LA DORICLEA
Dramma musicale.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Giovanni FAUSTINI.
Musica di Francesco CAVALLI.
Prima esecuzione: anno 1645, Venezia.
Interlocutori:
Prologo | |
L' AMBIZIONE |
soprano |
L' IGNORANZA |
soprano |
La VIRTÙ |
soprano |
La GLORIA |
contralto |
Dramma | |
DORICLEA moglie di Tigrane |
soprano |
TIGRANE re d'Armenia |
contralto |
ORONTE soldato armeno |
basso |
SURENA capitano dei parti |
basso |
ARTABANO re de' parti |
tenore |
CLITODORO medico regio |
tenore |
EURINDA sorella di Artabano |
soprano |
MELLOE dama d'Eurinda |
soprano |
FARNACE principe ibero |
contralto |
SABARI moro, scudiero di Farnace |
basso |
VENERE |
soprano |
MERCURIO |
contralto |
ORINDO nano, paggio di Farnace |
soprano |
L' IRA ministra di Marte |
contralto |
Il FURORE ministro di Marte |
basso |
La DISCORDIA ministra di Marte |
soprano |
MARTE |
basso |
MESSO |
tenore |
LA PACE |
contralto |
Coro di Soldati armeni, coro di Amorini, coro di Cittadini d'Artassata.
Taciti:
coro di Soldati di Surena,
coro di Soldati parti pretoriani,
coro di Damigelle d'Eurinda.
Parte della favola si rappresenta sopra le rive dell'Arasse,
parte nella città di Artassata.
All'eccellentissimo
...signor Maurizio Tirelli.
Non posso più raffrenare, eccellentissimo signor mio, gl'empiti generosi di Doriclea: intollerante di rimanere sepolta nell'angustezze della casa paterna, si parte dalle mosse per giungere alle mete d'una gloria immortale. Semplice, ella è giovane, e guidata dalla cieca scorta del suo ardimento non paventa gl'Alcidi, che la sfidano, e non mira l'insidie, apprestatele per impedirle il cammino, da due potenti nemiche, l'emulazione interessata, e l'ignoranza pretendente. Mi vaticina il core, che con la spada saprà schermirsi dalle clave degl'Ercoli, ma temo che non inciampi il suo piede ne' lacci tesile da queste due femmine pazze, e inviperite. Tocca a v. s. eccellentissima, come amico del padre, e per l'affetto, che porta a questa amazzone, quale ha tratto, si può dire, i primi vagiti nelle sue braccia, ad assicurarle il sentiero, e a difendere la sua riputazione, contro la sfacciata ambizione di certi rozzi versificatori, che poveri d'invenzioni, o per dir meglio dissipatori dell'altrui, trattano l'arti della maldicenza, tentando di deturpare le composizioni de gl'ingegni migliori de' loro, non sapendo queste piche la difficoltà dell'inventare, perché non hanno giammai inventato, e ch'egli è, come mi disse lei una volta, un filosofare.
Consegno dunque a v. s. eccellentissima Doriclea, e mi do a credere, ch'ella sarà per vivere una vita gloriosa nella serie de' futuri secoli, mentre verrà protetta dall'Ippocrate de' nostri tempi; e in vero s'ora regnassero le favolose deitadi di Omero voi sareste il loro Peone, onde a imitazione di Menecrate potete usare il titolo di Giove, avendo più volte a guisa d'Esculapio ravvivati i cadaveri: e s'Antonio Musa ebbe d'Augusto una statua per l'ottenuta salute, voi meritate i colossi per tanti conservati individui. Prosperi il cielo per la prosperità de gl'uomini v. s. eccellentissima, ch'io per fine le bacio le mani.
Giovanni Faustini.
Argomento
Artabano, pronepote di quell'Arsace, che costituì l'Impero de Parti formidabile alla grandezza romana, desideroso di uguagliare la gloria de' suoi antenati con dilatare i confini di quel vasto dominio con novi acquisti, dopo aver posto il giogo a popoli di Battro, e a Sogdiani confinanti con i fiumi Oxo, e Iaxarte, drizzò l'armi vittoriose, e fortunate contro Tigrane re dell'Armenia. Questi sconfitto più volte dal bellicoso Artabano, e persa Tigrano certa fede reale, reso, qual Anteo, più vigoroso nelle cadute, fece conoscere al parto, che le sue saette non erano valevoli a paventare un core, che non temeva punto quelle dell'implacabil fortuna: alla fine radunati di novo gli avanzi delle sue perdite, gettò un ponte sopra l'Arasse, e andò ad assalire sino nelle trincere il nemico. Era Artabano intento all'oppugnazione d'Artassata che pertinace nell'affetto del suo signore avea sola fra tutte l'altre città armene sprezzate le sue vittorie, e negato di rendere tributo alla Partia. Combatterono ostinatamente ambo gl'eserciti nelle campagne arassene, in faccia de gl'assediati, l'uno per la gloria, l'altro per la libertà dell'Armenia, ma dopo vari eventi ora di prospero, e ora d'avverso Marte, provò il generoso, ed infelice Tigrane non dissimili da' primi i fati di quella giornata; fu rotto, e dissipate a fatto le reliquie delle sue squadre fugge, seguito da pochi, la fortuna del vincitore.
Doriclea, nata del sangue reale di Ponto, ch'avea voluto essere sempre a parte di tristi casi del suo caro consorte, e tra gl'eserciti, e nelle mischie errare armata, e combattere per la sua vita, fece sconosciuta quel giorno prove di valore inudite.
Ella quasi un folgore aperse l'ordinanze parte, e atterrando chi tentava d'opporsi al suo coraggio penetrò nel centro dell'esercito ostile, e ivi ad onta di mille ferri ferì Artabano: pure veduto abbandonato da chi regge le cose umane l'ardire armeno, mortole sotto il destriero, e ferita da più saette nelle parti più nervose de' piedi, accompagna, benché pigra al corso, la fuga dell'amato Tigrane. Dalla rotta dell'esercito armeno, e dalla fuga di Tigrane, e di Doriclea principiano le azioni della favola.
Fingesi la scena.
Il monte della Virtù, nelle cui cime si rimira il tempio della Gloria.
L'Ambizione, l'Ignoranza, la Virtù, la Gloria.
AMBIZIONE
Terminato è 'l viaggio,
ecco il monte sorella.
IGNORANZA
Ohimè com'impedita
e da tronchi, e da sterpi è la salita?
Quei macigni pendenti,
quell'erte rupi ruinose, orrende,
promettono i sepolcri a chi v'ascende.
Sciagurata la brama,
che di salire della gloria al tempio,
qui, dalle regge ov'alberghiam, mi trasse:
e tu perché mi fosti
mal saggia Ambizione
d'impresa disperata, e guida, e sprone?
AMBIZIONE
Ben tu sei l'ignoranza.
E che credevi forse,
che si salisse qui come te n' vai
per le cittadi in carro d'oro assisa,
con la fortuna a lato? Il piè calloso
convien di fare, ha' da sudar la fronte
pria ch'al tempio si giunga, e varchi il monte.
IGNORANZA
Non avrò cor giammai
di calcar questa via così scoscesa,
e avvezza alle mollizie, io non potrei
orma stampar, benché volessi, in lei.
AMBIZIONE
T'avviliscono i lussi.
Al delubro immortale
ti condurrò sull'ale.
IGNORANZA
Sì sì, non si ritardi, a voli, a voli.
Ma giunte all'erta, e come
m'introdurrò nel tempio? Io ravvisata
sarò da' suoi custodi, onde pavento
di repulse, e di sferze.
AMBIZIONE
Oh s'io non erro
ecco de' tuoi timori, ecco i rimedi.
È la Virtù colei,
che se ne viene al monte?
IGNORANZA
È dessa.
AMBIZIONE
Io voglio
che sien le spoglie sue prede di noi,
onde di lor tu poi
vestita, agevolmente ingannerai
le custodie del tempio, ed entrerai.
IGNORANZA
Avveduto ritrovo
che non ci vegga.
AMBIZIONE
Insino,
che s'avvicini, ascose
starem noi dietro a queste querce annose.
VIRTÙ
Son pur tutta bellezza
non caduca, ma eterna,
e il mondo non mi mira, e non m'apprezza,
io, che l'alme sollevo, e al ciel le mando
me n' vo negletta per le selve errando.
Di porpora adornato
in trono il Vizio siede,
riverito dal senso, e adorato,
ed io, che beni sempiterni arreco,
ho da pascermi appena, o secol cieco.
Chi m'incontra, e mi vede
sì povera, e mendica
non vuol seguirmi, e al mio dir non crede,
se n' ride allor che da mia bocca intende,
che la felicità da me dipende.
IGNORANZA
Non gridar, taci.
VIRTÙ
Ohimè.
IGNORANZA
Taci ti dico.
AMBIZIONE
Spogliati.
VIRTÙ
Che volete
voi far di queste vesti,
non son come vedete
già di gemme fregiate, e carche d'ori,
tanto, prede mendiche, allettan voi,
che possedete in corte ampi tesori?
AMBIZIONE
Troppo garrula sei.
IGNORANZA
A forza di percosse
resti nuda costei.
VIRTÙ
Ah povera virtude, e chi t'oltraggia?
AMBIZIONE
Prendi cotesto sole.
IGNORANZA
Lascia questa d'alloro
verdeggiante corona.
AMBIZIONE
Eccola nuda.
IGNORANZA
Partiti via di qui, partiti, fuggi.
AMBIZIONE
Raddoppia l'onte.
VIRTÙ
O depravata età,
in cui dall'Ignoranza è discacciata
la Virtù dal su' albergo, e ignuda va:
o depravata età.
AMBIZIONE
Al vestirti, agli inganni,
quest'effige febea
cingiti al seno, affrettati.
IGNORANZA
Non vedi,
se pigra io sono? appresta pure i vanni.
AMBIZIONE
Con la tua destra la mia destra afferra.
IGNORANZA
Stringimi sì, che non trabocchi a terra.
AMBIZIONE, IGNORANZA
Al tempio della Gloria
l'Ignoranza se n' vola
d'Ambizïon su l'ali,
da Virtù mascherata, oggi o mortali.
GLORIA
Precipitate, indegne
di rimirare il sol, precipitate
da quest'aeree region beate.
Note, note a me siete, o fraudolenti,
ite a franger, cadenti,
quelle selci, e il Tonante,
come fece a Encelado, vi danni
tra dirupi sepolte a viver gl'anni:
sol ricetti del monte
sono le sacre sommitadi apriche
d'anime illustri, e di virtude amiche.
Di voi veneti eroi,
le cui virtù sublimi
volan dal freddo Borea, a' caldi Eoi,
di voi nido è il tempio, in lui vivrete,
ad onta di Saturno, immortalati
a' secoli venturi, o fortunati.
Voi spettatrici belle,
questa notte vedrete
di gloria onusto il vostro sesso imbelle,
e in un comprenderete,
che non solo egli puote
debellare amoroso
con l'armi del bel viso i cori, e l'alme,
ma col ferro apprestarsi ancor le palme.
Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume, che nato nel monte Tauro scorre per lunghissimi tratti per oriente sino nella media Atropazia, ora detta Servan, indi rivolgendosi per l'aspetto settentrionale verso l'occidente, e congiuntosi con il Ciro, dopo aver irrigate le campagne d'Artassata, città dell'Armenia, e la pianura arassena, sbocca nel mar Caspio.
Doriclea, Tigrane, coro di Soldati armeni.
DORICLEA
Può la virtù del core
nelle sciagure invitto
superar delle piaghe il rio dolore,
ma non è già bastante
a dar il moto al tardo piè trafitto;
egli imbelle s'arresta, e vacillante,
e il tiranneggio indarno,
perché mi renda ancor, dolce consorte,
compagna di tua fuga, e di tua sorte.
TIGRANE
Fatti appoggio ben mio
di questo braccio, o crudi fati, o dio.
Infelice Tigrane,
non eran paghi appieno
gl'arbitri ingiusti delle cose umane
d'averti tolto il regio trono armeno,
senza condurti in seno,
tra le tue fughe, languida, e ferita
quella bella, ch'adori,
che pugnò per tua vita?
O d'astri imperversati empi rigori.
Siedi, siedi ben mio
su questo sasso, o crudi fati, o dio.
DORICLEA
Deh non fermar del tuo fuggire il volo,
non sieno i casi miei, ti prego, o caro,
di tua salute il precipizio amaro.
Segui il corso primiero,
né su questo sentiero
al parto vincitor tanto vicino
della tua Doriclea pietà t'arresti,
forse custodia avran di lei quei cieli,
che giran sempre alle tue glorie infesti.
TIGRANE
Ch'io parta, e t'abbandoni?
Ch'io fugga, e qui ti lasci
di vita in forse, e de' nemici in preda?
Ah che non son già nato
d'una gelata rupe,
né dalle poppe, di rabbiose lupe
nutrimento di latte ho mai succhiato;
pria di qui partiranno
questi immobili sassi,
ch'altrove io drizzi i passi
senza di te, che sei
spirto de' spirti miei.
Voi, che pugnaste coraggiosi, e fieri
per la patria comune
sfortunati guerrieri,
già che posta in un fiume
ogni nostra salute
han le stelle adirate
frettolosi quel ponte dissipate.
Oronte, Tigrane, Doriclea, coro di Soldati armeni.
ORONTE
Cessate, olà, cessate
di distruggere il ponte,
e non mi contendete
il varco, io son amico, io son Oronte.
Fuggi signor, deh fuggi,
se tu non vuoi da ferrei lacci avvinto
restar preda de' parti, oppure estinto.
Le speranze abbandona,
che nel fiume hai riposte,
l'han guadato i nemici
della costa del monte alle radici,
e qui saranno or ora,
se noi tardiam la fuga,
le fortunate e vittoriose spade
col sangue nostro a lastricar le strade:
cozzar con il destino
è follia, non virtute, e non valore,
fuggi or, che tempo hai di fuggir signore.
CORO
Via, via di qui
fuggiamo rapidi
fuggiamo sì:
non timor del nemico il cor n'ingombra,
rivolte a' nostri mali
temiamo di lassù l'ire immortali.
Via, via di qui
fuggiamo rapidi
fuggiamo sì.
TIGRANE
Fuggite pur, lasciate
vili sudditi, indegni
di titolo guerriero
qui la vostra reina esposta a morte,
che dell'infamia a vergognose mete
vi condurrà la via, per cui correte.
Saranno a un caso istesso
soggette a Doriclea le nostre vite,
vengano pure ardite,
dalle vittorie lor fatte più fiere,
qui le partiche schiere,
che vedran come sa vibrar il ferro,
recider palme, e funestar trofei,
un braccio disperato,
un cuore innamorato:
vo', che l'Arasse apporti,
gonfio di sangue umano,
orribili tributi al mare ircano.
DORICLEA
Cedi Tigrane, cedi
a quella dèa, che da te volse il crine,
che parta è divenuta a tue ruine.
Non render disperato
di libertade a' nostri armeni il seme,
vivi, e del regno serbati alla speme.
Fuggi all'assiro amico,
e a me, che la tua fuga,
più seguire non posso, o mio diletto
trafiggi, e svena il petto.
Non vada in Partia prigioniera, e serva
la moglie di Tigrane,
d'Armenia la reina
ad apprestare i letti, a tesser manti
del re nemico alle lascive amanti.
Su generoso ardisci,
fiero nella pietade,
pietosa crudeltade,
eccoti inerme il sen, che fai? ferisci.
ORONTE
Oh magnanimo core, animo grande.
TIGRANE
Numi eterni del cielo,
s'io v'offesi, a ragion punite voi
con rigido flagel l'empio nocente,
ma che giammai vi fece
quest'anima innocente?
Se per castigar me sferzate lei,
del governo del mondo indegni siete
crudelissimi dèi.
Doriclea? bella mia?
Ah, che formar più accenti
non mi lascia il dolore,
dolor che in pianto mi distilla il core.
ORONTE
Avrei di marmo il petto,
s'al di lui pianto non sgorgassi anch'io
di lagrimar dagl'occhi un caldo rio.
DORICLEA
Eh, che piangi, eh che tardi,
sono inutili i pianti,
dannose le dimore,
precipitano l'ore,
e il parto di te avaro a noi se n' viene,
deh mi rapisca un colpo sol, ti prego,
a servil lacci infra quest'erme arene.
TIGRANE
Misero che farò,
nelle viscere amate
il ferro immergerò? No, quest'infausto giorno
spettator non sarà
di sì inaudita, e barbara impietà:
viva, né parca sia
del suo stame vital la spada mia.
Ma che parlo, che dico
folle marito, effemminato amante,
dunque quel bel sembiante,
arco, e face d'amore
se n'andrà prigioniero
ad infiammar del rio tiranno il core?
Che vuoi tu, ch'Artabano
se ti levò l'armeno scettro, ancora
l'onor ti tolga? Ah mora pure, ah mora:
ma lasso infra l'orrore impetro, e gelo
di sì atroce pensiero, o crudo cielo
Tigrane ardir, ardir, vinci te stesso,
amor ceda, e pietà,
sia ministra d'onor la crudeltà.
ORONTE
Fuggiam, fuggiam signore, ecco che spunta
una squadra de' parti omai dal colle.
DORICLEA
Non più dimora, su
uccidi, e fuggi, oh dio, che badi tu.
TIGRANE
Che feci, ohimè, ch'oprai?
Che barbarie commisi? Ahi vista, ahi, ahi.
Surena, Doriclea.
SURENA
Il cor feroce è un consiglier mendace,
l'ardir accieca, e ciecamente pere,
chi non ascolta la ragion verace:
così cadde Tigrane
dal suo valore oppresso,
egli nelle sue perdite ostinato
fu dal soglio regal precipitato.
Quando era meglio al vincitor clemente
soggettar la corona
che resister pugnando audacemente.
Sia questo il giorno estremo
delle sue guerre, si debelli appieno
quest'indomito armeno,
né ricovro sicuro
abbia nella sua fuga, onde riunito
osi tentar novella pugna ardito.
Che rimiro soldati?
Se non mente l'insegna
oggi illustre, e famosa,
ecco il guerriero, ch'eternò sé stesso
con la strage de' nostri, ecco chi trasse
con poderosa mano
il sangue dalle vene ad Artabano.
Misero, estinto ei giace,
alfin terminò in polve ogni suo vanto,
generosa pietà m'induce al pianto.
Come bella è la morte in quel sembiante.
Aita amici, aita,
lievi fiati egli spira,
egli ha nel petto ancor spirto di vita.
Tosto al fiume volate,
qui qui l'onda arrecate
e tu pietra salubre
arresta nelle fibre
il sanguinoso, e tepido torrente,
che seco del languente
l'alma onorata adduce,
egli rinviene, egl'apre al sol la luce.
DORICLEA
Chi mi richiama a' vivi?
Chi nega agl'infelici
varcar de' regni inferni i tetri rivi?
Dispietati nemici
mi togliete al mio fin, per riserbarmi
trofeo delle vostr'armi?
SURENA
Non temer cavaliero,
sei prigione d'un re, ch'a gloria aspira,
che l'opre egregie, e i valorosi ammira,
pio con i vinti, e co' superbi altero.
Alle tende, alle tende,
si segue invan chi fugge, a' fuggitivi
veste il timor di lievi penne il piede,
fatto, commilitoni, abbiam gran prede.
DORICLEA
Spargi sopra di me, vomita pure
o malvagia fortuna il tuo veleno,
che tue ingiurie non curo, e non pavento,
sì di regia fortezza armato ho il seno.
Artabano, Clitodoro.
CLITODORO
Lieve è la piaga, o sire.
Riedi pur, riedi in guerra eroe felice,
e rivolgi di novo
a corona mural l'oste vittrice,
segui la tua fortuna, oggi Artassata,
nell'amor del suo re sì pertinace,
dall'armi tue signor sia debellata.
ARTABANO
Confusa ancor la mente
alle vedute prove
dell'ignoto guerrier, che m'ha piagato,
da stupori non cessa, oh come forte
per viver dalla fama immortalato
sprezzò i perigli, ed affrontò la morte.
Ma non si spendan qui neghittosi il giorno,
alla città assediata
apportiamo ruine,
la concedo all'incendio, e alle rapine,
se negl'affetti suoi stasse ostinata:
lei, che mirò sconfitto il suo Tigrane,
sarà di lui fugace
spettacolo funesto,
divenuta di foco una fornace.
CLITODORO
Chi superbo resiste
oppresso resti in sanguinosa guerra,
s'un rampollo tu sei del grand'Arsace,
d'ogn'opra sua immortal fatti seguace.
Eurinda, Clitodoro, Melloe.
EURINDA
Qual cruda stella o Clitodoro amico,
il mio german, il mio signor mi rende
tra le vittorie del suo sangue tinto?
Per averlo svenato i voti appende
l'armeno, e perditor crede aver vinto.
CLITODORO
Di picciola ferita egro Artabano
volge contro Artassata il capo invitto,
e pria, che cada in grembo a Teti il giorno
lo scorgerai di nove palme adorno.
EURINDA
Marte propizio il miri, e quest'altera
barbara gente alfin distrutta pera.
Ma del principe ibero,
dell'amato Farnace,
del mio caro guerriero,
o Melloe, che si dice?
È ritornato ai padiglioni illeso
dalle spade nemiche, oppure offeso?
MELLOE
Mi sono Eurinda ignote
del cavalier le militar fortune,
ma bene io spero; oh quanto ratta spiega
lugubre fama i tristi vanni, e neri.
Scuoti dalla tua mente i rei pensieri.
EURINDA
Sì gelosa son io del mio tesoro,
che fra tema e speranza or vivo, or moro.
MELLOE
E con ragione, o bella
nell'amoroso stato
orma non stampa amante
di lui più degno, e nella fé costante.
Vedi se t'ama; ei, che fanciul nutrito
fu con Tigrane nella corte armena,
persuaso d'amore,
pugna contro l'amico in tuo favore.
EURINDA
Udite amanti, udite,
fra le schiere d'amor
non si trova del mio più lieto cor.
Dolce fiamma il sen m'accende,
è diletto il mio martoro,
cieco dio co' strali d'oro
mi saetta, e non m'offende.
Che dite voi, che dite
tra le schiere d'amor
si può trovar del mio più lieto cor?
Del mio foco io son l'ardore,
chi m'avvinse avvinto giace,
non mi rode il duol vorace,
tutto manna assaggio amore.
Che dite voi, che dite
tra le schiere d'amor
si può trovar del mio più lieto cor?
Surena, Eurinda, Doriclea, Melloe.
SURENA
Il re dove si trova?
EURINDA
Or or s'invia
per oppugnar le mura
della città nemica.
SURENA
Alla tua cura
lascio questo prigione,
egl'è quel cavaliero
che lo ferì nella mortal tenzone;
io là mi volgo, dove
egli drizza i vessilli ad alte prove.
Eurinda, Doriclea, Melloe.
EURINDA
Tu temerario osasti
nobilitar l'ignobil ferro, e vile
col sangue degl'Arsaci?
L'ira m'infiamma il sen con le sue faci.
DORICLEA
È la mia destra avvezza
d'arrecare a' tiranni,
quasi mossa dal ciel, mortali affanni.
Ah s'a fronte foss'io
di colui, che lo scettro
indegnamente allo mio duce usurpa,
vorrei, che gl'estinguesse
una sola per sempre il stigio Lete
delle tiare altrui l'iniqua sete.
E benché io sia languente, e semivivo,
bastante non sarebbe,
come già fu, la sorte
di rapirlo al mio brando, ed alla morte.
EURINDA
Da ingiurïosa bocca alma servile
soffra pure i dispregi, io vo' punire
gl'oltraggi del german, pera il fellone.
MELLOE
Eurinda egl'è prigione,
non violar l'uso di guerra antico,
i popoli più barbari, e più fieri
non offendono i vinti, i prigionieri.
E tu, che snodi ardito
l'audace lingua, perché sforzi all'onte
innocente donzella?
DORICLEA
Chi desia di morir così favella.
EURINDA
Poiché tu sei tanto di morte vago
i tuoi desiri appago.
Oh come è bello, oh forza
di due luci, il furore in me s'ammorza.
Farnace, Eurinda, Melloe, Doriclea.
FARNACE
È dessa, è Doriclea.
Eurinda, Eurinda bella
tu in atto d'omicida?
Amor cangiato in ferro ha la facella,
ed a guerra crudel l'alme disfida;
oppur dagl'occhi sagittari esperti
da quei begl'occhi, a cui il mio cor si rese,
l'arte di ferità la destra apprese?
Se la morte di questi è il tuo desio
l'estinguo or or, benché del mio retaggio
egli sia un germe, e dell'Iberia un raggio.
EURINDA
Oh delle mie speranze
base, meta, e sostegno,
oh d'amor caro pegno,
oh vita, per cui pero,
oh mio dolce pensiero,
oh ben, per cui sospiro
dagl'oltraggi di Marte
intatto io pur ti miro.
FARNACE
Fu mio riparo, e scudo
la tua divina imago,
ch'adornata di raggi
di bellezza infinita,
ho nel petto scolpita:
il ferro, il crudo ferro,
istrumento di Marte,
che la scorse sì bella,
e da mille amorini
custodita, e difesa,
la sembianza immortale
la credè di Ciprigna
diva del suo signore,
onde il natio rigore
deposto il fier, dalle nemiche offese,
per non offender lei, salvo mi rese.
DORICLEA
Ah Tigrane, ah Tigrane.
EURINDA
Non s'usurpi la gloria al tuo valore,
egli ti fu custode, e difensore.
Ma che dici Farnace,
dal tuo ceppo reale
trasse quel prigioniero il suo natale?
FARNACE
Lo trasse Eurinda, e Ciro egli s'appella,
chiaro nell'armi, e di famoso grido,
di Tigrane infelice amico fido.
EURINDA
Alla partica reggia
l'Iberia è ben fatale.
Lassa, doppia saetta,
di tosco aspersa, il sen mi fere, e infetta.
FARNACE
Deh, l'impiagato ibero
concedi a me soltanto,
ch'alle sue piaghe acerbe
refrigeri, e conforti
medica destra apporti,
mira, com'egli langue
molle del proprio sangue.
EURINDA
Libero te 'l concedo, oh dolce oggetto.
FARNACE
Come del rege prigionier l'accetto.
EURINDA
Addio Farnace, io parto,
ma come, io non lo so, dicalo Amore,
senz'anima mi trovo, e senza core.
FARNACE
Va', che da' spirti miei
animata tu sei.
Ite ancor voi soldati, al signor vostro
riserbar fia mia cura il prigioniero.
Core, core guerriero.
Doriclea, Farnace.
DORICLEA
Oh Farnace.
FARNACE
Oh reina,
come, come io ti scerno
fatta della fortuna, e gioco, e scherno.
DORICLEA
Son in odio al destino,
ma con avversi influssi ei pur m'uccida,
ch'alfin farà trofei degl'odi suoi
corruttibile spoglia, e fragil salma,
che di sue tirannie non teme l'alma.
FARNACE
Tigrane è salvo?
DORICLEA
Ei drizza
verso l'Assiria amica il piè fugace.
FARNACE
Oh re più che infelice, a cui ricorri
per lo tuo scampo.
DORICLEA
Ohimè perché?
FARNACE
L'assiro
poi che lo vide appena
negl'assalti primieri, e rotto, e vinto,
spergiurati di lega i sacri patti,
malvagio, e fraudolente
s'unì col vincitor segretamente,
onde s'ei colà giunge
l'invierà prigione
all'amico Artabano il re fellone.
DORICLEA
Ancor non cessa, ancora
dalle minacce il cielo?
Deh s'hai pietade in petto, opra ch'io mora;
è meglio col morir uscir di pene
che vivere, e mirare il mio consorte
circondato da lacci, e da catene.
FARNACE
Che pensieri di morte,
spera reina, spera.
Chi piange sul mattin, ride la sera.
Dell' arabo Sabari
vo' lasciarti alla fede, ed io seguire
ver l'Assiria Tigrane,
acciò l'incauto nel suo grave esilio
fugga il vicin periglio.
Spera reina, spera,
chi piange sul mattin, ride la sera.
DORICLEA
Dal procelloso mar di tanti guai,
al mio cor quasi assorto,
per le promesse tue spirano omai
aure dolci di speme, e di conforto.
Sabari, Farnace, Doriclea.
SABARI
Ogni forte guerriero,
che pregio brama, e che d'onor si cura
or s'invia per tentar d'esser primiero
salitor delle mura,
e tu, signor, ch'avido sei di lode,
non ti volgi colà rapido, e prode?
FARNACE
Troppo abbiam combattuto
per cagione d'Eurinda a pro de' parti,
troppo, d'amor seguaci,
contro gl'amici nostri,
ahi segni di perfidia, abbiam noi mostri.
Mira Sabari, mira
qui dell'Armenia ogni splendor raccolto,
conosci questo volto?
Ecco qui Doriclea.
SABARI
Che veggio? Oh mondo
lusinghiero, e fallace,
si tramutano alfin tue rose in spine,
e l'eminenze tue sono ruine.
FARNACE
A lasciar questi alloggi
necessità mi sforza,
dell'amazzone regia,
sin ch'io rieda, sarai
tu medico, e custode,
tu, ch'appien sai qual erbe
dan salute alle piaghe, e con qual carme
il lor duol si consoli, e disacerbe.
Doriclea vado, e in breve
di ritornare io spero
felice messaggero.
DORICLEA
Giove t'indirizzi, e guidi.
SABARI
Alta reina
è tempo d'apportare a tue ferite
ristoro, e medicina.
DORICLEA
Insensibil son fatta a' miei martiri,
solo avvien, che sospiri,
e che di carne io sia
agl'infortuni della vita mia.
Venere, coro di Amorini.
VENERE
Amori all'armi,
l'aere rimbombi
bellici carmi,
Amori all'armi.
CORO
All'armi, all'armi.
VENERE
Famosi arcieri,
prodi guerrieri,
invitti Amori,
campioni forti
all'ire, a' furori
al sangue, alle morti.
CORO
All'ire, a' furori
al sangue, alle morti.
VENERE
Scendo dalla mia sfera
nume d'odio, e di sdegno,
per render a Tigrane il patrio regno
di pacifica dèa fatta guerriera.
La mia lucida stella
più non diluvia amori,
ma qual cometa, che minaccia orrori
versa, piove di guerra atra procella.
Chi sopra sacri altari
m'accende eterni lumi,
chi pio m'incensa ognor d'arabi fumi
scuoti dalla cervice i gioghi amari.
VENERE
Amori all'armi,
l'acre rimbombi
bellici carmi
Amori all'armi.
CORO
All'armi, all'armi.
CORO
primo
È lieve impresa o diva
scacciar d'Armenia i vincitori audaci,
vedi pur se in te ferve
desio di farti serve
del ciel le pure, e fiammeggianti faci,
perché noi siam possenti
di rendere soggetti a' mirti tuoi
e le sfere, e gl'abissi, e gl'elementi.
VENERE
Regga il tonante
l'impero delle stelle,
non s'annidano in me voglie rubelle:
preparate pur l'aste, e le saette
contro il parto predace,
ma sopra il falso trace
fate pria memorabili vendette.
Ei che dipender giura,
ah mentitor, da queste mie bellezze,
contro i devoti miei
esercita crudel le sue fierezze?
Non sa questo spergiuro,
ch'io son offesa nell'armenie ingiurie?
Oh numi, oh Stige, oh furie.
CORO
secondo
Con speme di vendetta il duol si tempri,
vedrai Marte, il fellon, che l'ha sprezzato
a' tuoi piè supplicante incatenato,
e di lui far potrai
lo strazio, che vorrai.
Mercurio, Venere, coro d'Amorini.
MERCURIO
Che rimiro Ciprigna?
Che prodigi? Tu armata? Eh lascia il ferro,
ch'armi più poderose hai nel bel viso,
lo so ben' io, che ne restai conquiso.
E dove guidi, e dove
questa schiera bambina?
Non t'avvedi, ch'avvezza
di trattar solo ignuda
la faretra sonante,
sotto incarco sì grave
geme, suda anelante?
L'usbergo ancor a te nega i respiri,
Venere tu deliri.
CORO
primo
Di schernirci è tanto ardito
questo ladro? Ei sia punito.
VENERE
L'impeto dello sdegno olà si freni,
scherza Cillenio, egli sa ben, che Sparta
qual feroce Bellona ancor mi vide
di scintillante acciar tutta cosparta.
Mercurio il cielo a' miei disegni arride,
a te quivi drizzare ei fece i voli,
acciò m'aiti in parte, e mi consoli.
MERCURIO
Per chi del mondo alla gran cura siede
rapido messagger batto le piume,
e rivolgerle altrove alla mia fede
non lice, Citerea per altro nume.
VENERE
Odi, s'a mio favor tu spieghi l'ali,
vo' far che queste labbra
ti dian baci più dolci, e saporiti
di quanti mai sa dispensar la rosa
d'una bocca lasciva, ed amorosa.
MERCURIO
Venere, vinto io sono,
soffra gl'indugi miei
il monarca de' dèi,
chiedi pur ciò che vuoi,
ho le penne soggette a' cenni tuoi.
VENERE
Opra sia tua, che 'l cavaliero ibero
trovi Tigrane, acciò l'occulte frodi
gli facci note dell'assiro infido,
sì ch'ei di servitù fuggendo i nodi
rivolga il passo errante ad altro lido.
MERCURIO
Per meritare i guiderdoni, al suolo
io vado, io scendo, io volo.
VENERE
Noi per punire il traditor di Marte
ver la Tracia sproniam veloci, e snelli
nostri canori augelli.
VENERE
Amori all'armi,
l'aere rimbombi
bellici carmi,
Amori all'armi.
CORO
All'armi, all'ami.
Città d'Artassata.
Coro di Cittadini, Artabano, Surena.
CORO
Chi non serba incorrotta al suo signore
la fedeltà, nel folgorar del cielo,
merta, come Prometeo esposto al gelo,
ch'adunco rostro li divori il core.
Non pallidi disagi, o del nemico
Marte l'offese, e non l'orror di morte,
signor, potero farti aprir le porte,
difese ognor dal nostro omaggio antico.
Ostinata sarebbe anco, il confessa,
questa città nella difesa, o sire,
ma Tigrane è già vinto, e nel perire
gl'ha la fortuna ogni speranza oppressa.
Or questa fé, che le sciagure ha dome,
ch'or non corruppe, o intimorì Bellona,
al destino cedendo, a te si dona,
e si consacra, o invitto, al tuo gran nome.
ARTABANO
Per suddita l'accetto, e ben m'aggrada
d'aver scorto di lei prove sì forti.
Da man rapace, e d'adirata spada
la città resti intatta, io danno i torti;
scorri Sarcano tu, scorri ogni via,
e chi depreda, o uccide, ucciso sia.
CORO
Di vassallaggio in segno
Artassata, signor, con la mia bocca
umil ti bacia questa man possente,
che pose il giogo al collo all'oriente.
SURENA
Avrete un re, che quasi ciel benigno
più che folgori ha tuoni,
che se giusto punisce, e premia altrui
eccedono le pene i premi sui.
ARTABANO
A ragion l'orgoglioso,
e superbo Tigrane,
dalla real grandezza
sospinto, ed abbattuto
misero a terra giace,
pria che mercar la pace
con un lieve tributo,
spronato a guerreggiar da pazzo ardire,
ha voluto perire,
or esule, e ramingo,
spargendo indarno le querele al vento,
deve aver per compagno il pentimento.
SURENA
Così vanno coloro,
che nelle lor follie son pertinaci,
e senza forze inutilmente audaci.
ARTABANO
Dentro le mura alloggi
il campo vincitore, e tu Surena
a me conduci Eurinda e quel guerriero,
che facesti prigione, oh quanto bramo
di rimirarlo, e bench'offeso io l'amo.
SURENA
Forza della virtù, che spinge il core
ad amar l'offensore.
Deserto tra l'Armenia, e l'Assiria.
Tigrane.
Con infocati teli
fulminatemi o cieli,
apra le fauci, e tra perpetue eclissi
Ope mi mandi ad abitar gl'abissi.
Siami il tutto inclemente,
uccisi una innocente.
Sol per me avvelenati
l'aure spirino i fiati,
e per me sol pestiferi, e nocenti
dell'eleusina dèa sian gl'alimenti.
Siami il tutto inclemente,
uccisi una innocente.
Belve, se qui annidate,
me crudel divorate,
ciascuna sia contro di me severa,
chiuda ventre ferino un cor di fera.
Siami il tutto inclemente,
uccisi una innocente.
Ma tu ferro, che festi
le campagne arassene
oggi laghi di sangue,
che mi dimori neghittoso al fianco?
Al loco più vital la man ti guidi,
fammi tu spirto errante, uccidi, uccidi.
Ah dal duolo agitato,
che ragiono, che tento?
Ombra e polve insepolta
il parto mi vorrebbe, acciò turbata
non gli fosse la pace, e l'usurpata
corona armena dal suo crin ritolta:
vivrà Tigrane, e nelle sue cadute,
quasi libico Anteo, fatto più forte
risorgerà dell'armi assire armato,
e da brama servente
di vendetta spronato
turberà suoi riposi acerbamente,
placherà l'alma bella
con il suo sangue, e resti in vita, o mora
non cesserà di molestarlo ogn'ora.
Mercurio, Farnace, Tigrane.
MERCURIO
Guerrier, s'armeno sei
un armeno difendi
dalla partica rabbia, e salvo il rendi.
FARNACE
Indarno fuggi, indarno
tra deserti m'aggiri
cavaliero villano,
morrai per questa mano.
TIGRANE
O Farnace?
FARNACE
O Tigrane
te ricerco, a te vengo
per svelarti gl'inganni
dell'assiro malvagio, e traditore,
col parto vincitore,
te scorto dalla sorte abbandonato,
agli stermini tuoi s'ha collegato.
TIGRANE
Sull'esecranda testa
dell'assiro infedele
versate ogni castigo
o disprezzati, e spergiurati dèi,
e vendicate i vostri oltraggi, e i miei.
FARNACE
Agl'editti del cielo
piegar convien la volontà Tigrane:
la paterna mia reggia,
nell'indegno tu' esiglio,
io t'offro per asilo, e per ricetto,
e divider prometto,
quando fia mio l'impero,
teco l'aurea corona, e il trono ibero.
TIGRANE
O di leale amico
espression d'affetto
più che cortese, or cedo
già che il fato mi toglie
al coraggio l'acciaro,
il potere alle voglie.
Qual naufrago, a cui l'oro il mare avaro,
e le merci inghiottì l'Iberia afferro,
per ora il parto ha vinto, io lascio il ferro.
FARNACE
A militar co' parti
ad offender le leggi
dell'amicizia amor m'indusse, amore,
che l'arbitrio di noi sforza violente,
ma se feria la destra, ah che dolente
l'alma a colpi piangeva in mezzo al core.
TIGRANE
Scusar meco non déi
nell'opre sue le mie,
anch'io pugnai contro il mio caro Idaspe
per colei, ch'or estinta, o dio Farnace,
ch'estinta, ohimè, se n' giace.
FARNACE
Sieno di pianto le tue luci prive,
colei, che morta piangi, e spira, e vive.
TIGRANE
È viva Doriclea?
FARNACE
È viva, e ignota nelle tende parte
le medica le piaghe il mio scudiero.
TIGRANE
Credo, che qui ti scorse
amica deità per liberarmi
da' tradimenti assiri,
e a dar esiglio in parte a' miei martiri.
FARNACE
D'umanità vestito
certo un nume fu quello,
ch'alle sponde del fiume
con assalti improvvisi
pria provoconmi all'ire,
poi si diede a fuggire, intimorito,
mira più non si vede, egl'è sparito.
TIGRANE
Fra tante stelle ai miei desii moleste
ha pur cura di me qualche celeste.
Ma come a te pervenne
l'anima mia ferita?
FARNACE
Per il cammin darotti ampia contezza,
andiamo, e la speranza in te ravviva,
che sovente il mortale
cangia fortuna col mutar del pelo,
e varia spesso anco tenore il cielo.
Giran di là dal foco
gl'orbi puri, e lucenti,
con incessante moto eterne menti.
E le stelle in lor fisse, e inchiodate
sono ancor lor sforzate
influenze a cangiar cangiando loco.
TIGRANE
Invincibile il core avrà Tigrane
ver lui ruotino pure a lor volere
maligne, o pie le sfere.
Mercurio.
Sotto forme mentite, e armene spoglie
appagai pur di Citerea le voglie,
ora lei mi prepari
le promesse dolcezze, e i baci cari.
Che non impetra un amoroso volto?
Egli m'ha fatto trascurar di Giove
gl'alti comandi, e spiegar l'ali altrove.
O quanto impero avete
sopra noi donne belle, e lo sapete;
v'è noto, che nel viso
vi splende il paradiso,
che rendete beate,
l'alme, da' rai del vostro bel ferite,
onde fastose andate,
e per cotante glorie insuperbite.
O quanto impero avete
sopra noi donne belle, e lo sapete.
Il mondo a voi soggiace,
al vostro volto accende amor la face,
voi l'armate de' strali
mortiferi, e vitali,
voi date legge a' cori,
voi di noi siete intelligenze, e menti,
voi spronate agl'errori
i seguaci più saggi, e più prudenti.
O quanto impero avete
sopra noi donne belle, e lo sapete.
La vostra bocca puote
incantar la ragion con dolci note,
sono infocati dardi
vostri lascivi sguardi,
con i quali impiagate
i petti di macigno, e di diamante,
e con il crin predate
ogni più cauto, e più sagace amante.
O quanto impero avete
sopra noi donne belle, e lo sapete.
Ma frettoloso io vado
ad eseguir gl'imperi
del supremo monarca,
per rieder tosto al polo,
e d'amor tra gl'amplessi, e i scherzi estremi
ottener da Ciprigna i dolci premi.
Cortile del palazzo supremo d'Artassata, alloggiamento d'Artabano.
Artabano, Eurinda, Melloe, Surena, Doriclea.
ARTABANO
Del regio sangue ibero,
Eurinda, dunque è Ciro, il cavaliero?
EURINDA
Ciò mi disse Farnace.
Ecco ch'a te Surena
languidetto il conduce,
Amor m'abbaglia ohimè con tanta luce,
egli debole, e stanco
appoggia a un legno il non ben sano fianco.
ARTABANO
Mira, com'ei non perde
la maestà reale
tra le sciagure, e il male.
EURINDA
Avezzo ad impiagare,
seppe ferito i cori ancor ferire.
SURENA
Quest'è il guerriero o sire.
DORICLEA
Col poderoso piede
sì mi premono il dorso i rei destini,
ch'avvien, ch'umile il mio nemico inchini.
Perché neghi, ch'io baci, o re sublime,
quella man generosa, e così forte,
che fabbricai sepolcri anco alla morte
con l'ergerti di gloria all'alte cime?
ARTABANO
Non vo' dal tuo valore
sudditi ossequi, e ligi,
com'amico t'abbraccio, e al petto stringo;
ben si dovea mercar di sangue a prezzo
tua conoscenza in marziale arringo.
DORICLEA
Troppo signor m'onori,
non merta no, non merta
privato cavalier tanti favori.
ARTABANO
Dell'anima i tuoi fregi
meritevoli sono
d'esser riveriti infin da' regi.
EURINDA
Di Citerea l'arciero
ogn'ora più dagl'occhi suoi vitali
m'avventa acuti strali.
DORICLEA
Che non concentra 'l ferro
pigra mano, in quel seno,
che nutre un core ostile?
Trafiggi via, trafiggi ardita, e presta:
che parli Doriclea? Le voglie arresta,
commette i tradimenti anima vile.
ARTABANO
Sarai de' miei più cari,
e se natura avara
non t'adornò di diadema il crine,
né ti diede alla destra aurato pondo,
da me li avrai, di tanti regni abbondo.
DORICLEA
D'offerte così vaste
grazie ti rendo immense,
non voglio, ch'aurei pesi
mi ritardin la strada,
per cui d'eternità vassi al delubro,
scettro della mia destra è questa spada.
SURENA
O magnanimi eroi,
dona l'impero l'un, l'altro il rifiuta.
EURINDA
La signoria dell'alme a lui sol piace.
ARTABANO
Più che ti mostri di virtù fecondo
più ti pregio, e t'ammiro:
andianne, e sempre al fianco
siami la gloria trasformata in Ciro.
DORICLEA
Principessa leggiadra
m'offro tuo cavaliero.
EURINDA
Ti ricevo per mio,
gentil guerrier, oh dio.
Melloe, Eurinda.
MELLOE
Qual fervido sospiro, e repentino
a infiammar l'aere invii? qual improvviso
mesto pallor ti rende esangue il viso?
EURINDA
O Melloe, o Melloe mia
è un gran tiranno amore,
sfortunato quel core,
ch'è dell'empio in balia.
O Melloe, o Melloe mia
è un gran tiranno amore,
sfortunato quel core,
ch'è dell'empio in balia.
MELLOE
Che novitade esprimi?
Qual nascente fiammella
render ti tenta al vecchio ardor rubella?
EURINDA
Contempla tu di Ciro
il pallidetto viso,
pallido sì, ma bello,
in cui lo spiritello
di Cupido crudel dimora assiso,
saettando quell'alme,
che stimando affettati
i rapporti dell'occhio
corrono, abbandonati
i vitali ricetti,
a mirar loro stesse
d'alte bellezze i non creduti oggetti;
osserva del guerriero
come le stelle erranti, e luminose
scoccano ardenti, e d'amorosi rai,
ch'allor chi m'innamora ah tu saprai.
MELLOE
Così dunque volubile qual fronda
allo spirar de' zefiri volanti
offri il petto di neve a nova face?
Così dunque incostante
segui novello amante,
e tradisci la fé del tuo Farnace?
Ritorna al primo ardore,
non cangi affetto, e desiderio il core.
EURINDA
Non si può calcitrare
alle leggi d'Amore, ei così vuole,
tenti invan, ch'io disami il mio bel sole.
MELLOE
Amor dal bello nasce,
la volontà il nutrisce,
affogalo prudente entro le fasce.
EURINDA
Consigli? medicina a chi languisce.
S'ami tu Melloe Eurinda,
faconda messaggera al vago mio
deh palesa ti prego il mio desio.
MELLOE
Già che ti vela un cieco
il lume di ragione, errar vo' teco.
Non rimarranno a Ciro
dentro 'l silenzio ascose
le tue pene amorose.
EURINDA
In te confido amor,
s'amareggiasti raddolcisci il cor:
io t'offesi, lo so,
perdon, mercé, pietà,
lingua, che t'oltraggiò ti loderà.
In te confido Amor,
s'amareggiasti raddolcisci il cor.
Felice mai non è
chi non inciampa ne' tuoi lacci il piè:
non ha nume a te egual
l'eterno, e puro dì,
benedetto lo stral, che mi ferì;
in te confido Amor,
s'amareggiasti raddolcisci il cor.
Orindo.
Oh ch'intesi, oh ch'intesi,
tradito è il mio signor,
sprezzata è la sua fé,
la crudele poté
volgersi ad altro amor,
io non ho fiato, io non ho spirto più,
fidati in donna tu.
Avrei piuttosto creso
a chi detto l'avesse,
ch'il ghiaccio s'accendesse,
che la fiamma gelasse,
ch'altri, ch'il mio Farnace Eurinda amasse.
Oh ch'intesi, oh ch'intesi,
io non ho fiato, io non ho spirto più,
fidati in donna tu.
Donne credo, ch'avete
una lupa nel ventre, e nella gola,
che non vi sazia una vivanda sola:
il ritratto voi siete
di quel meschino antico
dalla fame agitato,
che più, che si cibava era affamato.
Con gli amanti garrite
se i vedete ammirar altra bellezza,
e ciascuna di voi dieci accarezza:
di lusinghe mentite,
di vezzi menzogneri,
di voci inzuccherate
tutti pascete, né pur uno amate.
S'io fossi Amor, vorrei
farvi caste morire, ovver donzelle
voi, che tradite i poverelli, o belle;
una legge farei,
che colei, che smorzasse
le primiere faville
se n' vivesse digiuna in braccio a mille.
Sabari, Orindo.
SABARI
Ardo, e l'ardor celato
convien, ch'in seno io serbi,
ond'egli più mi coce; o fati acerbi.
ORINDO
O Sabari, o Sabari
io non ho fiato, io non ho spirto più,
fidati in donna tu.
SABARI
Sazio di tue follie di già son io,
da me partiti omai.
ORINDO
Tu non sai, tu non sai,
oh ch'intesi, oh ch'intesi.
SABARI
E ch'intendesti?
ORINDO
Gran cose; il nostro principe Farnace.
Io non ho fiato, io non ho spirto più,
fidati in donna tu.
SABARI
Che gl'avvenne?
ORINDO
È tradito.
SABARI
È tradito? Da chi?
ORINDO
Da Eurinda ingrata,
lei sconoscente, e alla sua fé scortese
d'un altro amor s'accese,
e sai di cui? di quel guerrier ferito,
di quel bel giovanetto,
che di sue piaghe quasi hai tu guarito.
Io non ho fiato, io non ho spirto più,
fidati in donna tu.
SABARI
Meraviglie tu fai,
come s'avessi rimirato un uomo
volare al ciel senz'ale,
è cosa naturale,
come 'l salir de' spiriti leggeri,
alla donna il mutar voglie, e pensieri.
ORINDO
Maledette le femine,
che son tanto volubili,
se stesse a me le vorrei tutte uccidere,
o nel più cupo, e vasto mar sommergerle.
Sabari arrivederci;
voglio di questi amori
investigar più a pieno, e notte, e giorno
per avvisar Farnace al suo ritorno.
SABARI
Osserva bene il tutto.
ORINDO
E come.
SABARI
O sciocco.
ORINDO
Bugiarde, e perfide
vostri inganni a prova io so,
nella vostra rete
non mi colgierete
non m'avrete no, no, no,
vostri inganni a prova io so.
Sabari.
Chi non s'accenderebbe
de tuoi begl'occhi a' soli, o mio bel sole?
S'arde, e per te sospira
chi ti vagheggia, e mira,
che far deve colui, che fortunato
non sol contempla il bello,
che t'arrichisce il volto,
ma del candido seno
osserva, e palpa i palpitanti amori?
O portenti d'amor, fuggo il veleno
con i sguardi da' gigli, e traggo ardori
dalle nevi animate,
dalle nevi dal ciel quaggiù fioccate.
O vaghezze, o bellezze,
perché non è concesso
baciar a questa innamorata bocca
ciò che la destra ancor medica, e tocca?
Ah Doriclea crudele
io ti do la salute, e tu m'uccidi?
Io ti sano le piaghe,
e son da te ferito
con luci ardenti, e di mia morte vaghe?
S'io diedi a te la vita,
deh porgi a me ristoro,
dispietata innocente io moro, io moro.
Concordemente Eurinda
ardiamo noi tra fiamma disperata,
tu d'Amore ingannata,
l'impossibile segui,
e negano al mio foco
di refrigerio onda non sol, ma stilla,
la nemica fortuna, e la natura,
che mi dier vile cuna, e faccia oscura.
Ma pera il mondo, e pera
l'infelice Sabari,
vo' che la mia guerriera
sappia, ch'io per lei vivo in pianti amari;
taciturno amator morir non voglio,
ella non è di scoglio,
né chiude in petto un'anima di fera:
chissà, chissà, sovente
chi prega ottien, né impetra mai chi tace,
la sorte amica è dell'amante audace.
Moro son io, ma non ritoglie il bello
alla forma il colore,
e se di terre, e d'oro
poveri furo li natali miei,
son di merito ricco appresso lei.
Ardisci dunque, ardisci, e scopri omai
alla tua feritrice, alla tua inferma
l'ampie ferite medico languente,
chissà, chissà, sovente
chi prega ottien, né impetra mai chi tace,
la sorte amica è dell'amante audace.
Reggia di Marte.
Venere, coro di Amorini.
VENERE
Ecco del disleale
la reggia, o miei guerrieri,
voi qui l'offese mie
avete da punire,
apprestate l'ardire.
CORO
primo
Dell'amante ribelle
trionferai Ciprigna io t'assicuro,
ei cadrà, qual imbelle,
a' colpi miei, che il suo valor non curo.
Sebbene egl'è di ferro
impenetrabil cinto,
di già l'ho debellato, e di già vinto.
CORO
secondo
Troppo ti vanti, e troppo parli audace,
forse è qui tal, che tace, e non si gloria,
e che pender dal lui può la vittoria.
CORO
primo
A quel, che soglio oprar poch'io ragiono,
e se non fosse qui la nostra dèa
sapresti quanto valgo, e quale io sono.
CORO
secondo
Rispetti da codardo.
Or or vedrassi, quanto
è bugiardo alle prove ogni tuo vanto.
VENERE
O mie forze, o mie spemi, o cari amori
quai discordie civili, e quai furori?
Emuli valorosi
serbate a dimostrarvi allor ch'al fronte
sarem di Marte, in vendicarmi l'onte.
O della reggia abitatori insani,
ch'avidi ognor di sangue
i mortali uccidete,
le città distruggete,
uscite, uscite,
udite, udite.
Ira, Furor, Discordia, Venere, coro d'Amorini.
IRA
Olà chi siete,
e che chiedete?
CORO
primo
Dov'è quel traditor del tuo signore?
IRA
Vendetta, Furore,
Discordia, compagni,
qui venite, e ciascun desti sue furie
del nostro duce per punir l'ingiurie.
CORO
secondo
Cieca ne' tuoi disdegni
questo colpo t'atterra.
IRA
Armi, armi, guerra, guerra.
FURORE E DISCORDIA
Armi, armi, guerra, guerra.
FURORE
Che apportano costoro,
risse! con scempio loro
or si combatterà,
e strage si farà.
DISCORDIA
Temerari fanciulli,
e tu lasciva dèa
vedrete come indarno
la vostra destra effemminata, e molle
il grave scudo impugna, e l'asta afferra.
IRA, FURORE E DISCORDIA
Armi, armi, guerra, guerra.
Marte, Venere, coro d'Amorini, Discordia, Ira, Furore.
MARTE
Che gridi, e che tumulti, o forsennati?
O Venere, o di Marte
più cara, e miglior parte.
VENERE
Taci, taci, mentisci.
Tu con finte parole, e finti vezzi
me credula accarezzi, e poi tradisci.
Così, così l'Armenia a me devota,
s'oppugna, e si fa serva
de' popoli stranieri?
Così de' culti miei
difensore tu sei? Sprezzata amica
cangio in odio l'affetto,
e qual crucciosa Aletto
t'agiterò nemica.
CORO
primo
Vuoi tu che questo cerro
passi l'usbergo, e il core
al falso adulatore?
VENERE
No, ferma, udiamo pria
delle discolpe sue l'alta bugia.
MARTE
Io ti tradisco, di'?
VENERE
Tu mi tradisci, sì.
MARTE
O voci replicate
quante pene in un punto ahi m'arrecate.
Per il parto pugnai, confesso, è vero,
ma fui costretto a guerreggiar dal fato,
che perdesse l'armeno
egli avea decretato;
or, che libera lascia a me la spada
vedrai, mia diva, divenir vittrice
l'Armenia vinta, e respirar felice.
Deh girami
cortese i rai,
deh mirami
placida omai,
pugnerà,
ferirà
amor mio
a tua voglia il trace dio.
VENERE
O se questo credessi
non sol lieta, Gradivo, io diverrei,
ma con novi diletti
premiar ti vorrei.
MARTE
Incomincisi l'opra.
Tu, ch'ovunque te n' vai
semini risse ed alla guerra inciti
vola tosto tra' sciti,
che quasi fuor del mondo
chiuse Alessandro il grande,
e fa' sì, che sforzate
le porte caspie, inondino feroci
nella Media Atropazia, e ch'ogni loco
di quella region, suddita al parto,
sia di lor preda, o lo divori il foco.
DISCORDIA
Di già la Media allaga
lo scitico torrente,
di già la meda gente
alla fiamma s'invola, ed alla piaga.
Semi di guerra
apporterò,
io spargerò,
la mia face accenderà
il mio tosco infetterà.
MARTE
Commosso il parto dall'incendio interno
volgerà l'armi a raffrenar lo scita,
allor lieve a me sia di far, ch'al giogo
si sottragga l'armeno, e s'Artabano
andrà per castigar de' tuoi fedeli
il ribellante ardir, più lieve ancora
a me sarà di far, che i campi istessi,
in cui nacquero pria le sue vittorie,
germoglino funesti i suoi cipressi.
Deh girami
cortese i rai,
deh mirami
placida omai,
pugnerà,
ferirà
amor mio
a tua voglia il trace dio.
VENERE
Sdegni fuggite
dal petto mio,
il mio caro amato dio
abbia baci, e non ferite.
CORO
primo e secondo
Fuggan l'ire
al gioire.
VENERE, MARTE
Con il vento de' sospiri
ravviviamo ora gl'ardori,
alle paci, a' dolci amori.
CORO
primo e secondo
Fuggan l'ire,
al gioire.
Giardino.
Doriclea.
Se ben mai non mi vide
questa città, pur temo
d'esser riconosciuta, onde m'involo
alle regie adunanze, e accompagnata
da mille gravi, ed agitanti cure,
tra solitari, e taciti soggiorni,
tra remoti silenzi io traggo i giorni.
Eurinda, Eurinda, e quale
amorosa follia nel petto alberghi?
Ti delude un fanciullo, e disperate
sono le tue speranze, in mezzo all'onda
arida sarai sempre, e furibonda.
A che bado? a che penso?
E la memoria puote
esercitarsi in cose
così leggere, e vane,
e abbandonar Tigrane?
Fuggi mio ben l'assiro,
ohimè, fuggilo dico,
egl'è nostro nemico:
indarno, indarno io grido,
non pon gl'accenti miei
giunger dove tu sei.
Deh voi cortesi, voi
arrecate, vi prego,
al mio consorte, o venti,
queste voci dolenti...
Ah plebe degli dèi,
superbissimi Astrei,
invece d'apportarle a lui segrete
all'aere le gettate, e disperdete?
Nelle concave rupi Eolo vi serri,
v'annodin sempre adamantini ferri.
Ohimè Tigrane, ohimè, dell'empio assiro
prigioniero io ti rimiro?
Dov'è lo scudo, e l'asta,
chi mi dà l'armi, olà,
ritorni in libertà
il mio caro signore,
lascialo traditore.
Che vaneggio infelice? e quai mi detta
funesti auguri il duol? la speme sia
dell'egro spirto mio medica pia.
Ma qual oblio di Lete
m'alletta i sensi al sonno, e alla quiete?
I lumi, urne del pianto,
stanchi di lagrimar l'angosce mie,
di mille fiori in sen lasciano il die.
Sabari, Doriclea.
SABARI
Osservai, che qui venne
la mia bella reina, e qui vegn'io
per narrargli le pene, e il pianto mio.
Ma lasso io non la miro,
dove il piede drizzò
ditelo piante ohimè,
dove, dove ella andò
ditelo aurette, e zeffiretti a me.
Eccola, o ciel, che dolcemente dorme.
O sopraumane forme,
del regno delle stelle
cittadine più belle,
o luci luminose,
voi dal sonno ecclissate
ancor vibrate
fiamme amorose,
lo sa bene il mio core,
che vive salamandra in tanto ardore.
Avide labbra mie
raffrenate le brame,
baciar non lice all'ombre il volto al sole.
Ma che sarebbe mai se lo baciaste?
Voi non siete ceraste
per destarla co' morsi, e avvelenarla,
bacerete pian piano, e lievemente
che chi dorme è un defunto, e nulla sente.
Su, su da voi baciata
sia quella dolce bocca, ed odorata.
Qual importuna tema
vi sconsiglia 'l baciar? via, via baciate,
che non gustò giammai timido core
le dolcezze d'amore.
DORICLEA
Sabari?
SABARI
Ohimè.
DORICLEA
Quivi a che vieni? e quale
agghiacciato timor ti fiede il petto?
SABARI
Un mio fiero nemico,
d'arco armato, mi segue
per rapirmi la vita,
bella guerriera aita.
DORICLEA
Dov'è costui, l'uccido.
SABARI
Vedilo Doriclea,
ma come ei ti mirò
veloce egli fuggì,
né pugnar teco ardì.
DORICLEA
Seguiamlo.
SABARI
No, che l'ali
porta agl'omeri 'l crudo.
DORICLEA
Fors'è questi un augel? tu mi schernisci.
SABARI
Rapido va così, che sembra alato.
DORICLEA
Come s'appella?
SABARI
Amo...
DORICLEA
Come?
SABARI
Fugga il timore.
Si chiama l'empio, e lo spietato amore
DORICLEA
Me n'avvidi ben io, che tu scherzavi.
Ami tu dunque?
SABARI
Adoro Doriclea.
DORICLEA
E qual è la tua dèa?
SABARI
Tu.
DORICLEA
Chi?
SABARI
Tu vuoi sapere
troppo dei miei dolori,
dei miei cocenti ardori.
DORICLEA
Dillo, dillo, chi fu?
SABARI
T'adirerai s'io il dico?
DORICLEA
No, no.
SABARI
Tu.
DORICLEA
Chi?
SABARI
Tu l'amata mia conosci, ed ami.
DORICLEA
È parta, oppure armena?
SABARI
Tu quella sei, che m'ardi
co' raggi de' tuoi lumi,
mia reina, mia diva, e mi consumi:
so, che da te...
DORICLEA
Concentra
nel più cupo del seno
sì temerarie voci
vilissimo plebeo,
di cento morti reo:
scellerato, ben hai
l'infame spirto a par del volto adusto,
se mai più tant'ardisci
spegnerai col sangue il foco osceno,
ed ogni accento ti sarà mortale
perfidissimo servo, e disleale.
Sabari.
Perfidissimo servo, e disleale?
Geli, geli il tuo petto
amante vilipeso, e disprezzato
di questa dispietata al sen gelato,
spezzisi il laccio indegno,
d'amor trionfi in questo cor lo sdegno.
Dal seme omai dell'ira
l'odio germoglia, e nasce,
e di già fiamme ei spira,
divenuto gigante entro le fasce.
Ingrata io t'aborrisco,
e d'averti adorata io inorridisco.
Altro cortile del palazzo supremo d'Artassata.
Melloe.
Voglio provar anch'io, che cosa è amor,
ogni donzella
sciocca m'appella,
perch'a un sembiante
di vago amante
mai diedi il cor.
Voglio provar anch'io, che cosa è amor.
Ciascuna ama mi dice, amare io vo'.
Voglio, che sia
l'anima mia,
il mio diletto
un giovanetto,
che sceglierò.
Ciascuna ama mi dice, amare io vo'.
Su su mio core amiamo, e che sarà?
Se quest'amore
apportatore
è di piacere
tra gioie vere
si goderà.
Su su mio core amiamo, e che sarà?
A scherzi lascivetti, alle lusinghe
del vago Ciro, e della bella Eurinda
ohimè, ch'il sangue mi s'accende, e bolle:
o quattro volte folle
chi non prova in amor la sua fortuna,
e del suo dolce vuol morir digiuna;
più pazzo io non sarò,
amare, amare, io vo'.
Orindo, Melloe.
ORINDO
Cupido
infido
il mio piè
giammai te
seguirà:
non vo' penare,
voglio godere,
vuo' trar piacere
senza adorare,
superba beltà.
Cupido
infido
il mio piè
giammai te
seguirà.
MELLOE
Che mai ti fece amore,
che così lo disprezzi?
Orindo tu vaneggi,
egli è un dio, che punisce,
chi l'offende, e schernisce.
ORINDO
Egl'è, quasi, che 'l dissi:
odi, non temo lui,
né quanti eguali sui
tormentano i dannati entro gli abissi.
MELLOE
Vo' scherzar con costui:
se d'amor tu non fossi
nemico così fiero
vorrei donarti il core intero, intero.
ORINDO
Melloe questo consiglio
prendi un poco da me,
non dar ad altri il cor, tienlo per te:
si può bene gioir col core in petto,
senza farci d'amor schiavi penanti,
godendo, e non amando. O Melloe mia
non mentirei se ti dicessi, che
tutte, tutte così
fanno le donne grandi d'oggidì.
MELLOE
Cotesto suo pensiero
non mi dispiace invero.
ORINDO
Vedi, se noi felici esser vogliamo
godiamci, e non ci amiamo,
tra noi non sia
mai gelosia,
s'altri ti piacerà,
l'accoglierai
come vorrai,
s'altra m'alletterà
senza alcuna tua doglia
appagherò mia voglia:
questo sarà
senza tormenti
vero piacer,
senza lamenti
vero goder.
MELLOE
Non voglio amar da fiera,
vo' ritrovar amante
nell'affetto costante.
ORINDO
E poi tradirlo tu
com'ha fatto Farnace Eurinda infida.
Mentecatto colui, ch'in voi si fida.
MELLOE
Che sa costui d'Eurinda?
Che parli? Che vaneggi?
ORINDO
O fai la semplicetta,
parlo, parlo d'Eurinda,
che di Ciro s'accese,
non t'arrossir, che 'l tutto è a me palese.
MELLOE
Come sai tu di quest'amori?
ORINDO
Il tutto
udii nascosto, e intesi.
Ma dimmi l'ama Ciro?
MELLOE
Più che le sue pupille.
ORINDO
O scellerato.
MELLOE
E chi vuoi tu, che non amasse, o stolto,
principessa sì grande, e così bella?
Ella, ma te lo dico
Orindo in segretezza, ogni momento
se lo vorrebbe accanto, ed or m'invia
a ritrovarlo, e ricondurlo a lei.
ORINDO
Libidine insaziabile ha costei.
MELLOE
Ti lascio Orindo, il cavaliero io miro,
taci ti prego, aspetta Ciro, o Ciro.
Orindo.
Chi tradisce Farnace
ne' tradimenti suoi cada tradito,
voglio far le vendette
del mio signor sprezzato,
pera Eurinda incostante, e Ciro ingrato:
or che Melloe costoro insieme aduna
ad accusarli al re vo' gir veloce,
farò, ch'ei li ritrovi in sugl'amori,
su su paghino il fio de' loro errori.
Farnace, Tigrane.
FARNACE
Quivi alloggiando il re, saranno ancora
Sabari, e Doriclea, ma che sospiri?
TIGRANE
Il mio regno, ch'è servo
e ch'invan...
FARNACE
Taci, il loco
le tue querele a raffrenar t'invita,
siamo tra parti, o quanto errasti, o quanto
a venir tra perigli,
da mal cauti consigli
nasce sovente il precipizio, il pianto:
se alcun ti ravvisasse, e che sarebbe?
Qual umano poter da ceppi indegni,
dimmi, ti salverebbe?
TIGRANE
Chi vuoi tu mai, che raffiguri, e noti
fra tante squadre, e tante
sotto partiche spoglie, il mio sembiante?
Nell'Iberia io potea
attender Doriclea,
da te condotta, è ver, ma non avrei
mai potuto soffrir tanta dimora,
bramo sì di mirar l'amata moglie,
ch'ogni timor l'alto desio discioglie.
FARNACE
Tu qui m'attendi, io salirò il palazzo
per ritrovare, o la reina, o 'l moro.
TIGRANE
Precipita gl'indugi,
va' tosto, e tosto riedi.
Ma s'ella fosse estinta
colpa di tua fierezza
o crudel, che farai?
Ombra fra l'ombre di seguir tu l'hai.
Sabari, Tigrane.
SABARI
La superba bellezza,
che sdegnò le mie fiamme
vedrà quanto potranno
in alma delicata i suoi disprezzi,
odio non è maggiore
di quel che nasce da un corrotto amore.
TIGRANE
Ecco l'arabo, il nero
di Doriclea custode.
Sabari?
SABARI
Chi sei tu? Non mi sovviene
d'averti mai veduto.
TIGRANE
Vive la mia consorte? Io son Tigrane.
SABARI
O signor? Vive, ma qual nume avverso
ti fa errar fra nemici?
Sovrasta ogni sciagura agl'infelici.
TIGRANE
Per condur Doriclea
nell'Iberia qui vengo; or dimmi è stata
sotto manto viril sempre celata?
SABARI
Di questa sconoscente
vendicar mi vogl'io, già che le trecce
l'occasion mi porge.
Amor la fece nota, ohimè, che dissi?
TIGRANE
Amor la fece nota? ohimè ch'intesi,
e a chi la discoprì? rispondi, o dio.
SABARI
Troppo, troppo ho dett'io.
TIGRANE
Col tacer tu m'uccidi, e che fia mai?
SABARI
O Giuno, o dèi, ch'a talami assistete
dell'opre mie voi testimoni invoco,
voi dite a questo re, se gl'imenei
casti gli riserbai fin che potei.
TIGRANE
Che Sabari?
SABARI
Le leggi maritali
sprezzò la tua reina.
TIGRANE
Ohimè che narri?
SABARI
E le notti festosa
tragge con Artabano amante amata.
TIGRANE
Oh Doriclea spietata.
Cieco furor mi ti consacro, e dono:
la mia caduta opprima,
o l'adultera moglie, o il re lascivo,
aborro d'esser vivo:
ascenderò il palazzo, ed a dispetto
delle guardie reali,
chi l'onor mi trafisse, e deturpò
con ferite mortali ucciderò;
di lui privo Tigrane io più non sono.
Cieco furor mi ti consacro, e dono.
Sabari.
O Sabari, o Sabari
ora d'inferno con qual opre oscuri
i scorsi lustri tuoi limpidi, e chiari?
Lasso che fei? che dissi?
Profondatemi abissi.
Quale tragedia fiera
rimirerà per mia cagione il mondo?
In qual loco m'ascondo
alla spada d'Astrea giusta, e severa?
Lasso, che fei? Che dissi?
Profondatemi abissi.
Stanze reali.
Doriclea, Melloe, Eurinda.
DORICLEA
Per non sembrar scortese
convien al mesto addolorato core
mentir piaga d'amore.
MELLOE
Poiché v'ho unito amanti
lieti scherzate, io parto,
non vo', ch'i vostri vezzi
destino in me prorito, e pizzicore
giacché non ho amatore,
che mp'abbracci, e accarezzi;
ma giurai ben al cielo
di non esser più stolta,
voglio anch'io dentro un seno esser accolta.
Eurinda, Doriclea.
EURINDA
Ben mio?
DORICLEA
Mio cor?
EURINDA
Lontano
sempre da me dimori?
Vuoi tu forse ch'Eurinda
provi sferza crudel de' tuoi rigori?
DORICLEA
T'amo più, che me stesso,
e bramo eternamente esserti appresso.
EURINDA
O fortunata amante
se ti dettasse amore
note sì dolci al mio languente core.
DORICLEA
Che temi tu mia vita
esser da me schernita?
Paventi, ch'il mio foco
anima mia sia finto?
Ah vezzosetta io son purtroppo avvinto,
e chi m'avvinse in testimonio invoco:
chiedilo a tue bellezze
se puote Ciro simular l'ardore,
con il loro splendore
m'hanno abbagliato sì, ch'altre vaghezze
rimirar non poss'io
fuor che le tue divine, idolo mio.
EURINDA
Se tu m'ami io t'adoro.
DORICLEA
Se per me vivi o bella, io per te moro.
EURINDA
Dimmi, ma dimmi il ver caroil mio Ciro,
gl'occhi tuoi mi feriro,
fosti coreo degli misfatti loro?
DORICLEA
Sì, fui, negar no 'l voglio o mio tesoro.
EURINDA
Dunque, per penitenza
delle tue colpe, bacia a me la bocca,
i baci accoglierà l'anima amante,
e l'alma, conosciuto il lor valore,
gl'apporterà per medicina al core.
DORICLEA
S'altro non vuoi, che baci,
farò de' baci i tuoi desir satolli,
ma come i brami tu languidi, e molli,
oppur fieri, e mordaci?
Vuoi tu, che neghittosa
stia la lingua amorosa,
o la desii nella tua bocca bella
tutta ristretta in sé, guizzante, e snella?
EURINDA
Ohimè quanti ne sai?
E dove, e dove gl'apprendesti mai?
DORICLEA
Nella scola d'Amore,
da un labbro precettore.
EURINDA
De' più dolci vorrei,
io lascio a te baciare,
me li saprai ben dare.
DORICLEA
Proviamli tutti ad uno, ad uno, ma
dopo il bacio amor mio, che si farà?
EURINDA
Ritorneremo a i baci, insin ch'i sensi
potranno in lor capir tanta dolcezza.
DORICLEA
Bacisi, come vuoi,
io per me bacerei:
o vaga Eurinda, o idolatrato nume
con diletto maggiore entro le piume.
Orindo, Artabano, Eurinda, Doriclea.
ORINDO
Ecco i drudi sfacciati.
ARTABANO
Ah femmina lasciva,
disonesta donzella, indegna donna
d'esser nata reina, e d'esser viva,
così tu gli avi imiti?
O pur così procura
d'incenerir, malvagia, i lor trofei
l'impudico tu' amor con fiamma impura?
Io, che predo la gloria ho per sorella
una, che dell'infamia è fatta preda?
O del sangue d'Arsace empia rubella.
Tigrane, Doriclea, Eurinda, Artabano, Orindo.
TIGRANE
Chi mi tolse l'onor lasci la vita.
DORICLEA
Fermati traditor, fermati.
EURINDA
O dèi.
ARTABANO
Quai congiure son queste? Egli è de' miei.
TIGRANE
Ah fera, ah furia, ah mostro orrendo, e immondo.
Omai di tue lascivie è pieno il mondo.
DORICLEA
Ohimè sei tu signore?
TIGRANE
Purtroppo io son quel misero, tradito
dalla tua fede ingannatrice, e rea,
perfida Doriclea.
DORICLEA
Io perfida Tigrane?
ARTABANO
Ch'ascolto?
EURINDA
Meraviglie.
ARTABANO
Quest'è Tigrane, e Ciro è Doriclea?
ORINDO
Oh che prodigi, in femine
si tramutano gl'uomini?
TIGRANE
A me son note le tue colpe impure,
né le puoi tu negar, che la difesa
del tuo vago or le scopre, e le palesa.
DORICLEA
A così enormi accuse,
gela il sangue repente,
e impetra il cor pudico, ed innocente.
ARTABANO
O casi.
EURINDA
Amor crudele
così tu mi schernisci,
così tu mi ferisci?
TIGRANE
Ecco donna infedele
dell'adultero tuo, del tuo nemico
prigioniero il marito,
trionfa, e godi.
DORICLEA
O cieli. Odi Tigrane.
TIGRANE
Ammutisci malvagia.
So che per goder tra delizie, e paci
l'amante usurpator del regno mio
vorrai ch'io mora.
DORICLEA
Ah taci.
TIGRANE
Ammutisci malvagia.
Ma spirto errante, e crudo
con le ceraste, e con le tede ardenti
t'agiterò tra gl'impudichi amori,
e con larve, ed orrori
io renderò funesti i tuoi contenti.
DORICLEA
Che parli, ohimè che parli?
TIGRANE
Ammutisci malvagia.
E tu crudo tiranno,
vile servo de' sensi, e non signore,
con l'Armenia mi togli anco l'onore?
ARTABANO
Tra le miserie sue costui delira:
conducetelo altrove, e custodito
sia con occhiuta guardia dentro il palazzo.
O fortuna, fortuna
sono i tuoi studi egregi
alzar gli umili, e calpestar i regi.
TIGRANE
Vado perversa, vado
ai ferri, ed alla morte,
la giustizia del ciel vendicatrice
sarà un dì de' miei torti: o traditrice.
Doriclea, Eurinda.
DORICLEA
Nelle vene gelate
disciolgasi l'umor, voci gridate,
Tigrane in che peccai?
Dell'innocenza mia senti le grida:
io ti fui sempre fida,
sempre te solo amai,
Tigrane in che peccai?
Amerà prima la natura il vuoto,
pria delle sfere arresterassi il moto,
che rea di colpe tali io sia giammai.
Tigrane in che peccai?
EURINDA
La prudenza raffreni
valorosa reina il tuo cordoglio.
DORICLEA
Non ti conobbi no
nell'abito mentito
dolcissimo marito,
errò la mano, e lei l'occhio ingannò;
uno spirto, nemico
di tradizion, la spinse,
oh dio, contro di te
a difesa del re:
d'accusarmi nocente
di lascivi delitti
con fallaci argomenti
ragion, ragion non hai.
Tigrane in che peccai?
Eurinda.
Cupido traditore
così ingannasti un core?
Con qual arti novelle
di crudeltà
la libertà usurpi alle donzelle?
Riedo al nodo mio primiero,
lascio l'ombra, e seguo il vero.
Potea chieder ben io
mercede all'idol mio.
Stille abbondanti, e pronte
di dolce umor
per il mio ardor
sperai d'arida fonte.
Riedo al nodo mio primiero
lascio l'ombra, e seguo il vero.
Farnace, Eurinda.
FARNACE
Sventurato Tigrane,
d'una volubil dèa
miserabile esempio; i tuoi natali
miraro, credo, ne' più crudeli aspetti,
Marte, o Saturno apportator de' mali.
EURINDA
Farnace?
FARNACE
Eurinda?
EURINDA
E dove,
per qual cagion da me volgesti il piede?
FARNACE
Perché dalla tua fede
leggera, ed incostante
foss'io deluso, o stolto
chi mai crede, che sia femmina amante.
EURINDA
Ohimè ch'ascolti Eurinda,
chi t'adora infedele?
Estinta tu mi vuoi, crudel, crudele.
FARNACE
Noti, qui giunto appena,
gl'amori tuoi mi furo:
or del tuo Ciro amato
la strana metamorfosi sospiri,
e con amore ingannator t'adiri.
EURINDA
Amai con puro affetto,
come della tua stirpe, il finto Ciro,
ma che? d'altra invaghito,
di lasciarmi son questi
mendicati pretesti:
segui pur discortese
bellezza più gradita,
ch'io non estinguerò giammai l'ardore,
t'amerò più che mai, benché tradita.
FARNACE
Deh rasserena il ciglio,
non versar più ti prego
sopra l'anima mia calde rugiade,
ch'io seguace fia mai d'altra beltade?
Pria dall'artico polo
lungi s'aggirerà la calamita,
ch'io per altra te lasci o cara vita.
EURINDA
Perché mi strazi tu di gelosie
con sospetti mendaci?
FARNACE
Perché fervide troppo
avventa nel mio petto Amor le faci.
Sei più meco adirata?
EURINDA
Mi credi tu innocente?
FARNACE
Sì volto idolatrato.
EURINDA
Io son placata.
EURINDA E FARNACE
No, no più nostri diletti
amareggia gelosia.
Bella fiamma tu sei mia,
dolce foco mio tu sei,
tu m'avvivi, tu mi bei.
Appartamenti d'Artabano.
Artabano, Surena, Messo.
ARTABANO
O donna gloriosa.
SURENA
Chi avrebbe mai creduto in sesso imbelle
tant'ardir, cor sì fiero,
spirito sì guerriero.
MESSO
Sire, le porte ferree, all'improvviso
sforzate, e prese, ambe le Medie inonda
lo scita audace; oh quante schiere, oh quante
quell'oste in sé contiene,
i tumidi torrenti, e le lor vene
non hanno alla sua sete umor bastante:
il barbaro inumano
ciò, che la spada sua svenar non puote
sacrifica a Vulcano;
e se tu non reprimi
con l'armi tue famose, e fortunate,
l'ardir suo temerario, in breve tutte
vedrai quelle province arse, e distrutte.
ARTABANO
Per adornar lo scita
le nostre tempie di novelli allori
suscita risse, e semina rumori:
ah ch'alle sue ruine egli m'invita,
voglio, che corra sangue
la Volga, il Tanai, il Boristene algente,
e vo' di questa gente
drizzar alti trofei
sin sui monti Iperborei, e sui Rifei.
Surena udisti, a noi partir conviene
dalle regioni armene,
or con quai mezzi, questo novo regno
dalla forza domato,
ch'ancor dalla sue piaghe
distilla il sangue, conservar poss'io
sotto l'impero mio?
SURENA
D'Armenia i capi alteri,
ch'indurre a ribellion posson l'insana,
e volubile plebe
tosto insieme raduna, e li recidi
da busti lor, e il re prigione uccidi.
ARTABANO
Empi consigli. E i dèi?
SURENA
Quando hai del ciel rispetto
puoi deporre lo scettro, e terminare
di dar leggi alla Partia, e di regnare.
Ciò mi fa dir, signore,
della grandezza tua zelo, ed amore.
ARTABANO
Politica sì barbara, e sì fiera
i miei regi antenati
non mi lasciar col regno,
chi con tal arte impera
è di corona indegno.
Tigrane, e Doriclea sian qui condotti.
SURENA
Ad obbedirti io vado.
Artabano, Farnace.
ARTABANO
Quel re, che non imita
nella clemenza Giove,
qual sì prodigo piove
all'ingrato mortale i suoi tesori
non è re, ma tiranno,
degno, ch'i giusti, e vindici rigori
l'alta divinità drizzi a suo danno.
FARNACE
Artabano, pietade
d'un povero geloso,
te la chiede Farnace.
ARTABANO
Se disposto foss'io
di castigar Tigrane, a tue richieste
principe illustre io diverrei pietoso,
ma non ho cor sì di fierezza cinto,
ch'offender possa un infelice, un vinto.
FARNACE
Generose parole.
Ben a ragion si spande
del tuo nome la fama altera, e grande,
ovunque bagna il mare, e splende il sole.
Surena, Artabano, Tigrane, Farnace.
SURENA
Or, or sarà qui la guerriera addotta.
ARTABANO
Tigrane a chi s'umilia io lascio i regni,
ma chi a resister dall'audacia è spinto
desta a' suoi precipizi i miei disdegni:
tale tu fosti, e tale,
delle sciagure immerso insino al fondo,
e vinto, e prigionier ti mira il mondo.
Ora contro di te rigidamente
le tante mie vittorie usar potrei,
ma in questo petto annido alma indulgente,
intenta sempre a sollevar quei stessi,
che giustamente ha la mia destra oppressi;
bastami averti doma
l'alterezza natia.
All'Armenia ti dono, ella tua sia.
TIGRANE
No, no, possiedi pure
ciò che ragion di guerra a te concede;
a' doni riconosco il donatore:
non vo', che intercessore
sia stato di Tigrane,
a mieter glorie avvezzo,
della moglie impudica un bacio, un vezzo.
FARNACE
Quanto la gelosia puote in un petto.
ARTABANO
Io giuro a quel tonante,
ch'ode le nostre voci
sin dal superno giro,
che mai per Doriclea conobbi Ciro.
TIGRANE
Agl'amanti spergiuri il ciel perdona,
io non vo' sulle chiome
vergognosa corona.
SURENA
Testimonio son io del regio detto.
TIGRANE
Testimoni nemici io non accetto.
Sabari, Farnace, Artabano, Tigrane, Surena.
SABARI
Parti degl'odi miei
furo i finti adulteri;
or gl'impressi pensieri
cancella dalla mente,
è la tua Doriclea casta, e innocente;
io sono un traditore,
ma se seppi tradire,
pentito dell'errore
saprò con questo ferro anco morire.
FARNACE
Fermati scellerato,
supplicio più crudel mertan tue frodi.
ARTABANO
Che t'indusse a formar queste menzogne?
SABARI
Contro di lei concetto ingiusto sdegno.
TIGRANE
O perfido Sabari, originaro
quasi i tuoi tradimenti
calamitosi, e tragici accidenti.
ARTABANO
Le memorie infelici
si profondino in Lete, or siamo amici.
TIGRANE
Giove mi dia talento,
giacché per tua mercede al regno io torno,
che possa oprar per te gran cose un giorno.
SURENA
Se ne vien Doriclea.
Tigrane, Doriclea, Artabano, Farnace, Eurinda, Sabari, Surena.
TIGRANE
Innocente mia bella
perdono, io t'oltraggiai,
errai tradito, errai
a creder macchia impura in una stella.
DORICLEA
Avrebbe ucciso il core
la destra avvezza ad onorate imprese,
s'ad un impudico amore
avesse dato il traditor ricetto,
se fosse stato infetto
d'amoroso veleno il sangue mio,
disserrate le vene
l'avrei mandato fuori in largo rio.
Troppo credulo sei Tigrane amato.
TIGRANE
Io sono innamorato.
ARTABANO
Bellicosa reina
ti concedo il tuo caro,
e a lui libero lascio io soglio armeno,
omai sotto il sereno
d'un pacifico cielo
regnate, e non temete
mai di nemiche offese,
sempre a vostre difese
l'invitta mia fortuna, e l'armi avrete.
DORICLEA E TIGRANE
Vivremo noi
sotto gl'auspici
di te, felici.
ARTABANO
Valoroso Farnace
premio de' merti tuoi
ora divenga, e sia
la progenie d'Arsace, Eurinda mia,
se per l'aureo mio trono
il tuo sangue versasti, il mio ti dono.
FARNACE
Fortunato marito,
non potea darmi il cielo
imeneo di più pregio, e più gradito.
TIGRANE
Fra cotante allegrezze
non siam di grazie avari,
alle tue colpe perdoniam, Sabari.
SABARI
I falli, i falli miei sol degni sono
di trovar inclemenza, e non perdono.
EURINDA
Doriclea? Doriclea?
Misera me, se povera d'amori
altr'amante, che Ciro io non avea.
DORICLEA
Forse Eurinda in un letto
ti avrebbe dato Ciro anco diletto.
EURINDA E FARNACE
Nel mare d'amore
al porto approdiamo,
festosi godiamo.
DORICLEA E TIGRANE
Cessati i martiri
torniamo a' riposi,
a' scherzi amorosi.
EURINDA E FARNACE, DORICLEA E TIGRANE
Il riso al pianto,
al duolo il canto,
la luce all'ombra succede alfin,
si cangia, e muta insino il destin.
Varie prospettive di villaggi e di cittadi armene.
Venere, coro d'Amori, la Pace.
VENERE
Non più d'asta la man, d'usbergo il petto,
non più d'elmo le tempie arminsi amori,
non più Marte prepari i suoi furori,
gode la libertà chi fu soggetto.
Impensati accidenti, e fortunati
sciolti i nodi servili hanno agl'armeni,
torni la stella mia d'oro a' baleni,
e ad influire i suoi tesori usati.
CORO
Alle faci, agli strali,
non più contro mortali
s'adopri spada, e scudo,
ciascun ritorni ignudo.
Agli strali, agl'ardori,
al ferire de' cori.
VENERE
Tu, che fecondi i desolati campi,
tu, ch'apporti ogni bene ove t'annidi
scendi su questi armeni, amici lidi,
da cui fuggisti al suon dell'armi, a' lampi,
che noi per gire da quet'aere al polo
de' nostri cigni ora spieghiamo il volo.
LA PACE
Alla discesa mia
da questi climi armeni
il ciel si rassereni,
tornin fertili, amene
dal foco della guerra
l'incenerite arene,
si rallegri la terra.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 28/04/2018
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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