah! Dopo tante

pene e tormenti, a bella pace in grembo

dio tragge il popol suo. Sicuro asilo

ne' deserti d'Arabia ei ne promette,

e 'l gran sacrifizio

vuol che si compia. Ognun riconoscente

coll'ostia il cor consacri al dio possente.

Ebben?

N'è duce iddio.

Di sue promesse

l'audace ov'è che dubitar sol possa?

Lungi un vano timor: devoti, e proni,

fervide preci al sommo iddio porgiamo;

dal celeste favor tutto speriamo.

Dal tuo stellato soglio,

signor, ti volgi a noi:

pietà de' figli tuoi,

del popol tuo pietà!

Oh sconoscenti, osate

temer che vi abbandoni

quel dio, che a vostro pro tanti portenti

oprò finor?

Tacete o vili,

e del gran dio di Giuda

ammirate il poter.

Ciascun mi siegua. Invano

se ne protegge iddio,

può l'egizio tiranno

sperar di rinnoverare il nostro affanno.

Son fuggiti... oh ciel, che miro!

Ah, quel mago audace, altero

alla riva omai si affretta.

No... s'insegua quell'indegno,

che di un padre il core oppresse...

Del suo popolo...

Or si faccia orrendo scempio...

Mi seguite...