Atto primo

 

Scena prima

Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume, che nato nel monte Tauro scorre per lunghissimi tratti per oriente sino nella media Atropazia, ora detta Servan, indi rivolgendosi per l'aspetto settentrionale verso l'occidente, e congiuntosi con il Ciro, dopo aver irrigate le campagne d'Artassata, città dell'Armenia, e la pianura arassena, sbocca nel mar Caspio.
Doriclea, Tigrane, coro di Soldati armeni.

 Q 

Doriclea, Tigrane, soldati armeni

 

DORICLEA

Può la virtù del core  

nelle sciagure invitto

superar delle piaghe il rio dolore,

ma non è già bastante

a dar il moto al tardo piè trafitto;

egli imbelle s'arresta, e vacillante,

e il tiranneggio indarno,

perché mi renda ancor, dolce consorte,

compagna di tua fuga, e di tua sorte.

TIGRANE

Fatti appoggio ben mio

di questo braccio, o crudi fati, o dio.

Infelice Tigrane,

non eran paghi appieno

gl'arbitri ingiusti delle cose umane

d'averti tolto il regio trono armeno,

senza condurti in seno,

tra le tue fughe, languida, e ferita

quella bella, ch'adori,

che pugnò per tua vita?

O d'astri imperversati empi rigori.

Siedi, siedi ben mio

su questo sasso, o crudi fati, o dio.

DORICLEA

Deh non fermar del tuo fuggire il volo,

non sieno i casi miei, ti prego, o caro,

di tua salute il precipizio amaro.

Segui il corso primiero,

né su questo sentiero

al parto vincitor tanto vicino

della tua Doriclea pietà t'arresti,

forse custodia avran di lei quei cieli,

che giran sempre alle tue glorie infesti.

TIGRANE

Ch'io parta, e t'abbandoni?

Ch'io fugga, e qui ti lasci

di vita in forse, e de' nemici in preda?

Ah che non son già nato

d'una gelata rupe,

né dalle poppe, di rabbiose lupe

nutrimento di latte ho mai succhiato;

pria di qui partiranno

questi immobili sassi,

ch'altrove io drizzi i passi

senza di te, che sei

spirto de' spirti miei.

Voi, che pugnaste coraggiosi, e fieri

per la patria comune

sfortunati guerrieri,

già che posta in un fiume

ogni nostra salute

han le stelle adirate

frettolosi quel ponte dissipate.

 

Scena seconda

Oronte, Tigrane, Doriclea, coro di Soldati armeni.

<- Oronte

 

ORONTE

Cessate, olà, cessate  

di distruggere il ponte,

e non mi contendete

il varco, io son amico, io son Oronte.

Fuggi signor, deh fuggi,

se tu non vuoi da ferrei lacci avvinto

restar preda de' parti, oppure estinto.

Le speranze abbandona,

che nel fiume hai riposte,

l'han guadato i nemici

della costa del monte alle radici,

e qui saranno or ora,

se noi tardiam la fuga,

le fortunate e vittoriose spade

col sangue nostro a lastricar le strade:

cozzar con il destino

è follia, non virtute, e non valore,

fuggi or, che tempo hai di fuggir signore.

 

CORO

Via, via di qui  

fuggiamo rapidi

fuggiamo sì:

non timor del nemico il cor n'ingombra,

rivolte a' nostri mali

temiamo di lassù l'ire immortali.

Via, via di qui

fuggiamo rapidi

fuggiamo sì.

 

soldati armeni ->

TIGRANE

Fuggite pur, lasciate  

vili sudditi, indegni

di titolo guerriero

qui la vostra reina esposta a morte,

che dell'infamia a vergognose mete

vi condurrà la via, per cui correte.

Saranno a un caso istesso

soggette a Doriclea le nostre vite,

vengano pure ardite,

dalle vittorie lor fatte più fiere,

qui le partiche schiere,

che vedran come sa vibrar il ferro,

recider palme, e funestar trofei,

un braccio disperato,

un cuore innamorato:

vo', che l'Arasse apporti,

gonfio di sangue umano,

orribili tributi al mare ircano.

DORICLEA

Cedi Tigrane, cedi

a quella dèa, che da te volse il crine,

che parta è divenuta a tue ruine.

Non render disperato

di libertade a' nostri armeni il seme,

vivi, e del regno serbati alla speme.

Fuggi all'assiro amico,

e a me, che la tua fuga,

più seguire non posso, o mio diletto

trafiggi, e svena il petto.

Non vada in Partia prigioniera, e serva

la moglie di Tigrane,

d'Armenia la reina

ad apprestare i letti, a tesser manti

del re nemico alle lascive amanti.

Su generoso ardisci,

fiero nella pietade,

pietosa crudeltade,

eccoti inerme il sen, che fai? ferisci.

ORONTE

Oh magnanimo core, animo grande.

TIGRANE

Numi eterni del cielo,

s'io v'offesi, a ragion punite voi

con rigido flagel l'empio nocente,

ma che giammai vi fece

quest'anima innocente?

Se per castigar me sferzate lei,

del governo del mondo indegni siete

crudelissimi dèi.

Doriclea? bella mia?

Ah, che formar più accenti

non mi lascia il dolore,

dolor che in pianto mi distilla il core.

ORONTE

Avrei di marmo il petto,

s'al di lui pianto non sgorgassi anch'io

di lagrimar dagl'occhi un caldo rio.

DORICLEA

Eh, che piangi, eh che tardi,

sono inutili i pianti,

dannose le dimore,

precipitano l'ore,

e il parto di te avaro a noi se n' viene,

deh mi rapisca un colpo sol, ti prego,

a servil lacci infra quest'erme arene.

TIGRANE

Misero che farò,

nelle viscere amate

il ferro immergerò? No, quest'infausto giorno

spettator non sarà

di sì inaudita, e barbara impietà:

viva, né parca sia

del suo stame vital la spada mia.

Ma che parlo, che dico

folle marito, effemminato amante,

dunque quel bel sembiante,

arco, e face d'amore

se n'andrà prigioniero

ad infiammar del rio tiranno il core?

Che vuoi tu, ch'Artabano

se ti levò l'armeno scettro, ancora

l'onor ti tolga? Ah mora pure, ah mora:

ma lasso infra l'orrore impetro, e gelo

di sì atroce pensiero, o crudo cielo

Tigrane ardir, ardir, vinci te stesso,

amor ceda, e pietà,

sia ministra d'onor la crudeltà.

ORONTE

Fuggiam, fuggiam signore, ecco che spunta

una squadra de' parti omai dal colle.

DORICLEA

Non più dimora, su

uccidi, e fuggi, oh dio, che badi tu.

TIGRANE

Che feci, ohimè, ch'oprai?

Che barbarie commisi? Ahi vista, ahi, ahi.

 

Tigrane, Oronte ->

 

Scena terza

Surena, Doriclea.

<- Surena, soldati parti

 

SURENA

Il cor feroce è un consiglier mendace,  

l'ardir accieca, e ciecamente pere,

chi non ascolta la ragion verace:

così cadde Tigrane

dal suo valore oppresso,

egli nelle sue perdite ostinato

fu dal soglio regal precipitato.

Quando era meglio al vincitor clemente

soggettar la corona

che resister pugnando audacemente.

Sia questo il giorno estremo

delle sue guerre, si debelli appieno

quest'indomito armeno,

né ricovro sicuro

abbia nella sua fuga, onde riunito

osi tentar novella pugna ardito.

Che rimiro soldati?

Se non mente l'insegna

oggi illustre, e famosa,

ecco il guerriero, ch'eternò sé stesso

con la strage de' nostri, ecco chi trasse

con poderosa mano

il sangue dalle vene ad Artabano.

Misero, estinto ei giace,

alfin terminò in polve ogni suo vanto,

generosa pietà m'induce al pianto.

Come bella è la morte in quel sembiante.

Aita amici, aita,

lievi fiati egli spira,

egli ha nel petto ancor spirto di vita.

Tosto al fiume volate,

qui qui l'onda arrecate

e tu pietra salubre

arresta nelle fibre

il sanguinoso, e tepido torrente,

che seco del languente

l'alma onorata adduce,

egli rinviene, egl'apre al sol la luce.

DORICLEA

Chi mi richiama a' vivi?

Chi nega agl'infelici

varcar de' regni inferni i tetri rivi?

Dispietati nemici

mi togliete al mio fin, per riserbarmi

trofeo delle vostr'armi?

SURENA

Non temer cavaliero,

sei prigione d'un re, ch'a gloria aspira,

che l'opre egregie, e i valorosi ammira,

pio con i vinti, e co' superbi altero.

Alle tende, alle tende,

si segue invan chi fugge, a' fuggitivi

veste il timor di lievi penne il piede,

fatto, commilitoni, abbiam gran prede.

DORICLEA

Spargi sopra di me, vomita pure

o malvagia fortuna il tuo veleno,

che tue ingiurie non curo, e non pavento,

sì di regia fortezza armato ho il seno.

 

Doriclea, Surena, soldati parti ->

 

Scena quarta

Artabano, Clitodoro.

<- Artabano, Clitodoro

 

CLITODORO

Lieve è la piaga, o sire.  

Riedi pur, riedi in guerra eroe felice,

e rivolgi di novo

a corona mural l'oste vittrice,

segui la tua fortuna, oggi Artassata,

nell'amor del suo re sì pertinace,

dall'armi tue signor sia debellata.

ARTABANO

Confusa ancor la mente

alle vedute prove

dell'ignoto guerrier, che m'ha piagato,

da stupori non cessa, oh come forte

per viver dalla fama immortalato

sprezzò i perigli, ed affrontò la morte.

Ma non si spendan qui neghittosi il giorno,

alla città assediata

apportiamo ruine,

la concedo all'incendio, e alle rapine,

se negl'affetti suoi stasse ostinata:

lei, che mirò sconfitto il suo Tigrane,

sarà di lui fugace

spettacolo funesto,

divenuta di foco una fornace.

CLITODORO

Chi superbo resiste

oppresso resti in sanguinosa guerra,

s'un rampollo tu sei del grand'Arsace,

d'ogn'opra sua immortal fatti seguace.

 

Artabano ->

 

Scena quinta

Eurinda, Clitodoro, Melloe.

<- Eurinda, Melloe

 

EURINDA

Qual cruda stella o Clitodoro amico,  

il mio german, il mio signor mi rende

tra le vittorie del suo sangue tinto?

Per averlo svenato i voti appende

l'armeno, e perditor crede aver vinto.

CLITODORO

Di picciola ferita egro Artabano

volge contro Artassata il capo invitto,

e pria, che cada in grembo a Teti il giorno

lo scorgerai di nove palme adorno.

EURINDA

Marte propizio il miri, e quest'altera

barbara gente alfin distrutta pera.

Ma del principe ibero,

dell'amato Farnace,

del mio caro guerriero,

o Melloe, che si dice?

È ritornato ai padiglioni illeso

dalle spade nemiche, oppure offeso?

MELLOE

Mi sono Eurinda ignote

del cavalier le militar fortune,

ma bene io spero; oh quanto ratta spiega

lugubre fama i tristi vanni, e neri.

Scuoti dalla tua mente i rei pensieri.

EURINDA

Sì gelosa son io del mio tesoro,

che fra tema e speranza or vivo, or moro.

MELLOE

E con ragione, o bella

nell'amoroso stato

orma non stampa amante

di lui più degno, e nella fé costante.

Vedi se t'ama; ei, che fanciul nutrito

fu con Tigrane nella corte armena,

persuaso d'amore,

pugna contro l'amico in tuo favore.

EURINDA

Udite amanti, udite,

fra le schiere d'amor

non si trova del mio più lieto cor.

 

Dolce fiamma il sen m'accende,    

è diletto il mio martoro,

cieco dio co' strali d'oro

mi saetta, e non m'offende.

Che dite voi, che dite

tra le schiere d'amor

si può trovar del mio più lieto cor?

Del mio foco io son l'ardore,

chi m'avvinse avvinto giace,

non mi rode il duol vorace,

tutto manna assaggio amore.

Che dite voi, che dite

tra le schiere d'amor

si può trovar del mio più lieto cor?

S

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Clitodoro ->

 

Scena sesta

Surena, Eurinda, Doriclea, Melloe.

<- Surena, Doriclea, soldati

 

SURENA

Il re dove si trova?  

EURINDA

Or or s'invia

per oppugnar le mura

della città nemica.

SURENA

Alla tua cura

lascio questo prigione,

egl'è quel cavaliero

che lo ferì nella mortal tenzone;

io là mi volgo, dove

egli drizza i vessilli ad alte prove.

 

Surena, soldati ->

 

Scena settima

Eurinda, Doriclea, Melloe.

 

EURINDA

Tu temerario osasti  

nobilitar l'ignobil ferro, e vile

col sangue degl'Arsaci?

L'ira m'infiamma il sen con le sue faci.

DORICLEA

È la mia destra avvezza

d'arrecare a' tiranni,

quasi mossa dal ciel, mortali affanni.

Ah s'a fronte foss'io

di colui, che lo scettro

indegnamente allo mio duce usurpa,

vorrei, che gl'estinguesse

una sola per sempre il stigio Lete

delle tiare altrui l'iniqua sete.

E benché io sia languente, e semivivo,

bastante non sarebbe,

come già fu, la sorte

di rapirlo al mio brando, ed alla morte.

EURINDA

Da ingiurïosa bocca alma servile

soffra pure i dispregi, io vo' punire

gl'oltraggi del german, pera il fellone.

MELLOE

Eurinda egl'è prigione,

non violar l'uso di guerra antico,

i popoli più barbari, e più fieri

non offendono i vinti, i prigionieri.

E tu, che snodi ardito

l'audace lingua, perché sforzi all'onte

innocente donzella?

DORICLEA

Chi desia di morir così favella.

EURINDA

Poiché tu sei tanto di morte vago

i tuoi desiri appago.

Oh come è bello, oh forza

di due luci, il furore in me s'ammorza.

 

Scena ottava

Farnace, Eurinda, Melloe, Doriclea.

<- Farnace, soldati

 

FARNACE

È dessa, è Doriclea.  

Eurinda, Eurinda bella

tu in atto d'omicida?

Amor cangiato in ferro ha la facella,

ed a guerra crudel l'alme disfida;

oppur dagl'occhi sagittari esperti

da quei begl'occhi, a cui il mio cor si rese,

l'arte di ferità la destra apprese?

Se la morte di questi è il tuo desio

l'estinguo or or, benché del mio retaggio

egli sia un germe, e dell'Iberia un raggio.

EURINDA

Oh delle mie speranze

base, meta, e sostegno,

oh d'amor caro pegno,

oh vita, per cui pero,

oh mio dolce pensiero,

oh ben, per cui sospiro

dagl'oltraggi di Marte

intatto io pur ti miro.

FARNACE

Fu mio riparo, e scudo

la tua divina imago,

ch'adornata di raggi

di bellezza infinita,

ho nel petto scolpita:

il ferro, il crudo ferro,

istrumento di Marte,

che la scorse sì bella,

e da mille amorini

custodita, e difesa,

la sembianza immortale

la credè di Ciprigna

diva del suo signore,

onde il natio rigore

deposto il fier, dalle nemiche offese,

per non offender lei, salvo mi rese.

DORICLEA

Ah Tigrane, ah Tigrane.

EURINDA

Non s'usurpi la gloria al tuo valore,

egli ti fu custode, e difensore.

Ma che dici Farnace,

dal tuo ceppo reale

trasse quel prigioniero il suo natale?

FARNACE

Lo trasse Eurinda, e Ciro egli s'appella,

chiaro nell'armi, e di famoso grido,

di Tigrane infelice amico fido.

EURINDA

Alla partica reggia

l'Iberia è ben fatale.

Lassa, doppia saetta,

di tosco aspersa, il sen mi fere, e infetta.

FARNACE

Deh, l'impiagato ibero

concedi a me soltanto,

ch'alle sue piaghe acerbe

refrigeri, e conforti

medica destra apporti,

mira, com'egli langue

molle del proprio sangue.

EURINDA

Libero te 'l concedo, oh dolce oggetto.

FARNACE

Come del rege prigionier l'accetto.

EURINDA

Addio Farnace, io parto,

ma come, io non lo so, dicalo Amore,

senz'anima mi trovo, e senza core.

FARNACE

Va', che da' spirti miei

animata tu sei.

Ite ancor voi soldati, al signor vostro

riserbar fia mia cura il prigioniero.

Core, core guerriero.

 

Eurinda, Melloe, soldati ->

 

Scena nona

Doriclea, Farnace.

 

DORICLEA

Oh Farnace.  

FARNACE

Oh reina,

come, come io ti scerno

fatta della fortuna, e gioco, e scherno.

DORICLEA

Son in odio al destino,

ma con avversi influssi ei pur m'uccida,

ch'alfin farà trofei degl'odi suoi

corruttibile spoglia, e fragil salma,

che di sue tirannie non teme l'alma.

FARNACE

Tigrane è salvo?

DORICLEA

Ei drizza

verso l'Assiria amica il piè fugace.

FARNACE

Oh re più che infelice, a cui ricorri

per lo tuo scampo.

DORICLEA

Ohimè perché?

FARNACE

L'assiro

poi che lo vide appena

negl'assalti primieri, e rotto, e vinto,

spergiurati di lega i sacri patti,

malvagio, e fraudolente

s'unì col vincitor segretamente,

onde s'ei colà giunge

l'invierà prigione

all'amico Artabano il re fellone.

DORICLEA

Ancor non cessa, ancora

dalle minacce il cielo?

Deh s'hai pietade in petto, opra ch'io mora;

è meglio col morir uscir di pene

che vivere, e mirare il mio consorte

circondato da lacci, e da catene.

FARNACE

Che pensieri di morte,

spera reina, spera.

Chi piange sul mattin, ride la sera.

Dell' arabo Sabari

vo' lasciarti alla fede, ed io seguire

ver l'Assiria Tigrane,

acciò l'incauto nel suo grave esilio

fugga il vicin periglio.

Spera reina, spera,

chi piange sul mattin, ride la sera.

DORICLEA

Dal procelloso mar di tanti guai,

al mio cor quasi assorto,

per le promesse tue spirano omai

aure dolci di speme, e di conforto.

 

Scena decima

Sabari, Farnace, Doriclea.

<- Sabari

 

SABARI

Ogni forte guerriero,  

che pregio brama, e che d'onor si cura

or s'invia per tentar d'esser primiero

salitor delle mura,

e tu, signor, ch'avido sei di lode,

non ti volgi colà rapido, e prode?

FARNACE

Troppo abbiam combattuto

per cagione d'Eurinda a pro de' parti,

troppo, d'amor seguaci,

contro gl'amici nostri,

ahi segni di perfidia, abbiam noi mostri.

Mira Sabari, mira

qui dell'Armenia ogni splendor raccolto,

conosci questo volto?

Ecco qui Doriclea.

SABARI

Che veggio? Oh mondo

lusinghiero, e fallace,

si tramutano alfin tue rose in spine,

e l'eminenze tue sono ruine.

FARNACE

A lasciar questi alloggi

necessità mi sforza,

dell'amazzone regia,

sin ch'io rieda, sarai

tu medico, e custode,

tu, ch'appien sai qual erbe

dan salute alle piaghe, e con qual carme

il lor duol si consoli, e disacerbe.

Doriclea vado, e in breve

di ritornare io spero

felice messaggero.

DORICLEA

Giove t'indirizzi, e guidi.

SABARI

Alta reina

è tempo d'apportare a tue ferite

ristoro, e medicina.

DORICLEA

Insensibil son fatta a' miei martiri,

solo avvien, che sospiri,

e che di carne io sia

agl'infortuni della vita mia.

 

Doriclea, Farnace, Sabari ->

 

Scena undecima

Venere, coro di Amorini.

<- Venere, amorini

 

VENERE

Amori all'armi,    

l'aere rimbombi

bellici carmi,

Amori all'armi.

S

CORO

All'armi, all'armi.

VENERE

Famosi arcieri,

prodi guerrieri,

invitti Amori,

campioni forti

all'ire, a' furori

al sangue, alle morti.

CORO

All'ire, a' furori

al sangue, alle morti.

 

VENERE

Scendo dalla mia sfera  

nume d'odio, e di sdegno,

per render a Tigrane il patrio regno

di pacifica dèa fatta guerriera.

La mia lucida stella

più non diluvia amori,

ma qual cometa, che minaccia orrori

versa, piove di guerra atra procella.

Chi sopra sacri altari

m'accende eterni lumi,

chi pio m'incensa ognor d'arabi fumi

scuoti dalla cervice i gioghi amari.

 

VENERE

Amori all'armi,

l'acre rimbombi

bellici carmi

Amori all'armi.

CORO

All'armi, all'armi.

 

CORO
primo

È lieve impresa o diva  

scacciar d'Armenia i vincitori audaci,

vedi pur se in te ferve

desio di farti serve

del ciel le pure, e fiammeggianti faci,

perché noi siam possenti

di rendere soggetti a' mirti tuoi

e le sfere, e gl'abissi, e gl'elementi.

VENERE

Regga il tonante

l'impero delle stelle,

non s'annidano in me voglie rubelle:

preparate pur l'aste, e le saette

contro il parto predace,

ma sopra il falso trace

fate pria memorabili vendette.

Ei che dipender giura,

ah mentitor, da queste mie bellezze,

contro i devoti miei

esercita crudel le sue fierezze?

Non sa questo spergiuro,

ch'io son offesa nell'armenie ingiurie?

Oh numi, oh Stige, oh furie.

CORO
secondo

Con speme di vendetta il duol si tempri,

vedrai Marte, il fellon, che l'ha sprezzato

a' tuoi piè supplicante incatenato,

e di lui far potrai

lo strazio, che vorrai.

 

Scena duodecima.

Mercurio, Venere, coro d'Amorini.

<- Mercurio

 

MERCURIO

Che rimiro Ciprigna?  

Che prodigi? Tu armata? Eh lascia il ferro,

ch'armi più poderose hai nel bel viso,

lo so ben' io, che ne restai conquiso.

E dove guidi, e dove

questa schiera bambina?

Non t'avvedi, ch'avvezza

di trattar solo ignuda

la faretra sonante,

sotto incarco sì grave

geme, suda anelante?

L'usbergo ancor a te nega i respiri,

Venere tu deliri.

CORO
primo

Di schernirci è tanto ardito

questo ladro? Ei sia punito.

VENERE

L'impeto dello sdegno olà si freni,

scherza Cillenio, egli sa ben, che Sparta

qual feroce Bellona ancor mi vide

di scintillante acciar tutta cosparta.

Mercurio il cielo a' miei disegni arride,

a te quivi drizzare ei fece i voli,

acciò m'aiti in parte, e mi consoli.

MERCURIO

Per chi del mondo alla gran cura siede

rapido messagger batto le piume,

e rivolgerle altrove alla mia fede

non lice, Citerea per altro nume.

VENERE

Odi, s'a mio favor tu spieghi l'ali,

vo' far che queste labbra

ti dian baci più dolci, e saporiti

di quanti mai sa dispensar la rosa

d'una bocca lasciva, ed amorosa.

MERCURIO

Venere, vinto io sono,

soffra gl'indugi miei

il monarca de' dèi,

chiedi pur ciò che vuoi,

ho le penne soggette a' cenni tuoi.

VENERE

Opra sia tua, che 'l cavaliero ibero

trovi Tigrane, acciò l'occulte frodi

gli facci note dell'assiro infido,

sì ch'ei di servitù fuggendo i nodi

rivolga il passo errante ad altro lido.

MERCURIO

Per meritare i guiderdoni, al suolo

io vado, io scendo, io volo.

VENERE

Noi per punire il traditor di Marte

ver la Tracia sproniam veloci, e snelli

nostri canori augelli.

 

VENERE

Amori all'armi,

l'aere rimbombi

bellici carmi,

Amori all'armi.

CORO

All'armi, all'ami.

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume.

Doriclea, Tigrane, soldati armeni
 

Può la virtù del core

Doriclea, Tigrane, soldati armeni
<- Oronte

Cessate, olà, cessate

Doriclea, Tigrane, Oronte
soldati armeni ->

Fuggite pur, lasciate

Doriclea
Tigrane, Oronte ->
Doriclea
<- Surena, soldati parti

Il cor feroce è un consiglier mendace

Doriclea, Surena, soldati parti ->
<- Artabano, Clitodoro

Lieve è la piaga, o sire.

Clitodoro
Artabano ->
Clitodoro
<- Eurinda, Melloe

Qual cruda stella o Clitodoro amico

Eurinda, Melloe
Clitodoro ->
Eurinda, Melloe
<- Surena, Doriclea, soldati

Il re dove si trova? / Or or s'invia

Eurinda, Melloe, Doriclea
Surena, soldati ->

Tu temerario osasti

Eurinda, Melloe, Doriclea
<- Farnace, soldati

È dessa, è Doriclea.

Doriclea, Farnace
Eurinda, Melloe, soldati ->

Oh Farnace / Oh reina

Doriclea, Farnace
<- Sabari

Ogni forte guerriero

Doriclea, Farnace, Sabari ->
<- Venere, amorini
Venere, Coro
Amori all'armi

Scendo dalla mia sfera

 

È lieve impresa o diva

Venere, amorini
<- Mercurio

Che rimiro Ciprigna?

 
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima.
Il monte della Virtù, nelle cui cime si rimira il tempio della Gloria. Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume. Città d'Artassata. Deserto tra l'Armenia, e l'Assiria. Cortile del palazzo supremo d'Artassata, alloggiamento d'Artabano. Reggia di Marte. Giardino. Altro cortile del palazzo supremo d'Artassata. Stanze reali. Appartamenti d'Artabano. Varie prospettive di villaggi e di cittadi armene.
Prologo Atto secondo Atto terzo

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