IL MITRIDATE EUPATORE
Tragedia per musica.
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Libretto di Girolamo FRIGIMELICA ROBERTI.
Musica di Alessandro SCARLATTI.
Prima esecuzione: 5 gennaio 1707, Venezia.
Le persone, che parlano:
Mitridate, re di Ponto. Figlio di Stratonica, e di Mitridate Evergete, sotto nome di EUPATORE e sotto la dignità di ambasciatore di Tolomeo re di Egitto al re di Ponto |
soprano |
Issicratea regina sposa di Mitridate, in abito virile, e creduta ANTIGONO secondo ambasciatore del re d'Egitto, e compagno d'Eupatore |
contralto |
STRATONICA regina di Ponto. Madre di Mitridate Eupatore, e di Laodice. D'adultera diventa sposa di Farnace, da lei fatto re di Ponto, dopo la morte di Mitridate Evergete suo primo marito da lei assassinato con l'aiuto di Farnace |
soprano |
FARNACE re di Ponto. Cugino di Mitridate Evergete. Da primo adultero, e poi marito di Stratonica regina |
tenore |
LAODICE principessa di Ponto. Figlia di Stratonica, e di Mitridate Evergete; sorella di Mitridate Eupatore. Maritata con Nicomede bifolco del re; ma da lui sempre riverita come sua sovrana, né mai resa sua donna |
soprano |
NICOMEDE bifolco di Ponto, per colpa della sua fortuna, per altro di sangue nobile quant'era di animo grande. Marito in apparenza di Laodice |
soprano |
PELOPIDA ministro, e confidente del tiranno Farnace |
tenore |
Le persone mute:
Mitridate Evergete, re di Ponto. Primo marito di Stratonica. Padre di Mitridate Eupatore, e di Laodice.
Tolomeo, re di Egitto, amico di Mitridate Eupatore, e di Laodice.
Cleopatra, principessa di Egitto, sorella di Tolomeo.
Il luogo.
Si è la reggia di Ponto nella città di Sinope metropoli di quel regno, posta al fiume Amiso sul mare Eusino.
Il tempo.
Si è quel dì solenne ai tiranni di Ponto per la loro esaltazione a quel trono, in cui Mitridate, sotto nome di Eupatore, e col grado d'ambasciatore d'Egitto, ricupera il suo regno, con la morte degli usurpatori Farnace suo padrigno, e Stratonica sua madre.
L'azione.
Si è il passaggio, da felicità a miseria, di Stratonica, e di Farnace; unito con altro passaggio dalla miseria alla felicità di Mitridate Eupatore, e di Issicratea. Succedono nel ricuperare che fa Eupatore il suo regno, e nel punire i tiranni per la morte data al suo padre Mitridate Evergete, con levargli il trono, e se avessero potuto, anche la successione.
Dedica a sua eccellenza il signor Adamo Enrico di Stanau
La fama, e la fortuna del teatro porteranno in varie parti del mondo questo mio libro. Io mi approfitto di questa fortuna, e di questa fama per ispargere nel mondo un testimonio pubblico de' miei doveri verso di v. e., una palese ammirazion de' suoi meriti, una impaziente brama di renderli più noti per maggiormente onorarli. Le virtù risultano dall'opre; i meriti dalle virtù; la gloria, da chi ne fa conoscere, e le virtù, ed i meriti. Non sarebbe gloria, se non fosse un comune giudizio, ed un grido comune. Non sarebbe comune, né il grido, né il giudizio, se ciascheduno non potesse entrarvi con l'intelletto, e con la voce, a formarne, a pubblicarne l'universale sentenza. Come v. e. non ha potuto in tanti assedi, in tante battaglie ottener tante vittorie senza molte mani, e molte spade, così non può conseguire la dovuta gloria, senza molte lingue, o molte penne.
La mia non pensa di chiudere in questo breve giro le glorie di v. e., molto meno spera di farle suonare su queste carte, dove non abbiano prima risuonato su le labbra de' suoi ammiratori. Sarà ufficio della storia il comprendere tutte le sue azioni, tutte le sue imprese. È solito effetto delle sue imprese, e delle sue azioni il farsi sentire ad ogn'uno, ch'abbia senso per gli avvenimenti dell'universo. Oltre di che le vere lodi mal si possono dare ai grand'uomini avanti a gli uomini dell'età loro. I lor meriti, o militari, o civili, sono azioni, o maneggi dipendenti da certa sorte di venerabili cagioni, che devono rimaner tra gli arcani, o almen fra i misteri del silenzio per qualche secolo. Chi va ad isvelare il vero dell'altrui gloria fin in fondo all'essenza delle sue perfezioni corre gran rischio d'offendere la modestia del lodato, e molto più l'invidia degli uditori. Bel vanto della sua gloria è l'essere di quella spezie così illustre, che le particolari sue eccellenze meglio si spandono con le voci fra i viventi, e con più grazia si mandano con le penne fra i posteri.
A questo sublime grado v. e. s'è condotta con trentasei anni di generosi sudori. Le virtù dell'obbedienza, e del comando, le ha portate dalla natura in quelle felici disposizioni, che formano facilmente i gran savi, ed i gran capitani. Le ha poi guidate alla lor perfezione con l'opra gloriosa di lungo studio. Ha fatto acquisito dell'arte, con cui si vincono le fortezze, e gli eserciti, ne' conflitti di Senes, di Treviri, di Vienna, di Barcano; e negli assedi di Strigonia, di Najaihaisel, di Buda, di Belgrado, di Magonza, ed in tanti altri cimenti in Alemagna, in Ungheria, in Polonia. Esemplari perfetti di virtù guerriere se le hanno offerti alla mente sul Danubio, sul Reno, su la Vistola, sul Boristene. Gli ha saputi v. e. così bene far suoi, che molti principi han bramato, che ella impieghi in loro vantaggio l'acquistato magistero. Luogotenente maresciallo del campo l'ha voluta la Corte Elettorale di Baviera. Generale dell'artiglieria l'ha dichiarata l'imperial voce di cesare. Il re Augusto di Polonia l'ha fatta vedere alla testa delle sue genti, e le ha fidato il general governo di tutte le sue mura. Questa è un'evidenza di gloria, che convince anche la invidia, e la sforza a confessare in v. e. quella prudenza, quel valor militare, e tutte quelle altre doti, che piacciono ai sovrani ne' sommi duci delle loro armate.
Che stupor dunque, se la sua esperienza, è venuta fin d'oltre i monti alla direzione dell'armi pubbliche? È ben notabile, e ben raro, che ci sia venuta due volte per due paesi molto diversi, in due tempi molto difficili. Sarebbe un offendere, non un promuovere la sua gloria, l'andar commemorando a parte a parte le sue azioni, non men savie, che valorose. Quasi che non fossero notissime ne' loro benefici effetti, e non avessero tanti vivi testimoni de' loro famosi meriti. Basta accennare, che s'è fatta conoscer quant'ella vale in ogni sorte di fortuna, di impresa, e di militar direzione. Non ha avuto bisogno il valore di v. e. di combattere col credito di vittorie passate per trionfare a tempo d'una battaglia. Non ha avuta necessità la sua prudenza di ben pensare agli umani pericoli, per non lasciar vincere le sue vittorie dalla negligenza, o dalla superbia d'una lunga felicità. Ha saputo v. e. in Polonia, ed altrove varcare de' gran fiumi a fronte di poderosi inimici. Ha saputo altresì custodire, non meno col credito, che con l'armi picciole rivere da grandissimi rischi. Ha combattuto con ugual felicità usando le forze della sua mente, e adoprando tutto il vigore delle sue forze.
Che più? la sua gloria è sol bene mascherata dal pubblico gradimento di tutti i principi, che l'hanno eletta alla guida delle loro squadre, ed alla difesa de' loro stati. V. e. ha da tutti ricevuto tutti i maggiori, e tutti i più preziosi argomenti di stima, d'onore, e d'affetto. Gli onori sono chiarissimi testimoni d'un'illustre opinione. In bocca dei principi non sono più testimonianze, sono giudizi, sono sentenze, sono decreti. Quando poi l'opinione de i re si spiega con segni preziosi, e con lodi non ordinarie, è segno infallibile dell'alto prezzo in cui è tenuto il merito, che si onora. Nell'utile, che portano gli onori dispensato dai principi, si scopre chiarissima l'utilità, che ne riceve il principato, essendo l'utilità del principato il primo mobile a tutte le savie deliberazioni del principe. Nelle lodi, ch'escono da una lingua coronata, si trova la verità della gloria. Non adula chi è supremo. Non lusinga chi è l'arbitro. Non s'inganna chi pesa i meriti su la bilancia del comune profitto. Queste approvazioni concordi di molti sovrani, perch'è la somma gloria, è la maggior mercede, che v. e. possa mai ottenere dopo tanti anni di valorosi impieghi.
Me ne congratulo con le sue rare virtù, e me ne rallegro con tutti quelli che hanno la buona sorte di goderne i frutti, di ammirarne gli esempi, d'emolarne le perfezioni. Io nel poco, ho nessun credito, e delle muse, e dell'ozio, non posso contribuir molto con la mia opinione alla sua gloria. Pure non potendosi contribuire altro che gloria a chi cammina su per la via degli eroi, accetterà v. e. a scarico del molto mio dovere quest'attenzione di rifrescare, come che sia, nella memoria degli uomini i suoi rari pregi, raccordando i suoi meriti, e le sue beneficenze. Le doti degli eroi, per quanto siano eccelse, rare volte vanno in conto di merito, se non sono pubblici benefici. E bene spesso i benefici sono quelle immagini, che più facilmente si cancellano dalla memoria degli uomini. L'ingratitudine è un vizio troppo comodo all'avarizia, troppo caro alla superbia; facilmente si trova dove quelle s'incontrano; e quelle s'incontrano frequentemente, dove è più frequente l'umanità. Vivono gli eroi una vita tutta composta d'operazioni benefiche. Vivono altresì un'altra vita tutta effigiata d'obbligate memorie. Quello è vivere alla virtù. Questo alla gloria. La prima lor vita è mantenuta nel vasto mare dell'essere dalle loro generose fatiche. La seconda è tenuta viva nell'immortale delle menti umane dalla cura onorata di chi le vede, le distingue, le pubblica. Io mi recherò sempre a gloria d'essere fra questo numero, e di far apparire col pubblicare le sue glorie, il debito, l'ossequio, l'ambizione, che mi porta a farmi conoscere in faccia del mondo, qual sono nella secreta venerazion del mio cuore.
Di v. e.
Umiliss. obbligatiss. servitore
Girolamo Frigimelica Roberti
Argomento
La ruvina della macedonica monarchia somministrò copiosa materia da fabbricare più regni. Uno fu il reame di Ponto, eretto da Mitridate, perciò chiamato ciste, che vale a dire fondatore. Questi uscito dall'antico sangue del perso Dario, tramandò la corona a molti discendenti. Il quinto si trova essere un altro Mitridate distinto col titolo di Evergete, padre del gran MITRIDATE cognominato Eupatore, e Dionisio, di cui parla il Petrarca così cantando nel Trionfo della fama:
Ov'è il gran Mitridate quell'eterno
nemico de' roman, che sì ramingo
fuggì dinnanzi a lor la state, e 'l verno.
Mitridate l'Evergete tornò vittorioso a Sinope, reggia di Ponto, trionfante di molte guerre, che l'avevano tenuto assai tempo lontano. Appena giunto in corte fu da Stratonica sua moglie a tradimento ucciso con l'aiuto di Farnace loro cugino. Il misfatto ebbe speciose cagioni, onde colorirlo alla vista del mondo. I traditori fecero mentire a lor modo la fama. Il vero motivo venne dall'amore incestuoso di Stratonica con Farnace, accompagnato dal timore d'una giusta vendetta. Motivo tanto più caro, quanto serviva a coprir l'adulterio col matrimonio, ed il delitto con la corona. Aveva Stratonica due figli. Laodice giunta all'età del senno, e del valore. Mitridate appena uscito dalla prima infanzia. Previde Laodice il pericolo del fratello. Lo rapì opportunamente, e lo mandò in Egitto a Tolomeo perché ivi fosse nutrito, e serbato al regno, ed alla vendetta del padre. I tiranni, vedutasi tolta di mano la preda pensarono ad un castigo, che a loro non aggiungesse maggior nome di crudeltà. Temevano il dar morte a Laodice; temevano ancora il vederla un giorno madre di generosi figliuoli. Che fecero? La maritarono a Nicomede loro bifolco. Questi più villano per fortuna, che per natura, la rispettò come sovrana, e portò il nome di marito solo per meglio servire a' suoi fini. Teneva pratica con Mitridate, e lo invitava alla impresa della vendetta, e del regno. Egli venuto agli anni della virilità, girò pellegrino per l'Asia con magnanimi fini. S'invaghì d'Issicratea, e la fece sua moglie. L'istesso Petrarca ben dipinge chi ella si fosse nel suo Trionfo d'amore:
Quella che il suo signor con breve chioma
va seguitando, in Ponto fu regina.
Come in atto servil sé stessa doma.
Tornò finalmente Mitridate in Egitto, e con l'aiuto di Tolomeo, pensò al modo più facile di ricuperare il trono paterno. Mandò il re d'Egitto a trattare una lega solenne col re di Ponto. L'occasione fu la disfatta d'Aristronico. La romana grandezza con quella vittoria s'era resa sospetta all'Africa, ed all'Asia. Gli ambasciatori egiziani ordirono il trattato, e per segno di vera amistà, proposero di togliere l'ostacolo, che l'impediva. Questo era Mitridate allievo di Tolomeo, ed il maggiore nimico degli usurpatori Stratonica, e Farnace. In tal disposizione di animi, e di cose comincia l'azione.
Nel dì solenne a' tiranni di Ponto, ch'era l'annovale festa della loro esaltazione al soglio usurpato, giungono a Sinope i nuovi ambasciatori per conchiudere la lega già tramata dai primi tra il Ponto, e l'Egitto. Sono Mitridate, ed Issicratea, quello sotto nome d'Eupatore, questa sotto forma d'Antigono. Entrano con tale inganno in corte. Trattano occulti col patrigno, con la madre, e con la sorella di Mitridate. Mitridate medesimo offre la sua testa a' suoi proprii nimici. Si giura solennemente la confederazione, e la morte di Mitridate. Laodice fa ogni sforzo per impedirla, e mentre crede di vendicare il fratello, poco manca, che non lo uccida. Ma che? Quando lo piange estinto, vivo lo riconosce, ed unitamente conducono a fine il disegno. Farnace è trafitto da Mitridate, allorché sta ricevendo da lui la testa di Mitridate. Stratonica nel punto, che pensa di vedere il teschio del figliuolo, riconosce quello del marito Farnace. S'avvisa della frode; s'immagina l'autore. Tenta con astuzia di riconoscerlo, conosciuto s'avventa per ucciderlo. Issicratea lo salva, ed uccide la perfida madre. E così acclamato da tutta Sinope, Mitridate viene dalla sorella lietissima, con la fedele Issicratea pubblicamente coronato tra gli applausi di glorioso trionfo. Questa favola, che più distesamente si avvolge, e si distingue nella tessitura del dramma, è formata d'alcuni pezzi di rozze verità, che a lei prestano i nomi, ed il fondamento per gli episodi, e sono le seguenti.
Notizie storiche.
Mitridate Eupatore nacque da Mitridate Evergete. Regnò in Ponto, e restò pupillo di pochi anni. Fu perseguitato dai tutori, a tal segno, che si difese dal veleno con tanti antidoti, che volendosi poi avvelenare in sua vecchiezza, non trovò tossico adatto ad offenderlo. Andò errando per l'Asia incognito molto tempo a fine di conquistarla un giorno, e tornato a casa poco mancò, che non restasse oppresso da' suoi congiunti.
Giust. Ist. lib.37 cap.4
Mitridate Eupatore uccise la madre.
Appiano de bello mitridatico p.413
Issicratea fu seguace fedele di Mitridate, in pace, ed in guerra. Si tagliò i capelli, e prese abito civile alla persiana.
Plut. in vita Pomp.
Mitridate l'Evergete fu tradito da' suoi nella propria corte.
Strab. lib.10
Mitridate l'Eupatore con l'ascondersi ad arte nelle fascie del turbante il pugnale, mentre era cercata la sua persona da un capitano, uccise il re di Cappadocia, che s'era con tal cauzione fidato di venir seco a parlamento.
Giust. lib.38 cap.2
A chi legge
Il nostro italico Omero, con la sua tromba sempre d'oro, in tal maniera esclama dove va dipingendo a finissimi colori d'armonioso suono le bellezze d'Olimpia.
O se fosse costei stata a Crotone
quando Zeusi l'immagine far volse,
che pur dovea nel tempio di Giunone,
e tante belle nude insieme accolse;
e che per una farne in perfezione
da chi una parte, e da chi un'altra tolse,
non avea da torre altra, che costei,
che tutte le bellezze erano in lei.
Mi fo lecito di prendere ad impresto dal grande Ariosto questo bel fatto di Zeusi, e n'applico a mio vantaggio l'esempio. Zeusi per ben dipingere una dèa a quelli di Crotone diffidò dell'arte, e s'ingegnò di raccorre il più bello della bellezza femminile dalla verità della natura. Io dovendo disegnare una tragedia a Venezia, ho diffidato della natura, e mi sono ingegnato di raccogliere il più fino della tragica finezza della finzione dell'arte. Zeusi per vedere la naturale avvenenza onde potere imitarla con laude, radunò le più perfette vergini della Grecia. Io de la Grecia ho tolto le più perfette tragedie per vedervi l'artificiosa beltà, e potere imitarla con vostro diletto. Ed eccone il come.
Tra le molte favole, che insegna il gran maestro in poesia, si ritrova la favola doppia, cioè a dire con doppio ravvolgimento. In uno passano i tristi dalla felicità alla miseria. Nell'altro i buoni vanno dalla miseria alla felicità. Questa maniera di favole suol riuscire grata al teatro, perché feconda l'inclinazione della maggior parte, che brama di vedere al fine i peggiori puniti, ed i migliori felici. Che se in ogni paese suole riuscir cara questa giustizia, quanto più deve esser accetta a Venezia, che oltre alla dolcezza dell'indole, ha nell'animo tanta equità d'opinioni, e di desideri? Certamente un simil piacere è un panegirico muto di chi lo sente. E chi di Venezia così giudica, le dà modestamente quella gloria, che merita di perfetta giustizia nella volontà, e d'ottimo gusto nell'intelletto.
Dovendo dunque entrar nell'impegno di lavorare una tal favola, mi sono subito proposto per modello l'antica Elettra, e trovandola trattata da Sofocle, da Euripide, e da Eschilo, i tre lumi della tragica sapienza, mi son tolto a seguire l'artificio di Zeusi. Presa in mano la penna per disegnare il mio quadro, ho messo l'occhio in quelle tre Elettra, e di lui poss'io anche dire.
Da chi una parte, e da chi un'altra tolse.
Ogni mente erudita, nel leggere l'Argomento, si sarà ben tosto avveduta, che il mio Mitridate è il greco Oreste; che Stratonica è la fiera Clitemnestra; che Farnace, è l'adultero Egisto. In Nicomede avrà ben ravvisato il colono miceneo, ed in Laodice, l'argiva Elettra. Io pure non lo nascondo a chi da sé no 'l sapesse, anzi v'aggiungo, che l'Ecuba d'Euripide, oltre le giovani Elettra, se ben vecchia, ed afflitta, è venuta nel numero delle belle da me raccolte, per formare, non al tempio una dèa, ma al teatro un poema. Perché nasconderlo? Zeusi ha più lode dalla sua artificiosa diligenza, che dalla sua meravigliosa pittura. La sua modestia ingegnosa ancor dura per sua gloria. La sua Giunone è già perduta, e forse per sua fortuna... chi sa se la perfezione dell'opera abbia eguagliato la perfezion del pensiero? Io dunque nasconderlo? E perché? Non era fattura di Zeusi la sua Giunone, se ben questa, e quella parte era di quella, o di questa donzella?
Ognuno già mi intende. Lo studio di fissarmi negli esemplari perfetti, per far tesoro nella mia mente delle altrui perfezioni, è un effetto della dovuta diffidenza nel dubitare del mio ingegno, e d'uno stimolo d'impaziente vaghezza d'offerirvi un'opera degna di voi. Il palesare una tal diligenza, è un indizio, ch'io poco altro spero, oltre all'aggradimento del mio buon volere, e questo per difetto del merito mio, non della vostra giustizia. Perché ho seguìto Zeusi nella proporzion dell'esempio, non per questo intendo d'essere il Zeusi della poesia, come egli è quello della pittura. Molto meno mi lusingo nel credere d'aver fatta una Giunone tra le tragedie, com'egli fece tra le tele una dèa, per avere cercato tra molti, in aiuto della naturale perfezione dell'arte, com'egli, per aiutar l'arte, ha ricercato tra molte le perfezioni della natura. Se fossi preso da una tale presunzione, meriterei, ben lo confesso, non d'essere mandato in Pindo per la corona; ma d'essere spedito in antichità per il rimedio.
Conchiudo per tanto, con quello stesso poeta, che m'ha dato il principio, anche il fine del mio proemio.
Quel, ch'io vi debbo posso di parole
pagar in parte, e d'opera d'inchiostro.
Né che poco vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
Villaggio su le foci del fiume Amiso con capanne di bifolchi, illuminate dalla luna nell'ora verso l'alba.
Laodice con pochi Famigli, che traggono dall'ovile un picciol gregge. Essa viene con un vaso in mano da attinger acqua nel fiume.
LAODICE
Meco uscite anche voi,
(non so s'io debba dir servi, o compagni)
e voi pur me seguite al prato, al fiume,
quadrupedi vassalli
di regina bifolca.
Rustico regno mio,
mio popolo lanuto,
d'un crudele destin scherno, o rifiuto.
Invitan voi già i campi, e voi le valli.
Me chiama già l'aurora,
me figlia oppressa, e me avvilita moglie,
a servil cure, e familiari stenti,
e in van m'appello al tribunal dei venti.
E perché? Perché accuso un'empia madre
che affin di alzare al soglio
l'adultero cugin, di sua man toglie,
onore, regno, vita al mio buon padre?
Perché l'unico erede
io confidai fanciullo al re d'Egitto?
Perché già fatto adulto,
e sovente invitato al mio soccorso,
spaventa in fin sul trono un gran rimorso?
Sì un adultero è nel soglio
del mio padre già tradito,
la mia madre lo tradì.
Sì vendetta un dì ne voglio
dal fratel per me fuggito,
e non viene mai quel dì.
Laodice, Nicomede.
NICOMEDE
Principessa, e consorte
altri uffici dimanda il vicin giorno.
Il re ti vuole in corte.
LAODICE
Così lacera, e incolta, o Nicomede
dirai, ch'io vada, ove la corte è in festa?
NICOMEDE
Rimproveri così chi n'è cagione.
LAODICE
Del padre mio la morte il re festeggia.
NICOMEDE
Festeggia il dì, ch'ei cinse d'oro il crine.
LAODICE
E del paterno eccidio il giorno è appunto:
soffrirà ogn'anno il mio dolore inulto
l'atroce, orrendo insulto?
NICOMEDE
Gran soffrire è vendetta,
se luogo, e tempo il gran soffrir n'aspetta.
LAODICE
Il mio germano attendo, e mai non giunge.
NICOMEDE
Dopo tre lustri un giorno ancora attendi.
LAODICE
Più, che attende il desio, più fiero punge.
NICOMEDE
Ma non scrive, e promette, e venir giura?
LAODICE
Giura, promette, scrive, e tarda ancora.
NICOMEDE
Solo il tempo lavora una grand'opra.
LAODICE
Il tempo fa, che un gran pensier si scopra.
NICOMEDE
Gran pensier mal traluce in vita oscura.
Di lui non déi temer, di me sei certa,
e te, nascosa in sorte umil di serva,
a la comun salute il ciel conserva.
LAODICE
La pia ragion di stato,
egualmente temendo, e darmi morte,
e dal mio fianco generosa prole,
pensò obbligarmi a le viltà del solco,
legandomi in un giogo ad un bifolco.
Ma dove i miei tiranni
pene credean recarmi, affanni, e torti,
ho consigli, ed aiuti, ed ho conforti.
NICOMEDE
Servo son di Laodice,
e a lei marito sol fin ch'è infelice.
LAODICE
Con le ricchezze i bei splendor del sangue
ti rubò la fortuna;
ma la virtù vetusta in te non langue.
NICOMEDE
Onor, dover, pietà, ragion, rispetto
mi gridano nel core,
che indegno i' son del marital tuo letto.
E ben tu sai perché, tu sai ben come
di tuo sposo anche porto il nome.
LAODICE
Lo so, e saprallo al suo felice arrivo,
se pur quel dì mai sorge, il pio fratello
saprà, che tu gli usurpator superbi
con pure nozze inganni,
e intatta al mio destin tu mi riserbi.
NICOMEDE
Se ricerca mercede,
è traffico l'amor, mercé la fede.
Pensa al german, dissimula, e confida.
A la corte, e nel rischio io ti son guida.
LAODICE
Ricercano un momento
le domestiche cure;
e poscia seguirò con piè non lento
il compagno fedel di mie sciagure.
Tra i perigli, i timori, e le morti,
tu sol mi conforti
compagno fedel.
È ben caro chi assiste infelici;
sol prova gli amici
la sorte crudel.
Nicomede.
Quanto le pene tue sento, o Laodice!
Che dirà Mitridate,
se un giorno il ciel lo manda in nostro aiuto
a vedere quel sangue,
che fin da Xerse, e Dario in lui discende,
vilipeso dal re con le mie nozze?
Questa sua ingiuria a lui si occulta ancora,
e con ragion si occulta.
Trafitto gli avria il sen la rea novella
con l'onta assai; ma col timor non meno,
che la tradita principessa fosse
tanto di cor, quanto d'onor caduta.
Tale avviso rompea le ordite fila
né a villano cognato un re prudente,
né a sorella avvilita,
più confidati avrebbe arcani, e vita.
Sento al core chi mi dice:
presto forse un dì felice
ti farà
trionfar con la costanza.
Così il misero adulato,
mentre più gli è avverso il fato
tutta dà
la sua fede a la speranza.
Eupatore, Antigono, che vengono dal mare con un palischelmo.
EUPATORE
Scendete, o miei custodi;
e voi vegliate su le forti navi.
Di morte è reo, se sia straniero ardito,
che entrarvi tenti, o egizio uscirne al lito.
Al fin diletta sposa,
calco quel suolo pur, che bramai tanto!
ANTIGONO
Al tuo piacere applaudo infin col pianto.
EUPATORE
S'io bene intendo quella muta scorta,
che in questa imago ci mandò Laodice,
ecco il bel fiume Amiso.
ANTIGONO
E Sinope lontana, ecco, torreggia.
EUPATORE
O de' miei Mitridati antica reggia,
con la persona, e più col cor t'inchina
l'esule Mitridate, e ti predice
e gloria, e pace, e libertà vicina.
ANTIGONO
Su, scacciamo i tiranni,
con quei, che ha Tolomeo disposti inganni.
EUPATORE
Sì mentiamo. Tu il sesso, ed ambo il nome:
Antigono tu sei, no Issicratea.
Non del talamo più fida consorte,
ma de l'ufficio mio fido compagno.
ANTIGONO
Per te già sono avvezza
d'usar vestiti virili, e brevi chiome.
EUPATORE
Eupatore son io non Mitridate,
ed ambedue da Menfi
spinti noi siamo ambasciator di pace
a Stratonica in Ponto, e al re Farnace.
ANTIGONO
Sotto il volto d'amici,
ignoti avran gli usurpatori in corte
i maggiori nimici.
EUPATORE
Ne la reggia, non sol, ma fin nel core
penetrarò così de i due regnanti,
e nel pensier de' popoli, e de' grandi,
finché il lieto momento
di por fine al disegno il ciel ne mandi.
ANTIGONO
Ahi! Mi sgomenta il prossimo periglio.
Se sotto il velo mai d'ospite amico,
ravvisa un re tiranno il re nimico!
O la madre crudel l'offeso figlio!
EUPATORE
Straniero in patria sono.
Sì tenero mandommi
al principe, che innalza
tra le eccelse piramidi sua stanza
la provida sorella,
che tradirmi non può nota sembianza,
o di gesto, o di volto, o di favella.
ANTIGONO
Ahimè! un Argo è il sospetto;
la natura, il rimorso,
che non diranno a iniqua madre in petto?
EUPATORE
E ognuno acciecherò se fosse un Argo.
ANTIGONO
E come?
EUPATORE
Come ogn'altro re si accieca
sempre adulando il suo maggior desio.
ANTIGONO
Non han desio maggior, che del tuo sangue.
EUPATORE
Ed il mio sangue appunto,
per più tenermi occulto,
ed in credito ancor di tal ministro,
che giovi al loro soglio,
ai miei persecutori offrire io voglio.
L'arte mia sarà questa.
Di Mitridate, il lor temuto erede,
io, che son desso, io lor darò la testa.
ANTIGONO
Tu la tua testa? O ciel cessa l'augurio!
EUPATORE
Orsù, più non si tardi.
Tu mi precedi, e siti, e passi attenta
nota al favor de la ancor dubbia luce.
Più che il valor, l'amor a noi sia duce.
ANTIGONO
O mai se n' vada il piè
dove lo guida amor.
Va sempre ben la fé
dove comanda il cor.
Eupatore.
D'Antigono, o miei fidi,
parte con lento piè seguite i passi,
parte mi attenda, e i campi osservi, e i lidi.
Qui alcun rustico almen guidasse il caso,
da cui destro potessi
di Laodice ritrar cauta novella.
Chi sa s'è a giogo maritale unita,
o in solitaria vita;
se viva, o morta è chiusa in cieca tomba,
o in libertà negletta
spera dal caro infante, ora mai giunto
a la età del valor, la sua vendetta.
Ma che? Il cercar di lei può mover ombra
di ciò, che più tener ci giova ascoso.
Secreto, che a cercarsi è mal sicuro,
è come il frutto acerbo,
che tocca al tempo sol farlo maturo.
Se il trono dimando
al cielo, al mio brando,
con quella, che adoro
sol bramo regnar.
Piacere di soglio
mi alletta; ma voglio
trionfo d'alloro
trionfo d'amar.
La sala reale nella reggia di Sinope, ornata in festa per la solennità annovale in cui si celebra l'esaltazione al trono dei due tiranni.
Laodice, Stratonica.
STRATONICA
Da te ogn'ora udirò madre, e regina,
rimproveri, o minacce?
Da le miserie tue le nostre pompe
mira stolta infelice,
e impara ad inchinar l'alta cervice.
LAODICE
Sono d'immenso duol questi i conforti.
Così per or ti pago
ignominie, rapine, inganni, e torti.
STRATONICA
Sveller potrei la temeraria lingua;
ma ancora vuò mentir tanta baldanza
con benigna costanza.
LAODICE
Con astuta pietà tiranno esperto
giustificar s'ingegna altri misfatti.
STRATONICA
Tu sola aggravi le mie colpe, e sola
i sudditi, gli amici, il figlio, il cielo
contro la genitrice, e assordi, e inviti.
E come tutti i malcontenti arditi,
rubel temerità nomini zelo.
LAODICE
Al re marito, onore, vita, regno
togliesti in grazia del cugin Farnace.
Tante malvagità portarò io in pace?
STRATONICA
Menti per farmi rea. Quel dì che offesi
il padre tuo, la vita mia difesi.
LAODICE
Quasi, che non sia noto a l'Asia, al mondo
che il tuo misfatto, o dèi, fu indegno innesto,
d'odio, e di fellonia,
d'adulterio, e d'incesto.
STRATONICA
Ministra degli dèi fu questa mano,
e se ministra par d'ingiusta morte,
san gli dèi, ch'io prevenni il re consorte.
LAODICE
Mentre glorie coglieva in campo armato
il forte genitor, furon gli dèi,
che fecer forza a te, perché ricetto
tu dassi al reo cugin nel regio letto?
Sì, per comando dei celesti numi,
il vincitor marito a te stringesti
teneramente al sen nel suo ritorno,
e pria del novo giorno,
perché Minerva te 'l commise, o Marte,
nel tuo grembo lo vidi, ahi vista! esangue
e lorda la tua man del caro sangue.
STRATONICA
Quante furie ha il crudo Averno
vibrin fiamme entro a quel petto,
spirin gelo, odio, velen.
Con le Erinni venga Aletto,
e diventi un doppio inferno
l'empia mente, e l'empio sen.
LAODICE
Mal si risponde al ver con onte, e grida.
Tema le furie pur chi è parricida.
STRATONICA
Se le furie non temi
la madre temerai. Chi vilipende
le viscere onde uscì, più non è figlia,
e chi le infama poi, non ama il padre.
LAODICE
Ciò che il tuo seno infama,
e il caro genitore in parte offende,
mi duol più che non credi, e in dirlo sento
di vergogna, e d'orror fiero tormento.
Che se il mio labro è un impudico, un empio,
de l'opre pie, che narra, è questo il frutto,
frutto quest'è del buon materno esempio.
STRATONICA
Se ardita, e iniqua sei, la colpa è mia?
Questa de l'altre accuse addita il vero.
LAODICE
Son colpe tue le ferità de l'opre,
e sono mie vendette
quante il mio labro ferità ne scopre.
STRATONICA
A questo scettro giuro, a questa vita,
più non andrà l'audacia tua impunita.
LAODICE
Se il tuo sdegno e la mia sorte
vuol ch'io mora, io morirò.
Con l'invidia di mia morte
l'onta almen vendicherò:
penar sì
purch'altri peni;
svena sì
purch'altri sveni;
ma ch'io lasci d'esser forte;
ma ch'io tema, o questo no.
Farnace, Stratonica, Laodice.
FARNACE
Dove, dove, o Laodice?
A chieder forse dai nocchier del faro
nove di Mitridate?
LAODICE
Col sale altier de' soliti dileggi,
inasprisci, o crudel, le piaghe mie?
FARNACE
L'alterezza correggi,
ch'è tempo omai, d'inutili vendette.
Alla mia sofferenza è troppo acerba
la miseria superba.
STRATONICA
Deh l'ira tua non turbi il comun gaudio
mio re, lascia costei
al suo dolor; che in van move contesa
chi non ha forze d'agguagliar l'offesa.
LAODICE
Non è mai senza forza un giusto sdegno.
FARNACE
Raddoppia l'allegrezza, o mia regina,
non sol la corte, e il popolo fedele
son pronti ad onorar le gioie nostre,
ma solcan questo mar niliache vele.
STRATONICA
È Tolomeo, lo giurerei, che manda
regi messi a compir la lega ordita.
FARNACE
Del lieto dì le pompe,
sì lieto avviso ad affrettar ne invita.
L'allegrezza, chi ben l'intende,
è una breve felicità.
Più felice è quel che più stende
del suo gaudio la brevità.
Farnace, Stratonica, Laodice, Nicomede, Pelopida, con tutta la Corte, Grandi del regno, e Popolo.
PELOPIDA
O supremi imperanti
di quanto mondo bagna il nereo Eusino,
nel giorno trionfal, che i cieli amici
voi fecero monarchi, e noi felici,
i popoli soggetti
offron su la mia lingua, al regal trono,
tutti i gaudi in tributo, e i cori in dono.
NICOMEDE
Con semplice schiettezza,
applaude nel mio labro a' suoi regnanti,
la rustica allegrezza.
FARNACE
Oggi, più che giammai, giulivo accetto
da' sudditi miei fidi
tributi, e doni d'umiltà, e d'affetto.
In cambio a voi prosperità predico
d'eterna sicurtà, d'interna pace.
Con empietà sagace,
minaccia Mitridate, infin dal Nilo,
il padrigno, e la madre,
e il parricidio chiama amor del padre.
De la romana lupa
a chi nota non è l'ingorda fame
d'ingoiar tutti i re, con tutti i regni?
Pur chiama libertà gli ampi disegni;
in questo dì vi giuro
de l'emulo vicin, del rubel figlio
il doppio cesserà vostro periglio.
STRATONICA
Né aperta forza no, né cieche trame
teme più questa reggia,
s'Africa, ed Asia unisce un pio legame.
NICOMEDE
Bella gloria d'un gran re
comparir Giove fecondo,
e vedersi un mezzo mondo
supplicante sotto il piè.
Ma a la fin s'io ben vi penso
l'uomo in trono e che cos'è
lo fa re l'altrui consenso
Giove il fa la comun fé.
Gran loggia del palazzo reale, che guarda sopra i giardini, con porta, onde si entra a' sontuosi appartamenti.
Eupatore, Antigono.
ANTIGONO
È qui l'empia regina
suoi domestici onori a noi destina.
EUPATORE
Siamo qui soli al fine? la corte è un mostro,
ch'è lince al guardo; e se al parlare è sfinge,
è un edipo in capir ciò ch'altri finge.
ANTIGONO
Soli siamo, e frattanto, o mio diletto,
l'odio sfogo, e l'amor senza sospetto.
EUPATORE
Presto il tempo verrà, che tolto il freno
de le finte sembianze,
potrò unirti a mia voglia a questo seno.
Ora lo stesso amor vuol, che l'ingegno,
la mente, il cor, la man sol pensi al regno.
Patrii numi, amici dèi,
fausti udite il mio dolor.
Voi che foste ne le imprese
sì propizi agli avi miei,
virtù date a chi si prese
di punire un traditor.
Eupatore, Antigono, Stratonica.
STRATONICA
Con sollecito cor, legati amici,
sola a udirvi m'affretto
porto liete accoglienze, e buoni auspici.
EUPATORE
La maestà, o gran donna, e il regio aspetto,
senza il fasto maggior di regia usanza,
ti palesa abbastanza.
STRATONICA
Ben vi aprite con me. Son la regnante.
EUPATORE
In poco io t'apro molto. Il re del fiume,
che cela a mortal occhio il divin capo,
felicità vi annuncia, e Mitridate
per nostra man vi manda.
STRATONICA
Il mio figlio? E dov'è.
ANTIGONO
Su l'alte prore
che fan ampia corona al vostro porto.
STRATONICA
Inaspettato è il dono. È vivo, o morto?
EUPATORE
Sarà come a voi piace.
Vivo, se l'util lega è per voi sciolta.
Morto, se vi compiace
d'aver con noi confederata pace.
STRATONICA
O ciel, che far degg'io?
Necessità mi stringe a dargli morte;
ma uccidendo il figliuol, che dura sorte!
compro la vita a me col sangue mio.
EUPATORE
E che? Ti turba un assoluto arbitrio?
STRATONICA
Forte è il materno amor, né mai per quanto
figlio ingrato l'offenda,
brama il supplizio suo, più che la ammenda.
ANTIGONO
Inopportuno dunque è il nostro arrivo.
STRATONICA
Tolga il ciel, che mi giunga
inutile, o non grato il vostro aiuto.
Ne ho grazie a Tolomeo, non lo rifiuto.
EUPATORE
Che sia di Mitridate?
STRATONICA
Prima, ch'io ne decida. Oh dio! narrate
come egli è grande, e fiero, e quale ha in volto
aria superba, e come atroce il guardo.
Con l'orrore aiutate
il mio sdegno, che ancor troppo è codardo.
ANTIGONO
Credi al mio labro, ed in color non finto,
il tuo nimico or ti vedrai dipinto.
Aria dolce, e fiera ha in volto;
ma quel dolce è maestà;
ma quel fiero inspira amor.
Grande è sì; ma nulla ha tolto
la grandezza a la beltà.
Forte è sì; ma aggiunge molto
la clemenza al suo valor.
EUPATORE
No Antigono, non sei pittor fedele.
Regal donna, a me credi,
del tuo parto non è questa l'imago.
STRATONICA
Sia pur gentil, sia vago,
non dubitar, che sua ragion natura
se n' va cedendo a la ragion di stato.
Né più regina son, né più son viva,
se più voglio esser madre, e tanto basti.
EUPATORE
E perché mai?
STRATONICA
Perché a l'iniqua prole
giova con la mia vita
la morte vendicar del suo buon padre.
EUPATORE
Pietà, sdegno, timore, onor lo scusa.
STRATONICA
Onor, timor, pietà, sdegno lo invita,
non a punir; ma a scusar la colpa mia.
EUPATORE
Come questo?
STRATONICA
Dirò. Me al sepolcro
già destinata aveva il re marito,
e un'altra al fianco suo. Né so s'ei fosse
di me più sazio, o più di lei invaghito.
Ma no 'l soffrir gli dèi.
EUPATORE
E ti piace tacer chi fu costei?
STRATONICA
La Cleopatra fu famosa, e bella
del vostro Tolomeo regia sorella.
ANTIGONO
E tu al sepolcro allora
il monarca marito, e tu al tuo fianco
destinasti Farnace.
STRATONICA
Di più colpe m'accusa ardita figlia.
E l'unico mio infante anche mi ruba.
Me 'l ruba, e mentre a re straniero il fida,
mostra ciò che ne teme,
ciò che ne spera, e quanto in me confida.
Lasciar poteasi, allora,
dirai, vedovo il letto;
ma non poteasi già, s'io ben ragiono,
lasciar vedovo il trono.
EUPATORE
Esecutor siam noi de' tuoi piaceri
non giudici severi.
STRATONICA
Il mondo mal sospetta
finezza, inganno, ed arte,
ne l'opre dei gran re.
Egli di rado aspetta
da chi nel trono ha parte,
giustizia, onore, e fé.
Eupatore, Antigono.
ANTIGONO
E che fa in cielo Giove,
che su quest'empia i folgori non piove?
EUPATORE
Pria che gridar col cielo il fine attendi.
ANTIGONO
Come scusa i misfatti?
Con quanta audacia accusa il re consorte!
E il condanna innocente
de la sua fama a la seconda morte!
EUPATORE
Così brutta è la colpa,
che chi negar non può l'opra malvagia,
o il fato accusa, o la cagion ne incolpa.
ANTIGONO
Il sangue del figliuol la cara madre
dimanda con un viso,
che del labro, e del cor palesa il riso.
EUPATORE
Se sapesse, che parla a quello stesso
odiato suo figlio,
che con la lingua, e col voler già uccide.
ANTIGONO
Ahimè! questo spavento
sposo diletto, l'alma, ahi mi divide!
Ma no. Col diffidar fo ingiuria al cielo.
Il cielo destina a te il regno,
sposo caro non dubitar.
Una speranza mi dà in pegno,
ch'è più assai d'un puro sperar.
Eupatore, Antigono, Farnace, Pelopida.
PELOPIDA
Gran messi, o voi, del successor di Lago,
cui bacia il piè la torrida Siene,
a privato colloquio il re se n' viene.
EUPATORE
Sire, l'onor, che eccede il grado nostro,
parte è del mio sovrano, e parte è vostro.
FARNACE
Meco sedete, o amici
il re di Meroe, e voi bramo felici.
Contro il Tebro fatal, l'Eusino, e il Nilo,
con vicendevol leggi
altri legaro in amicizia eterna.
A voi tocca osservarne,
a me segnarne i patti. Eccomi presto
al dover mio. Da voi s'attende il resto.
EUPATORE
Nulla men pronto, o sire, è il re, che adora
l'in van cercato Osiri,
ad ottener a voi, con l'opra nostra,
ciò che l'util comune util vi mostra.
ANTIGONO
A ognun di noi sol resta,
che pegno dia d'invariabil core.
EUPATORE
Di Mitridate in pegno offro la testa.
FARNACE
Io la parola mia.
ANTIGONO
Sola non basta.
FARNACE
E quella ancor della regina.
EUPATORE
È poco.
FARNACE
Che vuoi di più.
EUPATORE
De' popoli il contento.
FARNACE
Io sono il re.
EUPATORE
Ma i popoli il tuo regno.
FARNACE
E il regno mio da la mia man dipende.
EUPATORE
Non t'adular, monarca,
l'universal volere è il tuo sovrano.
FARNACE
D'universal voler vi sia argomento
pubblico giuramento.
ANTIGONO
Se con te la regina, e il regno giura,
la prudenza è sicura.
FARNACE
Fin che avanti gli altar le genti aduno,
ne le vicine stanze
v'offre la nostra reggia ozio opportuno.
EUPATORE
Non è l'ozio riposo beato
di chi brama fatica d'onor.
L'ozio al saggio, ed al forte è sol grato,
quand'è premio di stanco valor.
Farnace, Pelopida.
FARNACE
Pelopida già udisti.
PELOPIDA
Dura ti prendi, e dubbia impresa, o sire.
FARNACE
Temi, che non secondi in mia presenza
un grido universal la voce mia?
PELOPIDA
O quanto omai gli animi accende; o come
di Mitridate sol gli turba il nome!
FARNACE
Per ottener gli applausi al giuramento,
schiere armate disponi,
che sembrino far pompa, e dian spavento.
Ottenga la paura
ciò che non può l'amor.
Gran re, poco si cura,
che il mondo al fin gli serva,
per voglia, o per timor.
Pelopida.
Molto t'inganna, o altier, molto t'accieca
la cupidigia, la superbia, e l'uso
d'impune violenza;
ma le tenebre al capo ancor più nere
ti addensano i delitti.
Se a l'uomo scelerato
pongon su gli occhi i lunghi error la benda,
segno chiaro è che il cielo,
già il castigo ne vuol, non più l'emmenda.
Mal sicuro è quel regnante,
che su l'arte, e su la forza
solo fonda il suo regnar.
Chi col ciel fa del gigante,
sul reo capo il cielo sforza
a tuonare, e fulminar.
Appartamento destinato nella reggia per gli Ambasciatori d'Egitto.
Antigono, Nicomede.
ANTIGONO
No, trovar, non credeva
in rustica viltà sì nobil core.
Da le ricchezze, è ver, mal s'argomenta
l'alma gentil.
NICOMEDE
Ti proverò co' fatti
qual io mi sia. La nata a volger glebe
armerò in tuo favor guerriera plebe.
ANTIGONO
Va', e gli animi apparecchia, e da me attendi
la notizia opportuna.
Va bifolco onorato, e de' suoi torti
fa pentir la fortuna.
NICOMEDE
Ingiusta fortuna
col globo, che giri
invano tu aspiri
qui sotto la luna
tu sol dominar.
Giustizia, e valore
col tempo, col merto
di quanti ha sofferto
tuoi danni l'onore
si sa vendicar.
Laodice, Eupatore.
EUPATORE
Queste più chiuse mura
più fide spero agli accennati arcani.
Ma se vuoi pronta fé, dimmi, chi sei?
LAODICE
Serva cara, e compagna
io son d'una real figlia infelice,
che si chiama Laodice.
EUPATORE
Suora di Mitridate?
LAODICE
Io servo a quella,
che sottratto al furor dei due tiranni,
lui trasmise al tuo re, cauta sorella.
EUPATORE
Ne la corte di Menfi il caso è noto.
LAODICE
Ed essa a te m'invia,
con sue richieste, e suoi segreti in petto.
EUPATORE
Svela i segreti, e voglia egual prometto.
LAODICE
Di Mitridate il genitor, che chiama
lo Evergete la fama,
gli ampi tesori tutti ella possiede,
tutti gli dona, e un sol favor ti chiede.
EUPATORE
Con tanto prezzo, e che comprar pretende?
LAODICE
Al diletto germano e vita, e regno.
EUPATORE
D'un alto cor, l'alto pensiero è degno.
E tanto ama il germano?
LAODICE
Lo dicono ben più che ricche offerte,
mille sciagure per suo amor sofferte.
EUPATORE
O suora generosa!
Ma come dar possiamo
io regno, e vita al fratel suo diletto,
ed essa a me del padre re i tesori?
LAODICE
In lei confida.
EUPATORE
E tanto può una donna?
LAODICE
Solito è il ciel di debellar gli altieri
cinti d'arme, e d'orror, con una gonna.
EUPATORE
Fa' che io le parli, e spera.
LAODICE
L'impossibile chiedi. In cieca tomba
sospira la meschina;
a me quivi sol viva, a ogni altro è morta.
EUPATORE
Chi ve la chiuse, e quando?
LAODICE
Un tiranno comando,
al comparir del primo egizio legno.
EUPATORE
Viva è sepolta, e mutar spera un regno?
LAODICE
Da traditori re tu speri fede?
Dimmi, se non ti pesa,
chi di voi doi piglia più dubbia impresa?
EUPATORE
Anche ai tiranni fan mutar costumi,
se ad essi son mallevadori i numi.
LAODICE
Tronca la testa a Mitridate, e aspetta
fé dai tiranni, o dagli dèi vendetta.
EUPATORE
De i promessi tesor, chi m'assicura?
LAODICE
Degli occhi tuoi vuò che t'accerti il senso
ti condurrò dove ha quell'oro immenso,
non so, s'io dico stanza, o sepoltura.
EUPATORE
L'offerta accetto, e poi?
LAODICE
Mitridate veder fa' poi sul lido
d'armi fornito, e numerosi armati.
E intorno al nuovo re tosto adunati
i popoli vedrai con lieto grido.
EUPATORE
Soccorso infermo è il popolare aiuto.
LAODICE
Gli eserciti, i senati
di tollerar due furie ommai son stanchi;
ma il ciel n'è franco. Il ciel, che al giusto, al forte
non manca no, purch'egli a sé non manchi.
EUPATORE
Il valor, la pietà, vuol che acconsenta,
tu dal tuo canto fa', ch'io non mi penta.
LAODICE
Dolce stimolo al tuo bel cor
sia il valore, e la pietà.
Pietà forse, né valor
non ha mai gloria maggior,
che in dar vita, e libertà.
Eupatore, Antigono.
EUPATORE
Se il buon principio, è indizio buon del fine,
io già ti reco, in questo dolce amplesso
la gioia d'un lietissimo successo.
ANTIGONO
O caro mio, saremo un dì felici.
EUPATORE
Quanti acquisti in brev'ore,
di tesori, d'eserciti, d'amici!
ANTIGONO
L'uno, e l'altro tiranno ha in noi gran fede.
EUPATORE
Così appunto succede.
Il frodolente alfin risente il danno
de l'arti troppo usate,
al vero nega fé, crede a l'inganno.
ANTIGONO
O al re quant'odio aggiungerà l'iniquo
pubblico giuramento! Ognun comprende
ch'ei spergiura in favor di un tradimento.
EUPATORE
Sì, questo capo egli comprar pretende.
Che dirà il regno mio, cui tanto è grato
di Mitridate il nome,
quando costretto ei sia
col grido ad approvar la morte mia?
ANTIGONO
Sì, sì spera, o caro sposo
di regnar, e di goder.
EUPATORE
Sì, sì credo, o sposa amata
di godere, e di regnar.
Ma anche gioia coronata
senza te saria penar.
Cortile avanti il tempio con gli altari, e fuochi apparecchiati da fare il pubblico giuramento.
Farnace, Pelopida, Popolo, ecc.
FARNACE
Il massimo pensier di chi ben regge
è la felicità de' suoi soggetti.
Di lor felicità madre è la pace,
fonte d'ogni arte, d'ogni studio, ed alma
dei regni, e sol de l'armi onesta palma.
L'aristonica guerra
finì; ma Giano il tempio ancor non serra.
Già l'aquila romana il doppio artiglio
stende a l'Africa, a l'Asia, e saran prede
facili, se non vede
l'Africa, e l'Asia in tempo il suo periglio.
Ben lo comprende il re, ch'Iside, ed Api
coi voti onora, e lor giurando, è pronto
di dar la regal destra al nostro Ponto.
Fian solo uniti, e fian temuti in Roma
quei re, che pria Roma temean divisi.
Ma che? Quel comun bene,
che dà onestà, e giustizia a l'opre tutte,
quel comun ben, che d'ogni gente è il nume
un sacrificio attende.
Di fé richiedete in segno, e d'amistate
vittima Mitridate.
Creder si può confederato amico
quel sovran, che a voi nutre il gran nemico?
Non ama il proprio ben, chi il ben non lauda
de la patria, e del regno.
Chi il regno ama, e la patria a tempo applauda.
Pelopida eseguisci.
Ciò che al regno è beneficio,
tutto è lecito, ed è virtù.
Dar un uomo in sacrificio,
se dà vita ad un impero,
sembra orribile, e non è più.
Farnace, Stratonica, Pelopida, Nicomede, Eupatore, Antigono, Popolo, Corte ecc.
STRATONICA
Sire, su l'are accese avanti al tempio,
prometti, afferma, giura.
Noi, noi seguirem tutti il regio esempio.
FARNACE
Su queste fiamme i già descritti patti,
di Pelusio al monarca oggi assicuro.
Impune, o dèi, non sia, chi sia spergiuro.
STRATONICA
Al re, a la patria, ai numi nostri, a tutto
il cielo, di compir m'astringo quanto
al coronato Menfi.
Sinope coronata ora conferma.
Puniscan la menzogna a lor talento
il re, la patria, i numi, e il ciel, s'io mento.
PELOPIDA
D'aver giurato vanta,
col labbro del suo re, tutto il suo regno;
ma poiché la clemenza
suprema arbitrio dona anche ai soggetti
di giurar patti, e leghe in sua presenza,
io, per tutti i soggetti, io gl'immortali
vindicatori de le frodi invoco,
io per tutti m'accosto al sacro foco.
EUPATORE
Stratonica, Farnace
voi principi, e del Ponto eletta gente,
del gran signor, che impera al bel paese,
cui la ninfa donò Giove cortese,
ch'ei volse in bue, di bue rivolse in dèa,
l'oracolo regale udite attenti,
che uscir da me non sdegna in tali accenti.
Voi vedete o dèi d'Egitto
ciò che è scritto
la su in cielo, e nel mio cor.
Di compir vi do la fede
ciò che chiede
il mio scettro, ed il mio onor.
ANTIGONO
Io le farie carene, ed io i custodi
del pontico figliuolo,
vi lego in un voler con sacri nodi.
Così quelle benigno
guardi l'astro ledeo da irate nubi.
E guidi quei con pio latrato Anubi.
FARNACE
Che più s'attende, amici?
EUPATORE
Se il contento comun me ne fa inchiesta,
vado, e porto in trionfo
del gran temuto erede a voi la testa.
PELOPIDA
Sì, dà laude;
sì si applaude
comun voce al suo gran re.
Ciò ch'egli ama
ogn'altro brama,
così vuole il nostro amor.
Se a lui piace,
vogliam pace,
così vuol la nostra fé.
TUTTI
Sì, dà laude;
sì si applaude
comun voce al suo gran re.
Ciò ch'egli ama
ogn'altro brama,
così vuole il nostro amor.
Se a lui piace,
vogliam pace,
così vuol la nostra fé.
Farnace, Stratonica, Pelopida, Popolo, Corte ecc.
STRATONICA
Turbe soggette, e nobili vassalli,
nostri amor, nostre forze, e nostre glorie
vinto ho per voi natura, amore ho vinto.
Ma costano a me assai le due vittorie.
Per torvi da periglio,
a voi sveno, sì a voi, sveno il mio figlio.
PELOPIDA
Madre più che regina
ti chiameremo noi, donna costante,
che assai più, che del tuo
primogenito caro,
del caro popol tuo sei madre amante.
FARNACE
Deh a qual virtù. Deh a qual dolore, o mondo,
l'universal tranquillità tu devi!
STRATONICA
Altre eroine genitrici imito
ne l'opportuna offerta
d'immolare a la patria i dolci frutti
de le viscere nostre;
ma d'ora innanzi, oh dio,
a l'altre farà esempio il dolor mio!
Esci ommai, che più non v'hai loco
materno amore da questo sen.
In regio petto un più bel foco
l'amor v'accese del comun ben.
Farnace, Pelopida.
FARNACE
Seguite la regal benefattrice,
beneficate genti. Il suo gran core
merta in premio da voi tutto l'onore.
PELOPIDA
Più merta il tuo valor sì buon evento.
FARNACE
L'esito ben ti prova,
che il Giove de' regnanti, è ciò che giova.
PELOPIDA
Mobile in somma è il volgo.
FARNACE
Il re, che ha l'arte
di ben fingere a tempo,
l'arte di ben regnare anche possiede.
Or venga a spaventarmi il grande, il forte
mitridatico erede.
PELOPIDA
Così fa il buon tiranno
ai vizi del comando
dà nomi di virtù.
Va intanto lavorando
ai sudditi un inganno,
che al fine è schiavitù.
Luogo deserto, che confina con fabbriche diroccate, dove sono ascosi i tesori degli antichi re di Ponto.
Laodice, e poi Nicomede.
LAODICE
Dolce, cara allegrezza inaudita
vieni vola su inondami il cor.
Vien la gioia più gradita,
più che a lungo il core han chiuso
le miserie col dolor.
NICOMEDE
Ahi con quanta pietà le tue allegrezze
sto ascoltando Laodice!
LAODICE
Che d'infausto le turba, o Nicomede?
NICOMEDE
Oh dèi, quanto di rado
al misero è fedel l'uomo felice!
LAODICE
E chi fa disperar tanta speranza?
Su palesa il mio inganno,
m'è già troppo crudel sì pia tardanza.
NICOMEDE
Deh Mitridate!
LAODICE
Ohimè.
NICOMEDE
Fra poco...
LAODICE
Oh dio!
NICOMEDE
Sarà... mi manca il cor.
LAODICE
Finisci.
NICOMEDE
Ucciso.
LAODICE
Costanza aiuto! E l'uccisor chi sia?
NICOMEDE
Gli stessi ambasciator, da cui la vita
tu con queste dovizie averne credi.
LAODICE
E su qual fondi conghiettura, o detto,
la notizia, o 'l sospetto?
NICOMEDE
Me, me presente, il traditor d'Egitto
s'obbligò al re, con pubblica promessa,
di fargli il don dell'onorata testa.
LAODICE
E il popolo, e la corte,
e Sinope, e la terra, e il mare, e il cielo
non muggì, non tuonò, non si riscosse?
NICOMEDE
Freme il popolo in van, la corte adula,
Sinope trema, il cielo, il mar, la terra
non vogliono per noi
coi lor portenti agli empii re far guerra.
LAODICE
E la madre, che fa?
NICOMEDE
La manifesta
gioia celando va con faccia mesta.
LAODICE
Viva il ciel; se il mio ardir tu ben secondi
farò su i nunzi infidi, e su i tiranni,
quanto meno s'aspetta,
tanto più irreparabile vendetta.
NICOMEDE
Principessa, l'ardir mal consigliato
a caso è fortunato.
LAODICE
Se cade il pio german, qual altra speme
sorge di libertà, d'onor, di vita?
S'anche pietà di lui me non stringesse,
a estremo ardir necessità m'invita.
No, il furor non mi cela i miei perigli;
ma il forte disperato
vuol da l'amico aiuti, e non consigli.
NICOMEDE
E mal grado al consiglio avrai l'aiuto.
LAODICE
Arma rustico stuolo;
che in stolido valor troverem quella,
che non troviam di corte in fra gli eroi,
sincerità, e costanza onesta, e bella.
Verranno, sì verranno i pii messaggi
del pietoso regnante,
che adora un dio, che latra, e un dio che mugge,
gli aspetto a l'esca de' tesori offerti.
Mentre deluderò l'arte con l'arte,
secondo i loro merti,
chiudi ogni varco, e da sicura parte,
ben nota il cenno mio.
Ciascun di lor farò per più tormento,
che a me confessi, e paghi il tradimento.
NICOMEDE
Vado sì con pronto piè,
vado, e bramo col morir
il mio core a te provar.
Fin ch'io spero di gioir,
mal ti vanto ossequio, e fé
col servire, e col giovar.
Laodice, Eupatore, Antigono.
EUPATORE
O de la pia Laodice alma compagna.
In quella, che additasti alfin siam giunti
solitaria campagna.
LAODICE
Per veder co' vostr'occhi
quanto fu la mia lingua a voi sincera.
ANTIGONO
Per questo appunto.
LAODICE
Chi sepolti arcani
vuol discoprir, tanti non vuole a parte
del geloso segreto.
EUPATORE
Partecipi sol due noi siam di quello,
che a l'orecchio confidi, ed apri al guardo.
LAODICE
Dunque ogn'altro lontano or muti il passo
quanto in gran dubbio chiede
da me il sospetto, ed a voi due la fede.
ANTIGONO
Olà, si scosti ognuno.
EUPATORE
Vada a la foce ognun, che a noi fu porto;
onde a le navi sia pronto tragitto.
Chi tardo parte, o qui ritorna è morto.
LAODICE
Or chiaro rinnoviamo il bel contratto.
Con quelle, che or rivelo, ampie ricchezze
comprar Laodice intende il re fratello.
ANTIGONO
Ed al fratello il regno.
EUPATORE
E a lei la bella libertade ancora.
LAODICE
O patti onesti! o generosi patti!
Ma qual pegno da voi sicuro ottengo
di leale osservanza? Io de la mia
vuò, che lo stesso dono il pegno sia.
EUPATORE
Io per arra di fé darò ben presto
il principe richiesto.
LAODICE
Vivo, sano, robusto,
o pur con mozzo capo, e tronco busto?
ANTIGONO
Guardi il ciel tal misfatto.
EUPATORE
Anche con lo scherzar molto, ci offendi.
LAODICE
Nicomede, m'intendi.
Laodice, Eupatore, Antigono, Nicomede, stuolo di Villani ecc.
ANTIGONO
O dèi, che turba è questa!
EUPATORE
Con tanti testimoni il tuo segreto,
femmina disleal tu mi riveli?
LAODICE
Tanta gente a voi toglie ogni difesa,
ed assicura a me la mia vendetta.
ANTIGONO
Ahimè, che sento?
EUPATORE
Io m'aprirò la strada
con questo ferro.
NICOMEDE
Cedi
l'arme, o la vita.
LAODICE
No, non hai più scampo.
EUPATORE
Cedo al tempo, e la forza, al mio destino.
Oppresso è il valor mio?
Ahi d'ira men, che di vergogna avvampo?
ANTIGONO
Eupatore, che vedi? E che vegg'io?
EUPATORE
Questi sono i tesori, e così compra
al fratello Laodice, e regno, e vita?
Così col grado mio si vilipende
la ragion de le genti?
LAODICE
Grado, o legge non giova ai tradimenti.
Taci, ascolta, rispondi. O che il supplizio
avrete voi da me pria del giudizio.
EUPATORE
Necessità comanda, io le obbedisco.
LAODICE
Del mio principe il capo
hai promesso a Farnace?
EUPATORE
Io non te 'l niego.
LAODICE
E a me non l'hai venduto?
EUPATORE
E tu l'avrai.
LAODICE
A me di morte, al re di vita privo
tu lo prometti?
EUPATORE
È vero.
LAODICE
Or accorda se puoi vivo, e non vivo.
EUPATORE
Non vivo per il re; ma in apparenza
non vivo, e per Laodice
vivo, e vivo da vero, e in campo armato.
ANTIGONO
L'impossibil, che vanti è già accordato.
LAODICE
Dunque pensi a un inganno.
E al fin chi di noi due sarà il deluso,
una misera serva, o un re tiranno?
Ora con la tua spada...
ANTIGONO
Ascolta, attendi.
LAODICE
No, no, non è più tempo.
Chiara è la colpa, ogni dimora è vana.
EUPATORE
O dèi! col nostro sangue, e che pretendi?
LAODICE
Per vostro maggior duol, ve lo rivelo.
Prima pretendo di punirvi, e poi
volar su i vostri legni, e dir che rotta
la ragion delle genti ai lor messaggi,
stretti già da infedeli aspre ritorte,
minacciano i tiranni un'empia morte.
Ed in questo pretendo
ritrovar Mitridate, e con l'invito
di Laodice, e del regno, e dei tesori,
trarlo con le sue squadre al nostro lito.
EUPATORE
O ciel, che intendo? Ascolta anima forte,
t'inganni assai, se Mitridate credi
in tal modo campar da mortal sorte.
LAODICE
S'inganna assai chi crede,
che a menzogner convinto io presti fede.
ANTIGONO
Se il nostro sangue versi,
o dèi! Per tutti i dèi, donna, te 'l giuro
non guidi chi tu pensi ai nostri lidi;
ma Mitridate ben due volte uccidi.
LAODICE
Con pericolo s'ode
chi fa dei giuramenti, armi a la frode.
ANTIGONO
Per lo tuo Mitridate.
EUPATORE
Io per la tua
Laodice.
ANTIGONO
Io ti prego.
EUPATORE
Io ti scongiuro.
LAODICE
Non più, che il più ascoltarvi è mal sicuro.
ANTIGONO
Non mi negare una pietate almeno.
A me togli la vita, a quei la donna.
EUPATORE
È sciocca l'ira tua, se a me perdona.
E s'anche quei trafigge è un'ira iniqua.
Tu ti credi tradita.
Or sappi, ch'io, come nel grado il primo,
son primo anche ne l'opre, e ne' consigli.
ANTIGONO
No, no. Nel grado, e nel voler siam pari.
Ma senza quella mano,
il principe, che cerchi, ahi cerchi invano.
LAODICE
Siete tra voi sì generosi, e fidi,
e con Laodice poi vi trovo infidi?
NICOMEDE
Poiché l'un l'altro è stretto
da magnanimo affetto,
fa' con cauta pietate un'util prova.
Vada sciolto a le navi un sol messaggio.
E l'altro di lor fé ti sia l'ostaggio.
ANTIGONO
Acconsento.
EUPATORE
Sia fatto.
LAODICE
Io quasi cedo...
ma cedo sì, che una passione occulta
già mi disarma, e ancor mi vuole inulta.
Sciogli chi parte, e in ceppi tien chi resta.
ANTIGONO
Io rimango.
EUPATORE
Deh vanne, e me qui lascia.
ANTIGONO
Ahi se non parti.
EUPATORE
Ahi se tu resti.
ANTIGONO
Amico
deh affretta la partenza.
Ben sai tu quanto val la tua presenza.
EUPATORE
Dura necessità sempre mi sforzi!
LAODICE
Posto, che sia fedele il tuo ritorno,
che danno temi a lui, che qui rimane?
Se Mitridate vivo a noi non guidi,
allora, sii pur certo,
prieghi non valeran, pianti, né gridi.
EUPATORE
Parto sì; ma nel partir,
che farò?
Parlerò?
Mi tormenta il sì, e il no.
Dal silenzio, chi m'intende
ben comprende
tutto quel, che tacerò.
Laodice, Antigono, Nicomede.
LAODICE
Custodite, o fedeli,
questo capo, che val quanto la fede,
da cui già pende la comun salute,
e la vita di lui, donde si spera
a' rei sconfitta, e a noi vittoria intera.
NICOMEDE
Il pietoso partito
s'io ben intendo ciò, che al cor mi dice
una voce fatal, sarà felice.
LAODICE
Chi ben opra ben confida
non ne l'opra, ma nel ciel.
NICOMEDE
Il ciel sempre è buona guida
a chi sempre è a lui fedel.
LAODICE
La speranza è un'ape industre,
che ogn'or stilla un dolce mel.
NICOMEDE
Ma il suo ben, quant'è più illustre
altrettanto è a noi infedel.
Spiaggia di mare, con tutta l'armata d'Egitto, disposta in buon ordine, per eseguire lo sbarco.
Eupatore scende con molta pompa; ma con insegne lugubri, e fa portare da uno de' suoi Capitani una picciola urna sepolcrale.
Pelopida lo viene a ricevere con Comitiva, e Guardie, in nome del Re, e della Regina.
Eupatore, Pelopida, Laodice in disparte.
PELOPIDA
Fedele messaggier de l'alto erede
di Memnone, sia fausto il grande arrivo.
I regnator del vasto
calcedonico impero, a te salute
mandano, e pace, e con regali inviti,
mostran l'onor, che rechi ai loro liti.
EUPATORE
O capitan del pontico monarca.
A le regie accoglienze
sol ben risponde, in vece mia, quell'arca.
LAODICE
(a parte)
Misera me, che vegg'io.
PELOPIDA
Quest'è l'atteso dono?
EUPATORE
Il capo è questo
di Mitridate vostro.
LAODICE
(a parte)
Oh dèi! Son morta.
PELOPIDA
Ciò che l'urna ci porta
la pompa funeral fa manifesto.
LAODICE
(Ah iniquo! ah traditor! ne avrò vendetta.)
PELOPIDA
Potria la novità mover tumulti
ne l'indiscreta plebe:
però breve dimora il re ti chiede,
finché a tutto un sovran cenno provvede
e la breve dimora
in quella regia amenità frattanto,
con magnifico albergo, accoglie, e onora.
LAODICE
(a parte)
Io più soffrir no 'l posso.
EUPATORE
Stelle, se il vostro lume
ha virtù sopra me, benigne ardete.
Se infelice è il valor,
fia vostro il disonor,
che voti dagl'eroi più non avrete.
Eupatore, Pelopida, Laodice.
LAODICE
(a parte)
Non ha più fren, né legge, il dolor mio.
PELOPIDA
Quanta pietà ne sento!
EUPATORE
O incomodo, e in quest'ora infausto incontro!
LAODICE
Aprimi quel lugubre orrido vaso.
EUPATORE
Innanzi al re sol lice aprirlo.
LAODICE
Dunque
dimmi, che ascondi in quel feral metallo?
EUPATORE
(E che risponderò?)
LAODICE
(a parte)
Dì, dì, che pensi?
PELOPIDA
Io te 'l dirò, s'ei tace?
Quel sepolcrale ordigno infausto, e tetro,
de l'atteso tuo re quello è il feretro.
LAODICE
Deh cedi a la mia man sì amato peso.
EUPATORE
E come prendi tu l'ufficio altrui?
Deponi olà, quel picciolo sepolcro.
LAODICE
No, deporlo non voglio.
PELOPIDA
Non le negar, signor, sì giusto sfogo.
LAODICE
Sì. Tutti gli avi miei,
tutto il mio ben si chiude in questo bronzo.
EUPATORE
Che orror mi scuote l'ossa, e gela il sangue!
LAODICE
O Mitridate mio!
Per natura german, mio re per grado,
per cura, per età, per amor figlio.
EUPATORE
(O ciel, questa è Laodice!)
LAODICE
Dopo tre lustri, o caro, e dopo tanti
in van sofferti affanni, e sparsi pianti,
così t'accolgo in queste
braccia, che a te bambin furo sì spesso
culla amorosa. In queste
braccia, ch'io ti serbava ad altro amplesso
prendi, sì prendi da l'amante labro,
onde tu avesti i primi,
anche gli ultimi baci, i baci estremi...
Ahimè! L'unico oggetto
de' miei pensieri, de' miei desir, de l'opre
mie, tradito così mi stringo al petto?
PELOPIDA
Di mortal padre egli mortale è nato,
che val cozzar col fato?
LAODICE
O vana speme! o rotta fede! o breve
lusinghiera, funesta, empia allegrezza!
Da chi più cerco aiuto, o più conforto,
o in cielo, o in mare, o in terra,
o negli abissi? Ahi Mitridate è morto!
EUPATORE
Sospendi, afflitta donna, i tuoi sospiri.
LAODICE
Dunque picciolo infante
per questo ti campai da crudo ferro,
o da astuto veleno?
A nutrirti per questo io t'ho mandato,
a re amico, e possente. Io t'ho per quello
tanto atteso, e chiamato
a ricovrarti il tuo vetusto soglio?
EUPATORE
(Ahi mi si spezza il core!)
LAODICE
Perché su gli occhi de' tuoi cari, e fidi,
sul fior de le speranze, adulto, e forte,
ti vegga poi tradir sopra i tuoi lidi?
PELOPIDA
Misera principessa!
LAODICE
Cara tomba del mio diletto
nel tuo sen dammi ricetto,
deh sii tomba anche per me.
O deposito infelice!
Se a te fui culla, e nutrice
vuò morire anche con te.
EUPATORE
(a parte a Laodice)
Chiede gran novità, novi consigli.
Tempo è ommai di compir tanti lamenti.
LAODICE
Sì t'affretta crudel. La buona madre
impaziente agogna il bel trofeo
del fedel Tolomeo.
EUPATORE
Va' pure, o duce, e accerta i tuoi sovrani
di ciò, ch'io reco, e che al mio piede è legge
il voler, che qui regge.
PELOPIDA
Grazie ti rendo, che il favor mi doni
d'esser io nunzio di sì lieto avviso.
EUPATORE
Ognuno già m'avanzi, e la via prenda,
ma non lontan m'attenda.
Eupatore, Laodice.
LAODICE
Ribaldo, masnadier, degno ministro
del re, che move l'armi al suon del sistro.
EUPATORE
No soffrir più non posso il tuo dolore.
LAODICE
Sì, sì, mostro del Nilo,
ridendo uccidi, e piangi poi l'ucciso.
EUPATORE
Prendi augurio miglior. Non se' tu quella
di cui compagna ti fingevi, invitta,
magnanima Laodice?
LAODICE
Ho troppo detto. Io son quella infelice.
EUPATORE
Posa quel mesto incarco, e attenta ascolta.
LAODICE
No 'l creder già. Preso che avrò il castigo
di te sopra il tuo ostaggio, io vuò con questo...
EUPATORE
Non più, che vola il tempo, a me ubbidisci.
LAODICE
Sopra il caro german non vuoi ch'io pianga?
EUPATORE
Non voglio, perché è vano.
LAODICE
Non merta Mitridate il pianto mio?
EUPATORE
Ei lo meriteria se morto fosse,
ma è vano, perché è vivo, e spira, e t'ama.
LAODICE
M'inganni, o pur mi tenti?
EUPATORE
Io vivo, e in favor mio mente la fama.
LAODICE
Veggo, che vivi tu. Ma il fratel mio
vivo mi mostra, e il più fedel ti vanto.
EUPATORE
Cieca, cieca, e no 'l vedi?
Ostinata non credi a questo pianto?
LAODICE
Mitridate, sei tu? Giusto sospetto
tien che gioia improvisa
non mi trae verso te l'alma dal petto.
EUPATORE
Se non credi al mio amor, su credi a queste
caute cifre, che già tra noi lontanissimi
fide ministre fur di lunghi arcani.
LAODICE
O dolcissimo amor di questo core!
Ultimo, e primo onor di nostra gente!
EUPATORE
O amor di questo seno
dolcissimo egualmente.
LAODICE
Parte miglior del sangue mio, deh lascia,
che sfoghi l'amor mio con nuovi amplessi.
EUPATORE
Gioia de la mia vita, al fin ti stringo.
LAODICE
T'odo, t'ammiro, e sento, e pur diffido,
oh dèi! Tu se' pur quello?
EUPATORE
L'amoroso fratello
sono, che un dì ritorna al patrio nido.
LAODICE
Sì per sempre ancor ti abbraccio.
EUPATORE
Sì, tu sei la mia diletta.
LAODICE
Ti ritrovo.
EUPATORE
Ti ravviso.
Insieme
LAODICE
Quanto improvviso più, tanto più caro.
EUPATORE
Quanto improvviso più, tanto più cara.
LAODICE
Duri eterno il nostro laccio.
EUPATORE
Sia col sen l'alma ristretta.
LAODICE
Dolce gioia.
EUPATORE
Dolce riso.
Insieme
LAODICE
Tanto soave più, quanto più caro.
EUPATORE
Tanto soave più, quanto più cara.
Eupatore, Laodice, Antigono, Nicomede.
NICOMEDE
Ecco l'ostaggio. Ma qui è l'altro, e solo
usiam la nostra sorte,
cadano in pezzi ambo i felloni al suolo.
LAODICE
Nicomede che fai? Sciogli quei ceppi.
Pur troppo s'è da noi quasi recisa
la vita a Mitridate,
per salvar Mitridate.
NICOMEDE
E come, non è questi il rio messaggio?
LAODICE
Messaggio è sì, ma insieme è quello stesso
principe nostro, ch'egli finge estinto,
per tessere ai tiranni
felice, inestricabil laberinto.
NICOMEDE
E vero sia?
LAODICE
Con le ben note carte
vinci ogni dubbio, e riconosci l'arte.
NICOMEDE
Signor perdona.
EUPATORE
A miglior tempo amico
le accoglienze, e le scuse. O Laodice
occulta ancor rimane
del tuo germano a te, la miglior parte.
LAODICE
Tutte tu pur non sai le mie avventure.
EUPATORE
Questo, ch'uomo ha le chiome, e nunzio al grado
credi a me eguale. Ella è d'ogni mia sorte;
ma del mio letto ancor dolce consorte.
LAODICE
Oh dèi, che meraviglie!
Generosa cognata al sen t'accosta.
ANTIGONO
Senti dal vicin cor la tua risposta.
LAODICE
Voi mio sangue, miei re, de l'alta suora
conoscete il marito.
EUPATORE
E a villano imeneo, chi mai t'ha unito?
LAODICE
Farnace per suo zelo, e per mio scorno;
il ciel per mia fortuna, e per tuo aiuto.
EUPATORE
Tutti apriremo i casi nostri un giorno.
Or seguiamo l'impresa.
Ite ambedue, ite disgiunte in corte;
ma unite nel disegno, e ne l'inganno.
Tu avanti l'empia madre
piangi la morte mia. Tu la palesa.
Ed io con Nicomede
disporrò nuove forze, e nuove frodi.
Tocca alla sorte d'offerir la fronte
crinita, e all'uomo tocca
con gran core incontrarla, e con man pronte.
LAODICE
Tu caro in questo dì,
sei stato un doppio oggetto
del più grand'odio mio,
del mio più grande amor.
Ma fu lo stesso affetto,
che amore, ed odio unì,
secondo, che il desio
fu gioia, o fu dolor.
Eupatore, Nicomede.
NICOMEDE
Giuro, signor, che a la regal sorella
del nativo candor nulla si toglie
col titolo di moglie.
EUPATORE
Sia timor, sia rispetto,
modestia sì fedel, pietà sì onesta,
fu di rara virtù sublime effetto.
NICOMEDE
Di cento re turbar le coronate
ombre temei, mischiando
col lor sangue, il mio sangue; e Mitridate
d'offendere temei. Temei la colpa
de la temerità, più che la pena.
EUPATORE
Non vien da ignobil vena
spirto gentil. Se al talamo già offerto
non t'agguaglia il natal, t'agguaglia il merto.
Vado, che mal si tarda opra matura,
tu né sudor, né studio a te perdona.
I merti l'opra, e l'opre il fin corona.
NICOMEDE
All'armi, a battaglia
speranze, pensieri,
pugnate per me.
Che mani, e consigli
conforta a i perigli
la bella mercé.
Parte del giardino reale dentro la reggia di Sinope.
Stratonica, Antigono, Laodice.
STRATONICA
Questo è il primo momento,
che saggia, e umil ti veggo oltre il costume.
L'orgoglioso pavon piegò le piume.
LAODICE
Tempo, e fortuna insegna
d'inchinarsi al poter, che mal si sdegna.
STRATONICA
E così, come intesi,
vide il nimico mio l'ultima sera.
ANTIGONO
Egli degli occhi tuoi sarà ben presto
spettacolo funesto.
STRATONICA
Ora il vendicator chiama del padre.
LAODICE
Pietà, pietà. Non insultar gli afflitti.
STRATONICA
Antigono, da te bramo il successo,
con schietta verità, di questa morte.
LAODICE
Ahimè, madre, perdona
ai mesti orecchi miei sì reo supplizio.
STRATONICA
No, non partir. Vuò, che a me paghi i gusti
de' rimproveri ingiusti.
Tu narra, e tu l'ascolta.
ANTIGONO
Tosto, che Mitridate in mar ci vide,
a batter cominciò palma con palma.
STRATONICA
Minaccia era per me quel lieto applauso.
ANTIGONO
Giunti appena alla nave. E ben, ei disse,
la diletta sorella a me, che manda?
LAODICE
Oh dio!
STRATONICA
Si duole. Bene sta. Ma poi?
ANTIGONO
Nessun risponde. Ed ei ripiglia. E come
di me sente la madre?
STRATONICA
Come conviene ad un tal figlio. E allora?
ANTIGONO
Ambo tacemmo, e dal silenzio apprese
il giovane sagace,
parte del suo destino, e impallidissi.
In noi fissò lo sguardo; indi lo mosse
tre volte, e quattro intorno. E al ciel rivolto
alzò la fronte, e ci parlò col volto.
STRATONICA
Fu avviso tal dimora, o pur tardanza?
LAODICE
Madre d'un figlio morto ha tanta fretta!
STRATONICA
Ritorna al suo tenor la tua baldanza.
Seguite pur.
ANTIGONO
L'ordine nostro intanto
un feroce soldato aveva instrutto.
Del ciglio al sol comando,
s'accosta, impugna, innalza, e ruota il brando.
STRATONICA
E un colpo ne partì dal collo il capo?
ANTIGONO
Partì il collo un sol colpo, e la parola.
S'udì sul labro palpitante un suono,
che disse «MA...» né finir puote madre;
ma tutte empì d'orror le nostre squadre.
STRATONICA
Ma da me già ha bandito ogni timore.
E a te superba, che più dice il core?
LAODICE
Al labro, al gesto, al guardo
ho posto il morso; i miei deliri io ploro,
e quanto ti sprezzai, tanto ti onoro.
STRATONICA
Odiata,
disprezzata,
tu, tu alfin mi rendi onor.
Il superbo così fa;
egli è umile per viltà,
perché onora per timor.
Antigono, Laodice.
ANTIGONO
Un'aspide, una tigre, una megera
di te s'incinse sì, non una donna.
LAODICE
I miei passati mali
ben da questo tu in parte ora argomenti,
e i perigli presenti.
ANTIGONO
Tutto mi fugge da le vene il sangue,
nel mirar il cimento
in cui siam tutti noi con la fortuna.
Ahi Mitridate mio!
LAODICE
Il re siede a consiglio, e pensa come
dal turbine, che teme, appena sorto,
di popolar procella,
guidi sicuri rei disegni in porto.
ANTIGONO
Qui sollecito appunto ancor l'attendo.
LAODICE
Venga pur; che l'astuzia
sovente con le altrui tessute frodi
a sé stessa prepara, e stringe i nodi.
ANTIGONO
È pur fiero quel duol,
che tra il dubbio, e la speranza,
ondeggiando va nel sen.
Chi teme ciò che vuol,
ha un dolor, che par costanza.
Ha un piacer, che par velen.
Farnace, Antigono, Laodice.
FARNACE
Chi ben finisce ha tutto il ben de l'opra;
né si finisce ben, se non si ottiene,
col più sicuro mezzo, il caro intento.
Antigono, il mio volgo in darno freme,
ma però freme, e turba il mio contento.
ANTIGONO
E la reggia, e le strade
custodiran, se vuoi, le nostre spade.
FARNACE
A politico mal, rimedio estremo
è la straniera forza.
Quel che accende è più assai di quel che ammorza.
LAODICE
Così diffidi tu di tua possanza?
FARNACE
Non diffido; ma aspiro a cauta gloria.
Il vincer senza sangue
è il trionfo miglior de la vittoria.
Re sono; e adesso tu mi vuoi tiranno?
LAODICE
Il tiranno è un gran re quand'ha paura.
Così ben fingi, ed orni
la crudele viltà, che par clemenza.
FARNACE
Ardita. Viva il ciel... ma a miglior frutto
è volta ogni mia cura.
Antigono non trar da questa reggia
l'incauto piè, se brami
di non esporre a subitanei insulti
né l'onor del tuo re, né il tuo decoro.
ANTIGONO
Dove Farnace, e Tolomeo comanda.
Io d'ubbidir m'onoro.
FARNACE
Io stesso uscir da le vicine mura
or voglio ignoto, e poscia entrar palese.
Fatti, ch'abbia comuni i miei consigli
con Eupatore; allora
senza armar la potenza
ogni flutto civil metterà in calma
il nudo scettro, e la regal presenza.
LAODICE
Se il presagio, ch'io sento
non mi consola in van, simile al merto
de la perfidia tua, farà l'evento.
Non mi dir tanto
cara speranza.
Di' sol che al pianto
va dietro ogn'ora
qualche piacer.
Lo sperar molto
giova a costanza;
ma un creder stolto
più che rincora
più fa doler.
Foresta poco lontana dalla città, e dall'albergo, ove fu trattenuto il primo ambasciatore d'Egitto.
Eupatore, Pelopida, uno Schiavo che porta l'urna, in cui dicevasi chiusa la testa di Mitridate.
PELOPIDA
Al parlamento occulto,
che aver teco ora brama il gran Farnace,
questo solingo orror comodo è molto.
EUPATORE
Qui m'arresto, e lo ascolto.
PELOPIDA
Com'è tra noi fermato, inerme, e solo
venendo il signor mio,
te pur vedrà senz'altri, e disarmato.
EUPATORE
Servo, lascia quell'urna, e t'allontana.
Arme non ho, né più seguaci a lato.
PELOPIDA
Eguale di custodi, e picciol stuolo
seguirà ognun di voi; ma sì discosto,
che non possa col guardo
in voi ferir, non che con lancia, o dardo.
EUPATORE
Mira, se alcun de' miei s'offre alla vista.
PELOPIDA
Omai compir m'è forza
a l'ufficio, al comando, ed al costume.
EUPATORE
E che vuoi dir?
PELOPIDA
Ch'io cerchi a parte a parte,
al dover mio perdona,
la tua stessa persona.
EUPATORE
Nume de la vendetta ora m'assisti.
(a parte a Pelopida)
Su, su tosto eseguisci,
ciò, che il carico, e l'uso, e il re t'impone.
PELOPIDA
Col creder mio, con la tua fé s'accorda,
il testimonio ancor de la mia mano.
Vo ad avvisarne il re.
EUPATORE
Sei cauto invano.
Chi far gode
ad altri frode
mal si lamenta,
s'altri lo inganna.
Egli a quel danno,
che col suo inganno,
altrui far tenta,
già si condanna.
Eupatore, Farnace.
FARNACE
O messagger, s'io re a te vengo, e ascoso
del mio venir degna cagion mi guida.
EUPATORE
Così ragion m'avvisa, e il tuo gran senno.
FARNACE
Ne' lavori del stato,
d'ogni maestro colpo alma è il segreto,
e fabro uno stupore inaspettato.
EUPATORE
Che machina disegni?
FARNACE
Portare io voglio quel funereo dono;
mentre incerto ognun pende,
e da te sol l'attende,
chi penserà, ch'io 'l portator ne sia?
EUPATORE
E qual frutto ne speri?
FARNACE
Con esporlo improvviso,
i turbini civili
sgombrerò in un momento;
quando s'armano i vili,
pronta vittoria è un subito spavento.
EUPATORE
Sempre qualche speranza
è l'aquilon che gonfia il mar plebeo;
caduto lo sperar, caduto è il vento;
e col cader del vento in vana spuma
si scioglie ogni procella.
FARNACE
Fida a me quella rea spoglia rubella.
Cessata la tempesta,
tu compagno entrerai del mio trionfo,
e testimonio del castigo insieme,
che a popolar delitto
ben sì da allor, quando non più si teme.
EUPATORE
Cauto pensiero, e colpo usato appunto
da chi di stato al magistero è giunto.
Ecco che io t'apro l'arca. Ecco la testa.
FARNACE
O spettacolo orrendo!
Ma quanto è orrendo più, più a me giocondo!
O Mitridate, io pur ti tengo, e miro,
e ti miro, e non temo; anzi n'esulto,
perché al fine ti veggio in quel reo stato,
in cui mirarti in van tanto ho bramato.
EUPATORE
Tant'odio a Mitridate?
FARNACE
Or comincio a regnare, ora incomincio
la mia felicità. Finora un misto
di rancor, di timor fu la mia vita.
Quanto ti devo, o caro amico.
EUPATORE
Ah tristo!
Ah tiranno! Ah crudele! Ora finisci,
e regno, e vita.
FARNACE
Ahi questo colpo oh dèi
solo venir mi può da Mitridate!
EUPATORE
Non fuggirai; tien questa, e questa piaga.
Così i misfatti Astrea
scelerato politico ti paga.
Uccidete,
distruggete,
su miei fidi
degli infidi
sano vada
né pure un sol.
Su trafitta
su sconfitta
la guerriera
crudel schiera
tutta cada
svenata al suol.
Stanze della regina.
Stratonica, Laodice.
STRATONICA
Già si appresta regal pomposo lutto.
Sfogo del mio dolore,
e del figlio defunto estremo onore.
LAODICE
Altra pompa, altro sfogo
da la miseria mia recar non posso,
che gemiti, e singulti al mesto rogo.
STRATONICA
Tu baldanzosamente il pianto, il grido
farai suonar con arte;
acciocché la pietà de' tuoi lamenti
contro noi due regnanti odio diventi?
LAODICE
Altri tempi, o regina, altri costumi.
STRATONICA
S'amo ancor la tua vita,
l'apprenderai da un salutare avviso.
La sofferenza nostra è omai finita.
LAODICE
Chi per tema è pietoso,
fin che dura il timor, solo è clemente.
STRATONICA
Chi per forza è prudente
sol per necessità non è orgoglioso.
LAODICE
L'affetto più fedel,
ma insieme il più crudel
sei tu, o speranza.
Sempre col ben ci affidi,
ma poscia il cor n'uccidi
con la tardanza.
Eupatore, Antigono, Laodice.
LAODICE
O miei liberatori, o forti, o invitti.
Veggo ne' guardi amici
de la prima vittoria i certi auspici.
ANTIGONO
Cessa del tuo timor la maggior parte.
EUPATORE
La vittima miglior s'è offerta a Marte.
LAODICE
O caro mio t'affretta,
che la matura impresa
arrischia assai, chi d'eseguirla aspetta.
EUPATORE
Non ti crucciar, che inaspettato affanno
vuò, che il supplizio sia
de la tua cruda genitrice, e mia.
ANTIGONO
Paga non son, se palpitante, esangue
non do per pasto agli avvoltoi quel core,
e in bevanda non getto a' cani il sangue.
EUPATORE
Turbaria la sua morte ogni mia gloria.
LAODICE
Vuoi, che a temer la tua pietà cominci?
EUPATORE
Trionferemo tutti.
E nel ricuperar l'antico trono
vedrai, che so punir fin col perdono.
LAODICE
Ne l'ira degli dèi tanto confido,
quanto di tua clemenza ora diffido.
EUPATORE
Fin ch'esce la regina, o mia diletta,
sia tua cura eseguir ciò che t'imponi.
ANTIGONO
Tu sei l'anima del mio core
tu sai ben, se ubbidirò.
Ma chi è perfida a te mio amore,
non so ben s'io soffrirò.
Eupatore, Laodice, Stratonica.
STRATONICA
Dunque è ver, che al dispetto
de le plebee minacce, entro la reggia
penetrar seppe Eupatore sicuro?
EUPATORE
D'un sovrano sembiante
cotanto può l'autorità regnante?
LAODICE
Come Nettun col ciglio
fugga d'Eolo le furie, e placa l'onde.
Suoi popoli ondeggianti,
con quella maestà, che spira pace,
sta calmando Farnace.
STRATONICA
Da la comune riverenza apprendi
anche tu a venerar la eccelsa fronte,
e in lodi cangia le rampogne, e l'onte.
EUPATORE
De l'opra assai più che del giorno resta.
Piace, che agli occhi tuoi
del rubel figlio esponga omai la testa.
STRATONICA
Piace; ma pria s'apran le regie stanze.
Se in qualche petto ancora
destano fellonia sciocche speranze,
cessi, a tal vista; e ad ogni incarco il dorso
pieghi, e al flagello s'accostumi, e al morso.
LAODICE
Chi più ardirà, quand'io già più non oso,
turbare il tuo riposo?
EUPATORE
A privato spettacolo quel teschio
manda il regal consorte;
per farne a tutti poi pubblico oggetto,
ove adesso raffrena
le genti, col valor del grave aspetto.
STRATONICA
Non essere più tardo
nel darmi pace al core, e gioia al guardo.
Come dolce un sicuro diletto,
col suo gaudio mi giunge nel sen.
Sempre è il regno di zelo ripien;
pur se un giorno mai sgombra il sospetto,
vien pur caro l'atteso seren.
Eupatore, Laodice, Stratonica, Antigono, con un Capitano, che porta un gran desco coperto da ricco panno.
STRATONICA
Ahi, che veggio! Ahi che sento! Ahi che diverso
turbine mi s'aggira entro del seno!
EUPATORE
Nemesi, o pur qual altra è la gran dèa
de la vendetta, a te questa presenta
vittima sua; saziane pur l'ingorda
fame degli occhi, e il cor ciba, e contenta.
STRATONICA
Il presente m'è grato,
se ben funesto, e la gran dèa ringrazio.
ANTIGONO
Mira sotto quell'oro,
se a pieno il bel desio vuoi render sazio.
STRATONICA
Ahimè! il piede, e la mano
negano d'ubbidirmi? E al loro ufficio
gli sollecito invano?
Laodice a te. Leva a quel desco il velo.
LAODICE
D'orror tutta m'inchioda un fiero gelo,
l'ubbidirti m'è tolto.
STRATONICA
T'accosta, o capitan, che d'esser forte,
mal grado ad ogni affetto, ho già risolto.
Mal ti temea ancor vivo, o Mitridate,
ti temerò poi morto?
Mie luci, ahi che mirate!
LAODICE
Il tuo sposo tu miri, il caro sposo,
che a nuove nozze già t'invita in Dite.
Già tra sue fiamme t'apparecchia il letto,
paraninfo Pluton, pronuba Aletto.
EUPATORE
Che temi? E no 'l ravvisi?
Quel teschio, o mio guerriero, alzale in volto.
ANTIGONO
Spècchiati, o scelerata.
Se colpisse ogni reo l'ultrice spada,
minor saria de' rei l'ampia masnada.
STRATONICA
Veggo dove son giunta,
esser non può l'autor de l'arti usate,
altri, che Mitridate.
LAODICE
Sai di regnar tutti i più scaltri ingegni,
e se' tarda a spiar gli altrui disegni?
STRATONICA
Un pronto disperar mi fa sicura.
Questo acciaio, che è caldo ancor del sangue
del mio caro Farnace,
vuò, che mi renda, e libertate, e pace.
Qual tra questi tu sia perfido figlio,
che tra questi tu sei.
Mira con seren ciglio,
come ti pago il genitor trafitto,
e risparmio al tuo braccio un gran delitto.
EUPATORE
Madre, madre t'arresta, il rischio basta,
basta il dolor. Già l'amor mio t'assolve.
STRATONICA
Or che t'ho conosciuto,
or riparo il mio error con questo ferro.
Vuò la tua morte, il tuo perdon rifiuto.
ANTIGONO
Tu morirai.
EUPATORE
Deh ferma.
ANTIGONO
Sì, morirai, né più il fuggir ti vale.
LAODICE
Trattieni il passo, oh dèi, lascia che il cielo
ti vendichi, cor mio, senza tua colpa.
EUPATORE
Ahimè! già versa il sangue, ahimè già cade,
e il mio lento soccorso, ahimè già incolpa.
LAODICE
Se t'incolpa la madre,
vendicato t'assolve il caro padre.
EUPATORE
Tutte apre al giubilo il cor le porte;
ma poi d'entrarvi
sembra, che il giubilo n'abbia timor.
Distingue l'anima vittoria, e morte,
e nel pensarvi
ha vicendevole gioia, ed orror.
Nicomede, Laodice.
NICOMEDE
Allegrezza, o Laodice.
La fortuna dei re girò a tal segno,
che a la pietà ben tutto
ceder può il loco un generoso sdegno.
LAODICE
Pietà di chi? Di chi pietà non ebbe
del caro padre mio? del mio germano?
Volea il figlio svenar come il consorte,
e di tal madre io piangerò la morte?
NICOMEDE
Sia pur crudo il nimico,
più nimico non è quand'è punito.
LAODICE
Quel piacere m'alletta,
che stilla in fiero cor l'odio contento.
NICOMEDE
Canta giuliva pur la tua vendetta.
Il popolo già inonda
le strade, il foro, e ne l'udir la fama,
che del gran Mitridate empie la tromba,
Mitridate anch'ei chiama,
e il cielo Mitridate, e il mar rimbomba.
LAODICE
Del pien diletto,
che ha un forte petto,
dopo gran pene vieni a goder.
Quel bel contento,
che a lungo stento
virtù distilla, quello è piacer.
NICOMEDE
Gioia da prode
è quella lode,
che dà il trionfo dopo il penar.
Di applauso è degno
uomo, che al regno
ancor più gode, che a sé giovar.
La gran piazza di Sinope avanti al palazzo reale.
Eupatore, già nominato per Mitridate, Antigono, già conosciuta per Issicratea, Laodice, Nicomede, Pelopida, Cortigiani, Soldati, Popolo.
Vien portata la testa di Farnace, assisa sopra di un'asta, ed il pugnale, che l'uccise. Issicratea ha in mano la spada, con cui trafisse la regina. Seguono due corone recate da due Capitani sopra nappi d'oro.
PELOPIDA
O voi della famosa
Propontide, vetusti abitatori,
su su rendete al vostro
legittimo regnante i primi onori.
LAODICE
D'un trionfal, benché infelice tronco
o trionfale, e più felice germe.
Da la mia man ricevi il regio serto,
che cento volte in Persia, e cinque in Ponto,
reso dagli avi illustre, al fine è pronto
a coronar su la tua fronte il merto.
EUPATORE
(Mitridate)
Ben mi corona quella man gradita,
cui devo regno, e vita.
LAODICE
Tu eguale ne l'amor, nel pregio eguale,
abbi da la mia destra
pari d'oro, e d'onor fregio immortale.
NICOMEDE
Bench'ei sia grande, e raro;
perché da te mi vien, l'onor m'è caro.
EUPATORE
(Mitridate)
Sposa, suora, cognato, amiche genti,
s'oggi ho il regno da voi,
del regno solo è mio l'incarco, e l'ostro;
la gloria è degli dèi; l'utile vostro.
Col valor de l'inganno
ho vinto sì, ma con quell'armi ho vinto,
con cui vincer m'è gloria un vil tiranno.
Ma s'anche il lustro di mia gloria langue
nel trofeo d'una frode, a me sol basta,
che non versai, vincendo, il vostro sangue.
Così piaciuto al cielo
fosse di non versar quel de la madre!
Incominciar da lei volea il perdono,
che sopra tutti stendo
gli inimici del padre, o del mio trono.
Grande inimico eterno
sarò di Roma, e d'ogni man rapace,
che ardisca di turbar la vostra pace,
contra lei pugnarò la state, e il verno.
(Mitridate)
Primo oggetto, e primo onore
fia il vedervi ogn'or felici.
Mostrarò qual sia il mio core
ai vassalli co' l'amore,
col valore agli inimici.
LAODICE
Viva pur sempre beato
sempre grande il nostro re.
NICOMEDE
Con la gioia ognora il fato
provi a lui la nostra fé.
PELOPIDA
Tutto il duol del mal passato
paga a noi tanta mercé.
ANTIGONO
(Issicratea)
Dì felice, e dì più grato,
non farà, non fu, non è.
TUTTI
Viva pur sempre beato
sempre grande il nostro re.
Con la gioia ognora il fato
provi a lui la nostra fé.
Tutto il duol del mal passato
paga a noi tanta mercé.
Dì felice, e dì più grato,
non farà, non fu, non è.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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