Atto secondo

 

Scena prima

Si muta la scena nella villa di Seneca.
Seneca, Mercurio dal ciel in terra.

 Q 

Seneca

 
Mercurio in terra mandato da Pallade annunzia a Seneca dover egli certo morire in quel giorno, il quale senza punto smarrirsi degl'orrori della morte, rende grazie al cielo, e Mercurio dopo fatta l'ambasciata se ne vola al cielo.
 

SENECA

Solitudine amata,  

eremo della mente,

romitaggio a' pensieri,

delizia all'intelletto

che discorre, e contempla

l'immagini celesti

sotto le forme ignobili e terrene,

a te l'anima mia lieta se n' viene,

e lunge dalla corte,

ch'insolente e superba

fa della mia pazienza anatomia

qui tra le frondi, e l'erbe,

m'assido in grembo della pace mia.

 

<- Mercurio

MERCURIO

Vero amico del cielo  

appunto in questa solitaria chiostra

visitarti io volevo.

SENECA

E quando, e quando mai

le visite divine io meritai?

MERCURIO

La sovrana virtù di cui sei pieno

deifica i mortali,

e perciò son da te ben meritate

le celesti ambasciate.

Pallade a te mi manda,

e t'annunzia vicina l'ultim'ora

di questa frale vita,

e 'l passaggio all'eterna ed infinita.

SENECA

Oh me felice, adunque

s'ho vissuto sinora

degl'uomini la vita,

vivrò dopo la morte

la vita degli dèi.

Nume cortese, oggi il morir m'accenni?

Or confermo i miei scritti,

autentico i miei studi;

l'uscir di vita è una beata sorte,

se da bocca divina esce la morte.

 

MERCURIO

Lieto dunque t'accingi  

al celeste viaggio,

al felice passaggio,

t'insegnerò la strada,

che ne conduce allo stellato polo;

Seneca or colà su io drizzo il mio volo.

Mercurio ->

 

Scena seconda

Seneca, Liberto.

<- Liberto

 
Seneca riceve da Liberto, Capitano della guardia di Nerone, l'annunzio di morte d'ordine di Nerone; Seneca costante si prepara all'uscir di vita.
 

LIBERTO

(Il comando tiranno  

esclude ogni ragione,

e tratta solo o violenza, o morte.

Io devo riferirlo, e nondimeno

relatore innocente

mi par d'esser partecipe del male,

ch'a riferire io vado.)

Seneca, assai m'incresce di trovarti,

mentre pur ti ricerco.

Deh non mi riguardar con occhio torvo

se a te sarò d'infausto annunzio il corvo.

SENECA

Amico è già gran tempo,

ch'io porto il seno armato

contro i colpi del fato.

La notizia del secolo in cui vivo,

forestiera non giunge alla mia mente;

se m'arrechi la morte,

non mi chieder perdono:

rido, mentre mi porti un sì bel dono.

LIBERTO

Nerone...

SENECA

Non più, non più...

LIBERTO

A te mi manda.

SENECA

Non più t'ho inteso, e ubbidisco or ora.

LIBERTO

E come intendi, prima ch'io m'esprima?

SENECA

La forma del tuo dire, e la persona

che a me ti manda, son due contrassegni

minacciosi e crudeli

del mio fatal destino;

già, già son indovino.

Nerone a me t'invia

a imponermi la morte,

ed io sol tanto tempo

frappongo ad ubbidirlo

quanto basti a formar ringraziamenti

alla sua cortesia, che mentre vede

dimenticato il ciel de' casi miei,

gli faccia sovvenir ch'io vivo ancora,

per liberar l'aria e la natura

dal pagar l'ingiustissima angheria

de' fiati e giorni alla vecchiaia mia.

Ma di mia vita il fine

non sazierà Nerone;

l'alimento d'un vizio all'altro è fame,

il varco ad un eccesso a mille è strada,

ed è lassù prefisso,

che cento abissi chiami un sol abisso.

LIBERTO

Signor indovinasti;

mori, e mori felice,

che come vanno i giorni

all'impronto del sole

a marcarsi di luce,

così alle tue scritture

verran per prender luce i scritti altrui.

I nostri imperatori

diventan dopo morte eterni numi,

e trionfante Roma,

quando un principe perde, acquista in dio.

Ma tu morendo, o Seneca felice,

avrai la deitade.

Non l'avrà mai Nerone,

che non s'ammette in ciel nume fellone.

SENECA

Vanne, vattene omai,

e se parli a Nerone avanti sera,

ch'io son morto, e sepolto, gli dirai.

Liberto ->

 

Scena terza

Seneca, e i suoi Famigliari.

<- famigliari di Seneca

 
Seneca consola i suoi Famigliari, i quali lo dissuadono a morire, e ordina a quelli di prepararli il bagno per ricever la morte.
 

SENECA

Amici è giunta l'ora  

di praticare in fatti

quella virtù, che tanto celebrai.

Breve angoscia è la morte;

un sospir peregrino esce dal core,

ov'è stato molt'anni,

quasi in ospizio, come forestiero,

e se ne vola all'Olimpo,

della felicità soggiorno vero.

 

FAMIGLIARI

Non morir, Seneca, no.    

Io per me morir non vo'.

S

[Ritornello]

 N 

FAMIGLIARE

Questa vita è dolce troppo,

FAMIGLIARE
II°

questo ciel troppo è sereno,

FAMIGLIARE
III°

ogni amar, ogni veleno

I TRE

finalmente è lieve intoppo.

Ritornello

FAMIGLIARE

Se mi corco al sonno lieve,

FAMIGLIARE
II°

mi risveglio in sul mattino,

FAMIGLIARE
III°

ma un avel di marmo fino,

I TRE

mai non dà quel che riceve.

Ritornello

FAMIGLIARI

Non morir, Seneca, no.

Io per me morir non vo'.

 

SENECA

Sopprimete i singulti,  

rimandate quei pianti

dai canali degl'occhi

alle fonti dell'anime, o i miei cari.

Vada quell'acqua omai

a lavarmi dai cori

dell'incostanza vil le macchie indegne.

Altr'esequie ricerca,

che un gemito dolente

Seneca moriente.

Itene tutti, a prepararmi il bagno,

che se la vita corre

come il rivo fluente,

in un tepido rivo

questo sangue innocente io vo' che vada

a imporporarmi del morir la strada.

famigliari di Seneca ->

 

Scena quarta

La Virtù con un coro di Virtù, Seneca.

<- Virtù, coro di virtù

 

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente  

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

Breve coltello,

ferro minuto

sarà la chiave,

che m'aprirà

le vene in terra,

e in ciel le porte dell'eternità.

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

A dio grandezze,

pompe di vetro,

glorie di polve,

larve d'error,

che in un momento

affascinate, affascinate il cor.

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

Già già dispiego il volo

da questa mia decrepità mortale,

e verso il coro vostro

adorate virtudi innalzo l'ale.

 
 

Scena quinta

Si muta la scena nella città di Roma.
Valletto, Damigella.

 Q 

Valletto, Damigella

 
Valletto, paggio, e Damigella dell'imperatrice scherzano amorosamente insieme.
 

VALLETTO

Sento un certo non so che,  

che mi pizzica, e diletta,

dimmi tu che cosa egli è,

damigella amorosetta.

Ti farei, ti direi,

ma non so quel ch'io vorrei.

[Ritornello]

 N 

 

Se sto teco il cor mi batte,

se tu parti, io sto melenso,

al tuo sen di vivo latte,

sempre aspiro e sempre penso.

Ti farei, ti direi,

ma non so quel ch'io vorrei.

Ritornello

DAMIGELLA

Astutello, garzoncello,  

bamboleggia amor in te.

Se divieni amante, affé,

perderai tosto il cervello.

Tresca Amor per sollazzo coi bambini,

ma siete Amor, e tu, due malandrini.

VALLETTO

Dunque amor così comincia?

È una cosa molto dolce?

Io darei per godere il tuo diletto

i cireggi, le pera, ed il confetto.

Ma se amaro divenisse

questo miel, che sì mi piace,

lo addolciresti tu?

Dimmelo luce mia, dimmelo, di'?

DAMIGELLA

L'addolcirei, sì, sì.

 

VALLETTO

Ma come poi faresti?  

DAMIGELLA

Che dunque non lo sai?

VALLETTO

No 'l so, cara, no 'l so.

Dimmi, come si fa;

fa' ch'io lo sappia espresso,

perché se la superbia si ponesse

sul grave del sussiego

io sappia raddolcirmi da me stesso.

Mi par che per adesso,

se mi dirai, che m'ami,

io mi contenterò,

dimmelo dunque, o cara,

e se vivo mi vuoi, non dir di no.

DAMIGELLA

T'amo, caro Valletto,

e nel mezzo del cor sempre t'avrò.

VALLETTO

Non vorrei, speme mia, starti nel core,

vorrei starti più in su

non so, se sia mia voglia o saggia, o sciocca;

io vorrei, che 'l mio cor facesse nido

nelle fossette belle, e delicate,

che stan poco discoste alla tua bocca.

 

DAMIGELLA

Se ti mordessi poi?  

Ti lagneresti in pianti tutto un dì.

VALLETTO

Mordimi quanto sai,

mai non mi lagnerò,

morditure sì dolci

vorrei sempre goderle,

purché baciato io sia da' tuoi rubini

mi mordan pur le perle.

DAMIGELLA

O caro, godiamo!

Insieme

VALLETTO

O cara, cantiamo!

 

DAMIGELLA E VALLETTO

Godiamo, cantiamo,

andiamo a godere.

Allunga il morire

chi tarda il piacere.

Damigella, Valletto ->

 

Scena sesta

Nerone, Lucano, Petronio, Tigellino.

<- Nerone, Lucano, Petronio, Tigellino

 
Nerone intesa la morte di Seneca, canta amorosamente con Lucano poeta suo famigliare deliriando nell'amor di Poppea.
 

NERONE

Or che Seneca è morto,    

cantiam, cantiam Lucano,

amorose canzoni

in lode d'un bel viso,

che di sua mano Amor nel cor, m'ha inciso.

S

LUCANO

Cantiam, signore, cantiamo...

NERONE E LUCANO

Di quel viso ridente,

che spira glorie, ed influisce amori;

cantiam di quel viso beato

in cui l'idea miglior sé stessa pose,

e seppe su le nevi

con nova meraviglia,

animar, incarnar la granatiglia.

Cantiam, di quella bocca

a cui l'India e l'Arabia

le perle consacrò, donò gli odori.

 

LUCANO

Bocca, che se ragiona, o ride,    

con invisibil arme punge, e all'alma

dona felicità mentre l'uccide.

Bocca, che se mi porge

lasciveggiando il tenero rubino

m'inebria il cor di nettare divino.

S

Sfondo schermo () ()

NERONE

Oh destino.

 

LUCANO

Tu vai, signor, tu vai  

nell'estasi d'amor deliziando,

e ti piovon dagl'occhi

stille di tenerezza,

lacrime di dolcezza.

NERONE

Idolo mio,

celebrarti io vorrei,

ma son minute fiaccole, e cadenti,

dirimpetto al tuo sole i detti miei.

[Ritornello]

 N 

NERONE

Son rubin preziosi  

i tuoi labbri amorosi,

il mio core costante

è di saldo diamante,

così le tue bellezze, ed il mio core

di care gemme ha fabbricato Amore.

Ritornello

 

Son rose senza spine

le guance tue divine,

gigli, e ligustri eccede

il candor di mia fede,

così tra 'l tuo bel viso, ed il mio core

la primavera sua divide Amore.

TIGELLINO

O beata Poppea

signor nelle tue lodi.

PETRONIO

O beato Nerone

in grembo di Poppea.

TIGELLINO E PETRONIO

Di Neron, di Poppea, cantiamo i vanti.

LUCANO

Apra le cataratte il ciel d'amore.

PETRONIO E TIGELLINO

E diluvi, ed inondi a tutte l'ore.

TUTTI

Felicità sovra gli amati amanti.

Ritornello

NERONE

Son rose senza spine

le guance tue divine,

gigli, e ligustri eccede

il candor di mia fede,

così tra 'l tuo bel viso, ed il mio core

la primavera sua divide Amore.

Lucano, Petronio, Tigellino ->

 

Scena settima

Nerone, Poppea.

<- Poppea

 

NERONE

O come, o come a tempo,  

bella adorata mia, mi sopraggiungi.

Io stavo contemplando

col pensier il tuo volto,

or con occhi idolatri io lo vagheggio;

occhi cari, occhi dolci,

al cui negro amoroso

cede la luce del più caro dì,

da voi lo strale uscì,

che mi piagò soavemente il core,

per voi vive Nerone, e per voi more.

POPPEA

Ed io non trovo giorno,

dove tu non risplendi,

e non vuole il cor mio,

ch'alcun aria da me sia respirata,

se non è dal tuo viso illuminata,

viso che circondato

di maestà amorosa,

passando per quest'occhi al cor m'entrò,

ond'io per sempre avrò,

del tuo divin sembiante, o mio signore,

un ritratto negl'occhi, ed un nel core.

NERONE

Deh perché non son io

sottile, e respirabile elemento,

per entrar mia diletta

in quella bocca amata,

che passerei per uscio di rubino

a baciar di nascosto un cor divino?

POPPEA

Deh perché non son io

l'ombra del tuo bel corpo, o mio signore,

per assisterti sempre

in compagnia d'Amore,

deh faccia il ciel, per consolar mio duolo

di te, di me, signor, un corpo solo.

NERONE E POPPEA

Partiam partiamo,

ben tosto si unirà.

Né più si scioglierà la destra, e 'l core;

tu di là,

io di qua.

Ahi che di pianto omai le luci ho piene,

ma ben presto verran l'ore serene.

Nerone, Poppea ->

 

Scena ottava

Ottone solo.

<- Ottone

 
Ottone s'adira contro a sé medesimo delli pensieri avuti di voler offendere Poppea nel disperato affetto della quale si contenta viver soggetto.
 

I miei subiti sdegni,  

la politica mia già poco d'ora

m'indussero a pensare

d'uccidere Poppea?

Oh mente maledetta,

perché se' tu immortale, ond'io non posso

svenarti, e castigarti?

Pensai, parlai d'ucciderti, ben mio?

Il mio genio perverso,

rinnegati gl'affetti,

ch'un tempo mi donasti,

piegò, cadé, proruppe

in un pensier sì detestando, e reo?

Cambiatemi quest'anima deforme,

datemi un altro spirito meno impuro

per pietà vostra, o dèi!

rifiuto un intelletto,

che discorre impietadi

che pensò sanguinario, ed infernale

d'offendere il mio bene, e di svenarlo.

Isvieni, tramortisci,

scellerata memoria, in ricordarlo.

[Ritornello]

 N 

 

Sprezzami quanto sai,  

odiami quanto vuoi,

voglio esser Clizia al sol de' lumi tuoi.

Ritornello

 

Amerò senza speme

al dispetto del fato,

fia mia delizia, amarti disperato.

Ritornello

 

Blandirò i miei tormenti,

nati dal tuo bel viso,

sarò dannato, sì, ma in paradiso.

Ritornello
 

Scena nona

Ottavia, Ottone.

<- Ottavia

 
Ottavia imperatrice comanda ad Ottone, che uccida Poppea sotto pena della sua indignazione, e che per sua salvezza si ponga in abito femminile, Ottone tutto si contrista e parte confuso.
 

OTTAVIA

Tu che dagli avi miei  

avesti le grandezze,

se memoria conservi

de' benefici avuti, or dammi aita.

OTTONE

Maestade, che prega

è destin che necessita: son pronto

a servirti, o regina,

quando anco bisognasse

sacrificare a te la mia ruina.

OTTAVIA

Voglio che la tua spada

scriva gl'obblighi miei

col sangue di Poppea; vuò che l'uccida.

OTTONE

Che uccida chi?

OTTAVIA

Poppea.

OTTONE

Che uccida chi?

OTTAVIA

Poppea, perché?

Dunque ricusi

quel che già promettesti?

OTTONE

Io ciò promisi?

(Urbanità di complimento umile,

modestia di parole costumate,

a che pena mortal mi condannate?)

OTTAVIA

Che discorri fra te?

OTTONE

Discorro il modo

più cauto, e più sicuro

d'una impresa sì grande. (O ciel, o dèi,

in questo punto orrendo

ritoglietemi i giorni, e i spirti miei.)

OTTAVIA

Che mormori?

OTTONE

Fo voti alla fortuna,

che mi doni attitudine a servirti.

OTTAVIA

E perché l'opra tua

quanto più presta fia, tanto più cara,

precipita gl'indugi.

OTTONE

(Sì tosto ho da morir?)

OTTAVIA

Ma che frequenti

soliloqui son questi? Ti protesta

l'imperial mio sdegno,

che se non vai veloce al maggior segno,

pagherai la pigrizia con la testa.

OTTONE

Se Neron lo saprà?

OTTAVIA

Cangia vestiti.

Abito muliebre ti ricopra,

e con frode opportuna,

sagace esecutor t'accingi all'opra.

OTTONE

Dammi tempo, ond'io possa

inferocir i sentimenti miei,

disumanare il core!

OTTAVIA

Precipita gl'indugi.

OTTONE

Dammi tempo, ond'io possa

imbarbarir la mano;

assuefar non posso in un momento

il genio innamorato

nell'arti di carnefice spietato.

OTTAVIA

Se tu non m'ubbidisci,

t'accuserò a Nerone,

ch'abbia voluto usarmi

violenze inoneste,

e farò sì, che ti si stanchi intorno

il tormento, e la morte in questo giorno.

OTTONE

Ad ubbidirti, imperatrice, io vado.

O ciel, o dèi, in questo punto orrendo

ritoglietemi i giorni e i spirti miei.

OTTAVIA

Vattene pure; la vendetta è un cibo,

che col sangue inimico si condisce.

Della spenta Poppea sul monumento

quasi a felice mensa

prenderò così nobile alimento.

Ottone, Ottavia ->

 

Scena decima

Drusilla, Valletto, Nutrice.

<- Drusilla, Valletto, Nutrice

 
Drusilla vive consolata dalle promesse amorose di Ottone, e Valletto scherza con la Nutrice sopra la sua vecchiaia.
 

DRUSILLA

Felice cor mio    

festeggiami in seno,

dopo i nembi, e gl'orror godrò il sereno.

Oggi spero ch'Ottone

mi riconfermi il suo promesso amore,

felice cor mio

festeggiami in seno,

festeggiami nel sen, lieto mio core.

S

 

VALLETTO

Nutrice, quanto pagheresti un giorno  

d'allegra gioventù, com'ha Drusilla?

NUTRICE

Tutto l'oro del mondo io pagherei.

L'invidia del ben d'altri,

l'odio di sé medesma,

la fiacchezza dell'alma,

l'infermità del senso:

son quattro ingredienti,

anzi i quattro elementi

di questa miserabile vecchiezza,

che canuta e tremante,

dell'ossa proprie è un cimitero andante.

DRUSILLA

Non ti lagnar così, sei fresca ancora;

non è il sol tramontato

se ben passata è la vermiglia aurora.

 
[Ritornello]

 N 

NUTRICE

Il giorno femminil  

trova la sera sua nel mezzo dì.

Dal mezzo giorno in là

sfiorisce la beltà;

col tempo si fa dolce

il frutto acerbo, e duro,

ma in ore guasto vien, quel ch'è maturo.

Ritornello

NUTRICE

Credetel pure a me,

o giovanette fresche in sul mattin;

bel sembiante gentil

passar non lasci april;

utile è luglio, e ottobre,

ma il frutto si raccoglie

tra secche paglie, e inaridite foglie.

 

VALLETTO

Andiam a Ottavia omai  

signora nonna mia...

NUTRICE

Ti darò una guanciata!

VALLETTO

Venerabile antica.

NUTRICE

Bugiardello!

VALLETTO

Del buon Caronte idolatrata amica.

NUTRICE

Che sì, bugiardello insolente, che sì.

VALLETTO

Andiam, che in te è passata

la mezza notte, nonché il mezzo dì.

Nutrice, Valletto ->

 

Scena undicesima

Ottone, Drusilla.

<- Ottone

 
Ottone palesa a Drusilla dover egli uccider Poppea per commissione d'Ottavia imperatrice, e chiede per andar sconosciuto all'impresa gl'abiti di lei la quale promette non meno gl'abiti che secretezza, ed aiuto.
 

OTTONE

Io non so dov'io vada;  

il palpitar del core

ed il moto del piè non van d'accordo.

L'aria che m'entra in seno, quand'io respiro,

trova il mio cor sì afflitto, che pietosa

ch'ella si cangia in subitaneo pianto;

e così mentr'io peno,

l'aria per compassion mi piange in seno.

DRUSILLA

E dove signor mio?

OTTONE

Drusilla, Drusilla!

DRUSILLA

Dove, dove, signor mio?

OTTONE

Te sola io cerco.

DRUSILLA

Eccomi a' tuoi piaceri.

OTTONE

Drusilla, io vo' fidarti

un secreto gravissimo; prometti

e silenzio, e soccorso?

DRUSILLA

Ciò che del sangue mio, non che dell'oro,

può giovarti e servirti,

è già tuo più che mio.

Palesami il secreto,

che del silenzio poi

ti do l'anima in pegno, e la mia fede.

OTTONE

Non esser più gelosa

di Poppea...

DRUSILLA

No, no.

OTTONE

...di Poppea.

DRUSILLA

Felice cor mio, festeggiami in seno.

OTTONE

Senti, senti.

DRUSILLA

Festeggiami in seno...

OTTONE

Senti, io devo

or ora per terribile comando

immergerle nel sen questo mio brando.

Per ricoprir me stesso

in misfatto sì enorme

io vorrei le tue vesti.

DRUSILLA

E le vesti e le vene io ti darò.

OTTONE

Se occultarmi potrò, vivremo poi

uniti sempre in dilettosi amori;

se morir converrammi,

nell'idioma d'un pietoso pianto

dimmi esequie, o Drusilla,

se dovrò fuggitivo

scampar l'ira mortal di chi comanda,

soccorri a mie fortune.

DRUSILLA

E le vesti e le vene

ti darò volentieri;

ma circospetto va', cauto procedi.

Nel rimanente sappi

che le fortune e le ricchezze mie

ti saran tributarie in ogni loco;

e proverai Drusilla

nobile amante, e tale,

che mai, l'antica età non ebbe uguale.

Felice cor mio, festeggiami in seno.

Andiam pur, ch'io mi spoglio,

e di mia man travestirti io voglio.

Ma vuò da te saper più a dentro, e a fondo

di così orrenda impresa la cagione.

OTTONE

Andiam, andiam omai,

che con alto stupore il tutto udrai.

Drusilla, Ottone ->

 
 

Scena dodicesima

Si muta la scena nel giardino di Poppea.
Poppea, Arnalta.

 Q 

Poppea, Arnalta

 
Poppea godendo della morte di Seneca perturbatore delle sue grandezze prega Amor che prosperi le sue fortune, e promette ad Arnalta sua nutrice continuato affetto, ed'essendo colta dal sonno se fa adagiar riposo nel giardino, dove da Arnalta con nanna soave vien addormentata.
 

POPPEA

Or che Seneca è morto,  

Amor ricorro a te,

guida mie spemi in porto,

fammi sposa al mio re.

 

ARNALTA

Pur sempre sulle nozze  

canzoneggiando vai.

POPPEA

Ad altro, Arnalta mia, non penso mai.

ARNALTA

Il più inquieto affetto

è la pazza ambizione;

ma se arrivi agli scettri, e alle corone,

non ti scordar di me,

tiemmi appresso di te,

né ti fidar giammai di cortigiani,

perché in due cose sole

Giove è reso impotente:

ei non può far che in cielo entri la morte,

né che la fede mai si trovi in corte.

POPPEA

Non dubitar, che meco

sarai sempre la stessa,

e non fia mai che sia

altra che tu la secretaria mia.

Amor, ricorro a te,

guida mia speme in porto,

fammi sposa al mio re.

Par che 'l sonno m'alletti

a chiuder gl'occhi alla quiete in grembo.

Qui nel giardin, o Arnalta,

fammi apprestar del riposare il modo,

ch'alla fresc'aria addormentarmi io godo.

ARNALTA

Udiste, ancelle, olà!

POPPEA

Se mi trasporta il sonno

oltre gli spazi usati,

a risvegliarmi vieni;

né conceder l'ingresso nel giardino

fuor ch'a Drusilla, o ad altre confidenti.

<- ancelle

ancelle ->

 

ARNALTA

Adagiati, Poppea,    

acquietati, anima mia:

sarai ben custodita.

Oblivion soave

i dolci sentimenti

in te, figlia, addormenti.

Posatevi occhi ladri,

aperti deh che fate,

se chiusi ancor rubate?

Poppea, rimanti in pace;

luci care e gradite,

dormite omai dormite.

Amanti vagheggiate

il miracolo novo:

è luminoso il dì, sì come suole,

e pur vedete, addormentato il sole.

S

Brano musicale ()

Arnalta ->

 

Scena tredicesima

Amore.

<- Amore

 
Amore scende dal cielo mentre Poppea dorme per impedirle la morte, e si nasconde vicino a lei.
 

AMORE

Dorme, l'incauta dorme,  

ella non sa,

ch'or or verrà

il punto micidiale;

così l'umanità vive all'oscuro,

e, quando ha chiusi gl'occhi

crede essersi dal mal posta in sicuro.

 
[Aria]

 N 

O sciocchi, o frali    

sensi mortali

mentre cadete in sonnacchioso oblio

sul vostro sonno è vigilante dio.

S

[Ritornello]

 N 

 

Siete rimasi

gioco dei casi,

oggetti al rischio, e del periglio prede,

se Amor, genio del mondo, non provvede.

Ritornello

 

Dormi, o Poppea,

terrena dèa;

ti salverà dall'armi altrui rubelle,

Amor che move il sol e l'altre stelle.

Ritornello

 

Già s'avvicina

la tua ruina;

ma non ti nuocerà strano accidente,

ch'Amor picciolo è sì, ma onnipotente.

 

Scena quattordicesima

Ottone, Amore, Poppea, Arnalta.

<- Ottone

 
Ottone travestito da Drusilla capita nel giardino dove sta addormentata Poppea per ucciderla, e Amor lo vieta. Poppea nel fatto si sveglia, e inseguito (Ottone creduto Drusilla) dalle Serventi di Poppea fugge. Amor, protestando voler oltre la difesa di Poppea incoronarla in quel giorno imperatrice, se ne vola al cielo, e fornisse l'atto secondo.
 

OTTONE

Eccomi trasformato,  

d'Otton in Drusilla,

ma d'uom in serpe, al cui veleno, e rabbia

non vide il mondo, e non vedrà simile.

Ma che veggio infelice?

Tu dormi anima mia? Chiudesti gl'occhi

per non aprirli più? Care pupille,

il sonno vi serrò

affinché non vediate

questi prodigi strani:

la vostra morte uscir dalle mie mani.

Ohimè, trema il pensiero, il moto langue,

e 'l cor fuor del suo sito

ramingo per le viscere tremanti

cerca un cupo recesso per celarsi,

o involto in un singulto,

ei tenta di scampar fuor di me stesso,

per non partecipar d'un tanto eccesso.

Adunque, adunque ohimè

tu resterai da me così tradito

bell'idolo addormito?

Passeran le tue luci

dal dolce sonno, ch'è una finta imago,

al vero originale della morte?

E le palpebre tue, che fan cortina

a due stelle giacenti in grembo al sonno,

saranno or ora tenebrosi anelli

a due soli gemelli?

Ma che tardo? Che bado?

Costei m'aborre, e sprezza, e ancor io l'amo?

Ho promesso ad Ottavia: se mi pento

accelero a miei dì funesto il fine.

Esca di corte chi vuol esser pio.

Colui ch'ad altro guarda,

ch'all'interesse suo, merta esser cieco.

Il fatto resta occulto,

la macchiata coscienza

si lava finalmente con l'oblio.

Poppea, t'uccido; Amor, rispetti, addio.

 

AMORE

Forsennato, scellerato,  

inimico del mio nume,

tanto adunque si presume?

Fulminarti io ti dovrei,

ma non merti di morire

per la mano degli dèi.

Illeso va' da questi strali acuti,

non tolgo al manigoldo i suoi tributi.

 

POPPEA

Drusilla, in questo modo,

con l'armi ignude in mano,

mentre nel mio giardin dormo soletta?

ARNALTA

Accorrete, accorrete,

o servi, o damigelle,

inseguir Drusilla, dalli, dalli,

tanto mostro a ferir non sia chi falli.

<- Arnalta

 

<- serventi

Ottone, serventi, Arnalta, Poppea ->

AMORE

Ho difesa Poppea,  

vo' farla imperatrice.

Or al cielo me n' vado.

Vado, e fra poco d'ora a voi ritorno.

Se forse impazienti

delle dimore mie

voleste ritrovarmi,

cercatemi per l'orme

delle bellezze amate,

nel cor de' cavalieri,

negl'occhi delle dame,

se voi ben guarderete,

sempre con l'armi in man mi troverete.

Amore ->

[Sinfonia]

 N 

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Villa di Seneca.

Seneca
 

Solitudine amata

(Mercurio arriva dal cielo)

Seneca
<- Mercurio

Vero amico del cielo

(Mercurio torna in cielo)

Seneca
Mercurio ->
Seneca
<- Liberto

Il comando tiranno

Seneca
Liberto ->
Seneca
<- famigliari di Seneca

Amici è giunta l'ora

Famigliari di Seneca
Non morir, Seneca, no

[Ritornello]

 

Sopprimete i singulti

Seneca
famigliari di Seneca ->
Seneca
<- Virtù, coro di virtù
Seneca, Virtù e Coro
Lieto, e ridente

Città di Roma.

Valletto, Damigella
 

[Ritornello]

 
Damigella e Valletto
Astutello, garzoncello

Ma come poi faresti?

Damigella e Valletto
Se ti mordessi poi?
Damigella, Valletto ->
<- Nerone, Lucano, Petronio, Tigellino
Nerone e Lucano
Or che Seneca è morto

Tu vai, signor, tu vai

[Ritornello]

Son rubin preziosi

Nerone
Lucano, Petronio, Tigellino ->
Nerone
<- Poppea

O come, o come a tempo

Nerone, Poppea ->
<- Ottone

I miei subiti sdegni

[Ritornello]

Ottone
<- Ottavia

Tu che dagli avi miei

Ottone, Ottavia ->
<- Drusilla, Valletto, Nutrice

Nutrice, quanto pagheresti un giorno

[Ritornello]

Andiam a Ottavia omai

Drusilla
Nutrice, Valletto ->
Drusilla
<- Ottone

Io non so dov'io vada

Drusilla, Ottone ->

Giardino di Poppea.

Poppea, Arnalta
 

Pur sempre sulle nozze

Poppea, Arnalta
<- ancelle

Poppea, Arnalta
ancelle ->

(Poppea s'addormenta)

Poppea
Arnalta ->
Poppea
<- Amore

(Amore scende dal cielo)

Dorme, l'incauta dorme

[Aria]

[Ritornello]

 

(Amore si nasconde vicino a Poppea)

Poppea, Amore
<- Ottone

(Ottone travestito da Drusilla)

Eccomi trasformato

(Ottone sta per uccidere Poppea; Amore si rivela e lo impedisce; Poppea nel fatto si sveglia)

Forsennato, scellerato

Poppea, Amore, Ottone
<- Arnalta

Poppea, Amore, Ottone, Arnalta
<- serventi
Amore
Ottone, serventi, Arnalta, Poppea ->

(Amore sale in cielo)

Amore ->

[Sinfonia]

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima
Scena aerea con orizzonti bassi. Palazzo di Poppea; primo schiarir dell'alba. Città di Roma Villa di Seneca. Città di Roma. Giardino di Poppea. Città di Roma. Reggia di Nerone.
[Sinfonia I e II] [Ritornello] [Sinfonia] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Aria] [Ritornello] [Sinfonia] [Passacaglia] [Sinfonia] [Sinfonia] [Coro d'amori] [Ritornello]
Prologo Atto primo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto