Atto primo

 

Scena prima

Si muta la scena nel palazzo di Poppea.
Ottone, due Soldati della guardia di Nerone, che dormono.

 Q 

Primo soldato, Secondo soldato

<- Ottone

 
Ottone, amante di Poppea al schiarir dell'alba visita l'albergo della sua amata, esagerando le sue passioni amorose, e vedendo addormentate in strada le Guardie di Nerone, che in casa di Poppea dimora in contenti, compiange le sue miserie.
 
[Ritornello]

 N 

OTTONE

E pur io torno qui, qual linea al centro,    

qual foco a sfera, e qual ruscello al mare,

e se ben luce alcuna non m'appare,

ah! so ben io, che sta 'l mio sol qui dentro.

S

Ritornello

 

Caro tetto amoroso,

albergo di mia vita, e del mio bene,

il passo e 'l core e ad inchinarti viene.

Ritornello

 

Apri un balcon Poppea

col bel viso in cui son le sorti mie,

previeni, anima mia, precorri il die.

Ritornello

 

Sorgi, e disgombra omai,

da questo ciel caligini e tenebre

con il beato aprir di tue palpebre.

Ritornello

 

Sogni, portate a volo,

fate sentire in dolce fantasia

questi sospir alla diletta mia.

 

 

Ma che veggio, infelice?  

Non già fantasmi o pur notturne larve,

son questi i servi di Nerone; ahi dunque

agl'insensati venti

io diffondo i lamenti.

Necessito le pietre a deplorarmi,

adoro questi marmi,

amoreggio con lagrime un balcone,

e in grembo di Poppea dorme Nerone.

Ha condotti costoro,

per custodir sé stesso dalle frodi.

O salvezza de' prencipi infelice:

dormon profondamente i suoi custodi.

Ah, perfida Poppea,

son queste le promesse e i giuramenti

ch'accesero il cor mio?

Questa è la fede, o dio!

Io son quell'Ottone,

che ti seguì,

che ti bramò,

che ti servì,

che t'adorò;

che per piegarti o intenerirti il core

di lagrime imperlò preghi devoti,

gli spirti a te sacrificando in voti.

M'assicurasti alfine

ch'abbracciate averei nel tuo bel seno

le mie beatitudini amorose;

io di credula speme il seme sparsi,

ma l'aria e 'l cielo a' danni miei rivolto...

tempestò di ruine il mio raccolto.

 

Scena seconda

Ottone e due Soldati, che si risvegliano.

 
Soldati di Nerone si svegliano, e da' patimenti sofferti in quella notte malediscono gl'amori di Poppea, e di Nerone, e mormorano della corte.
 

PRIMO SOLDATO

Chi parla?  

OTTONE

Tempestò di ruine...

PRIMO SOLDATO

Chi parla?

OTTONE

...il mio raccolto.

PRIMO SOLDATO

Chi va lì?

 

Ottone ->

SECONDO SOLDATO

Camerata?  

PRIMO SOLDATO

Ohimè, ancor non è dì!

SECONDO SOLDATO

Camerata, che fai?

Par che parli sognando.

PRIMO SOLDATO

Sorgono pur dell'alba i primi rai.

SECONDO SOLDATO

Su, risvegliati tosto...

PRIMO SOLDATO

Non ho dormito in tutta notte mai.

SECONDO SOLDATO

Su, risvegliati tosto,

guardiamo il nostro posto.

 

PRIMO SOLDATO

Sia maledetto Amor, Poppea, Nerone,  

e Roma, e la milizia,

soddisfar io non posso alla pigrizia

un'ora, un giorno solo.

S

SECONDO SOLDATO

La nostra imperatrice

stilla sé stessa in pianti,

e Neron per Poppea la vilipende;

l'Armenia si ribella,

ed egli non ci pensa.

La Pannonia dà all'armi, ed ei se ne ride,

così, per quant'io veggio,

l'impero se ne va di male in peggio.

PRIMO SOLDATO

Di' pur che il prence nostro ruba a tutti

per donar ad alcuni;

l'innocenza va afflitta

e i scellerati stan sempre a man dritta.

SECONDO SOLDATO

Sol del pedante Seneca si fida.

PRIMO SOLDATO

Di quel vecchion rapace?

SECONDO SOLDATO

Di quel volpon sagace!

PRIMO SOLDATO

Di quel reo cortigiano

che fonda il suo guadagno

sul tradire il compagno!

SECONDO SOLDATO

Di quell'empio architetto

che si fa casa sul sepolcro altrui.

PRIMO SOLDATO

Non ridire ad alcun quel che diciamo.

Nel fidarti va scaltro;

se gl'occhi non si fidan l'un dell'altro

e però nel guardar van sempre insieme.

 

PRIMO SOLDATO E SECONDO SOLDATO

Impariamo dagl'occhi,  

a non trattar da sciocchi.

 

PRIMO SOLDATO

Ma, già s'imbianca l'alba, e vien il dì.

 

PRIMO SOLDATO E SECONDO SOLDATO

Taciam, Neron è qui.

 

Scena terza

Poppea, Nerone.

<- Poppea, Nerone

 
Poppea, e Nerone escono al far del giorno amorosamente abbracciati, prendendo commiato l'un dall'altro con tenerezze affettuose.
 

POPPEA

Signor, deh non partire,    

sostien, che queste braccia

ti circondino il collo,

come le tue bellezze

circondano il cor mio.

S

NERONE

Poppea, lascia ch'io parta.

POPPEA

Non partir, signor, deh non partire.

Appena spunta l'alba, e tu che sei

l'incarnato mio sole,

la mia palpabil luce,

e l'amoroso dì della mia vita,

vuoi sì repente far da me partita?

Deh non dir di partire

che di voce sì amara a un solo accento,

ahi perir, ahi spirar quest'alma io sento.

NERONE

La nobiltà de' nascimenti tuoi

non permette che Roma

sappia che siamo uniti,

in sin ch'Ottavia...

POPPEA

In sin che...

NERONE

In sin ch'Ottavia non rimane esclusa...

POPPEA

Non rimane...

NERONE

In sin ch'Ottavia non rimane esclusa

col ripudio da me.

POPPEA

Vanne ben mio...

 
[Sinfonia]

 N 

NERONE

In un sospir che vien  

dal profondo del sen,

includo un bacio, o cara, ed un addio:

si rivedrem ben tosto, idolo mio.

Sinfonia

POPPEA

Signor, sempre mi vedi,

anzi mai non mi vedi.

Perché s'è ver, che nel tuo cor io sia,

entro al tuo sen celata,

non posso da' tuoi lumi esser mirata.

 

NERONE

Adorati miei rai,  

deh restatevi omai!

Rimanti, o mia Poppea,

cor, vezzo, e luce mia.

POPPEA

Deh non dir di partire,

che di voce sì amara a un solo accento

ahi perir, ahi mancar quest'alma io sento.

 

NERONE

Non temer, tu stai meco a tutte l'ore,  

splendor negl'occhi, e deità nel core.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Se ben io vo

pur teco io sto.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Il cor dalle tue stelle

mai non si disvelle.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Io non posso da te viver disgiunto

se non si smembra la unità del punto.

 

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Tornerò.

POPPEA

Quando?

NERONE

Ben tosto.

POPPEA

Ben tosto, me 'l prometti?

NERONE

Te 'l giuro.

POPPEA

E me l'osserverai?

NERONE

E s'a te non verrò, tu a me verrai.

 

POPPEA

A dio...  

NERONE

A dio...

POPPEA

A dio, Nerone, a dio.

NERONE

A dio, Poppea, a dio.

Nerone ->

 

Scena quarta

Poppea, Arnalta.

<- Arnalta

 
Poppea con Arnalta vecchia sua consigliera discorre della speranza sua alle grandezze; Arnalta la documenta, e ammaestra a non fidarsi tanto de' grandi, né di confidar tanto nella Fortuna.
 
[Ritornello]

 N 

POPPEA

Speranza, tu mi vai  

il cor accarezzando,

e di agitarmi non desisti mai.

Ritornello

 

Speranza, tu mi vai

il genio lusingando,

e mi circondi intanto

di regio sì, ma immaginario manto.

No, non temo, no, di noia alcuna,

per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

Se a tue promesse io credo

già in capo ho le corone,

e già divo Nerone

consorte bramatissimo possiedo,

ma se ricerco il vero

regina io son col semplice pensiero.

Ritornello

ARNALTA

Ahi figlia, voglia il cielo,  

che questi abbracciamenti

non sian un giorno i precipizi tuoi.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

L'imperatrice Ottavia ha penetrati

di Neron gli amori,

ond'io pavento e temo

ch'ogni giorno, ogni punto

sia di tua vita il giorno, il punto estremo.

POPPEA

Per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

ARNALTA

La pratica coi regi è perigliosa,

l'amor e l'odio non han forza in essi,

sono gli affetti lor puri interessi.

Ritornello

ARNALTA

Se Neron t'ama, è mera cortesia,

s'ei t'abbandona, non te n' puoi dolere.

Per minor mal ti converrà tacere.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

Il grande spira onor con la presenza,

lascia, mentre la casa empie di vento,

riputazione e fumo in pagamento.

Ritornello

 

Perdi l'onor con dir: «Neron mi gode».

Son inutili i vizi ambiziosi,

mi piaccion più i peccati fruttuosi.

Ritornello

 

Con lui tu non puoi mai trattar del pari,

e se le nozze hai per oggetto e fine,

mendicando tu vai le tue ruine.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

Mira, mira Poppea,

dove il prato è più ameno e dilettoso,

stassi il serpente ascoso.

Dei casi le vicende son funeste,

la calma è profezia delle tempeste.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna,

per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

ARNALTA

Ben sei pazza, se credi

che ti possano far contenta e salva

un garzon cieco ed una donna calva.

 
 

Scena quinta

Si muta la scena nella città di Roma.
Ottavia, Nutrice.

 Q 

Ottavia, Nutrice

 
Ottavia imperatrice esagera gl'affanni suoi con la nutrice, detestando i mancamenti di Nerone suo consorte. La Nutrice scherza seco sopra novelli amori per traviarla da' cupi pensieri; Ottavia resistendo costantemente persevera nell'afflizioni.
 

OTTAVIA

Disprezzata regina,    

del monarca romano afflitta moglie,

che fo, ove son, che penso?

O delle donne miserabil sesso:

se la natura e 'l cielo

libere ci produce,

il matrimonio c'incatena serve.

Se concepiamo l'uomo,

o delle donne miserabil sesso,

al nostr'empio tiran formiam le membra,

allattiamo il carnefice crudele

che ci scarna e ci svena,

e siam forzate per indegna sorte

a noi medesme partorir la morte.

Nerone, empio Nerone,

marito, o dio, marito

bestemmiato pur sempre,

e maledetto dai cordogli miei,

dove, ohimè, dove sei?

In braccio di Poppea,

tu dimori felice e godi, e intanto

il frequente cader de' pianti miei

pur va quasi formando

un diluvio di specchi, in cui tu miri,

dentro alle tue delizie, i miei martiri.

Destin, se stai lassù,

Giove ascoltami tu,

se per punir Nerone

fulmini tu non hai,

d'impotenza t'accuso,

d'ingiustizia t'incolpo;

ahi, trapasso tropp'oltre, e me ne pento,

sopprimo e seppellisco

in taciturne angosce il mio tormento.

S

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NUTRICE

Ottavia, Ottavia...  

OTTAVIA

O ciel, deh, l'ira tua s'estingua,

non provi i tuoi rigori il fallo mio...

NUTRICE

Ottavia, o tu dell'universe genti

unica imperatrice...

OTTAVIA

Errò la superficie, il fondo è pio,

innocente fu il cor, peccò la lingua.

NUTRICE

...odi, odi.

Di tua fida nutrice odi gli accenti.

Se Neron perso ha l'ingegno,

di Poppea ne' godimenti,

scegli alcun, che di te degno,

d'abbracciarti si contenti.

Se l'ingiuria a Neron tanto diletta,

abbi piacer tu ancor nel far vendetta.

[Ritornello]

 N 

 

E se pur aspro rimorso  

dell'onor t'arreca noia,

fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

OTTAVIA

Così sozzi argomenti

non intesi più mai da te, Nutrice!

NUTRICE

Fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

L'infamia sta gl'affronti in sopportarsi,

e consiste l'onor nel vendicarsi.

Han poi questo vantaggio

delle regine gli amorosi errori,

se li sa l'idiota, non li crede,

se l'astuto li penetra, li tace,

e 'l peccato taciuto e non creduto

sta segreto e sicuro in ogni parte,

com'un che parli in mezzo un sordo, e un muto.

OTTAVIA

No, mia cara Nutrice:

la donna assassinata dal marito

per adultere brame,

resta oltraggiata sì, ma non infame!

Per il contrario resta

lo sposo inonorato,

se il letto marital li vien macchiato.

NUTRICE

Figlia e signora mia, tu non intendi

della vendetta il principale arcano.

L'offesa sopra il volto

d'una sola guanciata

si vendica col ferro e con la morte.

Chi ti punge nel senso,

pungilo nell'onore,

se bene a dirti il vero,

né pur così sarai ben vendicata;

nel senso vivo te punge Nerone,

e in lui sol pungerai l'opinione.

Fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

Ritornello

OTTAVIA

Se non ci fosse né l'onor, né dio,

sarei nume a me stessa, e i falli miei

con la mia stessa man castigherei,

e però lunge dagli errori intanto

divido il cor tra l'innocenza e 'l pianto.

Nutrice ->

 

Scena sesta

Seneca, Ottavia, Valletto.

<- Valletto, Seneca

 
Seneca consola Ottavia ad esser constante. Valletto paggio d'Ottavia per trattenimento dell'imperatrice burla Seneca al quale Ottavia si raccomanda, e va a porger preghiere al tempio.
 

SENECA

Ecco la sconsolata  

donna, assunta all'impero

per patir il servaggio: o gloriosa

del mondo imperatrice,

sovra i titoli eccelsi

degl'insigni avi tuoi cospicua e grande,

la vanità del pianto

degl'occhi imperiali è ufficio indegno.

Ringrazia la Fortuna,

che con i colpi suoi

ti cresce gl'ornamenti.

La cote non percossa

non può mandar faville;

tu dal destin colpita

produci a te medesma alti splendori

di vigor, di fortezza,

glorie maggiori assai, che la bellezza.

La vaghezza del volto, i lineamenti,

ch'in apparenza illustre

risplendon coloriti, e delicati,

da pochi ladri dì ci son rubati.

Ma la Virtù costante

usa a bravar le stelle, il fato, e 'l caso,

giammai non vede occaso.

 

OTTAVIA

Tu mi vai promettendo

balsamo dal veleno,

e glorie da' tormenti.

Scusami, questi son, Seneca mio,

detti di prospettiva,

vanità speciose,

studiati artifici,

inutili rimedi agl'infelici.

 

VALLETTO

Madama, con tua pace,    

io vo' sfogar la stizza, che mi move

il filosofo astuto, il gabba Giove.

M'accende pure a sdegno,

questo miniator di bei concetti.

Non posso star al segno,

mentre egli incanta altrui con aurei detti.

Queste del suo cervel mere invenzioni,

le vende per misteri e son canzoni!

Madama, s'ei... sternuta o s'ei sbadiglia...

presume d'insegnar cose morali,

e tanto l'assottiglia,

che moverebbe il riso a' miei stivali.

Scaltra filosofia dov'ella regna,

sempre al contrario fa di quel ch'insegna.

Fonda sempre il pedante

su l'ignoranza d'altri il suo guadagno,

e accorto argomentante

non ha Giove per dio, ma per compagno,

e le regole sue di modo intrica,

ch'al fin neanch'egli sa ciò, ch'ei si dica.

S

 

OTTAVIA

Neron tenta il ripudio  

della persona mia

per isposar Poppea. Si divertisca,

se divertir si può sì indegno esempio.

Tu per me prega il popol e 'l senato,

ch'io mi riduco, a porger voti al tempio.

VALLETTO

Se tu non dài soccorso

alla nostra regina, in fede mia,

che vo' accenderti il foco,

e nella toga, e nella libreria...

in fede mia.

Ottavia, Valletto ->

 

Scena settima

Seneca.

 
Seneca fa considerazione sopra le grandezze transitorie del mondo.
 

 

Le porpore regali e imperatrici,  

d'acute spine e triboli conteste,

sotto forma di veste

sono il martirio a' prencipi infelici;

le corone eminenti

servono solo a indiademar tormenti.

Delle regie grandezze

si veggono le pompe e gli splendori,

ma stan sempre invisibili i dolori.

 

Scena ottava

Pallade, Seneca.

<- Pallade

 
Pallade in aria predice la morte a Seneca, promettendoli che se doverà certo morire glielo farà di novo intender per bocca di Mercurio, e ciò per esser come uomo virtuoso suo caro e diletto; venendo ringraziata sommamente da Seneca.
 

PALLADE

Seneca, io veggo in cielo infausti rai  

che minacciano te d'alte ruine;

s'oggi verrà della tua vita il fine,

pria da Mercurio avvisi certi avrai.

SENECA

Venga la morte pur; costante e forte,

vincerò gli accidenti e le paure;

dopo il girar delle giornate oscure

è di giorno infinito alba la morte.

Pallade ->

 

Scena nona

Nerone, Seneca.

<- Nerone

 
Nerone con Seneca discorre, dicendo voler adempire alle sue voglie. Seneca moralmente, e politicamente gli risponde dissuadendolo, Nerone si sdegna, e lo scaccia dalla sua presenza.
 

NERONE

Son risoluto insomma  

o Seneca, o maestro,

di rimovere Ottavia

dal posto di consorte,

e di sposar Poppea.

 

SENECA

Signor, nel fondo della maggior dolcezza

spesso giace nascosto il pentimento.

Consiglier scellerato è 'l sentimento,

ch'odia le leggi, e la ragion disprezza.

NERONE

La legge è per chi serve, e se vogl'io,

posso abolir l'antica e indur le nove;

è partito l'impero, è 'l ciel di Giove,

ma del mondo terren lo scettro è mio.

SENECA

Sregolato voler non è volere,

ma (dirò con tua pace) egli è furore.

NERONE

La ragione è misura rigorosa

per chi ubbidisce e non per chi comanda.

SENECA

Anzi l'irragionevole comando

distrugge l'ubbidienza.

NERONE

Lascia i discorsi, io voglio a modo mio.

SENECA

Non irritar il popolo e 'l senato.

NERONE

Del senato e del popolo non curo.

SENECA

Cura almeno te stesso, e la tua fama.

NERONE

Trarrò la lingua a chi vorrà biasmarmi.

SENECA

Più muti che farai, più parleranno.

NERONE

Ottavia è infrigidita ed infeconda.

SENECA

Chi ragione non ha, cerca pretesti.

NERONE

A chi può ciò che vuol, ragion non manca.

SENECA

Manca la sicurezza all'opre ingiuste.

NERONE

Sarà sempre più giusto il più potente.

SENECA

Ma chi non sa regnar sempre può meno.

 

NERONE

La forza è legge in pace...  

SENECA

La forza accende gli odi...

NERONE

...e spada in guerra...

SENECA

...e turba il sangue...

NERONE

...e bisogno non ha della ragione.

SENECA

La ragione regge gl'uomini e gli dèi.

NERONE

Tu mi forzi allo sdegno; al tuo dispetto,

e del popol in onta e del senato

e d'Ottavia, e del cielo, e dell'abisso,

siansi giuste od ingiuste le mie voglie,

oggi, oggi Poppea sarà mia moglie!

 

SENECA

Siano innocenti i regi  

o s'aggravino sol di colpe illustri;

s'innocenza si perde,

perdasi sol per guadagnar i regni,

che il peccato commesso

per aggrandir l'impero

si assolve da sé stesso;

ma ch'una femminella abbia possanza

di condurti agli errori,

non è colpa di rege o semideo:

è un misfatto plebeo.

NERONE

Levamiti dinnanzi,

maestro impertinente,

filosofo insolente!

SENECA

Il partito peggior sempre sovrasta

quando la forza alla ragion contrasta.

Seneca ->

 

Scena decima

Poppea, Nerone, Ottone in disparte.

<- Poppea, Ottone

 
Poppea con Nerone discorrono de' contenti passati, restando Nerone preda delle bellezze di Poppea, promettendoli volerla crear imperatrice, e da Poppea venendo messo in disgrazia di lui Seneca, Nerone adirato gli decreta la morte, Poppea fa voto ad Amore per l'esaltazione delle sue grandezze, e da Ottone, che se ne sta in disparte, viene inteso e osservato il tutto. Questo passaggio, si riferisce al testo finale di Poppea non musicato.
 

POPPEA

Come dolci, signor, come soavi  

riuscirono a te la notte andata

di questa bocca i baci?

NERONE

Più cari i più mordaci.

POPPEA

Di questo seno i pomi?

NERONE

Mertan le mamme tue più dolci nomi.

POPPEA

Di queste braccia mie gli stretti amplessi?

NERONE

Idolo mio, deh in braccio ancor t'avessi!

 

POPPEA

Dimmi signor, e come  

t'arrivarono al core

tante mie tenerezze innamorate?

NERONE

O gioconde, o lascive, o delicate.

POPPEA

Tanti sospiri miei?

NERONE

Consolarli, o diletta, ognor vorrei.

POPPEA

I fervori dell'anima infiammata,

transumanta in estasi amoroso

NERONE

O graditi, mia luce, o dilettosi.

POPPEA

Languida ancora io sono,

e 'l mio spirito morto

dentro alle tue dolcezze

resuscitato per morire ancora

il mio caro Neron stringe, e adora.

 

NERONE

Poppea respiro appena;  

miro le labbra tue,

e mirando recupero con gl'occhi

quello spirto infiammato,

che nel baciarti, o cara, in te diffusi.

Non è, non è più in cielo il mio destino,

ma sta dei labbri tuoi nel bel rubino.

POPPEA

Signor, le tue parole son sì dolci,

ch'io nell'anima mia

le ridico a me stessa,

e l'interno ridirle

necessita al deliquio il cor amante.

Come parole le odo,

come baci io le godo;

son de' tuoi cari detti

i sensi sì soavi, e sì vivaci,

che, non contenti di blandir l'udito,

mi passano a stampar sul cor i baci.

NERONE

Quell'eccelso diadema ond'io sovrasto

degl'uomini, e de' regni alle fortune,

teco divider voglio,

e allor sarò felice

quando il titol avrai d'imperatrice;

ma che dico, o Poppea!

Troppo picciola è Roma ai merti tuoi,

troppo angusta è l'Italia alle tue lodi,

e al tuo bel viso è basso paragone

l'esser detta consorte di Nerone;

e han questo svantaggio i tuoi begl'occhi,

che, trascendendo i naturali esempi,

e per modestia non toccando i cieli,

non ricevon tributo d'altro onore,

che di solo silenzio, e di stupore.

POPPEA

A speranze sublimi il cor innalzo

perché tu lo comandi,

e la modestia mia riceve forza;

ma troppo s'attraversa ed impedisce

delle regie promesse il fin sovrano.

Seneca, il tuo maestro,

quello stoico sagace,

quel filosofo astuto,

che sempre tenta persuader altrui

che il tuo scettro dipende sol da lui...

NERONE

Che? che?

POPPEA

Che il tuo scettro dipende sol da lui...

NERONE

Quel decrepito pazzo...

POPPEA

Quel, quel!

NERONE

...ha tanto ardire?

POPPEA

Ha tanto ardire.

NERONE

Olà, vada un di voi

a Seneca volando, e imponga a lui,

che in questo giorno ei mora.

Vo' che da me l'arbitrio mio dipenda,

non da concetti e da sofismi altrui;

rinnegherei per poco

le potenze dell'alma, s'io credessi

che servilmente indegne

si movessero mai col moto d'altre.

Poppea, sta di buon core,

oggi vedrai ciò che sa far Amore.

Nerone ->

 

POPPEA

Se mi conduci, Amor,  

a regia maestà,

al tuo tempio il mio cor,

voto si apprenderà

spirami tutto in sen

fonte d'ogni mio ben,

al trono innalza me,

Amor, ogni mia speme io pongo in te.

Le meraviglie, Amor,

son opre di tua man,

trascende gli stupor

il tuo poter sovran.

Consola i miei sospir,

adempi i miei desir,

al trono innalza me,

Amor, ogni mia speme io pongo in te.

 

Scena undicesima

Ottone, Poppea, Arnalta in disparte.

<- Arnalta

 
Ottone con Poppea palesa le sue morte speranze con lei, e da passione amorosa la rinfaccia, Poppea si sdegna, e sprezzandolo parte dicendo esser soggetta a Nerone.
 
[Ritornello]

 N 

OTTONE

Ad altri tocca in sorte  

bere il licor, e a me guardar il vaso,

aperte stan le porte

a Neron, ed Otton fuori è rimaso;

sied'egli a mensa a satollar sue brame,

in amaro digiun moro, mor'io di fame.

Ritornello

POPPEA

Chi nasce sfortunato

di sé stesso si dolga, e non d'altrui;

del tuo penoso stato

aspra cagion, Otton, non son, né fui;

il destin getta i dadi, e i punti attende:

l'evento, o buono o reo, da lui dipende.

Ritornello

OTTONE

La messe sospirata,

dalle speranze mie, da' miei desiri,

in altra mano è andata,

e non consente Amor, che più v'aspiri;

Neron felice i dolci pomi tocca,

e solo il pianto a me bagna la bocca.

Ritornello

POPPEA

A te le calve tempie,

ad altri il crine la Fortuna diede;

s'altri i desiri adempie

ebbe di te più fortunato piede.

La disventura tua non è mia colpa,

te solo dunque e 'l tuo destino incolpa.

Ritornello

OTTONE

Sperai che quel macigno,

bella Poppea, che ti circonda il core,

fosse d'amor benigno

intenerito a pro del mio dolore,

or del tuo bianco sen la selce dura

di mie morte speranze è sepoltura.

Ritornello

POPPEA

Deh, non più rinfacciarmi,

porta, deh porta il martellino in pace,

cessa di più tentarmi,

al cenno imperial Poppea soggiace;

ammorza il foco omai, tempra gli sdegni;

io lascio te per arrivare, per arrivar ai regni.

 

OTTONE

E così, e così l'ambizione  

sovra ogni vizio tien la monarchia.

POPPEA

Così, così la mia ragione

incolpa i tuoi capricci di pazzia.

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Modestia, olà...

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Olà, non più...

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Non più, non più, son di Nerone.

OTTONE

Ahi, ahi, chi ripon sua fede in un bel volto,

fabbrica in aria, e sopra il vacuo fonda,

tenta palpare il vento,

ed immobili afferma il fumo, e l'onda.

 

Poppea ->

ARNALTA

Infelice ragazzo!    

Mi move a compassion il miserello;

Poppea non ha cervello

a non gl'aver pietà,

quand'ero in altra età

non volevo gl'amanti

in lacrime distrutti,

per compassion gli contentavo tutti.

S

Arnalta ->

 

Scena dodicesima

Ottone.

 
Ottone amante disperato imperversa con l'animo contro Poppea.
 

 

Otton, torna in te stesso,  

il più imperfetto sesso

non ha per sua natura

altro d'uman in sé, che la figura.

Otton, torna in te stesso,

costei pensa al comando, e se ci arriva

la mia vita è perduta...

Otton, torna in te stesso,

ella temendo che risappia Nerone

i miei passati amori,

ordirà insidie all'innocenza mia,

indurrà co' la forza un che m'accusi

di lesa maestà di fellonìa,

la calunnia, da' grandi favorita,

distrugge agl'innocenti onor, e vita.

Vo' prevenir costei

col ferro o col veleno,

non mi vo' più nutrir il serpe in seno.

A questo, a questo fine

dunque arrivar dovea

l'amor tuo, perfidissima Poppea!

 

Scena tredicesima

Drusilla, Ottone.

<- Drusilla

 
Ottone di già amante di Drusilla dama di corte, vedendosi sprezzato da Poppea rinnova seco gl'amori promettendoli lealtà. Drusilla resta consolata del ricuperato suo affetto, e fornisse l'atto primo.
 

DRUSILLA

Pur sempre di Poppea,  

o con la lingua, o col pensier discorri.

OTTONE

Discacciato dal cor viene alla lingua,

e dalla lingua è consegnato ai venti

il nome di colei

ch'infedele tradì gl'affetti miei.

DRUSILLA

Il tribunal d'Amor

tal or giustizia fa:

di me non hai pietà,

altri si ride, Otton, del tuo dolor.

OTTONE

A te di quanto son,

bellissima donzella

or fo libero don;

ad altri mi ritolgo,

e solo tuo sarò, Drusilla mia.

Perdona, o dio, perdona

il passato scortese mio costume;

benché tu del mio error non mi riprenda,

confesso i falli andati,

eccoti l'alma mia pronta all'emenda.

Infin ch'io vivrò t'amerà sempre, o bella

quest'alma che ti fu cruda e rubella;

già, già pentita dell'error antico

mi ti consacra omai servo ed amico.

DRUSILLA

Già l'oblio seppellì

gl'andati amori?

È ver, Otton, è ver,

ch'a questo fido cor il tuo s'unì?

OTTONE

È ver, Drusilla, Drusilla, è ver, sì, sì.

DRUSILLA

Temo che tu mi dica la bugia.

OTTONE

No, no, Drusilla, Drusilla, no.

DRUSILLA

Otton, Otton, non so, non so.

OTTONE

Teco non può mentir la fede mia.

 

DRUSILLA

M'ami?  

OTTONE

Ti bramo.

DRUSILLA

E come in un momento?

OTTONE

Amor è foco, e subito s'accende.

DRUSILLA

Sì sùbite dolcezze

gode lieto il mio cor, ma non l'intende.

M'ami?

OTTONE

Ti bramo.

Ti dican l'amor mio le tue bellezze.

Per te nel cor ho nova forma impressa,

i miracoli tuoi credi a te stessa.

DRUSILLA

Lieta me n' vado: Otton, resta felice;

m'indirizzo a riverir l'imperatrice.

OTTONE

Le tempeste del cor tutte tranquilla;

d'altri Otton non sarà che di Drusilla;

e pur al mio dispetto, iniquo Amore,

Drusilla ho in bocca, (e ho Poppea nel core).

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Palazzo di Poppea; primo schiarir dell'alba.

Primo soldato, Secondo soldato
 

(i due soldati dormono)

Primo soldato, Secondo soldato
<- Ottone

[Ritornello]

Ma che veggio, infelice?

(i soldati di Nerone si svegliano)

Chi parla? Chi va lì?

Primo soldato, Secondo soldato
Ottone ->

Camerata? Camerata che fai?

Primo e Secondo soldato
Impariamo dagl'occhi

 
Primo soldato, Secondo soldato
<- Poppea, Nerone

Signor, deh non partire

[Sinfonia]

Nerone e Poppea
In un sospir che vien

Adorati miei rai

Poppea e Nerone
A dio... a dio...
Primo soldato, Secondo soldato, Poppea
Nerone ->
Primo soldato, Secondo soldato, Poppea
<- Arnalta

[Ritornello]

Città di Roma

Ottavia, Nutrice
 

Ottavia, Ottavia

[Ritornello]

E se pur aspro rimorso

Ottavia
Nutrice ->
Ottavia
<- Valletto, Seneca

Ecco la sconsolata donna

Ottavia e Valletto
Neron tenta il ripudio
Seneca
Ottavia, Valletto ->

Le porpore regali e imperatrici

Seneca
<- Pallade

(Pallade in aria)

Seneca
Pallade ->
Seneca
<- Nerone

Son risoluto insomma

Siano innocenti i regi

Nerone
Seneca ->
Nerone
<- Poppea, Ottone

(Ottone non visto rimane in disparte)

Dimmi signor, e come

Poppea respiro appena

Poppea, Ottone
Nerone ->

Se mi conduci, Amor

Poppea, Ottone
<- Arnalta

(Arnalta non vista in disparte; Ottone si manifesta a Poppea)

[Ritornello]

E così, e così l'ambizione

Ottone, Arnalta
Poppea ->
Ottone
Arnalta ->

Otton, torna in te stesso

Ottone
<- Drusilla

Pur sempre di Poppea

Drusilla e Ottone
M'ami? / Ti bramo
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima
Scena aerea con orizzonti bassi. Palazzo di Poppea; primo schiarir dell'alba. Città di Roma Villa di Seneca. Città di Roma. Giardino di Poppea. Città di Roma. Reggia di Nerone.
[Sinfonia I e II] [Ritornello] [Sinfonia] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Ritornello] [Aria] [Ritornello] [Sinfonia] [Passacaglia] [Sinfonia] [Sinfonia] [Coro d'amori] [Ritornello]
Prologo Atto secondo Atto terzo

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