Atto terzo

 

Scena prima

Porto di mare con navi per l'imbarco d'Enea.
Enea e i suoi.

Bozzetti

 Q 

Enea, troiani

 

ENEA

Compagni invitti a tollerare avvezzi  

e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,

destate il vostro ardire,

che per l'onda infedele

è tempo già di rispiegar le vele.

Quegli stessi voi siete

che intrepidi varcaste il mar sicano.

Per voi sdegnate invano

di Cariddi e di Scilla

fra' vortici sonori

tutti adunò Nettuno i suoi furori.

Per sì strane vicende

all'impero latino il ciel ne guida.

Andiamo amici, andiamo.

Ai troiani navigli

fremano pur venti e procelle intorno,

saran glorie i perigli;

e dolce fa di rammentarli un giorno.

 
Al suono di vari strumenti segue l'imbarco e nell'atto che Enea sta per salir su la nave, esce.
 

Scena seconda

Iarba con séguito de' Mori e detti.

<- Iarba, mori

 

IARBA

Dove rivolge dove  

quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?

Vuol portar guerra altrove

o da me col fuggir cerca lo scampo?

ENEA

Ecco un novello inciampo.

IARBA

Fuggi, fuggi se vuoi,

ma non lagnarti poi

se della fuga tua Iarba si ride.

ENEA

Non irritar superbo

la sofferenza mia.

IARBA

Parmi però che sia

viltà, non sofferenza il tuo ritegno.

Per un momento il legno

può rimaner sul lido,

vieni, s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.

ENEA

Vengo.

(alle sue genti)

Restate, amici,

che ad abbassar quel temerario orgoglio

altri che il mio valor meco non voglio.

Eccomi a te. Che pensi?

IARBA

Penso che all'ira mia

la tua morte sarà poca vendetta.

ENEA

Per ora a contrastarmi

non fai poco se pensi. All'armi.

IARBA

All'armi.

Mentre si battono, e Iarba va cedendo, i suoi Mori vengono in aiuto di lui e assalgono Enea.

ENEA

Venga tutto il tuo regno.

IARBA

Difenditi, se puoi.

ENEA

Non temo indegno.

 
I Compagni d'Enea in aiuto di lui scendono dalle navi ed attaccano i Mori.

Enea, Iarba ->

mori, troiani ->

<- Enea, Iarba

Enea e Iarba combattendo entrano.
Segue zuffa fra i Troiani e i Mori. I Mori fuggono e gli altri li seguono.
Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba.
 

ENEA

Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi  

o trafiggo quel core.

IARBA

Invan lo chiedi.

ENEA

Se al vincitor sdegnato

non domandi pietà...

IARBA

Segui il tuo fato.

ENEA

Sì, mori... Ma che fo? Vivi, non voglio

nel tuo sangue infedele

quest'acciaro macchiar.

(lascia Iarba il quale sorge)

IARBA

Sorte crudele!

 

ENEA

Vivi superbo e regna.  

Regna per gloria mia,

vivi per tuo rossor.

E la tua pena sia

il rammentar che in dono

ti diè la vita e il trono

pietoso il vincitor.

(parte)

Enea ->

 

Scena terza

Iarba.

 

 

Ed io son vinto ed io soffro una vita  

che d'un vile stranier due volte è dono!

No. Vendetta vendetta, e se non posso

nel sangue d'un rivale tutto estinguer lo sdegno,

opprimerà la mia caduta un regno.

 

Su la pendice alpina  

dura la quercia antica

e la stagion nemica

per lei fatal non è:

ma quando poi ruina

di mille etadi a fronte,

gran parte fa del monte

precipitar con sé.

(parte)

Sfondo schermo () ()

 
 

Scena quarta

Arborata tra la città e il porto.
Araspe ed Osmida.

 Q 

Araspe, Osmida

 

OSMIDA

Già di Iarba in difesa  

lo stuol de' Mori a queste mura è giunto.

ARASPE

M'è noto.

OSMIDA

Ad ogni impresa

al vostro avrete il mio valor congiunto.

ARASPE

Troppa follia sarebbe

fidarsi di te.

OSMIDA

Per qual cagione?

ARASPE

Un core

non può serbar mai fede

se una volta a tradir perdé l'orrore.

OSMIDA

A ragione infedele

con Didone son io. Così punisco

l'ingiustizia di lei che mai non diede

un premio alla mia fede

ARASPE

È arbitrio di chi regna,

non è debito il premio. E quando ancora

fosse dovuto a cento imprese e cento

non v'è torto che scusi un tradimento.

OSMIDA

Chi nutrisce di questa

rigorosa virtude i suoi pensieri

la sua sorte ingrandir giammai non speri.

ARASPE

Se produce rimorso

anche un regno è sventura. A te dovrebbe

la gloria esser gradita

di vassallo fedel, più che la vita.

OSMIDA

Questi dogmi severi

serba Araspe per te. Prendersi tanta

cura dell'opre altrui non è parmesso.

Non fa poco chi sol pensa a sé stesso.

 

Scena quinta

Selene e detti.

<- Selene

 

SELENE

Partì da' nostri lidi  

Enea? Che fa? Dov'è?

OSMIDA

No 'l so.

ARASPE

No 'l vidi.

SELENE

Oh dio! Che più ci resta

se lontano da noi la sorte il guida?

ARASPE

È teco Araspe.

OSMIDA

E ti difende Osmida.

SELENE

Pria che manchi ogni spene

vado in traccia di lui.

(in atto di partire)

OSMIDA

Ferma Selene.

Se non gli sei ritegno

più pace avranno e la regina e il regno.

SELENE

Intendo i detti tuoi.

So perché lungi il vuoi.

ARASPE
(a Selene)

Con troppo affanno

di arrestarlo tu brami.

Perdona l'ardir mio, temo che l'ami.

SELENE

Se a te della germana

fosse noto il dolore

la mia pietà non chiameresti amore.

OSMIDA
(a Selene)

Tanta pietà per altri a te che giova?

Ad un cor generoso

qualche volta è viltà l'esser pietoso.

SELENE

Sensi d'alma crudel!

 

Scena sesta

Iarba frettoloso, con Guardie, e detto.

<- Iarba, guardie, alcuni mori

 

IARBA

Non son contento  

se non trafiggo Enea.

SELENE

(Numi, che sento!)

ARASPE

Mio re qual nuovo affanno

t'ha così di furor l'anima accesa?

IARBA

Pria saprai la vendetta e poi l'offesa.

SELENE

(Che mai sarà?)

OSMIDA
(piano a Iarba)

Signore:

le tue schiere son pronte: è tempo al fine

che vendichi i tuoi torti.

IARBA

Araspe, andiamo.

ARASPE

Io seguo i passi tuoi.

OSMIDA

Deh pensa allora

che vendicato sei,

che la mia fedeltà premiar tu déi.

IARBA

È giusto: anzi preceda

la tua mercede alla vendetta mia.

OSMIDA

Generoso monarca...

IARBA

Olà costui

si disarmi e poi s'uccida.

(alcune delle guardie di Iarba disarmano Osmida)

OSMIDA

Come! Questo ad Osmida?

Qual ingiusto furore...

IARBA

Quest'è il premio dovuto a un traditore.

(parte)

Iarba, guardie ->

 

OSMIDA
(ad Araspe)

Parla amico per me, fa' ch'io non resti  

così vilmente oppresso.

ARASPE

Non fa poco chi sol pensa a sé stesso.

(parte)

Araspe ->

 

OSMIDA

Pietà pietà Selene, ah non lasciarmi  

in sì misero stato e vergognoso.

SELENE

Qualche volta è viltà l'esser pietoso.

(partendo s'incontra in Enea)

 

Scena settima

Enea con Séguito e detti.

<- Enea, troiani

 

ENEA

Principessa ove corri?  

SELENE

A te ne vengo.

ENEA

Vuoi forse... O ciel, che miro!

(vedendo Osmida tra' mori)

OSMIDA

Invitto eroe.

Vedi, all'ira di Iarba...

ENEA

Intendo. Amici

in soccorso di lui l'armi volgete.

 
Alcuni Troiani vanno incontro a' Mori, i quali lasciando Osmida fuggono difendendosi.

alcuni mori ->

 

SELENE

Signor togli un indegno  

a suo giusto castigo.

ENEA

Lo punisca il rimorso.

OSMIDA

(s'inginocchia)

Ah lascia, Enea,

che grato a sì gran don...

ENEA

Sorgi, e parti.

Non odo i detti tuoi.

OSMIDA

Ed a virtù sì rara...

ENEA

Se grato esser mi vuoi,

ad esser fido un'altra volta impara.

 

OSMIDA

Quando l'onda che nasce dal monte  

al suo fonte ritorni dal prato

sarò ingrato a sì bella pietà.

Fia del giorno la notte più chiara,

se a scordarsi quest'anima impara

di quel braccio che vita mi dà.

(parte)

Osmida, troiani ->

 

Scena ottava

Enea e Selene.

 

ENEA

Addio Selene.  

SELENE

Ascolta.

ENEA

Se brami un'altra volta

rammentarmi l'amor t'adopri in vano.

SELENE

Ma che farà Didone?

ENEA

Al partir mio

manca ogni suo periglio.

La mia presenza i suoi nemici irrìta.

Iarba al trono l'invita.

Stenda a Iarba la destra, e si consoli.

(in atto di partire)

SELENE

Senti, se a noi t'involi

non sol Didone, ancor Selene uccidi.

ENEA

Come!

SELENE

Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante

tacqui misera amante

l'amor mio, la mia fede,

ma vicina a morir chiedo mercede.

ENEA

Selene, del tuo foco

non mi parlar né degli affetti altrui.

Non più amante qual fui, guerriero io sono.

Torno al costume antico,

chi trattien le mie glorie è mio nemico.

 

A trionfar mi chiama    

un bel desio d'onore

e già sopra il mio core

comincio a trionfar.

Con generosa brama,

fra i rischi e le ruine

di nuovi allori il crine

io volo a circondar.

(parte)

S

Sfondo schermo () ()

Enea ->

 

Scena nona

Selene.

 

 

Sprezzar la fiamma mia,  

togliere alla mia fede ogni speranza,

esser vanto potria di tua costanza.

Ma se poi non consenti

che scopra i suoi tormenti il core amante,

sei barbaro, Enea, con me non sei costante.

 

Nel duol che prova

l'alma smarrita

non trova aita,

speme non ha.

E pur l'affanno

che mi tormenta

anch'a un tiranno

faria pietà.

(parte)

Selene ->

 
 

Scena decima

Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto, che poi s'incendia.
Didone e poi Osmida.

 Q 

Didone

 

DIDONE

Va crescendo il mio tormento,  

io lo sento e non l'intendo:

giusti dèi, che mai sarà?

 

<- Osmida

OSMIDA

Deh regina, pietà!  

DIDONE

Che rechi, amico?

OSMIDA

Ah no, così bel nome

non merta un traditore

d'Enea, di te nemico e del tuo amore.

DIDONE

Come!

OSMIDA

Con la speranza

di posseder Cartago,

Iarba mi fece suo; poi colla morte

i tradimenti miei punir volea,

ma dono è il viver mio del grand'Enea.

DIDONE

Reo di tanto delitto hai fronte ancora

di presentarti a me?

OSMIDA

(s'inginocchia)

Sì mia regina.

Tu vedi un infelice

che non spera il perdono e no 'l desia,

chiedo a te per pietà la pena mia.

DIDONE

Sorgi. Quante sventure!

Misera me, sotto qual astro io nacqui!

Manca ne' miei più fidi...

 

Scena undicesima

Selene e detti.

<- Selene

 

SELENE

Oh dio germana!  

Alfine Enea...

DIDONE

Partì?

SELENE

No, ma fra poco

le vele scioglierà da' nostri lidi.

Or ora io stessa il vidi

verso i legni fugaci

sollecito condurre i suoi seguaci.

DIDONE

Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dèi!

Un esule infelice...

un mendìco stranier... Ditemi voi

se più barbaro cor vedeste mai?

E tu cruda Selene

partir lo vedi ed arrestar no 'l sai?

SELENE

Fu vana ogni mia cura.

DIDONE

Vanne Osmida e procura

che resti Enea per un momento solo,

m'ascolti e parta.

OSMIDA

Ad ubbidirti io volo.

(parte)

Osmida ->

 

Scena dodicesima

Didone e Selene.

 

SELENE

Ah non fidarti. Osmida  

tu non conosci ancor.

DIDONE

Lo so pur troppo.

A questo eccesso è giunta

la mia sorte tiranna:

deggio chiedere aita a chi m'inganna.

SELENE

Non hai fuor che in te stessa altra speranza.

Vanne a lui, prega e piangi;

chi sa, forse potrai vincer quel core.

DIDONE

Alle preghiere, ai pianti

Dido scender dovrà! Dido che seppe

dalle sidonie rive

correr dell'onde a cimentar lo sdegno,

altro clima cercando ed altro regno!

Son io, son quella ancora,

che di nuove cittadi Africa ornai,

che il mio fasto serbai

fra l'insidie, fra l'armi e fra i perigli,

ed a tanta viltà tu mi consigli?

SELENE

O scordati il tuo grado,

o abbandona ogni speme;

amore e maestà non vanno insieme.

 

Scena tredicesima

Si incominciano a veder fiamme in lontananza su gli edifizi di Cartagine.
Araspe e dette.

<- Araspe

 

DIDONE

Araspe in queste soglie!  

ARASPE

A te ne vengo

pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato

di Cartagine i tetti arde e ruina.

Vedi, vedi o regina,

le fiamme, che lontane agita il vento.

Se tardi un sol momento

a placare il suo sdegno

un sol giorno ti toglie e vita e regno.

DIDONE

Restano più disastri

per rendermi infelice!

SELENE

Infausto giorno!

 

Scena quattordicesima

Osmida e detti.

<- Osmida

 

DIDONE

Osmida.  

OSMIDA

Arde d'intorno...

DIDONE

Lo so. D'Enea ti chiedo.

Che ottenesti da Enea?

OSMIDA

Partì l'ingrato.

Già lontano è dal porto; io giunsi appena

a ravvisar le fuggitive antenne.

DIDONE

Ah stolta! io stessa, io sono

complice di sua fuga. Al primo istante

arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida,

corri, vola sul lido, aduna insieme

armi, navi, guerrieri.

Raggiungi l'infedele,

lacera i lini suoi, sommergi i legni,

portami fra catene

quel traditore avvinto.

E se vivo non puoi, portalo estinto.

OSMIDA

Tu pensi a vendicarti e cresce intanto

la sollecita fiamma.

DIDONE

È ver, corriamo.

Io voglio... Ah no... Restate...

Ma la vostra dimora...

Io mi confondo... E non partisti ancora?

OSMIDA

Eseguisco i tuoi cenni.

(parte)

Osmida ->

 

Scena quindicesima

Didone, Selene e Araspe.

 

ARASPE

Al tuo periglio  

pensa o Didone.

SELENE

E pensa

a ripararne il danno.

DIDONE

Non fo poco s'io vivo in tanto affanno.

Va' tu cara Selene,

provvedi, ordina, assisti in vece mia.

Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono.

SELENE

Ah che di te più sconsolata io sono!

(parte)

Selene ->

 

Scena sedicesima

Didone e Araspe.

 

ARASPE

E tu qui resti ancor? Né ti spaventa  

l'incendio che s'avanza?

DIDONE

Ho persa ogni speranza,

non conosco timor. Ne' petti umani

il timore e la speme

nascono in compagnia, muoiono insieme.

ARASPE

Il tuo scampo desio. Vederti esposta

a tal rischio mi spiace.

DIDONE

Araspe per pietà lasciami in pace.

 

ARASPE

Già si desta la tempesta,  

hai nemici i venti e l'onde,

io ti chiamo su le sponde

e tu resti in mezzo al mar.

Ma se vinta alfin tu sei

dal furor de le procelle,

non lagnarti de le stelle,

degli dèi non ti lagnar.

(parte)

Araspe ->

 

Scena diciassettesima

Didone, poi Osmida.

 

DIDONE

I miei casi infelici  

favolose memorie un dì saranno

e forse diverranno

soggetti miserabili e dolenti

alle tragiche scene i miei tormenti.

 

<- Osmida

OSMIDA

È perduta ogni speme.

DIDONE

Così presto ritorni?

OSMIDA

In vano oh dio,

tentai passar dal tuo soggiorno al lido.

Tutta del Moro infido

il minaccioso stuol Cartago inonda.

Fra le strida e i tumulti

agl'insulti degli empii

son le vergini esposte, aperti i templi.

Né più desta pietade

o l'immatura o la cadente etade.

DIDONE

Dunque alla mia ruina

più riparo non v'è?

 
Si comincia a vedere il fuoco nella reggia.
 

Scena diciottesima

Selene e detti.

<- Selene

 

SELENE

Fuggi, o regina.  

Son vinti i tuoi custodi;

non ci resta difesa.

Dalla cittade accesa

passan le fiamme alla tua reggia in seno,

e di fumo e faville è il ciel ripieno.

DIDONE

Andiam, si cerchi altrove

per noi qualche soccorso.

OSMIDA

E come?

SELENE

E dove?

DIDONE

Venite anime imbelli,

se vi manca valore

imparate da me come si muore.

 

Scena diciannovesima

Iarba con Guardie e detti.

<- Iarba, guardie, due comparse

 

IARBA

Fermati.  

DIDONE

(Oh dèi!)

IARBA

Dove così smarrita?

Forse al fedel troiano

corri a stringer la mano?

Va' pure, affretta il piede,

ché al talamo reale ardon le tede.

DIDONE

Lo so, questo è il momento

delle vendette tue. Sfoga il tuo sdegno,

or ch'ogn'altro sostegno il ciel mi fura.

IARBA

Già ti difende Enea, tu sei sicura.

DIDONE

Alfin sarai contento.

Mi volesti infelice, eccomi sola,

tradita, abbandonata,

senz'Enea, senz'amici e senza regno.

Timida mi volesti. Ecco Didone,

già sì fastosa e fiera, a Iarba accanto

alfin discesa alla viltà del pianto.

Vuoi di più? Via crudel passami il core,

è rimedio la morte al mio dolore.

IARBA

(Cedon i sdegni miei.)

SELENE

(Giusti numi pietà.)

OSMIDA

(Soccorso o dèi.)

IARBA

E pur Didone, e pure

sì barbaro non son qual tu mi credi.

Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni.

L'offese io ti perdono,

e mia sposa ti guido al letto e al trono.

DIDONE

Io sposa d'un tiranno,

d'un empio, d'un crudel, d'un traditore,

che non sa che sia fede,

non conosce dover, non cura onore!

S'io fossi così vile,

saria giusto il mio pianto;

no, la disgrazia mia non giunse a tanto.

IARBA

In sì misero stato insulti ancora?

Olà, miei fidi andate,

s'accrescano le fiamme. In un momento

si distrugga Cartago e non vi resti

orma d'abitator che la calpesti.

(partono due comparse)

due comparse ->

SELENE

Pietà del nostro affanno!

IARBA

Or potrai con ragion dirmi tiranno.

 

Cadrà fra poco in cenere  

il tuo nascente impero

e ignota al passeggero

Cartagine sarà.

Se a te del mio perdono

meno è la morte acerba,

non meriti superba

soccorso né pietà.

(parte)

Iarba, guardie ->

 

Scena ventesima

Didone, Selene e Osmida.

 

OSMIDA

Cedi a Iarba o Didone.  

SELENE

Conserva colla tua la nostra vita.

DIDONE

Solo per vendicarmi

del traditore Enea,

ch'è la prima cagion de' mali miei,

l'aure vitali io respirar vorrei.

Ah faccia il vento almeno,

facciano almen gli dèi le mie vendette.

E folgori e saette

e turbini e tempeste

rendano l'aure e l'onde a lui funeste.

Vada ramingo e solo e la sua sorte

così barbara sia

che si riduca ad invidiar la mia.

SELENE

Deh modera il tuo sdegno, anch'io l'adoro

e soffro il mio tormento.

DIDONE

Adori Enea?

SELENE

Sì, ma per tua cagion...

DIDONE

Ah disleale,

tu rivale al mio amor?

SELENE

Se fui rivale

ragion non hai...

DIDONE

Dagli occhi miei t'invola,

non accrescer più pene

ad un cor disperato.

SELENE

(Misera donna ove la guida il fato!)

(parte)

Selene ->

 

Scena ventunesima

Didone e Osmida.

 

OSMIDA

Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?  

DIDONE

Mancano più nemici! Enea mi lascia,

trovo Selene infida,

Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.

Ma che feci empi numi? Io non macchiai

di vittime profane i vostri altari.

Né mai di fiamma impura

feci l'are fumar per vostro scherno.

Dunque perché congiura

tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?

OSMIDA

Ah pensa a te, non irritar gli dèi.

DIDONE

Che dèi? Son nomi vani,

son chimere sognate, o ingiusti sono.

OSMIDA

(Gelo a tanta empietade! E l'abbandono.)

(parte)

Osmida ->

 
Cadono alcune fabbriche, e si vedono crescere le fiamme nella reggia.
 

Scena ventiduesima

Didone sola.

 

 

Ah che dissi, infelice! A qual eccesso    

mi trasse il mio furore.

Oh dio cresce l'orrore! Ovunque io miro

mi vien la morte e lo spavento in faccia:

trema la reggia e di cader minaccia.

Selene, Osmida, ah tutti,

tutti cedeste alla mia sorte infida,

non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.

S

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Fogli partitura

 

Vado... Ma dove?... Oh dio!  

Resto... Ma poi, che fo!

Dunque morir dovrò

senza trovar pietà?

 

 

E v'è tanta viltà nel petto mio?  

No no. Si mora. E l'infedele Enea

abbia nel mio destino

un augurio funesto al suo cammino.

Precipiti Cartago,

arda la reggia e sia

il cenere di lei la tomba mia.

 

Varianti principali dell'atto III

Secondo l'edizione di Parigi del 1780.

 
Finale della scena II.

Enea, Iarba

Enea e Iarba.
 
[...]

ENEA

Se al vincitor sdegnato  

non domandi pietà...

IARBA

Segui il tuo fato.

ENEA

Sì, mori... Ma che fo? No, vivi. In vano

tenti il mio cor con quell'insano orgoglio.

No; la vittoria mia macchiar non voglio.

(parte)

 

IARBA

Son vinto sì, ma non oppresso. Almeno

oggetto all'ire tue, sorte incostante,

Iarba sol non sarà.

 

La caduta d'un regnante  

tutto un regno opprimerà.

(parte)

 
 
Aria di Selene nella scena nona.

Selene

 

SELENE

Io d'amore, oh dio! mi moro,  

e mi niega il mio tiranno

anche il misero ristoro

di lagnarmi e poi morir.

Che costava a quel crudele

l'ascoltar le mie querele,

e donare a tanto affanno

qualche tenero sospir!

(parte)

 
 
Didascalia finale della scena ventiduesima.
 
Dicendo l'ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia: e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo, che si sollevano alla sua caduta.
Nel tempo medesimo su l'ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell'avvicinarsi all'incendio, a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza delle acque. Il furioso alternar dell'onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell'incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de' tuoni, l'interrotto lume de' lampi, e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l'ostinato contrasto dei due nemici elementi.
 
 
Licenza
 
Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l'orrida in lieta sinfonia; e dal seno dell'onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di Nereidi, di Sirene e di Tritoni, comparisce il Nume, che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore:

 Q 

Nettuno, sirene, tritoni, nereidi

 

NETTUNO

Se alla discordia antica  

ritornar gli elementi, astri benigni

del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,

non vi rechi stupor. Di merto eguali,

bella gara d'onor ci fa rivali.

Se l'emulo Vulcano

qui degl'incendi suoi

fa spettacolo a voi, per qual cagione

dovrà sì nobil peso

a me nume dell'acque esser conteso?

Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo

talor da' cavi bronzi,

dell'ira vostra esecutor fedele;

della vostra giustizia

fedele ognora esecutore anch'io

porto a' mondi remoti

le vostre leggi; e ne riporto i voti.

Onde a ragion pretesi

parte alla gloria; onde a ragion costrinsi

nell'illustre contesa

a fremer le procelle in mia difesa.

 

Tacete, o mie procelle,  

di questo soglio al piè,

or che il rivale a me

cedé la palma.

E dell'ibere stelle

al fausto balenar

tutti i regni del mar

tornino in calma.

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Porto di mare con navi.

Enea, troiani
 

Compagni invitti a tollerare avvezzi

(al suono di vari strumenti segue l'imbarco)

Enea, troiani
<- Iarba, mori

Dove rivolge dove

(si battono Iarba ed Enea; Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto)

(i compagni di Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori)

troiani, mori
Enea, Iarba ->

(zuffa fra i troiani e i mori)

mori, troiani ->
<- Enea, Iarba

(di nuovo combattendo Enea e Iarba, che cade)

Già cadesti e sei vinto

Iarba
Enea ->

Ed io son vinto ed io soffro una vita

Arborata tra la città e il porto.

Araspe, Osmida
 

Già di Iarba in difesa

Araspe, Osmida
<- Selene

Partì da' nostri lidi

Araspe, Osmida, Selene
<- Iarba, guardie, alcuni mori

Non son contento

Araspe, Osmida, Selene, alcuni mori
Iarba, guardie ->

Parla amico per me, fa' ch'io non resti

Osmida, Selene, alcuni mori
Araspe ->

Pietà pietà Selene

Osmida, Selene, alcuni mori
<- Enea, troiani

Principessa ove corri?

Osmida, Selene, Enea, troiani
alcuni mori ->

Signor togli un indegno

Selene, Enea
Osmida, troiani ->

Addio Selene / Ascolta

Selene
Enea ->

Sprezzar la fiamma mia

Selene ->

Reggia con veduta di Cartagine.

Didone
 
Didone
<- Osmida

Deh regina, pietà!

Didone, Osmida
<- Selene

Oh dio germana!

Didone, Selene
Osmida ->

Ah! non fidarti: Osmida

(si incominciano a veder fiamme in lontananza su gli edifizi di Cartagine)

Didone, Selene
<- Araspe

Araspe in queste soglie!

Didone, Selene, Araspe
<- Osmida

Osmida / Arde d'intorno

Didone, Selene, Araspe
Osmida ->

Al tuo periglio pensa, o Didone

Didone, Araspe
Selene ->

E tu qui resti ancor?

Didone
Araspe ->

I miei casi infelici

Didone
<- Osmida

(si comincia a vedere il fuoco nella reggia)

Didone, Osmida
<- Selene

Fuggi, o regina

Didone, Osmida, Selene
<- Iarba, guardie, due comparse

Fermati / Oh dèi! / Dove così smarrita?

Didone, Osmida, Selene, Iarba, guardie
due comparse ->

Didone, Osmida, Selene
Iarba, guardie ->

Cedi a Iarba o Didone

Didone, Osmida
Selene ->

Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?

Didone
Osmida ->

(cadono alcune fabbriche, e si vedono crescere le fiamme nella reggia)

Ah che dissi, infelice!

E v'è tanta viltà nel petto mio?

Enea, Iarba
 

Se al vincitor sdegnato

Selene
 

(le acque trionfano sul fuoco; si rasserena il cielo)

Ricca e luminosa reggia di Nettuno

Nettuno, sirene, tritoni, nereidi
 

Se alla discordia antica

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima Scena ventiduesima Varianti principali dell'atto III
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città... Cortile. Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo. Appartamenti reali con tavolino e sedia. Atrio. Gabinetto con sedie. Porto di mare con navi. Arborata tra la città e il porto. Reggia con veduta di Cartagine. Ricca e luminosa reggia di Nettuno
Atto primo Atto secondo

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