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Il Mitridate Eupatore

IL MITRIDATE EUPATORE

Tragedia per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Girolamo FRIGIMELICA ROBERTI.
Musica di Alessandro SCARLATTI.

Prima esecuzione: 5 gennaio 1707, Venezia.


Le persone, che parlano:

Mitridate, re di Ponto. Figlio di Stratonica, e di Mitridate Evergete, sotto nome di EUPATORE e sotto la dignità di ambasciatore di Tolomeo re di Egitto al re di Ponto

soprano

Issicratea regina sposa di Mitridate, in abito virile, e creduta ANTIGONO secondo ambasciatore del re d'Egitto, e compagno d'Eupatore

contralto

STRATONICA regina di Ponto. Madre di Mitridate Eupatore, e di Laodice. D'adultera diventa sposa di Farnace, da lei fatto re di Ponto, dopo la morte di Mitridate Evergete suo primo marito da lei assassinato con l'aiuto di Farnace

soprano

FARNACE re di Ponto. Cugino di Mitridate Evergete. Da primo adultero, e poi marito di Stratonica regina

tenore

LAODICE principessa di Ponto. Figlia di Stratonica, e di Mitridate Evergete; sorella di Mitridate Eupatore. Maritata con Nicomede bifolco del re; ma da lui sempre riverita come sua sovrana, né mai resa sua donna

soprano

NICOMEDE bifolco di Ponto, per colpa della sua fortuna, per altro di sangue nobile quant'era di animo grande. Marito in apparenza di Laodice

soprano

PELOPIDA ministro, e confidente del tiranno Farnace

tenore


Le persone mute: Mitridate Evergete, re di Ponto. Primo marito di Stratonica. Padre di Mitridate Eupatore, e di Laodice. Tolomeo, re di Egitto, amico di Mitridate Eupatore, e di Laodice. Cleopatra, principessa di Egitto, sorella di Tolomeo.

Il luogo. Si è la reggia di Ponto nella città di Sinope metropoli di quel regno, posta al fiume Amiso sul mare Eusino. Il tempo. Si è quel dì solenne ai tiranni di Ponto per la loro esaltazione a quel trono, in cui Mitridate, sotto nome di Eupatore, e col grado d'ambasciatore d'Egitto, ricupera il suo regno, con la morte degli usurpatori Farnace suo padrigno, e Stratonica sua madre. L'azione. Si è il passaggio, da felicità a miseria, di Stratonica, e di Farnace; unito con altro passaggio dalla miseria alla felicità di Mitridate Eupatore, e di Issicratea. Succedono nel ricuperare che fa Eupatore il suo regno, e nel punire i tiranni per la morte data al suo padre Mitridate Evergete, con levargli il trono, e se avessero potuto, anche la successione.

Dedica a sua eccellenza il signor Adamo Enrico di Stanau

La fama, e la fortuna del teatro porteranno in varie parti del mondo questo mio libro. Io mi approfitto di questa fortuna, e di questa fama per ispargere nel mondo un testimonio pubblico de' miei doveri verso di v. e., una palese ammirazion de' suoi meriti, una impaziente brama di renderli più noti per maggiormente onorarli. Le virtù risultano dall'opre; i meriti dalle virtù; la gloria, da chi ne fa conoscere, e le virtù, ed i meriti. Non sarebbe gloria, se non fosse un comune giudizio, ed un grido comune. Non sarebbe comune, né il grido, né il giudizio, se ciascheduno non potesse entrarvi con l'intelletto, e con la voce, a formarne, a pubblicarne l'universale sentenza. Come v. e. non ha potuto in tanti assedi, in tante battaglie ottener tante vittorie senza molte mani, e molte spade, così non può conseguire la dovuta gloria, senza molte lingue, o molte penne.

La mia non pensa di chiudere in questo breve giro le glorie di v. e., molto meno spera di farle suonare su queste carte, dove non abbiano prima risuonato su le labbra de' suoi ammiratori. Sarà ufficio della storia il comprendere tutte le sue azioni, tutte le sue imprese. È solito effetto delle sue imprese, e delle sue azioni il farsi sentire ad ogn'uno, ch'abbia senso per gli avvenimenti dell'universo. Oltre di che le vere lodi mal si possono dare ai grand'uomini avanti a gli uomini dell'età loro. I lor meriti, o militari, o civili, sono azioni, o maneggi dipendenti da certa sorte di venerabili cagioni, che devono rimaner tra gli arcani, o almen fra i misteri del silenzio per qualche secolo. Chi va ad isvelare il vero dell'altrui gloria fin in fondo all'essenza delle sue perfezioni corre gran rischio d'offendere la modestia del lodato, e molto più l'invidia degli uditori. Bel vanto della sua gloria è l'essere di quella spezie così illustre, che le particolari sue eccellenze meglio si spandono con le voci fra i viventi, e con più grazia si mandano con le penne fra i posteri.

A questo sublime grado v. e. s'è condotta con trentasei anni di generosi sudori. Le virtù dell'obbedienza, e del comando, le ha portate dalla natura in quelle felici disposizioni, che formano facilmente i gran savi, ed i gran capitani. Le ha poi guidate alla lor perfezione con l'opra gloriosa di lungo studio. Ha fatto acquisito dell'arte, con cui si vincono le fortezze, e gli eserciti, ne' conflitti di Senes, di Treviri, di Vienna, di Barcano; e negli assedi di Strigonia, di Najaihaisel, di Buda, di Belgrado, di Magonza, ed in tanti altri cimenti in Alemagna, in Ungheria, in Polonia. Esemplari perfetti di virtù guerriere se le hanno offerti alla mente sul Danubio, sul Reno, su la Vistola, sul Boristene. Gli ha saputi v. e. così bene far suoi, che molti principi han bramato, che ella impieghi in loro vantaggio l'acquistato magistero. Luogotenente maresciallo del campo l'ha voluta la Corte Elettorale di Baviera. Generale dell'artiglieria l'ha dichiarata l'imperial voce di cesare. Il re Augusto di Polonia l'ha fatta vedere alla testa delle sue genti, e le ha fidato il general governo di tutte le sue mura. Questa è un'evidenza di gloria, che convince anche la invidia, e la sforza a confessare in v. e. quella prudenza, quel valor militare, e tutte quelle altre doti, che piacciono ai sovrani ne' sommi duci delle loro armate.

Che stupor dunque, se la sua esperienza, è venuta fin d'oltre i monti alla direzione dell'armi pubbliche? È ben notabile, e ben raro, che ci sia venuta due volte per due paesi molto diversi, in due tempi molto difficili. Sarebbe un offendere, non un promuovere la sua gloria, l'andar commemorando a parte a parte le sue azioni, non men savie, che valorose. Quasi che non fossero notissime ne' loro benefici effetti, e non avessero tanti vivi testimoni de' loro famosi meriti. Basta accennare, che s'è fatta conoscer quant'ella vale in ogni sorte di fortuna, di impresa, e di militar direzione. Non ha avuto bisogno il valore di v. e. di combattere col credito di vittorie passate per trionfare a tempo d'una battaglia. Non ha avuta necessità la sua prudenza di ben pensare agli umani pericoli, per non lasciar vincere le sue vittorie dalla negligenza, o dalla superbia d'una lunga felicità. Ha saputo v. e. in Polonia, ed altrove varcare de' gran fiumi a fronte di poderosi inimici. Ha saputo altresì custodire, non meno col credito, che con l'armi picciole rivere da grandissimi rischi. Ha combattuto con ugual felicità usando le forze della sua mente, e adoprando tutto il vigore delle sue forze.

Che più? la sua gloria è sol bene mascherata dal pubblico gradimento di tutti i principi, che l'hanno eletta alla guida delle loro squadre, ed alla difesa de' loro stati. V. e. ha da tutti ricevuto tutti i maggiori, e tutti i più preziosi argomenti di stima, d'onore, e d'affetto. Gli onori sono chiarissimi testimoni d'un'illustre opinione. In bocca dei principi non sono più testimonianze, sono giudizi, sono sentenze, sono decreti. Quando poi l'opinione de i re si spiega con segni preziosi, e con lodi non ordinarie, è segno infallibile dell'alto prezzo in cui è tenuto il merito, che si onora. Nell'utile, che portano gli onori dispensato dai principi, si scopre chiarissima l'utilità, che ne riceve il principato, essendo l'utilità del principato il primo mobile a tutte le savie deliberazioni del principe. Nelle lodi, ch'escono da una lingua coronata, si trova la verità della gloria. Non adula chi è supremo. Non lusinga chi è l'arbitro. Non s'inganna chi pesa i meriti su la bilancia del comune profitto. Queste approvazioni concordi di molti sovrani, perch'è la somma gloria, è la maggior mercede, che v. e. possa mai ottenere dopo tanti anni di valorosi impieghi.

Me ne congratulo con le sue rare virtù, e me ne rallegro con tutti quelli che hanno la buona sorte di goderne i frutti, di ammirarne gli esempi, d'emolarne le perfezioni. Io nel poco, ho nessun credito, e delle muse, e dell'ozio, non posso contribuir molto con la mia opinione alla sua gloria. Pure non potendosi contribuire altro che gloria a chi cammina su per la via degli eroi, accetterà v. e. a scarico del molto mio dovere quest'attenzione di rifrescare, come che sia, nella memoria degli uomini i suoi rari pregi, raccordando i suoi meriti, e le sue beneficenze. Le doti degli eroi, per quanto siano eccelse, rare volte vanno in conto di merito, se non sono pubblici benefici. E bene spesso i benefici sono quelle immagini, che più facilmente si cancellano dalla memoria degli uomini. L'ingratitudine è un vizio troppo comodo all'avarizia, troppo caro alla superbia; facilmente si trova dove quelle s'incontrano; e quelle s'incontrano frequentemente, dove è più frequente l'umanità. Vivono gli eroi una vita tutta composta d'operazioni benefiche. Vivono altresì un'altra vita tutta effigiata d'obbligate memorie. Quello è vivere alla virtù. Questo alla gloria. La prima lor vita è mantenuta nel vasto mare dell'essere dalle loro generose fatiche. La seconda è tenuta viva nell'immortale delle menti umane dalla cura onorata di chi le vede, le distingue, le pubblica. Io mi recherò sempre a gloria d'essere fra questo numero, e di far apparire col pubblicare le sue glorie, il debito, l'ossequio, l'ambizione, che mi porta a farmi conoscere in faccia del mondo, qual sono nella secreta venerazion del mio cuore.

Di v. e.

Umiliss. obbligatiss. servitore

Girolamo Frigimelica Roberti

Argomento

La ruvina della macedonica monarchia somministrò copiosa materia da fabbricare più regni. Uno fu il reame di Ponto, eretto da Mitridate, perciò chiamato ciste, che vale a dire fondatore. Questi uscito dall'antico sangue del perso Dario, tramandò la corona a molti discendenti. Il quinto si trova essere un altro Mitridate distinto col titolo di Evergete, padre del gran MITRIDATE cognominato Eupatore, e Dionisio, di cui parla il Petrarca così cantando nel Trionfo della fama:

Ov'è il gran Mitridate quell'eterno

nemico de' roman, che sì ramingo

fuggì dinnanzi a lor la state, e 'l verno.

Mitridate l'Evergete tornò vittorioso a Sinope, reggia di Ponto, trionfante di molte guerre, che l'avevano tenuto assai tempo lontano. Appena giunto in corte fu da Stratonica sua moglie a tradimento ucciso con l'aiuto di Farnace loro cugino. Il misfatto ebbe speciose cagioni, onde colorirlo alla vista del mondo. I traditori fecero mentire a lor modo la fama. Il vero motivo venne dall'amore incestuoso di Stratonica con Farnace, accompagnato dal timore d'una giusta vendetta. Motivo tanto più caro, quanto serviva a coprir l'adulterio col matrimonio, ed il delitto con la corona. Aveva Stratonica due figli. Laodice giunta all'età del senno, e del valore. Mitridate appena uscito dalla prima infanzia. Previde Laodice il pericolo del fratello. Lo rapì opportunamente, e lo mandò in Egitto a Tolomeo perché ivi fosse nutrito, e serbato al regno, ed alla vendetta del padre. I tiranni, vedutasi tolta di mano la preda pensarono ad un castigo, che a loro non aggiungesse maggior nome di crudeltà. Temevano il dar morte a Laodice; temevano ancora il vederla un giorno madre di generosi figliuoli. Che fecero? La maritarono a Nicomede loro bifolco. Questi più villano per fortuna, che per natura, la rispettò come sovrana, e portò il nome di marito solo per meglio servire a' suoi fini. Teneva pratica con Mitridate, e lo invitava alla impresa della vendetta, e del regno. Egli venuto agli anni della virilità, girò pellegrino per l'Asia con magnanimi fini. S'invaghì d'Issicratea, e la fece sua moglie. L'istesso Petrarca ben dipinge chi ella si fosse nel suo Trionfo d'amore:

Quella che il suo signor con breve chioma

va seguitando, in Ponto fu regina.

Come in atto servil sé stessa doma.

Tornò finalmente Mitridate in Egitto, e con l'aiuto di Tolomeo, pensò al modo più facile di ricuperare il trono paterno. Mandò il re d'Egitto a trattare una lega solenne col re di Ponto. L'occasione fu la disfatta d'Aristronico. La romana grandezza con quella vittoria s'era resa sospetta all'Africa, ed all'Asia. Gli ambasciatori egiziani ordirono il trattato, e per segno di vera amistà, proposero di togliere l'ostacolo, che l'impediva. Questo era Mitridate allievo di Tolomeo, ed il maggiore nimico degli usurpatori Stratonica, e Farnace. In tal disposizione di animi, e di cose comincia l'azione.

Nel dì solenne a' tiranni di Ponto, ch'era l'annovale festa della loro esaltazione al soglio usurpato, giungono a Sinope i nuovi ambasciatori per conchiudere la lega già tramata dai primi tra il Ponto, e l'Egitto. Sono Mitridate, ed Issicratea, quello sotto nome d'Eupatore, questa sotto forma d'Antigono. Entrano con tale inganno in corte. Trattano occulti col patrigno, con la madre, e con la sorella di Mitridate. Mitridate medesimo offre la sua testa a' suoi proprii nimici. Si giura solennemente la confederazione, e la morte di Mitridate. Laodice fa ogni sforzo per impedirla, e mentre crede di vendicare il fratello, poco manca, che non lo uccida. Ma che? Quando lo piange estinto, vivo lo riconosce, ed unitamente conducono a fine il disegno. Farnace è trafitto da Mitridate, allorché sta ricevendo da lui la testa di Mitridate. Stratonica nel punto, che pensa di vedere il teschio del figliuolo, riconosce quello del marito Farnace. S'avvisa della frode; s'immagina l'autore. Tenta con astuzia di riconoscerlo, conosciuto s'avventa per ucciderlo. Issicratea lo salva, ed uccide la perfida madre. E così acclamato da tutta Sinope, Mitridate viene dalla sorella lietissima, con la fedele Issicratea pubblicamente coronato tra gli applausi di glorioso trionfo. Questa favola, che più distesamente si avvolge, e si distingue nella tessitura del dramma, è formata d'alcuni pezzi di rozze verità, che a lei prestano i nomi, ed il fondamento per gli episodi, e sono le seguenti.

Notizie storiche.

Mitridate Eupatore nacque da Mitridate Evergete. Regnò in Ponto, e restò pupillo di pochi anni. Fu perseguitato dai tutori, a tal segno, che si difese dal veleno con tanti antidoti, che volendosi poi avvelenare in sua vecchiezza, non trovò tossico adatto ad offenderlo. Andò errando per l'Asia incognito molto tempo a fine di conquistarla un giorno, e tornato a casa poco mancò, che non restasse oppresso da' suoi congiunti.

Giust. Ist. lib.37 cap.4

Mitridate Eupatore uccise la madre.

Appiano de bello mitridatico p.413

Issicratea fu seguace fedele di Mitridate, in pace, ed in guerra. Si tagliò i capelli, e prese abito civile alla persiana.

Plut. in vita Pomp.

Mitridate l'Evergete fu tradito da' suoi nella propria corte.

Strab. lib.10

Mitridate l'Eupatore con l'ascondersi ad arte nelle fascie del turbante il pugnale, mentre era cercata la sua persona da un capitano, uccise il re di Cappadocia, che s'era con tal cauzione fidato di venir seco a parlamento.

Giust. lib.38 cap.2

A chi legge

Il nostro italico Omero, con la sua tromba sempre d'oro, in tal maniera esclama dove va dipingendo a finissimi colori d'armonioso suono le bellezze d'Olimpia.

O se fosse costei stata a Crotone

quando Zeusi l'immagine far volse,

che pur dovea nel tempio di Giunone,

e tante belle nude insieme accolse;

e che per una farne in perfezione

da chi una parte, e da chi un'altra tolse,

non avea da torre altra, che costei,

che tutte le bellezze erano in lei.

Mi fo lecito di prendere ad impresto dal grande Ariosto questo bel fatto di Zeusi, e n'applico a mio vantaggio l'esempio. Zeusi per ben dipingere una dèa a quelli di Crotone diffidò dell'arte, e s'ingegnò di raccorre il più bello della bellezza femminile dalla verità della natura. Io dovendo disegnare una tragedia a Venezia, ho diffidato della natura, e mi sono ingegnato di raccogliere il più fino della tragica finezza della finzione dell'arte. Zeusi per vedere la naturale avvenenza onde potere imitarla con laude, radunò le più perfette vergini della Grecia. Io de la Grecia ho tolto le più perfette tragedie per vedervi l'artificiosa beltà, e potere imitarla con vostro diletto. Ed eccone il come.

Tra le molte favole, che insegna il gran maestro in poesia, si ritrova la favola doppia, cioè a dire con doppio ravvolgimento. In uno passano i tristi dalla felicità alla miseria. Nell'altro i buoni vanno dalla miseria alla felicità. Questa maniera di favole suol riuscire grata al teatro, perché feconda l'inclinazione della maggior parte, che brama di vedere al fine i peggiori puniti, ed i migliori felici. Che se in ogni paese suole riuscir cara questa giustizia, quanto più deve esser accetta a Venezia, che oltre alla dolcezza dell'indole, ha nell'animo tanta equità d'opinioni, e di desideri? Certamente un simil piacere è un panegirico muto di chi lo sente. E chi di Venezia così giudica, le dà modestamente quella gloria, che merita di perfetta giustizia nella volontà, e d'ottimo gusto nell'intelletto.

Dovendo dunque entrar nell'impegno di lavorare una tal favola, mi sono subito proposto per modello l'antica Elettra, e trovandola trattata da Sofocle, da Euripide, e da Eschilo, i tre lumi della tragica sapienza, mi son tolto a seguire l'artificio di Zeusi. Presa in mano la penna per disegnare il mio quadro, ho messo l'occhio in quelle tre Elettra, e di lui poss'io anche dire.

Da chi una parte, e da chi un'altra tolse.

Ogni mente erudita, nel leggere l'Argomento, si sarà ben tosto avveduta, che il mio Mitridate è il greco Oreste; che Stratonica è la fiera Clitemnestra; che Farnace, è l'adultero Egisto. In Nicomede avrà ben ravvisato il colono miceneo, ed in Laodice, l'argiva Elettra. Io pure non lo nascondo a chi da sé no 'l sapesse, anzi v'aggiungo, che l'Ecuba d'Euripide, oltre le giovani Elettra, se ben vecchia, ed afflitta, è venuta nel numero delle belle da me raccolte, per formare, non al tempio una dèa, ma al teatro un poema. Perché nasconderlo? Zeusi ha più lode dalla sua artificiosa diligenza, che dalla sua meravigliosa pittura. La sua modestia ingegnosa ancor dura per sua gloria. La sua Giunone è già perduta, e forse per sua fortuna... chi sa se la perfezione dell'opera abbia eguagliato la perfezion del pensiero? Io dunque nasconderlo? E perché? Non era fattura di Zeusi la sua Giunone, se ben questa, e quella parte era di quella, o di questa donzella?

Ognuno già mi intende. Lo studio di fissarmi negli esemplari perfetti, per far tesoro nella mia mente delle altrui perfezioni, è un effetto della dovuta diffidenza nel dubitare del mio ingegno, e d'uno stimolo d'impaziente vaghezza d'offerirvi un'opera degna di voi. Il palesare una tal diligenza, è un indizio, ch'io poco altro spero, oltre all'aggradimento del mio buon volere, e questo per difetto del merito mio, non della vostra giustizia. Perché ho seguìto Zeusi nella proporzion dell'esempio, non per questo intendo d'essere il Zeusi della poesia, come egli è quello della pittura. Molto meno mi lusingo nel credere d'aver fatta una Giunone tra le tragedie, com'egli fece tra le tele una dèa, per avere cercato tra molti, in aiuto della naturale perfezione dell'arte, com'egli, per aiutar l'arte, ha ricercato tra molte le perfezioni della natura. Se fossi preso da una tale presunzione, meriterei, ben lo confesso, non d'essere mandato in Pindo per la corona; ma d'essere spedito in antichità per il rimedio.

Conchiudo per tanto, con quello stesso poeta, che m'ha dato il principio, anche il fine del mio proemio.

Quel, ch'io vi debbo posso di parole

pagar in parte, e d'opera d'inchiostro.

Né che poco vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.

Atto primo
Scena prima

Villaggio su le foci del fiume Amiso con capanne di bifolchi, illuminate dalla luna nell'ora verso l'alba.
Laodice con pochi Famigli, che traggono dall'ovile un picciol gregge. Essa viene con un vaso in mano da attinger acqua nel fiume.

LAODICE

Meco uscite anche voi,

(non so s'io debba dir servi, o compagni)

e voi pur me seguite al prato, al fiume,

quadrupedi vassalli

di regina bifolca.

Rustico regno mio,

mio popolo lanuto,

d'un crudele destin scherno, o rifiuto.

Invitan voi già i campi, e voi le valli.

Me chiama già l'aurora,

me figlia oppressa, e me avvilita moglie,

a servil cure, e familiari stenti,

e in van m'appello al tribunal dei venti.

E perché? Perché accuso un'empia madre

che affin di alzare al soglio

l'adultero cugin, di sua man toglie,

onore, regno, vita al mio buon padre?

Perché l'unico erede

io confidai fanciullo al re d'Egitto?

Perché già fatto adulto,

e sovente invitato al mio soccorso,

spaventa in fin sul trono un gran rimorso?

Sì un adultero è nel soglio

del mio padre già tradito,

la mia madre lo tradì.

Sì vendetta un dì ne voglio

dal fratel per me fuggito,

e non viene mai quel dì.

Scena seconda

Laodice, Nicomede.

NICOMEDE

Principessa, e consorte

altri uffici dimanda il vicin giorno.

Il re ti vuole in corte.

LAODICE

Così lacera, e incolta, o Nicomede

dirai, ch'io vada, ove la corte è in festa?

NICOMEDE

Rimproveri così chi n'è cagione.

LAODICE

Del padre mio la morte il re festeggia.

NICOMEDE

Festeggia il dì, ch'ei cinse d'oro il crine.

LAODICE

E del paterno eccidio il giorno è appunto:

soffrirà ogn'anno il mio dolore inulto

l'atroce, orrendo insulto?

NICOMEDE

Gran soffrire è vendetta,

se luogo, e tempo il gran soffrir n'aspetta.

LAODICE

Il mio germano attendo, e mai non giunge.

NICOMEDE

Dopo tre lustri un giorno ancora attendi.

LAODICE

Più, che attende il desio, più fiero punge.

NICOMEDE

Ma non scrive, e promette, e venir giura?

LAODICE

Giura, promette, scrive, e tarda ancora.

NICOMEDE

Solo il tempo lavora una grand'opra.

LAODICE

Il tempo fa, che un gran pensier si scopra.

NICOMEDE

Gran pensier mal traluce in vita oscura.

Di lui non déi temer, di me sei certa,

e te, nascosa in sorte umil di serva,

a la comun salute il ciel conserva.

LAODICE

La pia ragion di stato,

egualmente temendo, e darmi morte,

e dal mio fianco generosa prole,

pensò obbligarmi a le viltà del solco,

legandomi in un giogo ad un bifolco.

Ma dove i miei tiranni

pene credean recarmi, affanni, e torti,

ho consigli, ed aiuti, ed ho conforti.

NICOMEDE

Servo son di Laodice,

e a lei marito sol fin ch'è infelice.

LAODICE

Con le ricchezze i bei splendor del sangue

ti rubò la fortuna;

ma la virtù vetusta in te non langue.

NICOMEDE

Onor, dover, pietà, ragion, rispetto

mi gridano nel core,

che indegno i' son del marital tuo letto.

E ben tu sai perché, tu sai ben come

di tuo sposo anche porto il nome.

LAODICE

Lo so, e saprallo al suo felice arrivo,

se pur quel dì mai sorge, il pio fratello

saprà, che tu gli usurpator superbi

con pure nozze inganni,

e intatta al mio destin tu mi riserbi.

NICOMEDE

Se ricerca mercede,

è traffico l'amor, mercé la fede.

Pensa al german, dissimula, e confida.

A la corte, e nel rischio io ti son guida.

LAODICE

Ricercano un momento

le domestiche cure;

e poscia seguirò con piè non lento

il compagno fedel di mie sciagure.

Tra i perigli, i timori, e le morti,

tu sol mi conforti

compagno fedel.

È ben caro chi assiste infelici;

sol prova gli amici

la sorte crudel.

Scena terza

Nicomede.

Quanto le pene tue sento, o Laodice!

Che dirà Mitridate,

se un giorno il ciel lo manda in nostro aiuto

a vedere quel sangue,

che fin da Xerse, e Dario in lui discende,

vilipeso dal re con le mie nozze?

Questa sua ingiuria a lui si occulta ancora,

e con ragion si occulta.

Trafitto gli avria il sen la rea novella

con l'onta assai; ma col timor non meno,

che la tradita principessa fosse

tanto di cor, quanto d'onor caduta.

Tale avviso rompea le ordite fila

né a villano cognato un re prudente,

né a sorella avvilita,

più confidati avrebbe arcani, e vita.

Sento al core chi mi dice:

presto forse un dì felice

ti farà

trionfar con la costanza.

Così il misero adulato,

mentre più gli è avverso il fato

tutta dà

la sua fede a la speranza.

Scena quarta

Eupatore, Antigono, che vengono dal mare con un palischelmo.

EUPATORE

Scendete, o miei custodi;

e voi vegliate su le forti navi.

Di morte è reo, se sia straniero ardito,

che entrarvi tenti, o egizio uscirne al lito.

Al fin diletta sposa,

calco quel suolo pur, che bramai tanto!

ANTIGONO

Al tuo piacere applaudo infin col pianto.

EUPATORE

S'io bene intendo quella muta scorta,

che in questa imago ci mandò Laodice,

ecco il bel fiume Amiso.

ANTIGONO

E Sinope lontana, ecco, torreggia.

EUPATORE

O de' miei Mitridati antica reggia,

con la persona, e più col cor t'inchina

l'esule Mitridate, e ti predice

e gloria, e pace, e libertà vicina.

ANTIGONO

Su, scacciamo i tiranni,

con quei, che ha Tolomeo disposti inganni.

EUPATORE

Sì mentiamo. Tu il sesso, ed ambo il nome:

Antigono tu sei, no Issicratea.

Non del talamo più fida consorte,

ma de l'ufficio mio fido compagno.

ANTIGONO

Per te già sono avvezza

d'usar vestiti virili, e brevi chiome.

EUPATORE

Eupatore son io non Mitridate,

ed ambedue da Menfi

spinti noi siamo ambasciator di pace

a Stratonica in Ponto, e al re Farnace.

ANTIGONO

Sotto il volto d'amici,

ignoti avran gli usurpatori in corte

i maggiori nimici.

EUPATORE

Ne la reggia, non sol, ma fin nel core

penetrarò così de i due regnanti,

e nel pensier de' popoli, e de' grandi,

finché il lieto momento

di por fine al disegno il ciel ne mandi.

ANTIGONO

Ahi! Mi sgomenta il prossimo periglio.

Se sotto il velo mai d'ospite amico,

ravvisa un re tiranno il re nimico!

O la madre crudel l'offeso figlio!

EUPATORE

Straniero in patria sono.

Sì tenero mandommi

al principe, che innalza

tra le eccelse piramidi sua stanza

la provida sorella,

che tradirmi non può nota sembianza,

o di gesto, o di volto, o di favella.

ANTIGONO

Ahimè! un Argo è il sospetto;

la natura, il rimorso,

che non diranno a iniqua madre in petto?

EUPATORE

E ognuno acciecherò se fosse un Argo.

ANTIGONO

E come?

EUPATORE

Come ogn'altro re si accieca

sempre adulando il suo maggior desio.

ANTIGONO

Non han desio maggior, che del tuo sangue.

EUPATORE

Ed il mio sangue appunto,

per più tenermi occulto,

ed in credito ancor di tal ministro,

che giovi al loro soglio,

ai miei persecutori offrire io voglio.

L'arte mia sarà questa.

Di Mitridate, il lor temuto erede,

io, che son desso, io lor darò la testa.

ANTIGONO

Tu la tua testa? O ciel cessa l'augurio!

EUPATORE

Orsù, più non si tardi.

Tu mi precedi, e siti, e passi attenta

nota al favor de la ancor dubbia luce.

Più che il valor, l'amor a noi sia duce.

ANTIGONO

O mai se n' vada il piè

dove lo guida amor.

Va sempre ben la fé

dove comanda il cor.

Scena quinta

Eupatore.

D'Antigono, o miei fidi,

parte con lento piè seguite i passi,

parte mi attenda, e i campi osservi, e i lidi.

Qui alcun rustico almen guidasse il caso,

da cui destro potessi

di Laodice ritrar cauta novella.

Chi sa s'è a giogo maritale unita,

o in solitaria vita;

se viva, o morta è chiusa in cieca tomba,

o in libertà negletta

spera dal caro infante, ora mai giunto

a la età del valor, la sua vendetta.

Ma che? Il cercar di lei può mover ombra

di ciò, che più tener ci giova ascoso.

Secreto, che a cercarsi è mal sicuro,

è come il frutto acerbo,

che tocca al tempo sol farlo maturo.

Se il trono dimando

al cielo, al mio brando,

con quella, che adoro

sol bramo regnar.

Piacere di soglio

mi alletta; ma voglio

trionfo d'alloro

trionfo d'amar.

Scena sesta

La sala reale nella reggia di Sinope, ornata in festa per la solennità annovale in cui si celebra l'esaltazione al trono dei due tiranni.
Laodice, Stratonica.

STRATONICA

Da te ogn'ora udirò madre, e regina,

rimproveri, o minacce?

Da le miserie tue le nostre pompe

mira stolta infelice,

e impara ad inchinar l'alta cervice.

LAODICE

Sono d'immenso duol questi i conforti.

Così per or ti pago

ignominie, rapine, inganni, e torti.

STRATONICA

Sveller potrei la temeraria lingua;

ma ancora vuò mentir tanta baldanza

con benigna costanza.

LAODICE

Con astuta pietà tiranno esperto

giustificar s'ingegna altri misfatti.

STRATONICA

Tu sola aggravi le mie colpe, e sola

i sudditi, gli amici, il figlio, il cielo

contro la genitrice, e assordi, e inviti.

E come tutti i malcontenti arditi,

rubel temerità nomini zelo.

LAODICE

Al re marito, onore, vita, regno

togliesti in grazia del cugin Farnace.

Tante malvagità portarò io in pace?

STRATONICA

Menti per farmi rea. Quel dì che offesi

il padre tuo, la vita mia difesi.

LAODICE

Quasi, che non sia noto a l'Asia, al mondo

che il tuo misfatto, o dèi, fu indegno innesto,

d'odio, e di fellonia,

d'adulterio, e d'incesto.

STRATONICA

Ministra degli dèi fu questa mano,

e se ministra par d'ingiusta morte,

san gli dèi, ch'io prevenni il re consorte.

LAODICE

Mentre glorie coglieva in campo armato

il forte genitor, furon gli dèi,

che fecer forza a te, perché ricetto

tu dassi al reo cugin nel regio letto?

Sì, per comando dei celesti numi,

il vincitor marito a te stringesti

teneramente al sen nel suo ritorno,

e pria del novo giorno,

perché Minerva te 'l commise, o Marte,

nel tuo grembo lo vidi, ahi vista! esangue

e lorda la tua man del caro sangue.

STRATONICA

Quante furie ha il crudo Averno

vibrin fiamme entro a quel petto,

spirin gelo, odio, velen.

Con le Erinni venga Aletto,

e diventi un doppio inferno

l'empia mente, e l'empio sen.

LAODICE

Mal si risponde al ver con onte, e grida.

Tema le furie pur chi è parricida.

STRATONICA

Se le furie non temi

la madre temerai. Chi vilipende

le viscere onde uscì, più non è figlia,

e chi le infama poi, non ama il padre.

LAODICE

Ciò che il tuo seno infama,

e il caro genitore in parte offende,

mi duol più che non credi, e in dirlo sento

di vergogna, e d'orror fiero tormento.

Che se il mio labro è un impudico, un empio,

de l'opre pie, che narra, è questo il frutto,

frutto quest'è del buon materno esempio.

STRATONICA

Se ardita, e iniqua sei, la colpa è mia?

Questa de l'altre accuse addita il vero.

LAODICE

Son colpe tue le ferità de l'opre,

e sono mie vendette

quante il mio labro ferità ne scopre.

STRATONICA

A questo scettro giuro, a questa vita,

più non andrà l'audacia tua impunita.

LAODICE

Se il tuo sdegno e la mia sorte

vuol ch'io mora, io morirò.

Con l'invidia di mia morte

l'onta almen vendicherò:

penar sì

purch'altri peni;

svena sì

purch'altri sveni;

ma ch'io lasci d'esser forte;

ma ch'io tema, o questo no.

Scena settima

Farnace, Stratonica, Laodice.

FARNACE

Dove, dove, o Laodice?

A chieder forse dai nocchier del faro

nove di Mitridate?

LAODICE

Col sale altier de' soliti dileggi,

inasprisci, o crudel, le piaghe mie?

FARNACE

L'alterezza correggi,

ch'è tempo omai, d'inutili vendette.

Alla mia sofferenza è troppo acerba

la miseria superba.

STRATONICA

Deh l'ira tua non turbi il comun gaudio

mio re, lascia costei

al suo dolor; che in van move contesa

chi non ha forze d'agguagliar l'offesa.

LAODICE

Non è mai senza forza un giusto sdegno.

FARNACE

Raddoppia l'allegrezza, o mia regina,

non sol la corte, e il popolo fedele

son pronti ad onorar le gioie nostre,

ma solcan questo mar niliache vele.

STRATONICA

È Tolomeo, lo giurerei, che manda

regi messi a compir la lega ordita.

FARNACE

Del lieto dì le pompe,

sì lieto avviso ad affrettar ne invita.

L'allegrezza, chi ben l'intende,

è una breve felicità.

Più felice è quel che più stende

del suo gaudio la brevità.

Scena ottava

Farnace, Stratonica, Laodice, Nicomede, Pelopida, con tutta la Corte, Grandi del regno, e Popolo.

PELOPIDA

O supremi imperanti

di quanto mondo bagna il nereo Eusino,

nel giorno trionfal, che i cieli amici

voi fecero monarchi, e noi felici,

i popoli soggetti

offron su la mia lingua, al regal trono,

tutti i gaudi in tributo, e i cori in dono.

NICOMEDE

Con semplice schiettezza,

applaude nel mio labro a' suoi regnanti,

la rustica allegrezza.

FARNACE

Oggi, più che giammai, giulivo accetto

da' sudditi miei fidi

tributi, e doni d'umiltà, e d'affetto.

In cambio a voi prosperità predico

d'eterna sicurtà, d'interna pace.

Con empietà sagace,

minaccia Mitridate, infin dal Nilo,

il padrigno, e la madre,

e il parricidio chiama amor del padre.

De la romana lupa

a chi nota non è l'ingorda fame

d'ingoiar tutti i re, con tutti i regni?

Pur chiama libertà gli ampi disegni;

in questo dì vi giuro

de l'emulo vicin, del rubel figlio

il doppio cesserà vostro periglio.

STRATONICA

Né aperta forza no, né cieche trame

teme più questa reggia,

s'Africa, ed Asia unisce un pio legame.

NICOMEDE

Bella gloria d'un gran re

comparir Giove fecondo,

e vedersi un mezzo mondo

supplicante sotto il piè.

Ma a la fin s'io ben vi penso

l'uomo in trono e che cos'è

lo fa re l'altrui consenso

Giove il fa la comun fé.

Atto secondo
Scena prima

Gran loggia del palazzo reale, che guarda sopra i giardini, con porta, onde si entra a' sontuosi appartamenti.
Eupatore, Antigono.

ANTIGONO

È qui l'empia regina

suoi domestici onori a noi destina.

EUPATORE

Siamo qui soli al fine? la corte è un mostro,

ch'è lince al guardo; e se al parlare è sfinge,

è un edipo in capir ciò ch'altri finge.

ANTIGONO

Soli siamo, e frattanto, o mio diletto,

l'odio sfogo, e l'amor senza sospetto.

EUPATORE

Presto il tempo verrà, che tolto il freno

de le finte sembianze,

potrò unirti a mia voglia a questo seno.

Ora lo stesso amor vuol, che l'ingegno,

la mente, il cor, la man sol pensi al regno.

Patrii numi, amici dèi,

fausti udite il mio dolor.

Voi che foste ne le imprese

sì propizi agli avi miei,

virtù date a chi si prese

di punire un traditor.

Scena seconda

Eupatore, Antigono, Stratonica.

STRATONICA

Con sollecito cor, legati amici,

sola a udirvi m'affretto

porto liete accoglienze, e buoni auspici.

EUPATORE

La maestà, o gran donna, e il regio aspetto,

senza il fasto maggior di regia usanza,

ti palesa abbastanza.

STRATONICA

Ben vi aprite con me. Son la regnante.

EUPATORE

In poco io t'apro molto. Il re del fiume,

che cela a mortal occhio il divin capo,

felicità vi annuncia, e Mitridate

per nostra man vi manda.

STRATONICA

Il mio figlio? E dov'è.

ANTIGONO

Su l'alte prore

che fan ampia corona al vostro porto.

STRATONICA

Inaspettato è il dono. È vivo, o morto?

EUPATORE

Sarà come a voi piace.

Vivo, se l'util lega è per voi sciolta.

Morto, se vi compiace

d'aver con noi confederata pace.

STRATONICA

O ciel, che far degg'io?

Necessità mi stringe a dargli morte;

ma uccidendo il figliuol, che dura sorte!

compro la vita a me col sangue mio.

EUPATORE

E che? Ti turba un assoluto arbitrio?

STRATONICA

Forte è il materno amor, né mai per quanto

figlio ingrato l'offenda,

brama il supplizio suo, più che la ammenda.

ANTIGONO

Inopportuno dunque è il nostro arrivo.

STRATONICA

Tolga il ciel, che mi giunga

inutile, o non grato il vostro aiuto.

Ne ho grazie a Tolomeo, non lo rifiuto.

EUPATORE

Che sia di Mitridate?

STRATONICA

Prima, ch'io ne decida. Oh dio! narrate

come egli è grande, e fiero, e quale ha in volto

aria superba, e come atroce il guardo.

Con l'orrore aiutate

il mio sdegno, che ancor troppo è codardo.

ANTIGONO

Credi al mio labro, ed in color non finto,

il tuo nimico or ti vedrai dipinto.

Aria dolce, e fiera ha in volto;

ma quel dolce è maestà;

ma quel fiero inspira amor.

Grande è sì; ma nulla ha tolto

la grandezza a la beltà.

Forte è sì; ma aggiunge molto

la clemenza al suo valor.

EUPATORE

No Antigono, non sei pittor fedele.

Regal donna, a me credi,

del tuo parto non è questa l'imago.

STRATONICA

Sia pur gentil, sia vago,

non dubitar, che sua ragion natura

se n' va cedendo a la ragion di stato.

Né più regina son, né più son viva,

se più voglio esser madre, e tanto basti.

EUPATORE

E perché mai?

STRATONICA

Perché a l'iniqua prole

giova con la mia vita

la morte vendicar del suo buon padre.

EUPATORE

Pietà, sdegno, timore, onor lo scusa.

STRATONICA

Onor, timor, pietà, sdegno lo invita,

non a punir; ma a scusar la colpa mia.

EUPATORE

Come questo?

STRATONICA

Dirò. Me al sepolcro

già destinata aveva il re marito,

e un'altra al fianco suo. Né so s'ei fosse

di me più sazio, o più di lei invaghito.

Ma no 'l soffrir gli dèi.

EUPATORE

E ti piace tacer chi fu costei?

STRATONICA

La Cleopatra fu famosa, e bella

del vostro Tolomeo regia sorella.

ANTIGONO

E tu al sepolcro allora

il monarca marito, e tu al tuo fianco

destinasti Farnace.

STRATONICA

Di più colpe m'accusa ardita figlia.

E l'unico mio infante anche mi ruba.

Me 'l ruba, e mentre a re straniero il fida,

mostra ciò che ne teme,

ciò che ne spera, e quanto in me confida.

Lasciar poteasi, allora,

dirai, vedovo il letto;

ma non poteasi già, s'io ben ragiono,

lasciar vedovo il trono.

EUPATORE

Esecutor siam noi de' tuoi piaceri

non giudici severi.

STRATONICA

Il mondo mal sospetta

finezza, inganno, ed arte,

ne l'opre dei gran re.

Egli di rado aspetta

da chi nel trono ha parte,

giustizia, onore, e fé.

Scena terza

Eupatore, Antigono.

ANTIGONO

E che fa in cielo Giove,

che su quest'empia i folgori non piove?

EUPATORE

Pria che gridar col cielo il fine attendi.

ANTIGONO

Come scusa i misfatti?

Con quanta audacia accusa il re consorte!

E il condanna innocente

de la sua fama a la seconda morte!

EUPATORE

Così brutta è la colpa,

che chi negar non può l'opra malvagia,

o il fato accusa, o la cagion ne incolpa.

ANTIGONO

Il sangue del figliuol la cara madre

dimanda con un viso,

che del labro, e del cor palesa il riso.

EUPATORE

Se sapesse, che parla a quello stesso

odiato suo figlio,

che con la lingua, e col voler già uccide.

ANTIGONO

Ahimè! questo spavento

sposo diletto, l'alma, ahi mi divide!

Ma no. Col diffidar fo ingiuria al cielo.

Il cielo destina a te il regno,

sposo caro non dubitar.

Una speranza mi dà in pegno,

ch'è più assai d'un puro sperar.

Scena quarta

Eupatore, Antigono, Farnace, Pelopida.

PELOPIDA

Gran messi, o voi, del successor di Lago,

cui bacia il piè la torrida Siene,

a privato colloquio il re se n' viene.

EUPATORE

Sire, l'onor, che eccede il grado nostro,

parte è del mio sovrano, e parte è vostro.

FARNACE

Meco sedete, o amici

il re di Meroe, e voi bramo felici.

Contro il Tebro fatal, l'Eusino, e il Nilo,

con vicendevol leggi

altri legaro in amicizia eterna.

A voi tocca osservarne,

a me segnarne i patti. Eccomi presto

al dover mio. Da voi s'attende il resto.

EUPATORE

Nulla men pronto, o sire, è il re, che adora

l'in van cercato Osiri,

ad ottener a voi, con l'opra nostra,

ciò che l'util comune util vi mostra.

ANTIGONO

A ognun di noi sol resta,

che pegno dia d'invariabil core.

EUPATORE

Di Mitridate in pegno offro la testa.

FARNACE

Io la parola mia.

ANTIGONO

Sola non basta.

FARNACE

E quella ancor della regina.

EUPATORE

È poco.

FARNACE

Che vuoi di più.

EUPATORE

De' popoli il contento.

FARNACE

Io sono il re.

EUPATORE

Ma i popoli il tuo regno.

FARNACE

E il regno mio da la mia man dipende.

EUPATORE

Non t'adular, monarca,

l'universal volere è il tuo sovrano.

FARNACE

D'universal voler vi sia argomento

pubblico giuramento.

ANTIGONO

Se con te la regina, e il regno giura,

la prudenza è sicura.

FARNACE

Fin che avanti gli altar le genti aduno,

ne le vicine stanze

v'offre la nostra reggia ozio opportuno.

EUPATORE

Non è l'ozio riposo beato

di chi brama fatica d'onor.

L'ozio al saggio, ed al forte è sol grato,

quand'è premio di stanco valor.

Scena quinta

Farnace, Pelopida.

FARNACE

Pelopida già udisti.

PELOPIDA

Dura ti prendi, e dubbia impresa, o sire.

FARNACE

Temi, che non secondi in mia presenza

un grido universal la voce mia?

PELOPIDA

O quanto omai gli animi accende; o come

di Mitridate sol gli turba il nome!

FARNACE

Per ottener gli applausi al giuramento,

schiere armate disponi,

che sembrino far pompa, e dian spavento.

Ottenga la paura

ciò che non può l'amor.

Gran re, poco si cura,

che il mondo al fin gli serva,

per voglia, o per timor.

Scena sesta

Pelopida.

Molto t'inganna, o altier, molto t'accieca

la cupidigia, la superbia, e l'uso

d'impune violenza;

ma le tenebre al capo ancor più nere

ti addensano i delitti.

Se a l'uomo scelerato

pongon su gli occhi i lunghi error la benda,

segno chiaro è che il cielo,

già il castigo ne vuol, non più l'emmenda.

Mal sicuro è quel regnante,

che su l'arte, e su la forza

solo fonda il suo regnar.

Chi col ciel fa del gigante,

sul reo capo il cielo sforza

a tuonare, e fulminar.

Scena settima

Appartamento destinato nella reggia per gli Ambasciatori d'Egitto.
Antigono, Nicomede.

ANTIGONO

No, trovar, non credeva

in rustica viltà sì nobil core.

Da le ricchezze, è ver, mal s'argomenta

l'alma gentil.

NICOMEDE

Ti proverò co' fatti

qual io mi sia. La nata a volger glebe

armerò in tuo favor guerriera plebe.

ANTIGONO

Va', e gli animi apparecchia, e da me attendi

la notizia opportuna.

Va bifolco onorato, e de' suoi torti

fa pentir la fortuna.

NICOMEDE

Ingiusta fortuna

col globo, che giri

invano tu aspiri

qui sotto la luna

tu sol dominar.

Giustizia, e valore

col tempo, col merto

di quanti ha sofferto

tuoi danni l'onore

si sa vendicar.

Scena ottava

Laodice, Eupatore.

EUPATORE

Queste più chiuse mura

più fide spero agli accennati arcani.

Ma se vuoi pronta fé, dimmi, chi sei?

LAODICE

Serva cara, e compagna

io son d'una real figlia infelice,

che si chiama Laodice.

EUPATORE

Suora di Mitridate?

LAODICE

Io servo a quella,

che sottratto al furor dei due tiranni,

lui trasmise al tuo re, cauta sorella.

EUPATORE

Ne la corte di Menfi il caso è noto.

LAODICE

Ed essa a te m'invia,

con sue richieste, e suoi segreti in petto.

EUPATORE

Svela i segreti, e voglia egual prometto.

LAODICE

Di Mitridate il genitor, che chiama

lo Evergete la fama,

gli ampi tesori tutti ella possiede,

tutti gli dona, e un sol favor ti chiede.

EUPATORE

Con tanto prezzo, e che comprar pretende?

LAODICE

Al diletto germano e vita, e regno.

EUPATORE

D'un alto cor, l'alto pensiero è degno.

E tanto ama il germano?

LAODICE

Lo dicono ben più che ricche offerte,

mille sciagure per suo amor sofferte.

EUPATORE

O suora generosa!

Ma come dar possiamo

io regno, e vita al fratel suo diletto,

ed essa a me del padre re i tesori?

LAODICE

In lei confida.

EUPATORE

E tanto può una donna?

LAODICE

Solito è il ciel di debellar gli altieri

cinti d'arme, e d'orror, con una gonna.

EUPATORE

Fa' che io le parli, e spera.

LAODICE

L'impossibile chiedi. In cieca tomba

sospira la meschina;

a me quivi sol viva, a ogni altro è morta.

EUPATORE

Chi ve la chiuse, e quando?

LAODICE

Un tiranno comando,

al comparir del primo egizio legno.

EUPATORE

Viva è sepolta, e mutar spera un regno?

LAODICE

Da traditori re tu speri fede?

Dimmi, se non ti pesa,

chi di voi doi piglia più dubbia impresa?

EUPATORE

Anche ai tiranni fan mutar costumi,

se ad essi son mallevadori i numi.

LAODICE

Tronca la testa a Mitridate, e aspetta

fé dai tiranni, o dagli dèi vendetta.

EUPATORE

De i promessi tesor, chi m'assicura?

LAODICE

Degli occhi tuoi vuò che t'accerti il senso

ti condurrò dove ha quell'oro immenso,

non so, s'io dico stanza, o sepoltura.

EUPATORE

L'offerta accetto, e poi?

LAODICE

Mitridate veder fa' poi sul lido

d'armi fornito, e numerosi armati.

E intorno al nuovo re tosto adunati

i popoli vedrai con lieto grido.

EUPATORE

Soccorso infermo è il popolare aiuto.

LAODICE

Gli eserciti, i senati

di tollerar due furie ommai son stanchi;

ma il ciel n'è franco. Il ciel, che al giusto, al forte

non manca no, purch'egli a sé non manchi.

EUPATORE

Il valor, la pietà, vuol che acconsenta,

tu dal tuo canto fa', ch'io non mi penta.

LAODICE

Dolce stimolo al tuo bel cor

sia il valore, e la pietà.

Pietà forse, né valor

non ha mai gloria maggior,

che in dar vita, e libertà.

Scena nona

Eupatore, Antigono.

EUPATORE

Se il buon principio, è indizio buon del fine,

io già ti reco, in questo dolce amplesso

la gioia d'un lietissimo successo.

ANTIGONO

O caro mio, saremo un dì felici.

EUPATORE

Quanti acquisti in brev'ore,

di tesori, d'eserciti, d'amici!

ANTIGONO

L'uno, e l'altro tiranno ha in noi gran fede.

EUPATORE

Così appunto succede.

Il frodolente alfin risente il danno

de l'arti troppo usate,

al vero nega fé, crede a l'inganno.

ANTIGONO

O al re quant'odio aggiungerà l'iniquo

pubblico giuramento! Ognun comprende

ch'ei spergiura in favor di un tradimento.

EUPATORE

Sì, questo capo egli comprar pretende.

Che dirà il regno mio, cui tanto è grato

di Mitridate il nome,

quando costretto ei sia

col grido ad approvar la morte mia?

ANTIGONO

Sì, sì spera, o caro sposo

di regnar, e di goder.

EUPATORE

Sì, sì credo, o sposa amata

di godere, e di regnar.

Ma anche gioia coronata

senza te saria penar.

Atto terzo
Scena prima

Cortile avanti il tempio con gli altari, e fuochi apparecchiati da fare il pubblico giuramento.
Farnace, Pelopida, Popolo, ecc.

FARNACE

Il massimo pensier di chi ben regge

è la felicità de' suoi soggetti.

Di lor felicità madre è la pace,

fonte d'ogni arte, d'ogni studio, ed alma

dei regni, e sol de l'armi onesta palma.

L'aristonica guerra

finì; ma Giano il tempio ancor non serra.

Già l'aquila romana il doppio artiglio

stende a l'Africa, a l'Asia, e saran prede

facili, se non vede

l'Africa, e l'Asia in tempo il suo periglio.

Ben lo comprende il re, ch'Iside, ed Api

coi voti onora, e lor giurando, è pronto

di dar la regal destra al nostro Ponto.

Fian solo uniti, e fian temuti in Roma

quei re, che pria Roma temean divisi.

Ma che? Quel comun bene,

che dà onestà, e giustizia a l'opre tutte,

quel comun ben, che d'ogni gente è il nume

un sacrificio attende.

Di fé richiedete in segno, e d'amistate

vittima Mitridate.

Creder si può confederato amico

quel sovran, che a voi nutre il gran nemico?

Non ama il proprio ben, chi il ben non lauda

de la patria, e del regno.

Chi il regno ama, e la patria a tempo applauda.

Pelopida eseguisci.

Ciò che al regno è beneficio,

tutto è lecito, ed è virtù.

Dar un uomo in sacrificio,

se dà vita ad un impero,

sembra orribile, e non è più.

Scena seconda

Farnace, Stratonica, Pelopida, Nicomede, Eupatore, Antigono, Popolo, Corte ecc.

STRATONICA

Sire, su l'are accese avanti al tempio,

prometti, afferma, giura.

Noi, noi seguirem tutti il regio esempio.

FARNACE

Su queste fiamme i già descritti patti,

di Pelusio al monarca oggi assicuro.

Impune, o dèi, non sia, chi sia spergiuro.

STRATONICA

Al re, a la patria, ai numi nostri, a tutto

il cielo, di compir m'astringo quanto

al coronato Menfi.

Sinope coronata ora conferma.

Puniscan la menzogna a lor talento

il re, la patria, i numi, e il ciel, s'io mento.

PELOPIDA

D'aver giurato vanta,

col labbro del suo re, tutto il suo regno;

ma poiché la clemenza

suprema arbitrio dona anche ai soggetti

di giurar patti, e leghe in sua presenza,

io, per tutti i soggetti, io gl'immortali

vindicatori de le frodi invoco,

io per tutti m'accosto al sacro foco.

EUPATORE

Stratonica, Farnace

voi principi, e del Ponto eletta gente,

del gran signor, che impera al bel paese,

cui la ninfa donò Giove cortese,

ch'ei volse in bue, di bue rivolse in dèa,

l'oracolo regale udite attenti,

che uscir da me non sdegna in tali accenti.

Voi vedete o dèi d'Egitto

ciò che è scritto

la su in cielo, e nel mio cor.

Di compir vi do la fede

ciò che chiede

il mio scettro, ed il mio onor.

ANTIGONO

Io le farie carene, ed io i custodi

del pontico figliuolo,

vi lego in un voler con sacri nodi.

Così quelle benigno

guardi l'astro ledeo da irate nubi.

E guidi quei con pio latrato Anubi.

FARNACE

Che più s'attende, amici?

EUPATORE

Se il contento comun me ne fa inchiesta,

vado, e porto in trionfo

del gran temuto erede a voi la testa.

PELOPIDA

Sì, dà laude;

sì si applaude

comun voce al suo gran re.

Ciò ch'egli ama

ogn'altro brama,

così vuole il nostro amor.

Se a lui piace,

vogliam pace,

così vuol la nostra fé.

TUTTI

Sì, dà laude;

sì si applaude

comun voce al suo gran re.

Ciò ch'egli ama

ogn'altro brama,

così vuole il nostro amor.

Se a lui piace,

vogliam pace,

così vuol la nostra fé.

Scena terza

Farnace, Stratonica, Pelopida, Popolo, Corte ecc.

STRATONICA

Turbe soggette, e nobili vassalli,

nostri amor, nostre forze, e nostre glorie

vinto ho per voi natura, amore ho vinto.

Ma costano a me assai le due vittorie.

Per torvi da periglio,

a voi sveno, sì a voi, sveno il mio figlio.

PELOPIDA

Madre più che regina

ti chiameremo noi, donna costante,

che assai più, che del tuo

primogenito caro,

del caro popol tuo sei madre amante.

FARNACE

Deh a qual virtù. Deh a qual dolore, o mondo,

l'universal tranquillità tu devi!

STRATONICA

Altre eroine genitrici imito

ne l'opportuna offerta

d'immolare a la patria i dolci frutti

de le viscere nostre;

ma d'ora innanzi, oh dio,

a l'altre farà esempio il dolor mio!

Esci ommai, che più non v'hai loco

materno amore da questo sen.

In regio petto un più bel foco

l'amor v'accese del comun ben.

Scena quarta

Farnace, Pelopida.

FARNACE

Seguite la regal benefattrice,

beneficate genti. Il suo gran core

merta in premio da voi tutto l'onore.

PELOPIDA

Più merta il tuo valor sì buon evento.

FARNACE

L'esito ben ti prova,

che il Giove de' regnanti, è ciò che giova.

PELOPIDA

Mobile in somma è il volgo.

FARNACE

Il re, che ha l'arte

di ben fingere a tempo,

l'arte di ben regnare anche possiede.

Or venga a spaventarmi il grande, il forte

mitridatico erede.

PELOPIDA

Così fa il buon tiranno

ai vizi del comando

dà nomi di virtù.

Va intanto lavorando

ai sudditi un inganno,

che al fine è schiavitù.

Scena quinta

Luogo deserto, che confina con fabbriche diroccate, dove sono ascosi i tesori degli antichi re di Ponto.
Laodice, e poi Nicomede.

LAODICE

Dolce, cara allegrezza inaudita

vieni vola su inondami il cor.

Vien la gioia più gradita,

più che a lungo il core han chiuso

le miserie col dolor.

NICOMEDE

Ahi con quanta pietà le tue allegrezze

sto ascoltando Laodice!

LAODICE

Che d'infausto le turba, o Nicomede?

NICOMEDE

Oh dèi, quanto di rado

al misero è fedel l'uomo felice!

LAODICE

E chi fa disperar tanta speranza?

Su palesa il mio inganno,

m'è già troppo crudel sì pia tardanza.

NICOMEDE

Deh Mitridate!

LAODICE

Ohimè.

NICOMEDE

Fra poco...

LAODICE

Oh dio!

NICOMEDE

Sarà... mi manca il cor.

LAODICE

Finisci.

NICOMEDE

Ucciso.

LAODICE

Costanza aiuto! E l'uccisor chi sia?

NICOMEDE

Gli stessi ambasciator, da cui la vita

tu con queste dovizie averne credi.

LAODICE

E su qual fondi conghiettura, o detto,

la notizia, o 'l sospetto?

NICOMEDE

Me, me presente, il traditor d'Egitto

s'obbligò al re, con pubblica promessa,

di fargli il don dell'onorata testa.

LAODICE

E il popolo, e la corte,

e Sinope, e la terra, e il mare, e il cielo

non muggì, non tuonò, non si riscosse?

NICOMEDE

Freme il popolo in van, la corte adula,

Sinope trema, il cielo, il mar, la terra

non vogliono per noi

coi lor portenti agli empii re far guerra.

LAODICE

E la madre, che fa?

NICOMEDE

La manifesta

gioia celando va con faccia mesta.

LAODICE

Viva il ciel; se il mio ardir tu ben secondi

farò su i nunzi infidi, e su i tiranni,

quanto meno s'aspetta,

tanto più irreparabile vendetta.

NICOMEDE

Principessa, l'ardir mal consigliato

a caso è fortunato.

LAODICE

Se cade il pio german, qual altra speme

sorge di libertà, d'onor, di vita?

S'anche pietà di lui me non stringesse,

a estremo ardir necessità m'invita.

No, il furor non mi cela i miei perigli;

ma il forte disperato

vuol da l'amico aiuti, e non consigli.

NICOMEDE

E mal grado al consiglio avrai l'aiuto.

LAODICE

Arma rustico stuolo;

che in stolido valor troverem quella,

che non troviam di corte in fra gli eroi,

sincerità, e costanza onesta, e bella.

Verranno, sì verranno i pii messaggi

del pietoso regnante,

che adora un dio, che latra, e un dio che mugge,

gli aspetto a l'esca de' tesori offerti.

Mentre deluderò l'arte con l'arte,

secondo i loro merti,

chiudi ogni varco, e da sicura parte,

ben nota il cenno mio.

Ciascun di lor farò per più tormento,

che a me confessi, e paghi il tradimento.

NICOMEDE

Vado sì con pronto piè,

vado, e bramo col morir

il mio core a te provar.

Fin ch'io spero di gioir,

mal ti vanto ossequio, e fé

col servire, e col giovar.

Scena sesta

Laodice, Eupatore, Antigono.

EUPATORE

O de la pia Laodice alma compagna.

In quella, che additasti alfin siam giunti

solitaria campagna.

LAODICE

Per veder co' vostr'occhi

quanto fu la mia lingua a voi sincera.

ANTIGONO

Per questo appunto.

LAODICE

Chi sepolti arcani

vuol discoprir, tanti non vuole a parte

del geloso segreto.

EUPATORE

Partecipi sol due noi siam di quello,

che a l'orecchio confidi, ed apri al guardo.

LAODICE

Dunque ogn'altro lontano or muti il passo

quanto in gran dubbio chiede

da me il sospetto, ed a voi due la fede.

ANTIGONO

Olà, si scosti ognuno.

EUPATORE

Vada a la foce ognun, che a noi fu porto;

onde a le navi sia pronto tragitto.

Chi tardo parte, o qui ritorna è morto.

LAODICE

Or chiaro rinnoviamo il bel contratto.

Con quelle, che or rivelo, ampie ricchezze

comprar Laodice intende il re fratello.

ANTIGONO

Ed al fratello il regno.

EUPATORE

E a lei la bella libertade ancora.

LAODICE

O patti onesti! o generosi patti!

Ma qual pegno da voi sicuro ottengo

di leale osservanza? Io de la mia

vuò, che lo stesso dono il pegno sia.

EUPATORE

Io per arra di fé darò ben presto

il principe richiesto.

LAODICE

Vivo, sano, robusto,

o pur con mozzo capo, e tronco busto?

ANTIGONO

Guardi il ciel tal misfatto.

EUPATORE

Anche con lo scherzar molto, ci offendi.

LAODICE

Nicomede, m'intendi.

Scena settima

Laodice, Eupatore, Antigono, Nicomede, stuolo di Villani ecc.

ANTIGONO

O dèi, che turba è questa!

EUPATORE

Con tanti testimoni il tuo segreto,

femmina disleal tu mi riveli?

LAODICE

Tanta gente a voi toglie ogni difesa,

ed assicura a me la mia vendetta.

ANTIGONO

Ahimè, che sento?

EUPATORE

Io m'aprirò la strada

con questo ferro.

NICOMEDE

Cedi

l'arme, o la vita.

LAODICE

No, non hai più scampo.

EUPATORE

Cedo al tempo, e la forza, al mio destino.

Oppresso è il valor mio?

Ahi d'ira men, che di vergogna avvampo?

ANTIGONO

Eupatore, che vedi? E che vegg'io?

EUPATORE

Questi sono i tesori, e così compra

al fratello Laodice, e regno, e vita?

Così col grado mio si vilipende

la ragion de le genti?

LAODICE

Grado, o legge non giova ai tradimenti.

Taci, ascolta, rispondi. O che il supplizio

avrete voi da me pria del giudizio.

EUPATORE

Necessità comanda, io le obbedisco.

LAODICE

Del mio principe il capo

hai promesso a Farnace?

EUPATORE

Io non te 'l niego.

LAODICE

E a me non l'hai venduto?

EUPATORE

E tu l'avrai.

LAODICE

A me di morte, al re di vita privo

tu lo prometti?

EUPATORE

È vero.

LAODICE

Or accorda se puoi vivo, e non vivo.

EUPATORE

Non vivo per il re; ma in apparenza

non vivo, e per Laodice

vivo, e vivo da vero, e in campo armato.

ANTIGONO

L'impossibil, che vanti è già accordato.

LAODICE

Dunque pensi a un inganno.

E al fin chi di noi due sarà il deluso,

una misera serva, o un re tiranno?

Ora con la tua spada...

ANTIGONO

Ascolta, attendi.

LAODICE

No, no, non è più tempo.

Chiara è la colpa, ogni dimora è vana.

EUPATORE

O dèi! col nostro sangue, e che pretendi?

LAODICE

Per vostro maggior duol, ve lo rivelo.

Prima pretendo di punirvi, e poi

volar su i vostri legni, e dir che rotta

la ragion delle genti ai lor messaggi,

stretti già da infedeli aspre ritorte,

minacciano i tiranni un'empia morte.

Ed in questo pretendo

ritrovar Mitridate, e con l'invito

di Laodice, e del regno, e dei tesori,

trarlo con le sue squadre al nostro lito.

EUPATORE

O ciel, che intendo? Ascolta anima forte,

t'inganni assai, se Mitridate credi

in tal modo campar da mortal sorte.

LAODICE

S'inganna assai chi crede,

che a menzogner convinto io presti fede.

ANTIGONO

Se il nostro sangue versi,

o dèi! Per tutti i dèi, donna, te 'l giuro

non guidi chi tu pensi ai nostri lidi;

ma Mitridate ben due volte uccidi.

LAODICE

Con pericolo s'ode

chi fa dei giuramenti, armi a la frode.

ANTIGONO

Per lo tuo Mitridate.

EUPATORE

Io per la tua

Laodice.

ANTIGONO

Io ti prego.

EUPATORE

Io ti scongiuro.

LAODICE

Non più, che il più ascoltarvi è mal sicuro.

ANTIGONO

Non mi negare una pietate almeno.

A me togli la vita, a quei la donna.

EUPATORE

È sciocca l'ira tua, se a me perdona.

E s'anche quei trafigge è un'ira iniqua.

Tu ti credi tradita.

Or sappi, ch'io, come nel grado il primo,

son primo anche ne l'opre, e ne' consigli.

ANTIGONO

No, no. Nel grado, e nel voler siam pari.

Ma senza quella mano,

il principe, che cerchi, ahi cerchi invano.

LAODICE

Siete tra voi sì generosi, e fidi,

e con Laodice poi vi trovo infidi?

NICOMEDE

Poiché l'un l'altro è stretto

da magnanimo affetto,

fa' con cauta pietate un'util prova.

Vada sciolto a le navi un sol messaggio.

E l'altro di lor fé ti sia l'ostaggio.

ANTIGONO

Acconsento.

EUPATORE

Sia fatto.

LAODICE

Io quasi cedo...

ma cedo sì, che una passione occulta

già mi disarma, e ancor mi vuole inulta.

Sciogli chi parte, e in ceppi tien chi resta.

ANTIGONO

Io rimango.

EUPATORE

Deh vanne, e me qui lascia.

ANTIGONO

Ahi se non parti.

EUPATORE

Ahi se tu resti.

ANTIGONO

Amico

deh affretta la partenza.

Ben sai tu quanto val la tua presenza.

EUPATORE

Dura necessità sempre mi sforzi!

LAODICE

Posto, che sia fedele il tuo ritorno,

che danno temi a lui, che qui rimane?

Se Mitridate vivo a noi non guidi,

allora, sii pur certo,

prieghi non valeran, pianti, né gridi.

EUPATORE

Parto sì; ma nel partir,

che farò?

Parlerò?

Mi tormenta il sì, e il no.

Dal silenzio, chi m'intende

ben comprende

tutto quel, che tacerò.

Scena ottava

Laodice, Antigono, Nicomede.

LAODICE

Custodite, o fedeli,

questo capo, che val quanto la fede,

da cui già pende la comun salute,

e la vita di lui, donde si spera

a' rei sconfitta, e a noi vittoria intera.

NICOMEDE

Il pietoso partito

s'io ben intendo ciò, che al cor mi dice

una voce fatal, sarà felice.

LAODICE

Chi ben opra ben confida

non ne l'opra, ma nel ciel.

NICOMEDE

Il ciel sempre è buona guida

a chi sempre è a lui fedel.

LAODICE

La speranza è un'ape industre,

che ogn'or stilla un dolce mel.

NICOMEDE

Ma il suo ben, quant'è più illustre

altrettanto è a noi infedel.

Atto quarto
Scena prima

Spiaggia di mare, con tutta l'armata d'Egitto, disposta in buon ordine, per eseguire lo sbarco.
Eupatore scende con molta pompa; ma con insegne lugubri, e fa portare da uno de' suoi Capitani una picciola urna sepolcrale.
Pelopida lo viene a ricevere con Comitiva, e Guardie, in nome del Re, e della Regina.
Eupatore, Pelopida, Laodice in disparte.

PELOPIDA

Fedele messaggier de l'alto erede

di Memnone, sia fausto il grande arrivo.

I regnator del vasto

calcedonico impero, a te salute

mandano, e pace, e con regali inviti,

mostran l'onor, che rechi ai loro liti.

EUPATORE

O capitan del pontico monarca.

A le regie accoglienze

sol ben risponde, in vece mia, quell'arca.

LAODICE

(a parte)

Misera me, che vegg'io.

PELOPIDA

Quest'è l'atteso dono?

EUPATORE

Il capo è questo

di Mitridate vostro.

LAODICE

(a parte)

Oh dèi! Son morta.

PELOPIDA

Ciò che l'urna ci porta

la pompa funeral fa manifesto.

LAODICE

(Ah iniquo! ah traditor! ne avrò vendetta.)

PELOPIDA

Potria la novità mover tumulti

ne l'indiscreta plebe:

però breve dimora il re ti chiede,

finché a tutto un sovran cenno provvede

e la breve dimora

in quella regia amenità frattanto,

con magnifico albergo, accoglie, e onora.

LAODICE

(a parte)

Io più soffrir no 'l posso.

EUPATORE

Stelle, se il vostro lume

ha virtù sopra me, benigne ardete.

Se infelice è il valor,

fia vostro il disonor,

che voti dagl'eroi più non avrete.

Scena seconda

Eupatore, Pelopida, Laodice.

LAODICE

(a parte)

Non ha più fren, né legge, il dolor mio.

PELOPIDA

Quanta pietà ne sento!

EUPATORE

O incomodo, e in quest'ora infausto incontro!

LAODICE

Aprimi quel lugubre orrido vaso.

EUPATORE

Innanzi al re sol lice aprirlo.

LAODICE

Dunque

dimmi, che ascondi in quel feral metallo?

EUPATORE

(E che risponderò?)

LAODICE

(a parte)

Dì, dì, che pensi?

PELOPIDA

Io te 'l dirò, s'ei tace?

Quel sepolcrale ordigno infausto, e tetro,

de l'atteso tuo re quello è il feretro.

LAODICE

Deh cedi a la mia man sì amato peso.

EUPATORE

E come prendi tu l'ufficio altrui?

Deponi olà, quel picciolo sepolcro.

LAODICE

No, deporlo non voglio.

PELOPIDA

Non le negar, signor, sì giusto sfogo.

LAODICE

Sì. Tutti gli avi miei,

tutto il mio ben si chiude in questo bronzo.

EUPATORE

Che orror mi scuote l'ossa, e gela il sangue!

LAODICE

O Mitridate mio!

Per natura german, mio re per grado,

per cura, per età, per amor figlio.

EUPATORE

(O ciel, questa è Laodice!)

LAODICE

Dopo tre lustri, o caro, e dopo tanti

in van sofferti affanni, e sparsi pianti,

così t'accolgo in queste

braccia, che a te bambin furo sì spesso

culla amorosa. In queste

braccia, ch'io ti serbava ad altro amplesso

prendi, sì prendi da l'amante labro,

onde tu avesti i primi,

anche gli ultimi baci, i baci estremi...

Ahimè! L'unico oggetto

de' miei pensieri, de' miei desir, de l'opre

mie, tradito così mi stringo al petto?

PELOPIDA

Di mortal padre egli mortale è nato,

che val cozzar col fato?

LAODICE

O vana speme! o rotta fede! o breve

lusinghiera, funesta, empia allegrezza!

Da chi più cerco aiuto, o più conforto,

o in cielo, o in mare, o in terra,

o negli abissi? Ahi Mitridate è morto!

EUPATORE

Sospendi, afflitta donna, i tuoi sospiri.

LAODICE

Dunque picciolo infante

per questo ti campai da crudo ferro,

o da astuto veleno?

A nutrirti per questo io t'ho mandato,

a re amico, e possente. Io t'ho per quello

tanto atteso, e chiamato

a ricovrarti il tuo vetusto soglio?

EUPATORE

(Ahi mi si spezza il core!)

LAODICE

Perché su gli occhi de' tuoi cari, e fidi,

sul fior de le speranze, adulto, e forte,

ti vegga poi tradir sopra i tuoi lidi?

PELOPIDA

Misera principessa!

LAODICE

Cara tomba del mio diletto

nel tuo sen dammi ricetto,

deh sii tomba anche per me.

O deposito infelice!

Se a te fui culla, e nutrice

vuò morire anche con te.

EUPATORE

(a parte a Laodice)

Chiede gran novità, novi consigli.

Tempo è ommai di compir tanti lamenti.

LAODICE

Sì t'affretta crudel. La buona madre

impaziente agogna il bel trofeo

del fedel Tolomeo.

EUPATORE

Va' pure, o duce, e accerta i tuoi sovrani

di ciò, ch'io reco, e che al mio piede è legge

il voler, che qui regge.

PELOPIDA

Grazie ti rendo, che il favor mi doni

d'esser io nunzio di sì lieto avviso.

EUPATORE

Ognuno già m'avanzi, e la via prenda,

ma non lontan m'attenda.

Scena terza

Eupatore, Laodice.

LAODICE

Ribaldo, masnadier, degno ministro

del re, che move l'armi al suon del sistro.

EUPATORE

No soffrir più non posso il tuo dolore.

LAODICE

Sì, sì, mostro del Nilo,

ridendo uccidi, e piangi poi l'ucciso.

EUPATORE

Prendi augurio miglior. Non se' tu quella

di cui compagna ti fingevi, invitta,

magnanima Laodice?

LAODICE

Ho troppo detto. Io son quella infelice.

EUPATORE

Posa quel mesto incarco, e attenta ascolta.

LAODICE

No 'l creder già. Preso che avrò il castigo

di te sopra il tuo ostaggio, io vuò con questo...

EUPATORE

Non più, che vola il tempo, a me ubbidisci.

LAODICE

Sopra il caro german non vuoi ch'io pianga?

EUPATORE

Non voglio, perché è vano.

LAODICE

Non merta Mitridate il pianto mio?

EUPATORE

Ei lo meriteria se morto fosse,

ma è vano, perché è vivo, e spira, e t'ama.

LAODICE

M'inganni, o pur mi tenti?

EUPATORE

Io vivo, e in favor mio mente la fama.

LAODICE

Veggo, che vivi tu. Ma il fratel mio

vivo mi mostra, e il più fedel ti vanto.

EUPATORE

Cieca, cieca, e no 'l vedi?

Ostinata non credi a questo pianto?

LAODICE

Mitridate, sei tu? Giusto sospetto

tien che gioia improvisa

non mi trae verso te l'alma dal petto.

EUPATORE

Se non credi al mio amor, su credi a queste

caute cifre, che già tra noi lontanissimi

fide ministre fur di lunghi arcani.

LAODICE

O dolcissimo amor di questo core!

Ultimo, e primo onor di nostra gente!

EUPATORE

O amor di questo seno

dolcissimo egualmente.

LAODICE

Parte miglior del sangue mio, deh lascia,

che sfoghi l'amor mio con nuovi amplessi.

EUPATORE

Gioia de la mia vita, al fin ti stringo.

LAODICE

T'odo, t'ammiro, e sento, e pur diffido,

oh dèi! Tu se' pur quello?

EUPATORE

L'amoroso fratello

sono, che un dì ritorna al patrio nido.

LAODICE

Sì per sempre ancor ti abbraccio.

EUPATORE

Sì, tu sei la mia diletta.

LAODICE

Ti ritrovo.

EUPATORE

Ti ravviso.

Insieme

LAODICE

Quanto improvviso più, tanto più caro.

EUPATORE

Quanto improvviso più, tanto più cara.

LAODICE

Duri eterno il nostro laccio.

EUPATORE

Sia col sen l'alma ristretta.

LAODICE

Dolce gioia.

EUPATORE

Dolce riso.

Insieme

LAODICE

Tanto soave più, quanto più caro.

EUPATORE

Tanto soave più, quanto più cara.

Scena quarta

Eupatore, Laodice, Antigono, Nicomede.

NICOMEDE

Ecco l'ostaggio. Ma qui è l'altro, e solo

usiam la nostra sorte,

cadano in pezzi ambo i felloni al suolo.

LAODICE

Nicomede che fai? Sciogli quei ceppi.

Pur troppo s'è da noi quasi recisa

la vita a Mitridate,

per salvar Mitridate.

NICOMEDE

E come, non è questi il rio messaggio?

LAODICE

Messaggio è sì, ma insieme è quello stesso

principe nostro, ch'egli finge estinto,

per tessere ai tiranni

felice, inestricabil laberinto.

NICOMEDE

E vero sia?

LAODICE

Con le ben note carte

vinci ogni dubbio, e riconosci l'arte.

NICOMEDE

Signor perdona.

EUPATORE

A miglior tempo amico

le accoglienze, e le scuse. O Laodice

occulta ancor rimane

del tuo germano a te, la miglior parte.

LAODICE

Tutte tu pur non sai le mie avventure.

EUPATORE

Questo, ch'uomo ha le chiome, e nunzio al grado

credi a me eguale. Ella è d'ogni mia sorte;

ma del mio letto ancor dolce consorte.

LAODICE

Oh dèi, che meraviglie!

Generosa cognata al sen t'accosta.

ANTIGONO

Senti dal vicin cor la tua risposta.

LAODICE

Voi mio sangue, miei re, de l'alta suora

conoscete il marito.

EUPATORE

E a villano imeneo, chi mai t'ha unito?

LAODICE

Farnace per suo zelo, e per mio scorno;

il ciel per mia fortuna, e per tuo aiuto.

EUPATORE

Tutti apriremo i casi nostri un giorno.

Or seguiamo l'impresa.

Ite ambedue, ite disgiunte in corte;

ma unite nel disegno, e ne l'inganno.

Tu avanti l'empia madre

piangi la morte mia. Tu la palesa.

Ed io con Nicomede

disporrò nuove forze, e nuove frodi.

Tocca alla sorte d'offerir la fronte

crinita, e all'uomo tocca

con gran core incontrarla, e con man pronte.

LAODICE

Tu caro in questo dì,

sei stato un doppio oggetto

del più grand'odio mio,

del mio più grande amor.

Ma fu lo stesso affetto,

che amore, ed odio unì,

secondo, che il desio

fu gioia, o fu dolor.

Scena quinta

Eupatore, Nicomede.

NICOMEDE

Giuro, signor, che a la regal sorella

del nativo candor nulla si toglie

col titolo di moglie.

EUPATORE

Sia timor, sia rispetto,

modestia sì fedel, pietà sì onesta,

fu di rara virtù sublime effetto.

NICOMEDE

Di cento re turbar le coronate

ombre temei, mischiando

col lor sangue, il mio sangue; e Mitridate

d'offendere temei. Temei la colpa

de la temerità, più che la pena.

EUPATORE

Non vien da ignobil vena

spirto gentil. Se al talamo già offerto

non t'agguaglia il natal, t'agguaglia il merto.

Vado, che mal si tarda opra matura,

tu né sudor, né studio a te perdona.

I merti l'opra, e l'opre il fin corona.

NICOMEDE

All'armi, a battaglia

speranze, pensieri,

pugnate per me.

Che mani, e consigli

conforta a i perigli

la bella mercé.

Scena sesta

Parte del giardino reale dentro la reggia di Sinope.
Stratonica, Antigono, Laodice.

STRATONICA

Questo è il primo momento,

che saggia, e umil ti veggo oltre il costume.

L'orgoglioso pavon piegò le piume.

LAODICE

Tempo, e fortuna insegna

d'inchinarsi al poter, che mal si sdegna.

STRATONICA

E così, come intesi,

vide il nimico mio l'ultima sera.

ANTIGONO

Egli degli occhi tuoi sarà ben presto

spettacolo funesto.

STRATONICA

Ora il vendicator chiama del padre.

LAODICE

Pietà, pietà. Non insultar gli afflitti.

STRATONICA

Antigono, da te bramo il successo,

con schietta verità, di questa morte.

LAODICE

Ahimè, madre, perdona

ai mesti orecchi miei sì reo supplizio.

STRATONICA

No, non partir. Vuò, che a me paghi i gusti

de' rimproveri ingiusti.

Tu narra, e tu l'ascolta.

ANTIGONO

Tosto, che Mitridate in mar ci vide,

a batter cominciò palma con palma.

STRATONICA

Minaccia era per me quel lieto applauso.

ANTIGONO

Giunti appena alla nave. E ben, ei disse,

la diletta sorella a me, che manda?

LAODICE

Oh dio!

STRATONICA

Si duole. Bene sta. Ma poi?

ANTIGONO

Nessun risponde. Ed ei ripiglia. E come

di me sente la madre?

STRATONICA

Come conviene ad un tal figlio. E allora?

ANTIGONO

Ambo tacemmo, e dal silenzio apprese

il giovane sagace,

parte del suo destino, e impallidissi.

In noi fissò lo sguardo; indi lo mosse

tre volte, e quattro intorno. E al ciel rivolto

alzò la fronte, e ci parlò col volto.

STRATONICA

Fu avviso tal dimora, o pur tardanza?

LAODICE

Madre d'un figlio morto ha tanta fretta!

STRATONICA

Ritorna al suo tenor la tua baldanza.

Seguite pur.

ANTIGONO

L'ordine nostro intanto

un feroce soldato aveva instrutto.

Del ciglio al sol comando,

s'accosta, impugna, innalza, e ruota il brando.

STRATONICA

E un colpo ne partì dal collo il capo?

ANTIGONO

Partì il collo un sol colpo, e la parola.

S'udì sul labro palpitante un suono,

che disse «MA...» né finir puote madre;

ma tutte empì d'orror le nostre squadre.

STRATONICA

Ma da me già ha bandito ogni timore.

E a te superba, che più dice il core?

LAODICE

Al labro, al gesto, al guardo

ho posto il morso; i miei deliri io ploro,

e quanto ti sprezzai, tanto ti onoro.

STRATONICA

Odiata,

disprezzata,

tu, tu alfin mi rendi onor.

Il superbo così fa;

egli è umile per viltà,

perché onora per timor.

Scena settima

Antigono, Laodice.

ANTIGONO

Un'aspide, una tigre, una megera

di te s'incinse sì, non una donna.

LAODICE

I miei passati mali

ben da questo tu in parte ora argomenti,

e i perigli presenti.

ANTIGONO

Tutto mi fugge da le vene il sangue,

nel mirar il cimento

in cui siam tutti noi con la fortuna.

Ahi Mitridate mio!

LAODICE

Il re siede a consiglio, e pensa come

dal turbine, che teme, appena sorto,

di popolar procella,

guidi sicuri rei disegni in porto.

ANTIGONO

Qui sollecito appunto ancor l'attendo.

LAODICE

Venga pur; che l'astuzia

sovente con le altrui tessute frodi

a sé stessa prepara, e stringe i nodi.

ANTIGONO

È pur fiero quel duol,

che tra il dubbio, e la speranza,

ondeggiando va nel sen.

Chi teme ciò che vuol,

ha un dolor, che par costanza.

Ha un piacer, che par velen.

Scena ottava

Farnace, Antigono, Laodice.

FARNACE

Chi ben finisce ha tutto il ben de l'opra;

né si finisce ben, se non si ottiene,

col più sicuro mezzo, il caro intento.

Antigono, il mio volgo in darno freme,

ma però freme, e turba il mio contento.

ANTIGONO

E la reggia, e le strade

custodiran, se vuoi, le nostre spade.

FARNACE

A politico mal, rimedio estremo

è la straniera forza.

Quel che accende è più assai di quel che ammorza.

LAODICE

Così diffidi tu di tua possanza?

FARNACE

Non diffido; ma aspiro a cauta gloria.

Il vincer senza sangue

è il trionfo miglior de la vittoria.

Re sono; e adesso tu mi vuoi tiranno?

LAODICE

Il tiranno è un gran re quand'ha paura.

Così ben fingi, ed orni

la crudele viltà, che par clemenza.

FARNACE

Ardita. Viva il ciel... ma a miglior frutto

è volta ogni mia cura.

Antigono non trar da questa reggia

l'incauto piè, se brami

di non esporre a subitanei insulti

né l'onor del tuo re, né il tuo decoro.

ANTIGONO

Dove Farnace, e Tolomeo comanda.

Io d'ubbidir m'onoro.

FARNACE

Io stesso uscir da le vicine mura

or voglio ignoto, e poscia entrar palese.

Fatti, ch'abbia comuni i miei consigli

con Eupatore; allora

senza armar la potenza

ogni flutto civil metterà in calma

il nudo scettro, e la regal presenza.

LAODICE

Se il presagio, ch'io sento

non mi consola in van, simile al merto

de la perfidia tua, farà l'evento.

Non mi dir tanto

cara speranza.

Di' sol che al pianto

va dietro ogn'ora

qualche piacer.

Lo sperar molto

giova a costanza;

ma un creder stolto

più che rincora

più fa doler.

Atto quinto
Scena prima

Foresta poco lontana dalla città, e dall'albergo, ove fu trattenuto il primo ambasciatore d'Egitto.
Eupatore, Pelopida, uno Schiavo che porta l'urna, in cui dicevasi chiusa la testa di Mitridate.

PELOPIDA

Al parlamento occulto,

che aver teco ora brama il gran Farnace,

questo solingo orror comodo è molto.

EUPATORE

Qui m'arresto, e lo ascolto.

PELOPIDA

Com'è tra noi fermato, inerme, e solo

venendo il signor mio,

te pur vedrà senz'altri, e disarmato.

EUPATORE

Servo, lascia quell'urna, e t'allontana.

Arme non ho, né più seguaci a lato.

PELOPIDA

Eguale di custodi, e picciol stuolo

seguirà ognun di voi; ma sì discosto,

che non possa col guardo

in voi ferir, non che con lancia, o dardo.

EUPATORE

Mira, se alcun de' miei s'offre alla vista.

PELOPIDA

Omai compir m'è forza

a l'ufficio, al comando, ed al costume.

EUPATORE

E che vuoi dir?

PELOPIDA

Ch'io cerchi a parte a parte,

al dover mio perdona,

la tua stessa persona.

EUPATORE

Nume de la vendetta ora m'assisti.

(a parte a Pelopida)

Su, su tosto eseguisci,

ciò, che il carico, e l'uso, e il re t'impone.

PELOPIDA

Col creder mio, con la tua fé s'accorda,

il testimonio ancor de la mia mano.

Vo ad avvisarne il re.

EUPATORE

Sei cauto invano.

Chi far gode

ad altri frode

mal si lamenta,

s'altri lo inganna.

Egli a quel danno,

che col suo inganno,

altrui far tenta,

già si condanna.

Scena seconda

Eupatore, Farnace.

FARNACE

O messagger, s'io re a te vengo, e ascoso

del mio venir degna cagion mi guida.

EUPATORE

Così ragion m'avvisa, e il tuo gran senno.

FARNACE

Ne' lavori del stato,

d'ogni maestro colpo alma è il segreto,

e fabro uno stupore inaspettato.

EUPATORE

Che machina disegni?

FARNACE

Portare io voglio quel funereo dono;

mentre incerto ognun pende,

e da te sol l'attende,

chi penserà, ch'io 'l portator ne sia?

EUPATORE

E qual frutto ne speri?

FARNACE

Con esporlo improvviso,

i turbini civili

sgombrerò in un momento;

quando s'armano i vili,

pronta vittoria è un subito spavento.

EUPATORE

Sempre qualche speranza

è l'aquilon che gonfia il mar plebeo;

caduto lo sperar, caduto è il vento;

e col cader del vento in vana spuma

si scioglie ogni procella.

FARNACE

Fida a me quella rea spoglia rubella.

Cessata la tempesta,

tu compagno entrerai del mio trionfo,

e testimonio del castigo insieme,

che a popolar delitto

ben sì da allor, quando non più si teme.

EUPATORE

Cauto pensiero, e colpo usato appunto

da chi di stato al magistero è giunto.

Ecco che io t'apro l'arca. Ecco la testa.

FARNACE

O spettacolo orrendo!

Ma quanto è orrendo più, più a me giocondo!

O Mitridate, io pur ti tengo, e miro,

e ti miro, e non temo; anzi n'esulto,

perché al fine ti veggio in quel reo stato,

in cui mirarti in van tanto ho bramato.

EUPATORE

Tant'odio a Mitridate?

FARNACE

Or comincio a regnare, ora incomincio

la mia felicità. Finora un misto

di rancor, di timor fu la mia vita.

Quanto ti devo, o caro amico.

EUPATORE

Ah tristo!

Ah tiranno! Ah crudele! Ora finisci,

e regno, e vita.

FARNACE

Ahi questo colpo oh dèi

solo venir mi può da Mitridate!

EUPATORE

Non fuggirai; tien questa, e questa piaga.

Così i misfatti Astrea

scelerato politico ti paga.

Uccidete,

distruggete,

su miei fidi

degli infidi

sano vada

né pure un sol.

Su trafitta

su sconfitta

la guerriera

crudel schiera

tutta cada

svenata al suol.

Scena terza

Stanze della regina.
Stratonica, Laodice.

STRATONICA

Già si appresta regal pomposo lutto.

Sfogo del mio dolore,

e del figlio defunto estremo onore.

LAODICE

Altra pompa, altro sfogo

da la miseria mia recar non posso,

che gemiti, e singulti al mesto rogo.

STRATONICA

Tu baldanzosamente il pianto, il grido

farai suonar con arte;

acciocché la pietà de' tuoi lamenti

contro noi due regnanti odio diventi?

LAODICE

Altri tempi, o regina, altri costumi.

STRATONICA

S'amo ancor la tua vita,

l'apprenderai da un salutare avviso.

La sofferenza nostra è omai finita.

LAODICE

Chi per tema è pietoso,

fin che dura il timor, solo è clemente.

STRATONICA

Chi per forza è prudente

sol per necessità non è orgoglioso.

LAODICE

L'affetto più fedel,

ma insieme il più crudel

sei tu, o speranza.

Sempre col ben ci affidi,

ma poscia il cor n'uccidi

con la tardanza.

Scena quarta

Eupatore, Antigono, Laodice.

LAODICE

O miei liberatori, o forti, o invitti.

Veggo ne' guardi amici

de la prima vittoria i certi auspici.

ANTIGONO

Cessa del tuo timor la maggior parte.

EUPATORE

La vittima miglior s'è offerta a Marte.

LAODICE

O caro mio t'affretta,

che la matura impresa

arrischia assai, chi d'eseguirla aspetta.

EUPATORE

Non ti crucciar, che inaspettato affanno

vuò, che il supplizio sia

de la tua cruda genitrice, e mia.

ANTIGONO

Paga non son, se palpitante, esangue

non do per pasto agli avvoltoi quel core,

e in bevanda non getto a' cani il sangue.

EUPATORE

Turbaria la sua morte ogni mia gloria.

LAODICE

Vuoi, che a temer la tua pietà cominci?

EUPATORE

Trionferemo tutti.

E nel ricuperar l'antico trono

vedrai, che so punir fin col perdono.

LAODICE

Ne l'ira degli dèi tanto confido,

quanto di tua clemenza ora diffido.

EUPATORE

Fin ch'esce la regina, o mia diletta,

sia tua cura eseguir ciò che t'imponi.

ANTIGONO

Tu sei l'anima del mio core

tu sai ben, se ubbidirò.

Ma chi è perfida a te mio amore,

non so ben s'io soffrirò.

Scena quinta

Eupatore, Laodice, Stratonica.

STRATONICA

Dunque è ver, che al dispetto

de le plebee minacce, entro la reggia

penetrar seppe Eupatore sicuro?

EUPATORE

D'un sovrano sembiante

cotanto può l'autorità regnante?

LAODICE

Come Nettun col ciglio

fugga d'Eolo le furie, e placa l'onde.

Suoi popoli ondeggianti,

con quella maestà, che spira pace,

sta calmando Farnace.

STRATONICA

Da la comune riverenza apprendi

anche tu a venerar la eccelsa fronte,

e in lodi cangia le rampogne, e l'onte.

EUPATORE

De l'opra assai più che del giorno resta.

Piace, che agli occhi tuoi

del rubel figlio esponga omai la testa.

STRATONICA

Piace; ma pria s'apran le regie stanze.

Se in qualche petto ancora

destano fellonia sciocche speranze,

cessi, a tal vista; e ad ogni incarco il dorso

pieghi, e al flagello s'accostumi, e al morso.

LAODICE

Chi più ardirà, quand'io già più non oso,

turbare il tuo riposo?

EUPATORE

A privato spettacolo quel teschio

manda il regal consorte;

per farne a tutti poi pubblico oggetto,

ove adesso raffrena

le genti, col valor del grave aspetto.

STRATONICA

Non essere più tardo

nel darmi pace al core, e gioia al guardo.

Come dolce un sicuro diletto,

col suo gaudio mi giunge nel sen.

Sempre è il regno di zelo ripien;

pur se un giorno mai sgombra il sospetto,

vien pur caro l'atteso seren.

Scena sesta

Eupatore, Laodice, Stratonica, Antigono, con un Capitano, che porta un gran desco coperto da ricco panno.

STRATONICA

Ahi, che veggio! Ahi che sento! Ahi che diverso

turbine mi s'aggira entro del seno!

EUPATORE

Nemesi, o pur qual altra è la gran dèa

de la vendetta, a te questa presenta

vittima sua; saziane pur l'ingorda

fame degli occhi, e il cor ciba, e contenta.

STRATONICA

Il presente m'è grato,

se ben funesto, e la gran dèa ringrazio.

ANTIGONO

Mira sotto quell'oro,

se a pieno il bel desio vuoi render sazio.

STRATONICA

Ahimè! il piede, e la mano

negano d'ubbidirmi? E al loro ufficio

gli sollecito invano?

Laodice a te. Leva a quel desco il velo.

LAODICE

D'orror tutta m'inchioda un fiero gelo,

l'ubbidirti m'è tolto.

STRATONICA

T'accosta, o capitan, che d'esser forte,

mal grado ad ogni affetto, ho già risolto.

Mal ti temea ancor vivo, o Mitridate,

ti temerò poi morto?

Mie luci, ahi che mirate!

LAODICE

Il tuo sposo tu miri, il caro sposo,

che a nuove nozze già t'invita in Dite.

Già tra sue fiamme t'apparecchia il letto,

paraninfo Pluton, pronuba Aletto.

EUPATORE

Che temi? E no 'l ravvisi?

Quel teschio, o mio guerriero, alzale in volto.

ANTIGONO

Spècchiati, o scelerata.

Se colpisse ogni reo l'ultrice spada,

minor saria de' rei l'ampia masnada.

STRATONICA

Veggo dove son giunta,

esser non può l'autor de l'arti usate,

altri, che Mitridate.

LAODICE

Sai di regnar tutti i più scaltri ingegni,

e se' tarda a spiar gli altrui disegni?

STRATONICA

Un pronto disperar mi fa sicura.

Questo acciaio, che è caldo ancor del sangue

del mio caro Farnace,

vuò, che mi renda, e libertate, e pace.

Qual tra questi tu sia perfido figlio,

che tra questi tu sei.

Mira con seren ciglio,

come ti pago il genitor trafitto,

e risparmio al tuo braccio un gran delitto.

EUPATORE

Madre, madre t'arresta, il rischio basta,

basta il dolor. Già l'amor mio t'assolve.

STRATONICA

Or che t'ho conosciuto,

or riparo il mio error con questo ferro.

Vuò la tua morte, il tuo perdon rifiuto.

ANTIGONO

Tu morirai.

EUPATORE

Deh ferma.

ANTIGONO

Sì, morirai, né più il fuggir ti vale.

LAODICE

Trattieni il passo, oh dèi, lascia che il cielo

ti vendichi, cor mio, senza tua colpa.

EUPATORE

Ahimè! già versa il sangue, ahimè già cade,

e il mio lento soccorso, ahimè già incolpa.

LAODICE

Se t'incolpa la madre,

vendicato t'assolve il caro padre.

EUPATORE

Tutte apre al giubilo il cor le porte;

ma poi d'entrarvi

sembra, che il giubilo n'abbia timor.

Distingue l'anima vittoria, e morte,

e nel pensarvi

ha vicendevole gioia, ed orror.

Scena settima

Nicomede, Laodice.

NICOMEDE

Allegrezza, o Laodice.

La fortuna dei re girò a tal segno,

che a la pietà ben tutto

ceder può il loco un generoso sdegno.

LAODICE

Pietà di chi? Di chi pietà non ebbe

del caro padre mio? del mio germano?

Volea il figlio svenar come il consorte,

e di tal madre io piangerò la morte?

NICOMEDE

Sia pur crudo il nimico,

più nimico non è quand'è punito.

LAODICE

Quel piacere m'alletta,

che stilla in fiero cor l'odio contento.

NICOMEDE

Canta giuliva pur la tua vendetta.

Il popolo già inonda

le strade, il foro, e ne l'udir la fama,

che del gran Mitridate empie la tromba,

Mitridate anch'ei chiama,

e il cielo Mitridate, e il mar rimbomba.

LAODICE

Del pien diletto,

che ha un forte petto,

dopo gran pene vieni a goder.

Quel bel contento,

che a lungo stento

virtù distilla, quello è piacer.

NICOMEDE

Gioia da prode

è quella lode,

che dà il trionfo dopo il penar.

Di applauso è degno

uomo, che al regno

ancor più gode, che a sé giovar.

Scena ottava

La gran piazza di Sinope avanti al palazzo reale.
Eupatore, già nominato per Mitridate, Antigono, già conosciuta per Issicratea, Laodice, Nicomede, Pelopida, Cortigiani, Soldati, Popolo.

Vien portata la testa di Farnace, assisa sopra di un'asta, ed il pugnale, che l'uccise. Issicratea ha in mano la spada, con cui trafisse la regina. Seguono due corone recate da due Capitani sopra nappi d'oro.

PELOPIDA

O voi della famosa

Propontide, vetusti abitatori,

su su rendete al vostro

legittimo regnante i primi onori.

LAODICE

D'un trionfal, benché infelice tronco

o trionfale, e più felice germe.

Da la mia man ricevi il regio serto,

che cento volte in Persia, e cinque in Ponto,

reso dagli avi illustre, al fine è pronto

a coronar su la tua fronte il merto.

EUPATORE

(Mitridate)

Ben mi corona quella man gradita,

cui devo regno, e vita.

LAODICE

Tu eguale ne l'amor, nel pregio eguale,

abbi da la mia destra

pari d'oro, e d'onor fregio immortale.

NICOMEDE

Bench'ei sia grande, e raro;

perché da te mi vien, l'onor m'è caro.

EUPATORE

(Mitridate)

Sposa, suora, cognato, amiche genti,

s'oggi ho il regno da voi,

del regno solo è mio l'incarco, e l'ostro;

la gloria è degli dèi; l'utile vostro.

Col valor de l'inganno

ho vinto sì, ma con quell'armi ho vinto,

con cui vincer m'è gloria un vil tiranno.

Ma s'anche il lustro di mia gloria langue

nel trofeo d'una frode, a me sol basta,

che non versai, vincendo, il vostro sangue.

Così piaciuto al cielo

fosse di non versar quel de la madre!

Incominciar da lei volea il perdono,

che sopra tutti stendo

gli inimici del padre, o del mio trono.

Grande inimico eterno

sarò di Roma, e d'ogni man rapace,

che ardisca di turbar la vostra pace,

contra lei pugnarò la state, e il verno.

(Mitridate)

Primo oggetto, e primo onore

fia il vedervi ogn'or felici.

Mostrarò qual sia il mio core

ai vassalli co' l'amore,

col valore agli inimici.

LAODICE

Viva pur sempre beato

sempre grande il nostro re.

NICOMEDE

Con la gioia ognora il fato

provi a lui la nostra fé.

PELOPIDA

Tutto il duol del mal passato

paga a noi tanta mercé.

ANTIGONO

(Issicratea)

Dì felice, e dì più grato,

non farà, non fu, non è.

TUTTI

Viva pur sempre beato

sempre grande il nostro re.

Con la gioia ognora il fato

provi a lui la nostra fé.

Tutto il duol del mal passato

paga a noi tanta mercé.

Dì felice, e dì più grato,

non farà, non fu, non è.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava