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Scena prima |
Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume, che nato nel monte Tauro scorre per lunghissimi tratti per oriente sino nella media Atropazia, ora detta Servan, indi rivolgendosi per l'aspetto settentrionale verso l'occidente, e congiuntosi con il Ciro, dopo aver irrigate le campagne d'Artassata, città dell'Armenia, e la pianura arassena, sbocca nel mar Caspio. Doriclea, Tigrane, coro di Soldati armeni. |
Q
Doriclea, Tigrane, soldati armeni
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DORICLEA |
Può la virtù del core
nelle sciagure invitto
superar delle piaghe il rio dolore,
ma non è già bastante
a dar il moto al tardo piè trafitto;
egli imbelle s'arresta, e vacillante,
e il tiranneggio indarno,
perché mi renda ancor, dolce consorte,
compagna di tua fuga, e di tua sorte.
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TIGRANE |
Fatti appoggio ben mio
di questo braccio, o crudi fati, o dio.
Infelice Tigrane,
non eran paghi appieno
gl'arbitri ingiusti delle cose umane
d'averti tolto il regio trono armeno,
senza condurti in seno,
tra le tue fughe, languida, e ferita
quella bella, ch'adori,
che pugnò per tua vita?
O d'astri imperversati empi rigori.
Siedi, siedi ben mio
su questo sasso, o crudi fati, o dio.
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DORICLEA |
Deh non fermar del tuo fuggire il volo,
non sieno i casi miei, ti prego, o caro,
di tua salute il precipizio amaro.
Segui il corso primiero,
né su questo sentiero
al parto vincitor tanto vicino
della tua Doriclea pietà t'arresti,
forse custodia avran di lei quei cieli,
che giran sempre alle tue glorie infesti.
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TIGRANE |
Ch'io parta, e t'abbandoni?
Ch'io fugga, e qui ti lasci
di vita in forse, e de' nemici in preda?
Ah che non son già nato
d'una gelata rupe,
né dalle poppe, di rabbiose lupe
nutrimento di latte ho mai succhiato;
pria di qui partiranno
questi immobili sassi,
ch'altrove io drizzi i passi
senza di te, che sei
spirto de' spirti miei.
Voi, che pugnaste coraggiosi, e fieri
per la patria comune
sfortunati guerrieri,
già che posta in un fiume
ogni nostra salute
han le stelle adirate
frettolosi quel ponte dissipate.
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Scena seconda |
Oronte, Tigrane, Doriclea, coro di Soldati armeni. |
<- Oronte
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ORONTE |
Cessate, olà, cessate
di distruggere il ponte,
e non mi contendete
il varco, io son amico, io son Oronte.
Fuggi signor, deh fuggi,
se tu non vuoi da ferrei lacci avvinto
restar preda de' parti, oppure estinto.
Le speranze abbandona,
che nel fiume hai riposte,
l'han guadato i nemici
della costa del monte alle radici,
e qui saranno or ora,
se noi tardiam la fuga,
le fortunate e vittoriose spade
col sangue nostro a lastricar le strade:
cozzar con il destino
è follia, non virtute, e non valore,
fuggi or, che tempo hai di fuggir signore.
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CORO
Via, via di qui
fuggiamo rapidi
fuggiamo sì:
non timor del nemico il cor n'ingombra,
rivolte a' nostri mali
temiamo di lassù l'ire immortali.
Via, via di qui
fuggiamo rapidi
fuggiamo sì.
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| soldati armeni ->
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TIGRANE |
Fuggite pur, lasciate
vili sudditi, indegni
di titolo guerriero
qui la vostra reina esposta a morte,
che dell'infamia a vergognose mete
vi condurrà la via, per cui correte.
Saranno a un caso istesso
soggette a Doriclea le nostre vite,
vengano pure ardite,
dalle vittorie lor fatte più fiere,
qui le partiche schiere,
che vedran come sa vibrar il ferro,
recider palme, e funestar trofei,
un braccio disperato,
un cuore innamorato:
vo', che l'Arasse apporti,
gonfio di sangue umano,
orribili tributi al mare ircano.
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DORICLEA |
Cedi Tigrane, cedi
a quella dèa, che da te volse il crine,
che parta è divenuta a tue ruine.
Non render disperato
di libertade a' nostri armeni il seme,
vivi, e del regno serbati alla speme.
Fuggi all'assiro amico,
e a me, che la tua fuga,
più seguire non posso, o mio diletto
trafiggi, e svena il petto.
Non vada in Partia prigioniera, e serva
la moglie di Tigrane,
d'Armenia la reina
ad apprestare i letti, a tesser manti
del re nemico alle lascive amanti.
Su generoso ardisci,
fiero nella pietade,
pietosa crudeltade,
eccoti inerme il sen, che fai? ferisci.
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ORONTE |
Oh magnanimo core, animo grande.
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TIGRANE |
Numi eterni del cielo,
s'io v'offesi, a ragion punite voi
con rigido flagel l'empio nocente,
ma che giammai vi fece
quest'anima innocente?
Se per castigar me sferzate lei,
del governo del mondo indegni siete
crudelissimi dèi.
Doriclea? bella mia?
Ah, che formar più accenti
non mi lascia il dolore,
dolor che in pianto mi distilla il core.
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ORONTE |
Avrei di marmo il petto,
s'al di lui pianto non sgorgassi anch'io
di lagrimar dagl'occhi un caldo rio.
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DORICLEA |
Eh, che piangi, eh che tardi,
sono inutili i pianti,
dannose le dimore,
precipitano l'ore,
e il parto di te avaro a noi se n' viene,
deh mi rapisca un colpo sol, ti prego,
a servil lacci infra quest'erme arene.
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TIGRANE |
Misero che farò,
nelle viscere amate
il ferro immergerò? No, quest'infausto giorno
spettator non sarà
di sì inaudita, e barbara impietà:
viva, né parca sia
del suo stame vital la spada mia.
Ma che parlo, che dico
folle marito, effemminato amante,
dunque quel bel sembiante,
arco, e face d'amore
se n'andrà prigioniero
ad infiammar del rio tiranno il core?
Che vuoi tu, ch'Artabano
se ti levò l'armeno scettro, ancora
l'onor ti tolga? Ah mora pure, ah mora:
ma lasso infra l'orrore impetro, e gelo
di sì atroce pensiero, o crudo cielo
Tigrane ardir, ardir, vinci te stesso,
amor ceda, e pietà,
sia ministra d'onor la crudeltà.
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ORONTE |
Fuggiam, fuggiam signore, ecco che spunta
una squadra de' parti omai dal colle.
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DORICLEA |
Non più dimora, su
uccidi, e fuggi, oh dio, che badi tu.
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TIGRANE |
Che feci, ohimè, ch'oprai?
Che barbarie commisi? Ahi vista, ahi, ahi.
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| Tigrane, Oronte ->
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Scena terza |
Surena, Doriclea. |
<- Surena, soldati parti
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SURENA |
Il cor feroce è un consiglier mendace,
l'ardir accieca, e ciecamente pere,
chi non ascolta la ragion verace:
così cadde Tigrane
dal suo valore oppresso,
egli nelle sue perdite ostinato
fu dal soglio regal precipitato.
Quando era meglio al vincitor clemente
soggettar la corona
che resister pugnando audacemente.
Sia questo il giorno estremo
delle sue guerre, si debelli appieno
quest'indomito armeno,
né ricovro sicuro
abbia nella sua fuga, onde riunito
osi tentar novella pugna ardito.
Che rimiro soldati?
Se non mente l'insegna
oggi illustre, e famosa,
ecco il guerriero, ch'eternò sé stesso
con la strage de' nostri, ecco chi trasse
con poderosa mano
il sangue dalle vene ad Artabano.
Misero, estinto ei giace,
alfin terminò in polve ogni suo vanto,
generosa pietà m'induce al pianto.
Come bella è la morte in quel sembiante.
Aita amici, aita,
lievi fiati egli spira,
egli ha nel petto ancor spirto di vita.
Tosto al fiume volate,
qui qui l'onda arrecate
e tu pietra salubre
arresta nelle fibre
il sanguinoso, e tepido torrente,
che seco del languente
l'alma onorata adduce,
egli rinviene, egl'apre al sol la luce.
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DORICLEA |
Chi mi richiama a' vivi?
Chi nega agl'infelici
varcar de' regni inferni i tetri rivi?
Dispietati nemici
mi togliete al mio fin, per riserbarmi
trofeo delle vostr'armi?
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SURENA |
Non temer cavaliero,
sei prigione d'un re, ch'a gloria aspira,
che l'opre egregie, e i valorosi ammira,
pio con i vinti, e co' superbi altero.
Alle tende, alle tende,
si segue invan chi fugge, a' fuggitivi
veste il timor di lievi penne il piede,
fatto, commilitoni, abbiam gran prede.
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DORICLEA |
Spargi sopra di me, vomita pure
o malvagia fortuna il tuo veleno,
che tue ingiurie non curo, e non pavento,
sì di regia fortezza armato ho il seno.
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| Doriclea, Surena, soldati parti ->
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Scena quarta |
Artabano, Clitodoro. |
<- Artabano, Clitodoro
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CLITODORO |
Lieve è la piaga, o sire.
Riedi pur, riedi in guerra eroe felice,
e rivolgi di novo
a corona mural l'oste vittrice,
segui la tua fortuna, oggi Artassata,
nell'amor del suo re sì pertinace,
dall'armi tue signor sia debellata.
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ARTABANO |
Confusa ancor la mente
alle vedute prove
dell'ignoto guerrier, che m'ha piagato,
da stupori non cessa, oh come forte
per viver dalla fama immortalato
sprezzò i perigli, ed affrontò la morte.
Ma non si spendan qui neghittosi il giorno,
alla città assediata
apportiamo ruine,
la concedo all'incendio, e alle rapine,
se negl'affetti suoi stasse ostinata:
lei, che mirò sconfitto il suo Tigrane,
sarà di lui fugace
spettacolo funesto,
divenuta di foco una fornace.
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CLITODORO |
Chi superbo resiste
oppresso resti in sanguinosa guerra,
s'un rampollo tu sei del grand'Arsace,
d'ogn'opra sua immortal fatti seguace.
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| Artabano ->
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Scena quinta |
Eurinda, Clitodoro, Melloe. |
<- Eurinda, Melloe
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EURINDA |
Qual cruda stella o Clitodoro amico,
il mio german, il mio signor mi rende
tra le vittorie del suo sangue tinto?
Per averlo svenato i voti appende
l'armeno, e perditor crede aver vinto.
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CLITODORO |
Di picciola ferita egro Artabano
volge contro Artassata il capo invitto,
e pria, che cada in grembo a Teti il giorno
lo scorgerai di nove palme adorno.
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EURINDA |
Marte propizio il miri, e quest'altera
barbara gente alfin distrutta pera.
Ma del principe ibero,
dell'amato Farnace,
del mio caro guerriero,
o Melloe, che si dice?
È ritornato ai padiglioni illeso
dalle spade nemiche, oppure offeso?
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MELLOE |
Mi sono Eurinda ignote
del cavalier le militar fortune,
ma bene io spero; oh quanto ratta spiega
lugubre fama i tristi vanni, e neri.
Scuoti dalla tua mente i rei pensieri.
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EURINDA |
Sì gelosa son io del mio tesoro,
che fra tema e speranza or vivo, or moro.
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MELLOE |
E con ragione, o bella
nell'amoroso stato
orma non stampa amante
di lui più degno, e nella fé costante.
Vedi se t'ama; ei, che fanciul nutrito
fu con Tigrane nella corte armena,
persuaso d'amore,
pugna contro l'amico in tuo favore.
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EURINDA |
Udite amanti, udite,
fra le schiere d'amor
non si trova del mio più lieto cor.
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| |
|
Dolce fiamma il sen m'accende,
è diletto il mio martoro,
cieco dio co' strali d'oro
mi saetta, e non m'offende.
Che dite voi, che dite
tra le schiere d'amor
si può trovar del mio più lieto cor?
Del mio foco io son l'ardore,
chi m'avvinse avvinto giace,
non mi rode il duol vorace,
tutto manna assaggio amore.
Che dite voi, che dite
tra le schiere d'amor
si può trovar del mio più lieto cor?
| S
(♦)
(♦)
|
| Clitodoro ->
|
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Scena sesta |
Surena, Eurinda, Doriclea, Melloe. |
<- Surena, Doriclea, soldati
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SURENA |
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EURINDA |
Or or s'invia
per oppugnar le mura
della città nemica.
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SURENA |
Alla tua cura
lascio questo prigione,
egl'è quel cavaliero
che lo ferì nella mortal tenzone;
io là mi volgo, dove
egli drizza i vessilli ad alte prove.
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| Surena, soldati ->
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Scena settima |
Eurinda, Doriclea, Melloe. |
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EURINDA |
Tu temerario osasti
nobilitar l'ignobil ferro, e vile
col sangue degl'Arsaci?
L'ira m'infiamma il sen con le sue faci.
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DORICLEA |
È la mia destra avvezza
d'arrecare a' tiranni,
quasi mossa dal ciel, mortali affanni.
Ah s'a fronte foss'io
di colui, che lo scettro
indegnamente allo mio duce usurpa,
vorrei, che gl'estinguesse
una sola per sempre il stigio Lete
delle tiare altrui l'iniqua sete.
E benché io sia languente, e semivivo,
bastante non sarebbe,
come già fu, la sorte
di rapirlo al mio brando, ed alla morte.
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EURINDA |
Da ingiurïosa bocca alma servile
soffra pure i dispregi, io vo' punire
gl'oltraggi del german, pera il fellone.
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MELLOE |
Eurinda egl'è prigione,
non violar l'uso di guerra antico,
i popoli più barbari, e più fieri
non offendono i vinti, i prigionieri.
E tu, che snodi ardito
l'audace lingua, perché sforzi all'onte
innocente donzella?
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DORICLEA |
Chi desia di morir così favella.
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EURINDA |
Poiché tu sei tanto di morte vago
i tuoi desiri appago.
Oh come è bello, oh forza
di due luci, il furore in me s'ammorza.
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Scena ottava |
Farnace, Eurinda, Melloe, Doriclea. |
<- Farnace, soldati
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FARNACE |
È dessa, è Doriclea.
Eurinda, Eurinda bella
tu in atto d'omicida?
Amor cangiato in ferro ha la facella,
ed a guerra crudel l'alme disfida;
oppur dagl'occhi sagittari esperti
da quei begl'occhi, a cui il mio cor si rese,
l'arte di ferità la destra apprese?
Se la morte di questi è il tuo desio
l'estinguo or or, benché del mio retaggio
egli sia un germe, e dell'Iberia un raggio.
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EURINDA |
Oh delle mie speranze
base, meta, e sostegno,
oh d'amor caro pegno,
oh vita, per cui pero,
oh mio dolce pensiero,
oh ben, per cui sospiro
dagl'oltraggi di Marte
intatto io pur ti miro.
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FARNACE |
Fu mio riparo, e scudo
la tua divina imago,
ch'adornata di raggi
di bellezza infinita,
ho nel petto scolpita:
il ferro, il crudo ferro,
istrumento di Marte,
che la scorse sì bella,
e da mille amorini
custodita, e difesa,
la sembianza immortale
la credè di Ciprigna
diva del suo signore,
onde il natio rigore
deposto il fier, dalle nemiche offese,
per non offender lei, salvo mi rese.
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DORICLEA |
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EURINDA |
Non s'usurpi la gloria al tuo valore,
egli ti fu custode, e difensore.
Ma che dici Farnace,
dal tuo ceppo reale
trasse quel prigioniero il suo natale?
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FARNACE |
Lo trasse Eurinda, e Ciro egli s'appella,
chiaro nell'armi, e di famoso grido,
di Tigrane infelice amico fido.
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EURINDA |
Alla partica reggia
l'Iberia è ben fatale.
Lassa, doppia saetta,
di tosco aspersa, il sen mi fere, e infetta.
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FARNACE |
Deh, l'impiagato ibero
concedi a me soltanto,
ch'alle sue piaghe acerbe
refrigeri, e conforti
medica destra apporti,
mira, com'egli langue
molle del proprio sangue.
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EURINDA |
Libero te 'l concedo, oh dolce oggetto.
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FARNACE |
Come del rege prigionier l'accetto.
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EURINDA |
Addio Farnace, io parto,
ma come, io non lo so, dicalo Amore,
senz'anima mi trovo, e senza core.
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FARNACE |
Va', che da' spirti miei
animata tu sei.
Ite ancor voi soldati, al signor vostro
riserbar fia mia cura il prigioniero.
Core, core guerriero.
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| Eurinda, Melloe, soldati ->
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Scena nona |
Doriclea, Farnace. |
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DORICLEA |
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FARNACE |
Oh reina,
come, come io ti scerno
fatta della fortuna, e gioco, e scherno.
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DORICLEA |
Son in odio al destino,
ma con avversi influssi ei pur m'uccida,
ch'alfin farà trofei degl'odi suoi
corruttibile spoglia, e fragil salma,
che di sue tirannie non teme l'alma.
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FARNACE |
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DORICLEA |
Ei drizza
verso l'Assiria amica il piè fugace.
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FARNACE |
Oh re più che infelice, a cui ricorri
per lo tuo scampo.
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DORICLEA |
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FARNACE |
L'assiro
poi che lo vide appena
negl'assalti primieri, e rotto, e vinto,
spergiurati di lega i sacri patti,
malvagio, e fraudolente
s'unì col vincitor segretamente,
onde s'ei colà giunge
l'invierà prigione
all'amico Artabano il re fellone.
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DORICLEA |
Ancor non cessa, ancora
dalle minacce il cielo?
Deh s'hai pietade in petto, opra ch'io mora;
è meglio col morir uscir di pene
che vivere, e mirare il mio consorte
circondato da lacci, e da catene.
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FARNACE |
Che pensieri di morte,
spera reina, spera.
Chi piange sul mattin, ride la sera.
Dell' arabo Sabari
vo' lasciarti alla fede, ed io seguire
ver l'Assiria Tigrane,
acciò l'incauto nel suo grave esilio
fugga il vicin periglio.
Spera reina, spera,
chi piange sul mattin, ride la sera.
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DORICLEA |
Dal procelloso mar di tanti guai,
al mio cor quasi assorto,
per le promesse tue spirano omai
aure dolci di speme, e di conforto.
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Scena decima |
Sabari, Farnace, Doriclea. |
<- Sabari
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SABARI |
Ogni forte guerriero,
che pregio brama, e che d'onor si cura
or s'invia per tentar d'esser primiero
salitor delle mura,
e tu, signor, ch'avido sei di lode,
non ti volgi colà rapido, e prode?
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FARNACE |
Troppo abbiam combattuto
per cagione d'Eurinda a pro de' parti,
troppo, d'amor seguaci,
contro gl'amici nostri,
ahi segni di perfidia, abbiam noi mostri.
Mira Sabari, mira
qui dell'Armenia ogni splendor raccolto,
conosci questo volto?
Ecco qui Doriclea.
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SABARI |
Che veggio? Oh mondo
lusinghiero, e fallace,
si tramutano alfin tue rose in spine,
e l'eminenze tue sono ruine.
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FARNACE |
A lasciar questi alloggi
necessità mi sforza,
dell'amazzone regia,
sin ch'io rieda, sarai
tu medico, e custode,
tu, ch'appien sai qual erbe
dan salute alle piaghe, e con qual carme
il lor duol si consoli, e disacerbe.
Doriclea vado, e in breve
di ritornare io spero
felice messaggero.
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DORICLEA |
Giove t'indirizzi, e guidi.
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SABARI |
Alta reina
è tempo d'apportare a tue ferite
ristoro, e medicina.
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DORICLEA |
Insensibil son fatta a' miei martiri,
solo avvien, che sospiri,
e che di carne io sia
agl'infortuni della vita mia.
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| Doriclea, Farnace, Sabari ->
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Scena undecima |
Venere, coro di Amorini. |
<- Venere, amorini
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VENERE |
Amori all'armi,
l'aere rimbombi
bellici carmi,
Amori all'armi.
| S
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CORO |
| |
VENERE |
Famosi arcieri,
prodi guerrieri,
invitti Amori,
campioni forti
all'ire, a' furori
al sangue, alle morti.
| |
CORO |
All'ire, a' furori
al sangue, alle morti.
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| |
VENERE |
Scendo dalla mia sfera
nume d'odio, e di sdegno,
per render a Tigrane il patrio regno
di pacifica dèa fatta guerriera.
La mia lucida stella
più non diluvia amori,
ma qual cometa, che minaccia orrori
versa, piove di guerra atra procella.
Chi sopra sacri altari
m'accende eterni lumi,
chi pio m'incensa ognor d'arabi fumi
scuoti dalla cervice i gioghi amari.
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| |
VENERE |
Amori all'armi,
l'acre rimbombi
bellici carmi
Amori all'armi.
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CORO |
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CORO primo |
È lieve impresa o diva
scacciar d'Armenia i vincitori audaci,
vedi pur se in te ferve
desio di farti serve
del ciel le pure, e fiammeggianti faci,
perché noi siam possenti
di rendere soggetti a' mirti tuoi
e le sfere, e gl'abissi, e gl'elementi.
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VENERE |
Regga il tonante
l'impero delle stelle,
non s'annidano in me voglie rubelle:
preparate pur l'aste, e le saette
contro il parto predace,
ma sopra il falso trace
fate pria memorabili vendette.
Ei che dipender giura,
ah mentitor, da queste mie bellezze,
contro i devoti miei
esercita crudel le sue fierezze?
Non sa questo spergiuro,
ch'io son offesa nell'armenie ingiurie?
Oh numi, oh Stige, oh furie.
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CORO secondo |
Con speme di vendetta il duol si tempri,
vedrai Marte, il fellon, che l'ha sprezzato
a' tuoi piè supplicante incatenato,
e di lui far potrai
lo strazio, che vorrai.
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Scena duodecima. |
Mercurio, Venere, coro d'Amorini. |
<- Mercurio
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MERCURIO |
Che rimiro Ciprigna?
Che prodigi? Tu armata? Eh lascia il ferro,
ch'armi più poderose hai nel bel viso,
lo so ben' io, che ne restai conquiso.
E dove guidi, e dove
questa schiera bambina?
Non t'avvedi, ch'avvezza
di trattar solo ignuda
la faretra sonante,
sotto incarco sì grave
geme, suda anelante?
L'usbergo ancor a te nega i respiri,
Venere tu deliri.
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CORO primo |
Di schernirci è tanto ardito
questo ladro? Ei sia punito.
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VENERE |
L'impeto dello sdegno olà si freni,
scherza Cillenio, egli sa ben, che Sparta
qual feroce Bellona ancor mi vide
di scintillante acciar tutta cosparta.
Mercurio il cielo a' miei disegni arride,
a te quivi drizzare ei fece i voli,
acciò m'aiti in parte, e mi consoli.
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MERCURIO |
Per chi del mondo alla gran cura siede
rapido messagger batto le piume,
e rivolgerle altrove alla mia fede
non lice, Citerea per altro nume.
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VENERE |
Odi, s'a mio favor tu spieghi l'ali,
vo' far che queste labbra
ti dian baci più dolci, e saporiti
di quanti mai sa dispensar la rosa
d'una bocca lasciva, ed amorosa.
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MERCURIO |
Venere, vinto io sono,
soffra gl'indugi miei
il monarca de' dèi,
chiedi pur ciò che vuoi,
ho le penne soggette a' cenni tuoi.
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VENERE |
Opra sia tua, che 'l cavaliero ibero
trovi Tigrane, acciò l'occulte frodi
gli facci note dell'assiro infido,
sì ch'ei di servitù fuggendo i nodi
rivolga il passo errante ad altro lido.
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MERCURIO |
Per meritare i guiderdoni, al suolo
io vado, io scendo, io volo.
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VENERE |
Noi per punire il traditor di Marte
ver la Tracia sproniam veloci, e snelli
nostri canori augelli.
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VENERE |
Amori all'armi,
l'aere rimbombi
bellici carmi,
Amori all'armi.
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CORO |
| |
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