Atto quarto

 

Scena prima

Spiaggia di mare, con tutta l'armata d'Egitto, disposta in buon ordine, per eseguire lo sbarco.
Eupatore scende con molta pompa; ma con insegne lugubri, e fa portare da uno de' suoi Capitani una picciola urna sepolcrale.
Pelopida lo viene a ricevere con Comitiva, e Guardie, in nome del Re, e della Regina.
Eupatore, Pelopida, Laodice in disparte.

 Q 

Eupatore, capitani

<- Pelopida, comitiva, guardie, Laodice

 

PELOPIDA

Fedele messaggier de l'alto erede  

di Memnone, sia fausto il grande arrivo.

I regnator del vasto

calcedonico impero, a te salute

mandano, e pace, e con regali inviti,

mostran l'onor, che rechi ai loro liti.

EUPATORE

O capitan del pontico monarca.

A le regie accoglienze

sol ben risponde, in vece mia, quell'arca.

LAODICE
(a parte)

Misera me, che vegg'io.

PELOPIDA

Quest'è l'atteso dono?

EUPATORE

Il capo è questo

di Mitridate vostro.

LAODICE
(a parte)

Oh dèi! Son morta.

PELOPIDA

Ciò che l'urna ci porta

la pompa funeral fa manifesto.

LAODICE

(Ah iniquo! ah traditor! ne avrò vendetta.)

PELOPIDA

Potria la novità mover tumulti

ne l'indiscreta plebe:

però breve dimora il re ti chiede,

finché a tutto un sovran cenno provvede

e la breve dimora

in quella regia amenità frattanto,

con magnifico albergo, accoglie, e onora.

LAODICE
(a parte)

Io più soffrir no 'l posso.

 

EUPATORE

Stelle, se il vostro lume  

ha virtù sopra me, benigne ardete.

Se infelice è il valor,

fia vostro il disonor,

che voti dagl'eroi più non avrete.

capitani, comitiva, guardie ->

 

Scena seconda

Eupatore, Pelopida, Laodice.

 

LAODICE
(a parte)

Non ha più fren, né legge, il dolor mio.  

PELOPIDA

Quanta pietà ne sento!

EUPATORE

O incomodo, e in quest'ora infausto incontro!

LAODICE

Aprimi quel lugubre orrido vaso.

EUPATORE

Innanzi al re sol lice aprirlo.

LAODICE

Dunque

dimmi, che ascondi in quel feral metallo?

EUPATORE

(E che risponderò?)

LAODICE
(a parte)

Dì, dì, che pensi?

PELOPIDA

Io te 'l dirò, s'ei tace?

Quel sepolcrale ordigno infausto, e tetro,

de l'atteso tuo re quello è il feretro.

LAODICE

Deh cedi a la mia man sì amato peso.

EUPATORE

E come prendi tu l'ufficio altrui?

Deponi olà, quel picciolo sepolcro.

LAODICE

No, deporlo non voglio.

PELOPIDA

Non le negar, signor, sì giusto sfogo.

LAODICE

Sì. Tutti gli avi miei,

tutto il mio ben si chiude in questo bronzo.

EUPATORE

Che orror mi scuote l'ossa, e gela il sangue!

LAODICE

O Mitridate mio!

Per natura german, mio re per grado,

per cura, per età, per amor figlio.

EUPATORE

(O ciel, questa è Laodice!)

LAODICE

Dopo tre lustri, o caro, e dopo tanti

in van sofferti affanni, e sparsi pianti,

così t'accolgo in queste

braccia, che a te bambin furo sì spesso

culla amorosa. In queste

braccia, ch'io ti serbava ad altro amplesso

prendi, sì prendi da l'amante labro,

onde tu avesti i primi,

anche gli ultimi baci, i baci estremi...

Ahimè! L'unico oggetto

de' miei pensieri, de' miei desir, de l'opre

mie, tradito così mi stringo al petto?

PELOPIDA

Di mortal padre egli mortale è nato,

che val cozzar col fato?

LAODICE

O vana speme! o rotta fede! o breve

lusinghiera, funesta, empia allegrezza!

Da chi più cerco aiuto, o più conforto,

o in cielo, o in mare, o in terra,

o negli abissi? Ahi Mitridate è morto!

EUPATORE

Sospendi, afflitta donna, i tuoi sospiri.

LAODICE

Dunque picciolo infante

per questo ti campai da crudo ferro,

o da astuto veleno?

A nutrirti per questo io t'ho mandato,

a re amico, e possente. Io t'ho per quello

tanto atteso, e chiamato

a ricovrarti il tuo vetusto soglio?

EUPATORE

(Ahi mi si spezza il core!)

LAODICE

Perché su gli occhi de' tuoi cari, e fidi,

sul fior de le speranze, adulto, e forte,

ti vegga poi tradir sopra i tuoi lidi?

PELOPIDA

Misera principessa!

 

LAODICE

Cara tomba del mio diletto    

nel tuo sen dammi ricetto,

deh sii tomba anche per me.

O deposito infelice!

Se a te fui culla, e nutrice

vuò morire anche con te.

S

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EUPATORE
(a parte a Laodice)

Chiede gran novità, novi consigli.  

Tempo è ommai di compir tanti lamenti.

LAODICE

Sì t'affretta crudel. La buona madre

impaziente agogna il bel trofeo

del fedel Tolomeo.

EUPATORE

Va' pure, o duce, e accerta i tuoi sovrani

di ciò, ch'io reco, e che al mio piede è legge

il voler, che qui regge.

PELOPIDA

Grazie ti rendo, che il favor mi doni

d'esser io nunzio di sì lieto avviso.

EUPATORE

Ognuno già m'avanzi, e la via prenda,

ma non lontan m'attenda.

Pelopida ->

 

Scena terza

Eupatore, Laodice.

 

LAODICE

Ribaldo, masnadier, degno ministro  

del re, che move l'armi al suon del sistro.

EUPATORE

No soffrir più non posso il tuo dolore.

LAODICE

Sì, sì, mostro del Nilo,

ridendo uccidi, e piangi poi l'ucciso.

EUPATORE

Prendi augurio miglior. Non se' tu quella

di cui compagna ti fingevi, invitta,

magnanima Laodice?

LAODICE

Ho troppo detto. Io son quella infelice.

EUPATORE

Posa quel mesto incarco, e attenta ascolta.

LAODICE

No 'l creder già. Preso che avrò il castigo

di te sopra il tuo ostaggio, io vuò con questo...

EUPATORE

Non più, che vola il tempo, a me ubbidisci.

LAODICE

Sopra il caro german non vuoi ch'io pianga?

EUPATORE

Non voglio, perché è vano.

LAODICE

Non merta Mitridate il pianto mio?

EUPATORE

Ei lo meriteria se morto fosse,

ma è vano, perché è vivo, e spira, e t'ama.

LAODICE

M'inganni, o pur mi tenti?

EUPATORE

Io vivo, e in favor mio mente la fama.

LAODICE

Veggo, che vivi tu. Ma il fratel mio

vivo mi mostra, e il più fedel ti vanto.

EUPATORE

Cieca, cieca, e no 'l vedi?

Ostinata non credi a questo pianto?

LAODICE

Mitridate, sei tu? Giusto sospetto

tien che gioia improvisa

non mi trae verso te l'alma dal petto.

EUPATORE

Se non credi al mio amor, su credi a queste

caute cifre, che già tra noi lontanissimi

fide ministre fur di lunghi arcani.

LAODICE

O dolcissimo amor di questo core!

Ultimo, e primo onor di nostra gente!

EUPATORE

O amor di questo seno

dolcissimo egualmente.

LAODICE

Parte miglior del sangue mio, deh lascia,

che sfoghi l'amor mio con nuovi amplessi.

EUPATORE

Gioia de la mia vita, al fin ti stringo.

LAODICE

T'odo, t'ammiro, e sento, e pur diffido,

oh dèi! Tu se' pur quello?

EUPATORE

L'amoroso fratello

sono, che un dì ritorna al patrio nido.

 

LAODICE

Sì per sempre ancor ti abbraccio.  

EUPATORE

Sì, tu sei la mia diletta.

LAODICE

Ti ritrovo.

EUPATORE

Ti ravviso.

LAODICE

Quanto improvviso più, tanto più caro.

Insieme

EUPATORE

Quanto improvviso più, tanto più cara.

 

LAODICE

Duri eterno il nostro laccio.

EUPATORE

Sia col sen l'alma ristretta.

LAODICE

Dolce gioia.

EUPATORE

Dolce riso.

LAODICE

Tanto soave più, quanto più caro.

Insieme

EUPATORE

Tanto soave più, quanto più cara.

 

Scena quarta

Eupatore, Laodice, Antigono, Nicomede.

<- Antigono, Nicomede

 

NICOMEDE

Ecco l'ostaggio. Ma qui è l'altro, e solo  

usiam la nostra sorte,

cadano in pezzi ambo i felloni al suolo.

LAODICE

Nicomede che fai? Sciogli quei ceppi.

Pur troppo s'è da noi quasi recisa

la vita a Mitridate,

per salvar Mitridate.

NICOMEDE

E come, non è questi il rio messaggio?

LAODICE

Messaggio è sì, ma insieme è quello stesso

principe nostro, ch'egli finge estinto,

per tessere ai tiranni

felice, inestricabil laberinto.

NICOMEDE

E vero sia?

LAODICE

Con le ben note carte

vinci ogni dubbio, e riconosci l'arte.

NICOMEDE

Signor perdona.

EUPATORE

A miglior tempo amico

le accoglienze, e le scuse. O Laodice

occulta ancor rimane

del tuo germano a te, la miglior parte.

LAODICE

Tutte tu pur non sai le mie avventure.

EUPATORE

Questo, ch'uomo ha le chiome, e nunzio al grado

credi a me eguale. Ella è d'ogni mia sorte;

ma del mio letto ancor dolce consorte.

LAODICE

Oh dèi, che meraviglie!

Generosa cognata al sen t'accosta.

ANTIGONO

Senti dal vicin cor la tua risposta.

LAODICE

Voi mio sangue, miei re, de l'alta suora

conoscete il marito.

EUPATORE

E a villano imeneo, chi mai t'ha unito?

LAODICE

Farnace per suo zelo, e per mio scorno;

il ciel per mia fortuna, e per tuo aiuto.

EUPATORE

Tutti apriremo i casi nostri un giorno.

Or seguiamo l'impresa.

Ite ambedue, ite disgiunte in corte;

ma unite nel disegno, e ne l'inganno.

Tu avanti l'empia madre

piangi la morte mia. Tu la palesa.

Ed io con Nicomede

disporrò nuove forze, e nuove frodi.

Tocca alla sorte d'offerir la fronte

crinita, e all'uomo tocca

con gran core incontrarla, e con man pronte.

 

LAODICE

Tu caro in questo dì,  

sei stato un doppio oggetto

del più grand'odio mio,

del mio più grande amor.

Ma fu lo stesso affetto,

che amore, ed odio unì,

secondo, che il desio

fu gioia, o fu dolor.

Laodice, Antigono ->

 

Scena quinta

Eupatore, Nicomede.

 

NICOMEDE

Giuro, signor, che a la regal sorella  

del nativo candor nulla si toglie

col titolo di moglie.

EUPATORE

Sia timor, sia rispetto,

modestia sì fedel, pietà sì onesta,

fu di rara virtù sublime effetto.

NICOMEDE

Di cento re turbar le coronate

ombre temei, mischiando

col lor sangue, il mio sangue; e Mitridate

d'offendere temei. Temei la colpa

de la temerità, più che la pena.

EUPATORE

Non vien da ignobil vena

spirto gentil. Se al talamo già offerto

non t'agguaglia il natal, t'agguaglia il merto.

Vado, che mal si tarda opra matura,

tu né sudor, né studio a te perdona.

I merti l'opra, e l'opre il fin corona.

Eupatore ->

 

NICOMEDE

All'armi, a battaglia  

speranze, pensieri,

pugnate per me.

Che mani, e consigli

conforta a i perigli

la bella mercé.

 
 

Scena sesta

Parte del giardino reale dentro la reggia di Sinope.
Stratonica, Antigono, Laodice.

 Q 

Stratonica, Antigono, Laodice

 

STRATONICA

Questo è il primo momento,  

che saggia, e umil ti veggo oltre il costume.

L'orgoglioso pavon piegò le piume.

LAODICE

Tempo, e fortuna insegna

d'inchinarsi al poter, che mal si sdegna.

STRATONICA

E così, come intesi,

vide il nimico mio l'ultima sera.

ANTIGONO

Egli degli occhi tuoi sarà ben presto

spettacolo funesto.

STRATONICA

Ora il vendicator chiama del padre.

LAODICE

Pietà, pietà. Non insultar gli afflitti.

STRATONICA

Antigono, da te bramo il successo,

con schietta verità, di questa morte.

LAODICE

Ahimè, madre, perdona

ai mesti orecchi miei sì reo supplizio.

STRATONICA

No, non partir. Vuò, che a me paghi i gusti

de' rimproveri ingiusti.

Tu narra, e tu l'ascolta.

ANTIGONO

Tosto, che Mitridate in mar ci vide,

a batter cominciò palma con palma.

STRATONICA

Minaccia era per me quel lieto applauso.

ANTIGONO

Giunti appena alla nave. E ben, ei disse,

la diletta sorella a me, che manda?

LAODICE

Oh dio!

STRATONICA

Si duole. Bene sta. Ma poi?

ANTIGONO

Nessun risponde. Ed ei ripiglia. E come

di me sente la madre?

STRATONICA

Come conviene ad un tal figlio. E allora?

ANTIGONO

Ambo tacemmo, e dal silenzio apprese

il giovane sagace,

parte del suo destino, e impallidissi.

In noi fissò lo sguardo; indi lo mosse

tre volte, e quattro intorno. E al ciel rivolto

alzò la fronte, e ci parlò col volto.

STRATONICA

Fu avviso tal dimora, o pur tardanza?

LAODICE

Madre d'un figlio morto ha tanta fretta!

STRATONICA

Ritorna al suo tenor la tua baldanza.

Seguite pur.

ANTIGONO

L'ordine nostro intanto

un feroce soldato aveva instrutto.

Del ciglio al sol comando,

s'accosta, impugna, innalza, e ruota il brando.

STRATONICA

E un colpo ne partì dal collo il capo?

ANTIGONO

Partì il collo un sol colpo, e la parola.

S'udì sul labro palpitante un suono,

che disse «MA...» né finir puote madre;

ma tutte empì d'orror le nostre squadre.

STRATONICA

Ma da me già ha bandito ogni timore.

E a te superba, che più dice il core?

LAODICE

Al labro, al gesto, al guardo

ho posto il morso; i miei deliri io ploro,

e quanto ti sprezzai, tanto ti onoro.

 

STRATONICA

Odiata,  

disprezzata,

tu, tu alfin mi rendi onor.

Il superbo così fa;

egli è umile per viltà,

perché onora per timor.

Stratonica ->

 

Scena settima

Antigono, Laodice.

 

ANTIGONO

Un'aspide, una tigre, una megera  

di te s'incinse sì, non una donna.

LAODICE

I miei passati mali

ben da questo tu in parte ora argomenti,

e i perigli presenti.

ANTIGONO

Tutto mi fugge da le vene il sangue,

nel mirar il cimento

in cui siam tutti noi con la fortuna.

Ahi Mitridate mio!

LAODICE

Il re siede a consiglio, e pensa come

dal turbine, che teme, appena sorto,

di popolar procella,

guidi sicuri rei disegni in porto.

ANTIGONO

Qui sollecito appunto ancor l'attendo.

LAODICE

Venga pur; che l'astuzia

sovente con le altrui tessute frodi

a sé stessa prepara, e stringe i nodi.

 

ANTIGONO

È pur fiero quel duol,  

che tra il dubbio, e la speranza,

ondeggiando va nel sen.

Chi teme ciò che vuol,

ha un dolor, che par costanza.

Ha un piacer, che par velen.

 

Scena ottava

Farnace, Antigono, Laodice.

<- Farnace

 

FARNACE

Chi ben finisce ha tutto il ben de l'opra;  

né si finisce ben, se non si ottiene,

col più sicuro mezzo, il caro intento.

Antigono, il mio volgo in darno freme,

ma però freme, e turba il mio contento.

ANTIGONO

E la reggia, e le strade

custodiran, se vuoi, le nostre spade.

FARNACE

A politico mal, rimedio estremo

è la straniera forza.

Quel che accende è più assai di quel che ammorza.

LAODICE

Così diffidi tu di tua possanza?

FARNACE

Non diffido; ma aspiro a cauta gloria.

Il vincer senza sangue

è il trionfo miglior de la vittoria.

Re sono; e adesso tu mi vuoi tiranno?

LAODICE

Il tiranno è un gran re quand'ha paura.

Così ben fingi, ed orni

la crudele viltà, che par clemenza.

FARNACE

Ardita. Viva il ciel... ma a miglior frutto

è volta ogni mia cura.

Antigono non trar da questa reggia

l'incauto piè, se brami

di non esporre a subitanei insulti

né l'onor del tuo re, né il tuo decoro.

ANTIGONO

Dove Farnace, e Tolomeo comanda.

Io d'ubbidir m'onoro.

FARNACE

Io stesso uscir da le vicine mura

or voglio ignoto, e poscia entrar palese.

Fatti, ch'abbia comuni i miei consigli

con Eupatore; allora

senza armar la potenza

ogni flutto civil metterà in calma

il nudo scettro, e la regal presenza.

LAODICE

Se il presagio, ch'io sento

non mi consola in van, simile al merto

de la perfidia tua, farà l'evento.

 

Non mi dir tanto  

cara speranza.

Di' sol che al pianto

va dietro ogn'ora

qualche piacer.

Lo sperar molto

giova a costanza;

ma un creder stolto

più che rincora

più fa doler.

 

Fine (Atto quarto)

Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Spiaggia di mare.

Eupatore, capitani
 

(tutta l'armata d'Egitto, disposta in buon ordine, per eseguire lo sbarco; Eupatore scende con molta pompa, con insegne lugubri, e fa portare da uno de' capitani un'urna sepolcrale)

Eupatore, capitani
<- Pelopida, comitiva, guardie, Laodice

(Laodice in disparte)

Fedele messaggier de l'alto erede

Eupatore, Pelopida, Laodice
capitani, comitiva, guardie ->

Non ha più fren, né legge, il dolor mio

Chiede gran novità, novi consigli

Eupatore, Laodice
Pelopida ->

Ribaldo, masnadier, degno ministro

Eupatore, Laodice
<- Antigono, Nicomede

Ecco l'ostaggio. Ma qui è l'altro, e solo

Eupatore, Nicomede
Laodice, Antigono ->

Giuro, signor, che a la regal sorella

Nicomede
Eupatore ->

Giardino reale dentro la reggia di Sinope.

Stratonica, Antigono, Laodice
 

Questo è il primo momento

Antigono, Laodice
Stratonica ->

Un'aspide, una tigre, una megera

Antigono, Laodice
<- Farnace

Chi ben finisce ha tutto il ben de l'opra

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava
Villaggio su le foci del fiume Amiso con capanne di bifolchi, illuminate dalla luna nell'ora verso l'alba. Sala reale nella reggia di Sinope, ornata in festa. Gran loggia del palazzo reale, che guarda sopra i giardini, con porta, onde si entra a' sontuosi appartamenti. Appartamento destinato nella reggia per gli ambasciatori d'Egitto. Cortile avanti il tempio con gli altari, e fuochi apparecchiati da fare il pubblico giuramento. Luogo deserto, che confina con fabbriche diroccate. Spiaggia di mare. Giardino reale dentro la reggia di Sinope. Foresta poco lontana dalla città. Stanze della regina. Gran piazza di Sinope, avanti al palazzo reale.
Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quinto

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