www.librettidopera.it

Didone abbandonata

DIDONE ABBANDONATA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Domenico SARRO.

Prima esecuzione: 1 febbraio 1724, Napoli.


Personaggi:

DIDONE regina di Cartagine, amante di Enea

soprano

ENEA

soprano

IARBA re de' Mori, sotto nome d'Arbace

contralto

SELENE sorella di Didone ed amante occulta di Enea

soprano

ARASPE confidente di Iarba ed amante di Selene

tenore

OSMIDA confidente di Didone

contralto

NETTUNO

altro




La scena si finge in Cartagine.

Argomento

Didone vedova di Sicheo, dopo esserle stato ucciso il marito da Pigmalione, re di Tiro, di lei fratello, fuggì con ampie ricchezze in Africa, dove comperato sufficiente terreno edificò Cartagine. Fu ivi richiesta in moglie da molti, e particolarmente da Iarba re de' Mori, e sempre ricusò dicendo voler serbar fede alla cenere dell'estinto consorte. Intanto Enea troiano, essendo stata distrutta la sua patria da' greci, mentre andava in Italia, fu portato da una tempesta nelle sponde dell'Africa e ricevuto e ristorato da Didone, la quale ardentemente se ne invaghì; ma mentr'egli, compiacendosi dell'affetto della medesima, si tratteneva in Cartagine, fu dagli dèi comandato che abbandonasse quel cielo e proseguisse il suo cammino verso Italia, dove gli promettevano che dovea risorgere una nuova Troia. Egli partì e Didone disperatamente, dopo aver invano tentato di trattenerlo, si uccise.

Tutto ciò si ha da Virgilio, il quale con un felice anacronismo unisce il tempo della fondazion di Cartagine agli errori di Enea. Da Ovidio, nel terzo libro de' Fasti si raccoglie che Iarba s'impadronisse di Cartagine dopo la morte di Didone; e che Anna, sorella della medesima, la quale chiameremo Selene fosse occultamente anch'ella invaghita d'Enea.

Per comodità della rappresentazione si finge che Iarba, curioso di veder Didone, s'introduca in Cartagine come ambasciadore di sé stesso, sotto nome d'Arbace.

Tutte l'espressioni di sensi e di parole che non convengono co' dogmi cattolici o sono scritte per proprietà del carattere rappresentato o sono puri adornamenti poetici.

Atto primo
Scena prima

Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi.
Enea, Selene, Osmida.

ENEA

No principessa, amico,

sdegno non è, non è timor che move

le frigie vele e mi trasporta altrove.

So che m'ama Didone;

pur troppo il so; né di sua fé pavento.

L'adoro e mi rammento

quanto fece per me: non sono ingrato.

Ma ch'io di nuovo esponga

all'arbitrio dell'onde i giorni miei

mi prescrive il destin, voglion gli dèi.

E son sì sventurato,

che sembra colpa mia quella del fato.

SELENE

Se cerchi al lungo error riposo e nido,

te l'offre in questo lido

la germana, il tuo merto e il nostro zelo.

ENEA

Riposo ancor non mi concede il cielo.

SELENE

Perché?

OSMIDA

Con qual favella

il lor voler ti palesaro i numi?

ENEA

Osmida, a questi lumi

non porta il sonno mai suo dolce oblio,

che il rigido sembiante

del genitor non mi dipinga innante.

«Figlio» ei dice, e l'ascolto «ingrato figlio,

questo è d'Italia il regno,

che acquistar ti commise Apollo ed io?

L'Asia infelice aspetta

che in un altro terreno,

opra del tuo valor, Troia rinasca:

tu il promettesti; io nel momento estremo

del viver mio la tua promessa intesi,

allor che ti piegasti

a baciar questa destra e me 'l giurasti.

E tu frattanto ingrato

alla patria, a te stesso, al genitore,

qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?

Sorgi: de' legni tuoi

tronca il canape reo, sciogli le sarte.»

Mi guarda poi con torvo ciglio, e parte.

SELENE

Gelo d'orror.

Dal fondo della scena comparisce Didone con Séguito.

OSMIDA

(Quasi felice io sono.

Se parte Enea, manca un rivale al trono.)

SELENE

Se abbandoni il tuo bene,

morrà Didone (e non vivrà Selene).

OSMIDA

La regina s'appressa.

ENEA

(Che mai dirò?)

SELENE

(Non posso

scoprire il mio tormento.)

ENEA

(Difenditi, mio core, ecco il cimento.)

Scena seconda

Didone, con Séguito e detti.

DIDONE

Enea, d'Asia splendore,

di Citerea soave cura e mia,

vedi come a momenti,

del tuo soggiorno altera,

la nascente Cartago alza la fronte.

Frutto de' miei sudori

son quegli archi, que' templi e quelle mura:

ma de' sudori miei

l'ornamento più grande, Enea, tu sei.

Tu non mi guardi, e taci? In questa guisa

con un freddo silenzio Enea m'accoglie?

Forse già dal tuo core

di me l'imago ha cancellata Amore?

ENEA

Didone alla mia mente,

il giuro a tutti i dèi, sempre è presente.

Né tempo o lontananza

potrà sparger d'oblio,

questo ancor giuro ai numi, il foco mio.

DIDONE

Che proteste! Io non chiedo

giuramenti da te: perch'io ti creda,

un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.

OSMIDA

(Troppo s'inoltra.)

SELENE

(Ed io parlar non oso.)

ENEA

Se brami il tuo riposo,

pensa alla tua grandezza:

a me più non pensar.

DIDONE

Che a te non pensi?

Io, che per te sol vivo, io, che non godo

i miei giorni felici

se un momento mi lasci?

ENEA

Oh dio, che dici!

E qual tempo scegliesti, ah troppo, troppo

generosa tu sei per un ingrato.

DIDONE

Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa

ti sarà la mia fiamma.

ENEA

Anzi giammai

con maggior tenerezza io non t'amai.

Ma...

DIDONE

Che?

ENEA

La patria, il cielo...

DIDONE

Parla.

ENEA

Dovrei... ma no...

L'amor... oh dio, la fé...

Ah che parlar non so.

(ad Osmida)

Spiegalo tu per me.

(parte)

Scena terza

Didone, Selene e Osmida.

DIDONE

Parte così, così mi lascia Enea?

Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?

SELENE

Ei pensa abbandonarti.

Contrastano quel core,

né so chi vincerà, gloria ed amore.

DIDONE

È gloria abbandonarmi?

OSMIDA

(Si deluda.) Regina,

il cor d'Enea non penetrò Selene.

Ei disse, è ver, che il suo dover lo sprona

a lasciar queste sponde

ma col dover la gelosia nasconde.

DIDONE

Come!

OSMIDA

Fra pochi istanti

dalla dalla regia de' Mori

qui giunger dée l'ambasciatore Arbace...

DIDONE

Che perciò?

OSMIDA

Le tue nozze

chiederà il re superbo, e teme Enea

che tu ceda alla forza e a lui ti doni.

Perciò così partendo,

fugge il dolor di rimirarti.

DIDONE

Intendo.

S'inganna Enea ma piace

l'inganno all'alma mia.

So che nel nostro core

sempre la gelosia figlia è d'amore.

SELENE

Anch'io lo so.

DIDONE

Ma non lo sai per prova.

OSMIDA

(Così contro un rival l'altro mi giova.)

DIDONE

Vanne amata germana,

dal cor d'Enea sgombra i sospetti, e digli

che a lui non mi torrà se non la morte.

SELENE

(A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)

Dirò che fida sei,

su la mia fé riposa.

Sarò per te pietosa,

(per me crudel sarò).

Sapranno i labbri miei

scoprirgli il tuo desio.

(Ma la mia pena, oh dio,

come nasconderò?)

(parte)

Scena quarta

Didone e Osmida.

DIDONE

Venga Arbace qual vuole,

supplice, o minaccioso; ei viene in vano.

In faccia a lui pria che tramonti il sole,

ad Enea mi vedrà porger la mano.

Solo quel cor mi piace,

sappialo Iarba.

OSMIDA

Ecco s'appressa Arbace.

Scena quinta

Iarba sotto nome di Arbace, Araspe con séguito de' Mori, Comparse, che conducono tigri, leoni e portano altri doni per presentare alla Regina, e detti.

(mentre Didone servita da Osmida va sul trono fra loro non intesi dalla medesima dicono:)

ARASPE

Vedi, mio re...

IARBA

T'accheta.

Finché dura l'inganno,

chiamami Arbace, e non pensare al trono,

per ora io non son Iarba e re non sono.

Didone, il re de' Mori

a te de' cenni suoi

me suo fedele apportator destina.

Io te l'offro qual vuoi,

tuo sostegno in un punto o tua ruina.

Queste che miri intanto,

spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,

che l'Africa soggetta a lui produce,

pegni di sua grandezza in don t'invia.

Nel dono impara il donator qual sia.

DIDONE

Mentre io n'accetto il dono

larga mercede il tuo signor riceve,

ma s'ei non è più saggio,

quel ch'ora è don può divenir omaggio.

(Come altiero è costui!) Siedi e favella.

ARASPE

(piano a Iarba)

Qual ti sembra, o signor?

IARBA

(piano ad Araspe)

Superba e bella.

Ti rammenta o Didone

qual da Tiro venisti, e qual ti trasse

disperato consiglio a questo lido.

Del tuo germano infido

alle barbare voglie, al genio avaro

ti fu l'Africa sol schermo e riparo.

Fu questo, ove si innalza

la superba Cartago, ampio terreno,

dono del mio signore, e fu...

DIDONE

Col dono

la vendita confondi...

IARBA

Lascia pria ch'io favelli, e poi rispondi.

DIDONE

(piano a Osmida)

Che ardir!

OSMIDA

(piano a Didone)

Soffri.

IARBA

Cortese

Iarba il mio re le nozze tue richiese.

Tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio,

perché giurasti allora

che al cener di Sicheo fede serbavi.

Or sa l'Africa tutta

che dall'Asia distrutta Enea qui venne:

sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami.

Né soffrirà che venga

a contrastar gli amori

un avanzo di Troia al re de' Mori.

DIDONE

E gli amori e gli sdegni

fian del pari infecondi.

IARBA

Lascia pria ch'io finisca e poi rispondi.

Generoso il mio re di guerra in vece,

t'offre pace se vuoi.

E in ammenda del fallo

brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto,

vuol la testa d'Enea.

DIDONE

Dicesti?

IARBA

Ho detto.

DIDONE

Dalla reggia di Tiro

io venni a queste arene

libertade cercando e non catene.

Prezzo de' miei tesori,

e non già del tuo re Cartago è dono.

La mia destra, il mio core

quando a Iarba negai,

d'esser fida allo sposo allor pensai.

Or più quella non son...

IARBA

Se non sei quella...

DIDONE

Lascia pria ch'io risponda e poi favella.

Or più quella non son, variano i saggi

a seconda de' casi i lor pensieri.

Enea piace al mio cor, giova al mio trono

e mio sposo sarà.

IARBA

Ma la sua testa...

DIDONE

Non è facil trionfo; anzi potrebbe

costar molti sudori

quest'avanzo di Troia al re de' Mori.

IARBA

Se il mio signore irrìti,

verranno a farti guerra

quanti Getuli e quanti

Numidi e Garamanti Africa serra.

DIDONE

Pur che sia meco Enea, non mi confondo;

vengano a questi lidi

Garamanti, Numidi, Africa e il mondo.

IARBA

Dunque dirò...

DIDONE

Dirai

che amoroso no 'l curo,

che no 'l temo sdegnato.

IARBA

Pensa meglio, o Didone.

DIDONE

Ho già pensato.

(si levano da sedere)

Son regina e sono amante

e l'impero io sola voglio

del mio soglio e del mio cor.

Darmi legge in van pretende

chi l'arbitrio a me contende

della gloria e dell'amor.

(parte)

Scena sesta

Iarba, Osmida ed Araspe.

IARBA

(in atto di partire)

Araspe, alla vendetta.

ARASPE

Mi son scorta i tuoi passi.

OSMIDA

Arbace, aspetta.

IARBA

(Da me che bramerà?)

OSMIDA

Posso a mia voglia

libero favellar?

IARBA

Parla.

OSMIDA

Se vuoi

m'offro a' sdegni tuoi compagno e guida.

Didone in me confida,

Enea mi crede amico e pendon l'armi

tutte dal cenno mio. Molto potrei

a' tuoi disegni agevolar la strada.

IARBA

Ma tu chi sei?

OSMIDA

Seguace

della tiria regina, Osmida io sono.

In Cipro ebbi la cuna,

e il mio core è maggior di mia fortuna.

IARBA

L'offerta accetto e, se fedel sarai,

tutto in mercé ciò che domandi avrai.

OSMIDA

Sia del tuo re Didone, a me si ceda

di Cartago l'impero.

IARBA

Io te 'l prometto.

OSMIDA

Ma chi sa se consente

il tuo signore alla richiesta audace?

IARBA

Promette il re, quando promette Arbace.

OSMIDA

Dunque...

IARBA

Ogn'atto innocente

qui sospetto esser può; serba i consigli

a più sicuro loco e più nascoso.

Fidati, Osmida è re, se Iarba è sposo.

OSMIDA

Tu mi scorgi al gran disegno

e al tuo sdegno, al tuo desio

l'ardir mio ti scorgerà.

Così rende il fiumicello,

mentre lento il prato ingombra,

alimento all'arboscello;

e per l'ombra umor gli dà.

(parte)

Scena settima

Iarba, Araspe.

IARBA

Quant'è stolto se crede

ch'io gli abbia a serbar fede!

ARASPE

Il promettesti a lui.

IARBA

Non merta fé chi non la serba altrui.

Ma vanne amato Araspe,

ogn'indugio è tormento al mio furore.

Vanne; le mie vendette

un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.

ARASPE

Vado e sarà fra poco

del suo, del mio valore

in aperta tenzone arbitro il fato.

IARBA

No, t'arresta. Io non voglio

che al caso si commetta

l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.

Improvviso l'assali, usa la frode.

ARASPE

Da me frode! Signor, suddito io nacqui

ma non già traditor. Dimmi ch'io vada

nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi,

tutto farò. Tu sei

signor della mia vita; in tua difesa

non ricuso cimento.

Ma da me non si chieda un tradimento.

IARBA

Sensi d'alma volgare; a me non manca

braccio del tuo più fido.

ARASPE

E come, oh dèi,

la tua virtude...

IARBA

Eh che virtù? Nel mondo

o virtù non si trova,

o è sol virtù quel che diletta e giova.

Fra lo splendor del trono

belle le colpe sono,

perde l'orror l'inganno,

tutto si fa virtù.

Fuggir con frode il danno

può dubitar se lice

quell'anima infelice,

che nacque in servitù.

(parte)

Scena ottava

Araspe.

Empio! L'orror che porta

il rimorso d'un fallo anche felice,

la pace fra' disastri

che produce virtù, come non senti!

O sostegno del mondo,

degli uomini ornamento e degli dèi,

bella virtù il mio piacer tu sei.

Se dalle stelle tu non sei guida,

fra le procelle dell'onda infida,

mai per quest'alma calma non v'è.

Tu m'assicuri ne' miei perigli,

nelle sventure tu mi consigli

e sol contento sento per te.

(parte)

Scena nona

Cortile.
Selene, Enea.

ENEA

Già te 'l dissi, o Selene,

male interpreta Osmida i sensi miei.

Ah piacesse agli dèi

che Dido fosse infida o ch'io potessi

figurarmela infida un sol momento.

Ma saper che m'adora,

e doverla lasciar, questo è il tormento.

SELENE

Sia qual vuoi la cagione,

che ti sforza a partir, per pochi istanti

t'arresta almeno e di Nettuno al tempio

vanne: la mia germana

vuol colà favellarti.

ENEA

Sarà pena l'indugio.

SELENE

Odila e parti.

ENEA

Ed a colei che adoro,

darò l'ultimo addio?

SELENE

(Taccio e non moro.)

ENEA

Piange Selene!

SELENE

E come

quando parli così non vuoi ch'io pianga?

ENEA

Lascia di sospirar. Sola Didone

ha ragion di lagnarsi al partir mio.

SELENE

Abbiam l'istesso cor Didone ed io.

ENEA

Tanto per lei t'affliggi?

SELENE

Ella in me così vive,

io così vivo in lei,

che tutti i mali suoi son mali miei.

ENEA

Generosa Selene i tuoi sospiri

tanta pietà mi fanno

che scordo quasi il mio nel vostro affanno.

SELENE

(Se mi vedessi il core,

forse la tua pietà saria maggiore.)

Scena decima

Iarba, Araspe e detti.

IARBA

Tutta ho scorsa la reggia

cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.

ARASPE

Forse quindi partì.

IARBA

(vedendo Enea)

Fosse costui?

Africano alle vesti ei non mi sembra.

(ad Enea)

Stranier dimmi: chi sei?

ARASPE

(vedendo Selene)

(Quanto piace quel volto agli occhi miei!)

ENEA

(guarda Iarba e non risponde)

Troppo, bella Selene...

IARBA

(ad Enea)

Olà non odi?

ENEA

Troppo ad altri pietosa...

SELENE

(come sopra)

Che superbo parlar!

ARASPE

(guardando Selene)

(Quanto è vezzosa!)

IARBA

(ad Enea)

O palesa il tuo nome, o ch'io...

ENEA

Qual dritto

hai tu di domandarne? A te che giova?

IARBA

Ragione è il piacer mio.

ENEA

Fra noi non s'usa

di rispondere a stolti.

(vuol partire)

IARBA

A questo acciaro...

(vuol por mano alla spada e Selene lo ferma)

SELENE

(a Iarba)

Su gl'occhi di Selene,

nella reggia di Dido un tanto ardire?

IARBA

Di Iarba al messaggero

sì poco di rispetto?

SELENE

Il folle orgoglio

la regina saprà.

IARBA

Sappialo. Intanto

mi vegga ad onta sua troncar quel capo

e a quel d'Enea congiunto,

dell'offeso mio re portarlo a' piedi.

ENEA

Difficile sarà più che non credi.

IARBA

Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea

che per glorie racconta

tante perdite sue?

ENEA

Cedono assai

in confronto di glorie

alle perdite sue le tue vittorie.

IARBA

Ma tu chi sei, che tanto

meco per lui contrasti?

ENEA

Son un che non ti teme, e ciò ti basti.

Quando saprai chi sono

sì fiero non sarai

né parlerai così.

Brama lasciar le sponde

quel passeggero ardente,

fra l'onde poi si pente,

se ad onta del nocchiero

dal lido si partì.

(parte)

Scena undicesima

Selene, Iarba ed Araspe.

IARBA

Non partirà se pria...

(volendo seguire Enea)

SELENE

(lo ferma)

Da lui che brami?

IARBA

Il suo nome.

SELENE

Il suo nome

senza tanto furor da me saprai.

IARBA

A questa legge io resto.

SELENE

Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.

IARBA

Ah m'involasti un colpo,

che al mio braccio offeriva il ciel cortese.

SELENE

Ma perché tanto sdegno, in che t'offese?

IARBA

Gli affetti di Didone

al mio signor contende,

t'è noto e mi domandi in che m'offende?

SELENE

Arbace, a quel ch'io veggio

nella scuola d'amor sei rozzo ancora.

Un cor che s'innamora?

Non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.

Onde nessuno offende

quando in amor contende o allor che niega

corrispondenza altrui; non è bellezza,

non è senno o valore

che in noi risveglia amore; anzi talora

il men vago, il più stolto è che s'adora.

Bella ciascuno poi finge al pensiero

la fiamma sua, ma poche volte è vero.

Ogni amator suppone

che della sua ferita

sia la beltà cagione

ma la beltà non è.

È un bel desio che nasce

allor che men s'aspetta,

si sente che diletta

ma non si sa perché.

(parte)

Scena dodicesima

Iarba, Araspe, poi Osmida.

IARBA

Non è più tempo Araspe

di celarmi così. Troppa finora

sofferenza mi costa.

ARASPE

E che farai?

IARBA

I miei guerrier, che nella selva ascosi

quindi non lungi al mio venir lasciai,

chiamerò nella reggia:

distruggerò Cartago, e l'empio core

all'indegno rival trarrò...

OSMIDA

Signore,

già di Nettuno al tempio

la regina s'invia. Sugli occhi tuoi

al superbo troiano,

se tardi a riparar porge la mano.

IARBA

Tanto ardir!

OSMIDA

Non è tempo

d'inutili querele.

IARBA

E qual consiglio?

OSMIDA

Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;

ardisci. Ad ogni impresa

io sarò tuo sostegno e tua difesa.

(parte)

Scena tredicesima

Iarba e Araspe.

ARASPE

Dove corri, o signore?

IARBA

Il rivale a svenar.

ARASPE

Come lo speri?

Ancora i tuoi guerrieri

il tuo voler non sanno.

IARBA

Dove forza non val giunga l'inganno.

ARASPE

E vuoi la tua vendetta

con la taccia comprar di traditore?

IARBA

Araspe, il mio favore

troppo ardito ti fe'; più franco all'opre

e men pronto ai consigli io ti vorrei.

Chi son io ti rammenta e chi tu sei.

Son quel fiume che gonfio d'umori,

quando il gelo si scioglie in torrenti,

selve, armenti, capanne e pastori

porta seco e ritegno non ha.

Se si vede fra gli argini stretto

sdegna il letto, confonde le sponde

e superbo fremendo se n' va.

(parte)

Scena quattordicesima

Araspe.

Lo so, quel cor feroce

stragi minaccia alla mia fede ancora;

ma si serva al dovere e poi si mora.

Infelice e sventurato

potrà farmi ingiusto fato,

ma infedele io non sarò.

La mia fede e l'onor mio

pur fra l'onde dell'oblio

agli Elisi io porterò.

(parte)

Scena quindicesima

Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
Enea, Osmida.

OSMIDA

Come? Da' labbri tuoi

Dido saprà che abbandonar la vuoi!

Ah taci per pietà

e risparmia al suo cor questo tormento.

ENEA

Il dirlo è crudeltà

ma sarebbe il tacerlo un tradimento.

OSMIDA

Benché costante, io spero

che al pianto suo tu cangerai pensiero.

ENEA

Può togliermi di vita,

ma non può il mio dolore

far ch'io manchi alla patria e al genitore.

OSMIDA

Oh generosi detti!

Vincere i propri affetti

avanza ogn'altra gloria.

ENEA

Quanto costa però questa vittoria.

Scena sedicesima

Iarba, Araspe e detti.

IARBA

(piano ad Araspe)

Ecco il rival né seco

è alcun de' suoi seguaci.

ARASPE

(piano a Iarba)

Ah pensa che tu sei...

IARBA

(come sopra)

Seguimi e taci.

Così gl'oltraggi miei...

(in atto di ferire Enea)

ARASPE

(a Iarba)

Fermati.

IARBA

(ad Araspe)

(Araspe lo trattiene)

Indegno,

al nemico in aiuto?

(gli cade il pugnale, ed Araspe lo raccoglie)

ENEA

(ad Araspe, in mano di cui voltandosi vede il pugnale)

Che tenti, anima rea?

OSMIDA

(Tutto è perduto.)

Scena diciassettesima

Didone con Guardie, e detti.

OSMIDA

Siam traditi o regina.

Se più tarda d'Arbace era l'aita,

il valoroso Enea

sotto colpo inumano oggi cadea.

DIDONE

Il traditor qual è, dove dimora?

OSMIDA

(accenna Araspe)

Miralo: nella destra ha il ferro ancora.

DIDONE

(ad Araspe)

Chi ti destò nel seno

sì barbaro desio?

ARASPE

Del mio signor la gloria e il dover mio.

DIDONE

Come! L'istesso Arbace

disapprova...

ARASPE

Lo so ch'ei mi condanna,

il suo sdegno pavento,

ma il mio non fu delitto e non mi pento.

DIDONE

E né meno hai rossore

del sacrilego eccesso?

ARASPE

Tornerei mille volte a far l'istesso.

DIDONE

Ti preverrò. Ministri,

custodite costui.

Araspe parte con Guardie.

ENEA

(a Iarba)

Generoso nemico,

in te tanta virtude io non credea.

Lascia che a questo sen...

IARBA

Scostati Enea.

Sappi che il viver tuo d'Araspe è dono,

che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.

DIDONE

Tu Iarba!

ENEA

Il re de' Mori!

DIDONE

Un re sensi sì rei

non chiude in seno, un mentitor tu sei.

Si disarmi.

IARBA

(snuda la spada)

Nessuno

avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.

OSMIDA

(piano a Iarba)

Cedi per poco almeno,

fin ch'io genti raccolga, a me ti fida.

IARBA

(piano a Osmida)

E così vil sarò?

ENEA

Fermate amici,

a me tocca punirlo.

DIDONE

Il tuo valore

serba ad uopo miglior; che più s'aspetta?

O si renda o svenato a' piè mi cada.

OSMIDA

(piano a Iarba)

Serbati alla vendetta.

IARBA

Ecco la spada.

(a Didone)

Tu mi disarmi il fianco.

(ad Enea)

Tu mi vorresti oppresso.

Ma sono ancor l'istesso,

ma non son vinto ancor.

Soffro per or lo scorno.

(a Didone)

Ma forse questo è il giorno

che domerò quell'alma,

(ad Enea)

che punirò quel cor.

DIDONE

(a Osmida)

Frenar l'alma orgogliosa

tua cura sia.

OSMIDA

Su la mia fé riposa.

Parte appresso Iarba con Guardie.

Scena diciottesima

Didone, Enea.

DIDONE

Enea, salvo già sei

dalla crudel ferita,

per me serban gli dèi sì bella vita.

ENEA

Oh dio regina.

DIDONE

Ancora

forse della mia fede incerto stai?

ENEA

No; più funeste assai

son le sventure mie. Vuole il destino...

DIDONE

Chiari i tuoi sensi esponi.

ENEA

Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.

DIDONE

M'abbandoni! Perché?

ENEA

Di Giove il cenno,

l'ombra del genitor, la patria, il cielo,

la promessa, il dover, l'onor, la fama

alle sponde d'Italia oggi mi chiama.

La mia lunga dimora

pur troppo degli dèi mosse lo sdegno.

DIDONE

E così fin ad ora,

perfido mi celasti il tuo disegno?

ENEA

Fu pietà...

DIDONE

Che pietà? Mendace il labbro

fedeltà mi giurava

e intanto il cor pensava

come lunge da me volgere il piede.

A chi misera me darò più fede?

Vil rifiuto dell'onde

io l'accolgo dal lido, io lo ristoro

dall'ingiurie del mar, le navi e l'armi

già disperse io gli rendo e gli do loco

nel mio cor, nel mio regno, e questo è poco.

Di cento re per lui

ricusando gli amori i gli sdegni irrìto.

Ecco poi la mercede.

A chi misera me darò più fede?

ENEA

Fin ch'io viva, o Didone,

dolce memoria al mio pensier sarai.

Né partirei giammai,

se per voler de' numi io non dovessi

consacrare il mio affanno

all'impero latino.

DIDONE

Veramente non hanno

altra cura gli dèi che il tuo destino.

ENEA

Io resterò, se vuoi

che si renda spergiuro un infelice.

DIDONE

No, sarei debitrice

dell'impero del mondo a' figli tuoi.

Va' pur, segui il tuo fato,

cerca d'Italia il regno; all'onde, ai venti

confida pur la speme tua. Ma senti:

farà quell'onde istesse

delle vendette mie ministre il cielo.

E tardi allor pentito

d'aver creduto all'elemento insano

richiamerai la tua Didone in vano.

ENEA

Se mi vedessi il core...

DIDONE

Lasciami traditore.

ENEA

Almen dal labbro mio

con volto meno irato

prendi l'ultimo addio.

DIDONE

Lasciami ingrato.

ENEA

E pur a tanto sdegno

non hai ragion di condannarmi.

DIDONE

Indegno.

Non ha ragione, ingrato,

un core abbandonato

da chi giurogli fé?

Anime innamorate,

se lo provaste mai,

ditelo voi per me.

Perfido tu lo sai

se in premio un tradimento

io meritai da te.

E qual sarà tormento,

anime innamorate,

se questo mio non è!

(parte)

Scena diciannovesima

Enea.

E soffrirò che sia

sì barbara mercede

premio della tua fede anima mia?

Tanto amor, tanti doni...

Ah pria ch'io t'abbandoni,

pèra l'Italia, il mondo,

resti in oblio profondo

la mia fama sepolta;

vada in cenere Troia un'altra volta.

Ah che dissi! A le mie

amorose follie,

gran genitor, perdona, io n'ho rossore,

non fu Enea che parlò; lo disse Amore.

Si parta. E l'empio moro

stringerà il mio tesoro?

No... Ma sarà frattanto

al proprio genitor spergiuro il figlio?

Padre, amor, gelosia, numi, consiglio!

Se resto sul lido,

se sciolgo le vele

infido, crudele

mi sento chiamar.

E intanto, confuso

nel dubbio funesto,

non parto, non resto,

ma provo il martìre

che avrei nel partire,

che avrei nel restar.

(parte)

Atto secondo
Scena prima

Appartamenti reali con tavolino e sedia.
Iarba ed Osmida.

OSMIDA

Signore ove te n' vai?

Nelle mie stanze ascoso

per tuo, per mio riposo io ti lasciai.

IARBA

Ma sino al tuo ritorno

tollerar quel soggiorno io non potei.

OSMIDA

In periglio tu sei, ché se Didone

libero errar ti vede

temerà di mia fede.

IARBA

A tal oggetto

disarmato io me n' vo, fin che non giunga

l'amico stuol che a vendicarmi affretto.

OSMIDA

Va' pur ma ti rammenta

ch'io sol per tua cagion...

IARBA

Fost'infido a Didone.

OSMIDA

E che per tua mercede...

IARBA

So qual premio si debba alla tua fede.

OSMIDA

Pensa che il trono aspetto,

che n'ho tua fede in pegno

e che donando un regno

ti fai soggetto un re.

Un re che tuo seguace

ti sarà fido in pace.

E se guerrier lo vuoi

contro i nemici tuoi

combatterà per te.

(parte)

Scena seconda

Iarba e poi Araspe.

IARBA

Giovino i tradimenti,

poi si punisca il traditore.

(vedendo Araspe)

Indegno

t'offerisci al mio sdegno e non paventi?

Temerario, per te

non cadde Enea dal ferro mio trafitto.

ARASPE

Ma delitto non è.

IARBA

Non è delitto!

Di tante offese ormai

vendicato m'avria quella ferita.

ARASPE

La tua gloria salvai nella sua vita.

IARBA

Ti punirò.

ARASPE

La pena

benché innocente io soffrirò con pace,

ché sempre è reo chi al suo signor dispiace.

IARBA

(Hanno un'ignota forza

i detti di costui

che m'incatena e parmi

ch'io non sappia sdegnarmi in faccia a lui).

Odi, giacché al tuo re

qual ossequio tu debba ancor non sai,

innanzi a me non favellar giammai.

ARASPE

Ubbidirò.

Scena terza

Selene e detti.

SELENE

Chi sciolse

barbaro i lacci tuoi? Tu non rispondi?

Dell'offesa reina il giusto impero

qual folle ardire a disprezzar t'ha mosso?

Parla Araspe per lui.

ARASPE

Parlar non posso.

SELENE

(ad Araspe)

Parlar non puoi! (Pavento

di nuovo tradimento). E qual arcano

si nasconde a Selene?

Perché taci così?

ARASPE

Tacer conviene.

IARBA

(a Selene)

Senti. Voglio appagarti.

Vado apprendendo l'arti

che deve posseder chi s'innamora

nella scuola d'amor son rozzo ancora.

SELENE

L'arte di farsi amare

come apprender mai può chi serba in seno

sì arroganti costumi e sì scortesi?

IARBA

Solo a farmi temer finora appresi.

SELENE

E né pur questo sai; quell'empio core

odio m i desta in seno e non paura.

IARBA

La debolezza tua ti fa sicura.

Leon, che errando vada

per la natia contrada,

se un agnellin rimira

non si commove all'ira

nel generoso cor.

Ma se venir si vede

orrida tigre in faccia,

l'assale e la minaccia,

perché sol quella crede

degna del suo furor.

(parte)

Scena quarta

Selene ed Araspe.

SELENE

Chi fu che all'inumano

disciolse le catene?

ARASPE

A me bella Selene, il chiedi in vano.

Io prigioniero e reo,

libero ed innocente in un momento

sciolto mi vedo e sento

fra' lacci il mio signore, il passo muovo

a suo pro nella reggia, e ve 'l ritrovo.

SELENE

Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.

Difendi la sua vita.

ARASPE

È mio nemico.

Pur se brami che Araspe

dall'insidie il difenda,

te 'l prometto. Sin qui

l'onor mio no 'l contrasta,

ma ti basti così.

SELENE

(in atto di partire)

Così mi basta.

ARASPE

Ah non toglier sì tosto

il piacer di mirarti agli occhi miei.

SELENE

Perché?

ARASPE

Tacer dovrei ch'io sono amante,

ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.

SELENE

Araspe, il tuo valore,

il volto tuo, la tua virtù mi piace.

Ma già pena il mio cor per altra face.

ARASPE

Quanto son sventurato!

SELENE

È più Selene.

Se t'accende il mio volto,

narri almen le tue pene ed io le ascolto.

Io l'incendio nascoso

tacer non posso e palesar non oso.

ARASPE

Soffri almen la mia fede.

SELENE

Sì, ma da me non aspettar mercede.

Se può la tua virtù

amarmi a questa legge, io te 'l concedo;

ma non chieder di più.

ARASPE

Di più non chiedo.

SELENE

Ardi per me fedele,

serba nel cor lo strale,

ma non mi dir crudele,

se non avrai mercé.

Hanno sventura eguale

la tua, la mia costanza.

Per te non v'è speranza,

non v'è pietà per me.

(parte)

Scena quinta

Araspe.

Tu dici ch'io non speri,

ma no 'l dici abbastanza;

l'ultima che si perde è la speranza.

L'augelletto in lacci stretto

perché mai cantar s'ascolta?

Perché spera un'altra volta

di tornare in libertà.

Nel conflitto sanguinoso

quel guerrier perché non geme?

Perché gode colla speme

quel riposo che non ha.

(parte)

Scena sesta

Didone con foglio, Osmida e poi Selene.

DIDONE

Già so che si nasconde

de' Mori il re sotto il mentito Arbace.

Ma, sia qual più gli piace, egli m'offese

e senz'altra dimora,

o suddito o sovrano, io vuò che mora.

OSMIDA

Sempre in me de' tuoi cenni

il più fedele esecutor vedrai.

DIDONE

Premio avrà la tua fede.

OSMIDA

E qual premio, o regina? Adopro in vano

per te fede e valore:

occupa solo Enea tutto il tuo core.

DIDONE

Taci, non rammentar quel nome odiato.

È un perfido, è un ingrato,

è un'alma senza legge e senza fede.

Contro me stessa ho sdegno,

perché finor l'amai.

OSMIDA

Se lo torni a mirar ti placherai.

DIDONE

Ritornarlo a mirar! Per fin ch'io viva

mai più non mi vedrà quell'alma rea.

SELENE

Teco vorrebbe Enea

parlar se glie 'l concedi.

DIDONE

Enea! Dov'è?

SELENE

Qui presso

che sospira il piacer di rimirarti.

DIDONE

Temerario! Che venga.

(Selene parte)

DIDONE

Osmida, parti.

OSMIDA

Io non te 'l dissi? Enea

tutta del cor la libertà t'invola.

DIDONE

Non tormentarmi più; lasciami sola.

(Osmida parte)

Scena settima

Didone ed Enea.

DIDONE

Come! Ancor non partisti? Adorna ancora

questi barbari lidi il grande Enea?

E pur io mi credea

che già varcato il mar d'Italia in seno

in trionfo traessi

popoli debellati e regi oppressi.

ENEA

Quest'amara favella

mal conviene al tuo cor bella reina.

Del tuo, dell'onor mio

sollecito ne vengo. Io so che vuoi

del moro il fiero orgoglio

con la morte punir.

DIDONE

E questo è il foglio.

ENEA

La gloria non consente

ch'io vendichi in tal guisa i torti miei.

Se per me lo condanni...

DIDONE

Condannarlo per te! Troppo t'inganni.

Passò quel tempo Enea

che Dido a te pensò; spenta è la face,

è sciolta la catena

e del tuo nome or mi rammento appena.

ENEA

Sappi che re de' Mori

è l'orator fallace.

DIDONE

Io non so quale ei sia, lo credo Arbace.

ENEA

Oh dio, con la sua morte

tutta contro di te l'Africa irriti.

DIDONE

Consigli or non desio,

tu provvedi al tuo regno, io penso al mio.

Senza di te finor leggi dettai,

sorger senza di te Cartago io vidi.

Felice me se mai

tu non giungevi, ingrato, a questi lidi.

ENEA

Se sprezzi il tuo periglio

donalo a me. Grazia per lui ti chieggio.

DIDONE

Sì, veramente io deggio

il mio regno e me stessa al tuo gran merto.

A sì fedele amante,

ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi

di tanto intercessor nulla si nieghi.

Inumano, tiranno, è forse questo

l'ultimo dì che rimirar mi déi,

venghi sugli occhi miei,

sol d'Arbace mi parli e me non curi.

T'avessi pur veduto

d'una lagrima sola umido il ciglio.

Uno sguardo, un sospiro,

un segno di pietade in te non trovo.

E poi grazie mi chiedi?

Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?

(sottoscrive il foglio)

Perché tu lo vuoi salvo, io vuò che mora.

ENEA

Idol mio, che pur sei

ad onta del destin l'idolo mio,

che posso dir, che giova

rinnovar co' sospiri il tuo dolore?

Ah se per me nel core

qualche tenero affetto avesti mai

placa il tuo sdegno e rasserena i rai.

Quell'Enea te 'l domanda

che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,

quel che finora amasti

più della vita tua, più del tuo soglio,

quello...

DIDONE

Basta, vincesti, eccoti il foglio.

Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.

Con un tuo sguardo solo

mi togli ogni difesa e mi disarmi.

Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?

Ah! non lasciarmi no,

bell'idol mio.

Di chi mi fiderò,

se tu m'inganni?

Di vita mancherei

nel dirti addio.

Ché viver non potrei

fra tanti affanni.

(parte)

Scena ottava

Enea, poi Iarba.

ENEA

Io sento vacillar la mia costanza

a tanto amore appresso

e mentre salvo altrui perdo me stesso.

IARBA

Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora

del passato timore i segni in volto.

ENEA

Iarba da' lacci è sciolto!

Chi ti diè libertà?

IARBA

Permette Osmida

che per entro la reggia io mi raggiri,

ma vuol ch'io vada errando,

per sicurezza tua, senza il mio brando.

ENEA

Così tradisce Osmida

il comando real?

IARBA

Dimmi, che temi?

Ch'io m'involi al castigo o a queste mura?

Troppo vi resterò per tua sventura.

ENEA

La tua sorte presente

è degna di pietà, non di timore.

IARBA

Risparmia al tuo gran core

questa inutil pietà. So che a mio danno

de la regina irriti i sdegni insani.

Solo in tal guisa sanno

gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.

ENEA

Leggi. La regal donna in questo foglio

la tua morte segnò di propria mano.

S'Enea fosse africano

Iarba estinto saria. Prendi ed impara,

barbaro, discortese,

come vendica Enea le proprie offese.

(lacera il foglio della sentenza)

Vedi nel mio perdono

perfido traditor

quel generoso cor

che tu non hai.

Vedilo e dimmi poi

se gli africani eroi

tanta virtù nel seno

ebbero mai.

(parte)

Scena nona

Iarba.

Così strane venture io non intendo!

Pietà nel mio nemico,

infedeltà nel mio seguace io trovo.

Ah forse a danno mio

l'uno e l'altro congiura.

Ma di lor non ho cura.

Pietà finga il rivale,

sia l'amico fallace,

non sarà di timor Iarba capace.

Fosca nube il sol ricopra,

o si scopra il ciel sereno,

non si cangia il cor nel seno,

non si turba il mio pensier.

Le vicende della sorte

imparai con alma forte

dalle fasce a non temer.

(parte)

Scena decima

Atrio.
Enea, poi Araspe.

ENEA

Fra il dovere e l'affetto

ancor dubbioso in seno ondeggia il core.

Purtroppo il mio valore

all'impero servì d'un bel sembiante.

Ah una volta l'eroe vinca l'amante.

ARASPE

Di te finora in traccia

scorsi la reggia.

ENEA

Amico

vieni fra queste braccia.

ARASPE

Allontanati Enea, son tuo nemico;

(snuda la spada)

snuda, snuda quel ferro,

guerra con te, non amicizia io voglio.

ENEA

Tu di Iarba all'orgoglio

prima m'involi, e poi

guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?

ARASPE

T'inganni, allor difesi

la gloria del mio re, non la tua vita.

Con più nobil ferita

rendergli a me s'aspetta

quella che tolsi a lui giusta vendetta.

ENEA

Enea stringer l'acciaro

contro il suo difensore!

ARASPE

Olà che tardi?

ENEA

La mia vita è tuo dono.

Prendila pur se vuoi, contento io sono.

Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano,

generoso guerrier, lo speri in vano.

ARASPE

Se non impugni il brando

a ragion ti dirò codardo e vile.

ENEA

Questa ad un cor virile

vergognosa minaccia Enea non soffre.

Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.

Ma prima i sensi miei

odan gli uomini tutti, e tutti i dèi.

Io son d'Araspe amico,

io debbo la mia vita al suo valore.

Ad onta del mio core

discendo al gran cimento,

di codardia tacciato

e per non esser vil mi rendo ingrato.

(cominciano a battersi)

Scena undicesima

Selene e detti.

SELENE

Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate!

Così mi serbi fé, così difendi

Araspe traditor d'Enea la vita?

ENEA

No principessa. Araspe

non ha di tradimenti il cor capace.

SELENE

Chi di Iarba è seguace,

esser fido non può.

ARASPE

Bella Selene,

puoi tu sola avanzarti

a tacciarmi così.

SELENE

T'accheta e parti.

ARASPE

Tacerò, se tu lo brami,

ma fai torto alla mia fede,

se mi chiami traditor.

Porterò lontano il piede,

ma placati sdegni tuoi

so che poi n'avrai rossor.

(parte)

Scena dodicesima

Enea e Selene.

ENEA

Allor che Araspe a provocar mi venne

del suo signor sostenne

le ragioni con me. La sua virtude

se condannar pretendi

troppo quel core ingiustamente offendi.

SELENE

Ah generoso Enea

non fidarti così. D'Osmida ancora

all'amistà tu credi e pur t'inganna.

ENEA

Lo so, ma come Osmida

non serba Araspe in seno anima infida.

SELENE

Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo

di favellar di lui. Brama Didone

teco parlar.

ENEA

Poc'anzi

dal suo real soggiorno io trassi il piede.

Se di nuovo mi chiede

ch'io resti in questa arena,

in van s'accrescerà la nostra pena.

SELENE

Come fra tanti affanni,

cor mio chi t'ama abbandonar potrai?

ENEA

Selene, a me «cor mio»!

SELENE

È Didone che parla e non son io.

ENEA

Se per la tua germana

così pietosa sei,

non curar più di me, ritorna a lei.

Dille che si consoli,

che ceda al fato e rassereni il ciglio.

SELENE

Ah no, cangia ben mio, cangia consiglio.

ENEA

Tu mi chiami tuo bene!

SELENE

È Didone che parla e non Selene.

Se non l'ascolti almeno

tu sei troppo inumano.

ENEA

L'ascolterò ma l'ascoltarla è vano.

Non cede all'austro irato

né tema allor che freme

il turbine sdegnato

quel monte che sublime

le cime innalza al ciel.

Costante ad ogni oltraggio

sempre la fronte avvezza

disprezza il caldo raggio,

non cura il freddo gel.

(parte)

Scena tredicesima

Selene.

Chi udì, chi vide mai

del mio più strano amor, sorte più ria.

Taccio la fiamma mia

e vicina al mio bene

so scoprirgli l'altrui, non le mie pene.

Veggio la sponda

sospiro il lido;

e pur dall'onda

fuggir non so.

Se il mio dolore

scoprir diffido,

pietoso amore,

che mai farò.

(parte)

Scena quattordicesima

Gabinetto con sedie.
Didone; poi Enea.

DIDONE

Incerta del mio fato

io più viver non voglio. È tempo ormai

che per l'ultima volta Enea si tenti.

Se dirgli i miei tormenti,

se la pietà non giova,

faccia la gelosia l'ultima prova.

ENEA

Ad ascoltar di nuovo

i rimproveri tuoi vengo, o regina.

So che vuoi dirmi ingrato,

perfido, mancator, spergiuro, indegno:

chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.

DIDONE

No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,

perfido, mancator più non ti chiamo.

Rammentarti non bramo i nostri ardori,

da te chiedo consigli e non amori.

Siedi.

(siedono)

ENEA

(Che mai dirà?)

DIDONE

Già vedi, Enea,

che fra nemici è il mio nascente impero.

Sprezzai finora, è vero,

le minacce e 'l furor; ma Iarba offeso

quando priva sarò del tuo sostegno

mi torrà per vendetta e vita e regno.

In così dubbia sorte

ogni rimedio è vano.

Deggio incontrar la morte

o al superbo african porger la mano.

L'un e l'altro mi spiace e son confusa.

Al fin femmina e sola

lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio:

e non è meraviglia

s'io risolver non so; tu mi consiglia.

ENEA

Dunque fuor che la morte,

o il funesto imeneo,

trovar non si potria scampo migliore?

DIDONE

V'era pur troppo.

ENEA

E quale?

DIDONE

Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo

l'Africa avrei veduta

dall'Arabico seno al mar d'Atlante

in Cartago adorar la sua regnante.

E di Troia e di Tiro

rinnovar si potea... Ma che ragiono?

L'impossibil mi fingo e folle io sono.

Dimmi, che far degg'io? Con alma forte

come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.

ENEA

Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?

Colei che tanto adoro

all'odiato rival vedere in braccio?

Colei...

DIDONE

Se tanta pena

trovi nelle mie nozze, io le ricuso.

Ma, per tormi agl'insulti

necessario è il morir. Stringi quel brando,

svena la tua fedele.

È pietà con Didone esser crudele.

ENEA

Ch'io ti sveni! Ah più tosto

cada sopra di me del ciel lo sdegno.

Prima scemin gli dèi,

per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.

DIDONE

Dunque a Iarba mi dono. Olà.

(esce un paggio)

ENEA

Deh ferma.

Troppo, oh dio, per mia pena

sollecita tu sei.

DIDONE

Dunque mi svena.

ENEA

No; si ceda al destino. A Iarba stendi

la tua destra real; di pace priva

resti l'alma d'Enea, pur che tu viva.

DIDONE

Giacché d'altri mi brami,

appagarti saprò. Iarba si chiami.

(parte il paggio e un altro porta da sedere per Iarba)

Vedi quanto son io

ubbidiente a te.

ENEA

Regina addio.

(si levano da sedere)

DIDONE

Dove, dove? T'arresta.

Del felice imeneo

ti voglio spettatore.

(Resister non potrà.)

ENEA

(Costanza o core.)

Scena quindicesima

Iarba e detti.

IARBA

Didone a che mi chiedi?

Sei folle se mi credi

dall'ira tua, da tue minacce oppresso,

non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.

ENEA

(Che arroganza!)

DIDONE

Deh placa

il tuo sdegno o signor. Tu col tacermi

il tuo grado e 'l tuo nome

a gran rischio esponesti il tuo decoro.

Ed io... Ma qui t'assidi,

e con placido volto

ascolta i sensi miei.

IARBA

Parla, t'ascolto.

(siedono Iarba e Didone)

ENEA

(in atto di partire)

Permettimi che ormai...

DIDONE

(ad Enea)

Fermati e siedi.

Troppo lunghe non fian le tue dimore.

(Resister non potrà.)

ENEA

(Costanza, o core.)

(siede)

IARBA

Eh vada. Allor che teco

Iarba soggiorna ha da partir costui.

ENEA

(Ed io lo soffro.)

DIDONE

In lui

in vece d'un rival trovi un amico.

Ei sempre a tuo favore

meco parlò. Per suo consiglio io t'amo.

Se credi menzognero

il labbro mio,

(ad Enea)

dillo tu stesso.

ENEA

È vero.

IARBA

Dunque nel re de' Mori

altro merto non v'è che un suo consiglio?

DIDONE

No Iarba, in te mi piace

quel regio ardir che ti conosco in volto.

Amo quel cor sì forte,

sprezzator de' perigli e della morte.

E se il ciel mi destina

tua compagna e tua sposa...

ENEA

Addio regina.

(si alza)

Basta che fin ad ora

t'abbia ubbidito Enea.

DIDONE

Non basta ancora.

Siedi per un momento.

(Comincia a vacillar.)

ENEA

(torna a sedere)

(Questo è tormento!)

IARBA

Troppo tardi o Didone

conosci il tuo dover. Ma pure io voglio

donar gli oltraggi miei

tutti alla tua beltà.

ENEA

(Che pena o dèi!)

IARBA

In pegno di tua fede

dammi dunque la destra.

DIDONE

Io son contenta.

(lentamente, ed interrompendo le parole per osservarne l'effetto in Enea)

A più gradito laccio amor pietoso

stringer non mi potea.

ENEA

Più soffrir non si può.

(si leva agitato)

DIDONE

Qual ira Enea?

ENEA

Ma che vuoi? Non ti basta

quanto fin or soffrì la mia costanza?

DIDONE

Eh taci.

ENEA

Che tacer, tacqui abbastanza.

Vuoi darti al mio rivale,

brami che io te 'l consigli,

tutto faccio per te; che più vorresti?

Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?

Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.

DIDONE

Odi; a torto ti sdegni.

(s'alza)

Sai che per ubbidirti...

ENEA

Intendo, intendo.

Io sono il traditor, son io l'ingrato,

tu sei quella fedele

che per me perderebbe e vita e soglio,

ma tanta fedeltà veder non voglio.

(parte)

Scena sedicesima

Didone e Iarba.

DIDONE

Senti.

IARBA

Lascia che parta.

(s'alza)

DIDONE

I sdegni suoi

a me giova calmar.

IARBA

Di che paventi?

Dammi la destra e mia

di vendicarti poi la cura sia.

DIDONE

D'imenei non è tempo.

IARBA

Perché?

DIDONE

Più non cercar.

IARBA

Saperlo io bramo.

DIDONE

Già che vuoi, te 'l dirò. Perché non t'amo,

perché mai non piacesti agli occhi miei,

perché odioso mi sei, perché mi piace

più che Iarba fedele Enea fallace.

IARBA

Dunque perfida io sono

un oggetto di riso agli occhi tuoi!

Ma sai chi Iarba sia?

Sai con chi ti cimenti?

DIDONE

So che un barbaro sei né mi spaventi.

IARBA

Chiamami pur così.

Forse pentita un dì

pietà mi chiederai,

ma non l'avrai da me.

Quel barbaro che sprezzi,

non placheranno i vezzi;

né soffrirà l'inganno

quel barbaro da te.

(parte)

Scena diciassettesima

Didone.

E pure in mezzo all'ire

trova pace il mio cor. Iarba non temo,

mi piace Enea sdegnato ed amo in lui

com'effetti d'amor gli sdegni sui.

Chi sa! Pietosi numi,

rammentatevi almeno

che foste amanti un dì come son io

ed abbia il vostro cor pietà del mio.

Va lusingando Amore

il credulo mio core,

gli dice: «sei felice»,

ma non sarà così.

Per poco mi consolo,

ma più crudele io sento

poi ritornar quel duolo

che sol per un momento

dall'alma si partì.

Variante principale dell'atto II

Secondo l'edizione di Parigi del 1780.

Finale della scena XII.

Enea e Selene.

[...]

ENEA

Tu mi chiami tuo bene!

SELENE

È Didone che parla, e non Selene.

Vieni e l'ascolta. È l'unico conforto,

ch'ella implora da te.

ENEA

D'un core amante

quest'è il solito inganno:

va cercando conforto, e trova affanno.

Tormento il più crudele

d'ogni crudel tormento

è il barbaro momento,

che in due divide un cor.

È affanno sì tiranno,

che un'alma no 'l sostiene.

Ah! no 'l provar, Selene,

se no 'l provasti ancor.

(parte)

Scena tredicesima.

Selene sola.

Stolta! per chi sospiro? Io senza speme

perdo la pace mia. Ma chi mi sforza

in vano a sospirar? Scelgasi un core

più grato a' voti miei. Scelgasi un volto

degno d'amor. Scelgasi... Oh dio! la scelta

nostro arbitrio non è. Non è bellezza,

non è senno o valore,

che in noi risvegli amore: anzi talora

il men vago, il più stolto è che s'adora.

Bella ciascuna poi finge al pensiero

la fiamma sua, ma poche volte è vero.

Ogni amator suppone

che della sua ferita

sia la beltà cagione,

ma la beltà non è.

È un bel desio, che nasce

allor che men s'aspetta;

si sente che diletta,

ma non si sa perché.

(parte)

Atto terzo
Scena prima

Porto di mare con navi per l'imbarco d'Enea.
Enea e i suoi.

ENEA

Compagni invitti a tollerare avvezzi

e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,

destate il vostro ardire,

che per l'onda infedele

è tempo già di rispiegar le vele.

Quegli stessi voi siete

che intrepidi varcaste il mar sicano.

Per voi sdegnate invano

di Cariddi e di Scilla

fra' vortici sonori

tutti adunò Nettuno i suoi furori.

Per sì strane vicende

all'impero latino il ciel ne guida.

Andiamo amici, andiamo.

Ai troiani navigli

fremano pur venti e procelle intorno,

saran glorie i perigli;

e dolce fa di rammentarli un giorno.

Al suono di vari strumenti segue l'imbarco e nell'atto che Enea sta per salir su la nave, esce.

Scena seconda

Iarba con séguito de' Mori e detti.

IARBA

Dove rivolge dove

quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?

Vuol portar guerra altrove

o da me col fuggir cerca lo scampo?

ENEA

Ecco un novello inciampo.

IARBA

Fuggi, fuggi se vuoi,

ma non lagnarti poi

se della fuga tua Iarba si ride.

ENEA

Non irritar superbo

la sofferenza mia.

IARBA

Parmi però che sia

viltà, non sofferenza il tuo ritegno.

Per un momento il legno

può rimaner sul lido,

vieni, s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.

ENEA

Vengo.

(alle sue genti)

Restate, amici,

che ad abbassar quel temerario orgoglio

altri che il mio valor meco non voglio.

Eccomi a te. Che pensi?

IARBA

Penso che all'ira mia

la tua morte sarà poca vendetta.

ENEA

Per ora a contrastarmi

non fai poco se pensi. All'armi.

IARBA

All'armi.

Mentre si battono, e Iarba va cedendo, i suoi Mori vengono in aiuto di lui e assalgono Enea.

ENEA

Venga tutto il tuo regno.

IARBA

Difenditi, se puoi.

ENEA

Non temo indegno.

I Compagni d'Enea in aiuto di lui scendono dalle navi ed attaccano i Mori.

Enea e Iarba combattendo entrano.

Segue zuffa fra i Troiani e i Mori. I Mori fuggono e gli altri li seguono.

Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba.

ENEA

Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi

o trafiggo quel core.

IARBA

Invan lo chiedi.

ENEA

Se al vincitor sdegnato

non domandi pietà...

IARBA

Segui il tuo fato.

ENEA

Sì, mori... Ma che fo? Vivi, non voglio

nel tuo sangue infedele

quest'acciaro macchiar.

(lascia Iarba il quale sorge)

IARBA

Sorte crudele!

ENEA

Vivi superbo e regna.

Regna per gloria mia,

vivi per tuo rossor.

E la tua pena sia

il rammentar che in dono

ti diè la vita e il trono

pietoso il vincitor.

(parte)

Scena terza

Iarba.

Ed io son vinto ed io soffro una vita

che d'un vile stranier due volte è dono!

No. Vendetta vendetta, e se non posso

nel sangue d'un rivale tutto estinguer lo sdegno,

opprimerà la mia caduta un regno.

Su la pendice alpina

dura la quercia antica

e la stagion nemica

per lei fatal non è:

ma quando poi ruina

di mille etadi a fronte,

gran parte fa del monte

precipitar con sé.

(parte)

Scena quarta

Arborata tra la città e il porto.
Araspe ed Osmida.

OSMIDA

Già di Iarba in difesa

lo stuol de' Mori a queste mura è giunto.

ARASPE

M'è noto.

OSMIDA

Ad ogni impresa

al vostro avrete il mio valor congiunto.

ARASPE

Troppa follia sarebbe

fidarsi di te.

OSMIDA

Per qual cagione?

ARASPE

Un core

non può serbar mai fede

se una volta a tradir perdé l'orrore.

OSMIDA

A ragione infedele

con Didone son io. Così punisco

l'ingiustizia di lei che mai non diede

un premio alla mia fede

ARASPE

È arbitrio di chi regna,

non è debito il premio. E quando ancora

fosse dovuto a cento imprese e cento

non v'è torto che scusi un tradimento.

OSMIDA

Chi nutrisce di questa

rigorosa virtude i suoi pensieri

la sua sorte ingrandir giammai non speri.

ARASPE

Se produce rimorso

anche un regno è sventura. A te dovrebbe

la gloria esser gradita

di vassallo fedel, più che la vita.

OSMIDA

Questi dogmi severi

serba Araspe per te. Prendersi tanta

cura dell'opre altrui non è parmesso.

Non fa poco chi sol pensa a sé stesso.

Scena quinta

Selene e detti.

SELENE

Partì da' nostri lidi

Enea? Che fa? Dov'è?

OSMIDA

No 'l so.

ARASPE

No 'l vidi.

SELENE

Oh dio! Che più ci resta

se lontano da noi la sorte il guida?

ARASPE

È teco Araspe.

OSMIDA

E ti difende Osmida.

SELENE

Pria che manchi ogni spene

vado in traccia di lui.

(in atto di partire)

OSMIDA

Ferma Selene.

Se non gli sei ritegno

più pace avranno e la regina e il regno.

SELENE

Intendo i detti tuoi.

So perché lungi il vuoi.

ARASPE

(a Selene)

Con troppo affanno

di arrestarlo tu brami.

Perdona l'ardir mio, temo che l'ami.

SELENE

Se a te della germana

fosse noto il dolore

la mia pietà non chiameresti amore.

OSMIDA

(a Selene)

Tanta pietà per altri a te che giova?

Ad un cor generoso

qualche volta è viltà l'esser pietoso.

SELENE

Sensi d'alma crudel!

Scena sesta

Iarba frettoloso, con Guardie, e detto.

IARBA

Non son contento

se non trafiggo Enea.

SELENE

(Numi, che sento!)

ARASPE

Mio re qual nuovo affanno

t'ha così di furor l'anima accesa?

IARBA

Pria saprai la vendetta e poi l'offesa.

SELENE

(Che mai sarà?)

OSMIDA

(piano a Iarba)

Signore:

le tue schiere son pronte: è tempo al fine

che vendichi i tuoi torti.

IARBA

Araspe, andiamo.

ARASPE

Io seguo i passi tuoi.

OSMIDA

Deh pensa allora

che vendicato sei,

che la mia fedeltà premiar tu déi.

IARBA

È giusto: anzi preceda

la tua mercede alla vendetta mia.

OSMIDA

Generoso monarca...

IARBA

Olà costui

si disarmi e poi s'uccida.

(alcune delle guardie di Iarba disarmano Osmida)

OSMIDA

Come! Questo ad Osmida?

Qual ingiusto furore...

IARBA

Quest'è il premio dovuto a un traditore.

(parte)

OSMIDA

(ad Araspe)

Parla amico per me, fa' ch'io non resti

così vilmente oppresso.

ARASPE

Non fa poco chi sol pensa a sé stesso.

(parte)

OSMIDA

Pietà pietà Selene, ah non lasciarmi

in sì misero stato e vergognoso.

SELENE

Qualche volta è viltà l'esser pietoso.

(partendo s'incontra in Enea)

Scena settima

Enea con Séguito e detti.

ENEA

Principessa ove corri?

SELENE

A te ne vengo.

ENEA

Vuoi forse... O ciel, che miro!

(vedendo Osmida tra' mori)

OSMIDA

Invitto eroe.

Vedi, all'ira di Iarba...

ENEA

Intendo. Amici

in soccorso di lui l'armi volgete.

Alcuni Troiani vanno incontro a' Mori, i quali lasciando Osmida fuggono difendendosi.

SELENE

Signor togli un indegno

a suo giusto castigo.

ENEA

Lo punisca il rimorso.

OSMIDA

(s'inginocchia)

Ah lascia, Enea,

che grato a sì gran don...

ENEA

Sorgi, e parti.

Non odo i detti tuoi.

OSMIDA

Ed a virtù sì rara...

ENEA

Se grato esser mi vuoi,

ad esser fido un'altra volta impara.

OSMIDA

Quando l'onda che nasce dal monte

al suo fonte ritorni dal prato

sarò ingrato a sì bella pietà.

Fia del giorno la notte più chiara,

se a scordarsi quest'anima impara

di quel braccio che vita mi dà.

(parte)

Scena ottava

Enea e Selene.

ENEA

Addio Selene.

SELENE

Ascolta.

ENEA

Se brami un'altra volta

rammentarmi l'amor t'adopri in vano.

SELENE

Ma che farà Didone?

ENEA

Al partir mio

manca ogni suo periglio.

La mia presenza i suoi nemici irrìta.

Iarba al trono l'invita.

Stenda a Iarba la destra, e si consoli.

(in atto di partire)

SELENE

Senti, se a noi t'involi

non sol Didone, ancor Selene uccidi.

ENEA

Come!

SELENE

Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante

tacqui misera amante

l'amor mio, la mia fede,

ma vicina a morir chiedo mercede.

ENEA

Selene, del tuo foco

non mi parlar né degli affetti altrui.

Non più amante qual fui, guerriero io sono.

Torno al costume antico,

chi trattien le mie glorie è mio nemico.

A trionfar mi chiama

un bel desio d'onore

e già sopra il mio core

comincio a trionfar.

Con generosa brama,

fra i rischi e le ruine

di nuovi allori il crine

io volo a circondar.

(parte)

Scena nona

Selene.

Sprezzar la fiamma mia,

togliere alla mia fede ogni speranza,

esser vanto potria di tua costanza.

Ma se poi non consenti

che scopra i suoi tormenti il core amante,

sei barbaro, Enea, con me non sei costante.

Nel duol che prova

l'alma smarrita

non trova aita,

speme non ha.

E pur l'affanno

che mi tormenta

anch'a un tiranno

faria pietà.

(parte)

Scena decima

Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto, che poi s'incendia.
Didone e poi Osmida.

DIDONE

Va crescendo il mio tormento,

io lo sento e non l'intendo:

giusti dèi, che mai sarà?

OSMIDA

Deh regina, pietà!

DIDONE

Che rechi, amico?

OSMIDA

Ah no, così bel nome

non merta un traditore

d'Enea, di te nemico e del tuo amore.

DIDONE

Come!

OSMIDA

Con la speranza

di posseder Cartago,

Iarba mi fece suo; poi colla morte

i tradimenti miei punir volea,

ma dono è il viver mio del grand'Enea.

DIDONE

Reo di tanto delitto hai fronte ancora

di presentarti a me?

OSMIDA

(s'inginocchia)

Sì mia regina.

Tu vedi un infelice

che non spera il perdono e no 'l desia,

chiedo a te per pietà la pena mia.

DIDONE

Sorgi. Quante sventure!

Misera me, sotto qual astro io nacqui!

Manca ne' miei più fidi...

Scena undicesima

Selene e detti.

SELENE

Oh dio germana!

Alfine Enea...

DIDONE

Partì?

SELENE

No, ma fra poco

le vele scioglierà da' nostri lidi.

Or ora io stessa il vidi

verso i legni fugaci

sollecito condurre i suoi seguaci.

DIDONE

Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dèi!

Un esule infelice...

un mendìco stranier... Ditemi voi

se più barbaro cor vedeste mai?

E tu cruda Selene

partir lo vedi ed arrestar no 'l sai?

SELENE

Fu vana ogni mia cura.

DIDONE

Vanne Osmida e procura

che resti Enea per un momento solo,

m'ascolti e parta.

OSMIDA

Ad ubbidirti io volo.

(parte)

Scena dodicesima

Didone e Selene.

SELENE

Ah non fidarti. Osmida

tu non conosci ancor.

DIDONE

Lo so pur troppo.

A questo eccesso è giunta

la mia sorte tiranna:

deggio chiedere aita a chi m'inganna.

SELENE

Non hai fuor che in te stessa altra speranza.

Vanne a lui, prega e piangi;

chi sa, forse potrai vincer quel core.

DIDONE

Alle preghiere, ai pianti

Dido scender dovrà! Dido che seppe

dalle sidonie rive

correr dell'onde a cimentar lo sdegno,

altro clima cercando ed altro regno!

Son io, son quella ancora,

che di nuove cittadi Africa ornai,

che il mio fasto serbai

fra l'insidie, fra l'armi e fra i perigli,

ed a tanta viltà tu mi consigli?

SELENE

O scordati il tuo grado,

o abbandona ogni speme;

amore e maestà non vanno insieme.

Scena tredicesima

Si incominciano a veder fiamme in lontananza su gli edifizi di Cartagine.
Araspe e dette.

DIDONE

Araspe in queste soglie!

ARASPE

A te ne vengo

pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato

di Cartagine i tetti arde e ruina.

Vedi, vedi o regina,

le fiamme, che lontane agita il vento.

Se tardi un sol momento

a placare il suo sdegno

un sol giorno ti toglie e vita e regno.

DIDONE

Restano più disastri

per rendermi infelice!

SELENE

Infausto giorno!

Scena quattordicesima

Osmida e detti.

DIDONE

Osmida.

OSMIDA

Arde d'intorno...

DIDONE

Lo so. D'Enea ti chiedo.

Che ottenesti da Enea?

OSMIDA

Partì l'ingrato.

Già lontano è dal porto; io giunsi appena

a ravvisar le fuggitive antenne.

DIDONE

Ah stolta! io stessa, io sono

complice di sua fuga. Al primo istante

arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida,

corri, vola sul lido, aduna insieme

armi, navi, guerrieri.

Raggiungi l'infedele,

lacera i lini suoi, sommergi i legni,

portami fra catene

quel traditore avvinto.

E se vivo non puoi, portalo estinto.

OSMIDA

Tu pensi a vendicarti e cresce intanto

la sollecita fiamma.

DIDONE

È ver, corriamo.

Io voglio... Ah no... Restate...

Ma la vostra dimora...

Io mi confondo... E non partisti ancora?

OSMIDA

Eseguisco i tuoi cenni.

(parte)

Scena quindicesima

Didone, Selene e Araspe.

ARASPE

Al tuo periglio

pensa o Didone.

SELENE

E pensa

a ripararne il danno.

DIDONE

Non fo poco s'io vivo in tanto affanno.

Va' tu cara Selene,

provvedi, ordina, assisti in vece mia.

Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono.

SELENE

Ah che di te più sconsolata io sono!

(parte)

Scena sedicesima

Didone e Araspe.

ARASPE

E tu qui resti ancor? Né ti spaventa

l'incendio che s'avanza?

DIDONE

Ho persa ogni speranza,

non conosco timor. Ne' petti umani

il timore e la speme

nascono in compagnia, muoiono insieme.

ARASPE

Il tuo scampo desio. Vederti esposta

a tal rischio mi spiace.

DIDONE

Araspe per pietà lasciami in pace.

ARASPE

Già si desta la tempesta,

hai nemici i venti e l'onde,

io ti chiamo su le sponde

e tu resti in mezzo al mar.

Ma se vinta alfin tu sei

dal furor de le procelle,

non lagnarti de le stelle,

degli dèi non ti lagnar.

(parte)

Scena diciassettesima

Didone, poi Osmida.

DIDONE

I miei casi infelici

favolose memorie un dì saranno

e forse diverranno

soggetti miserabili e dolenti

alle tragiche scene i miei tormenti.

OSMIDA

È perduta ogni speme.

DIDONE

Così presto ritorni?

OSMIDA

In vano oh dio,

tentai passar dal tuo soggiorno al lido.

Tutta del Moro infido

il minaccioso stuol Cartago inonda.

Fra le strida e i tumulti

agl'insulti degli empii

son le vergini esposte, aperti i templi.

Né più desta pietade

o l'immatura o la cadente etade.

DIDONE

Dunque alla mia ruina

più riparo non v'è?

Si comincia a vedere il fuoco nella reggia.

Scena diciottesima

Selene e detti.

SELENE

Fuggi, o regina.

Son vinti i tuoi custodi;

non ci resta difesa.

Dalla cittade accesa

passan le fiamme alla tua reggia in seno,

e di fumo e faville è il ciel ripieno.

DIDONE

Andiam, si cerchi altrove

per noi qualche soccorso.

OSMIDA

E come?

SELENE

E dove?

DIDONE

Venite anime imbelli,

se vi manca valore

imparate da me come si muore.

Scena diciannovesima

Iarba con Guardie e detti.

IARBA

Fermati.

DIDONE

(Oh dèi!)

IARBA

Dove così smarrita?

Forse al fedel troiano

corri a stringer la mano?

Va' pure, affretta il piede,

ché al talamo reale ardon le tede.

DIDONE

Lo so, questo è il momento

delle vendette tue. Sfoga il tuo sdegno,

or ch'ogn'altro sostegno il ciel mi fura.

IARBA

Già ti difende Enea, tu sei sicura.

DIDONE

Alfin sarai contento.

Mi volesti infelice, eccomi sola,

tradita, abbandonata,

senz'Enea, senz'amici e senza regno.

Timida mi volesti. Ecco Didone,

già sì fastosa e fiera, a Iarba accanto

alfin discesa alla viltà del pianto.

Vuoi di più? Via crudel passami il core,

è rimedio la morte al mio dolore.

IARBA

(Cedon i sdegni miei.)

SELENE

(Giusti numi pietà.)

OSMIDA

(Soccorso o dèi.)

IARBA

E pur Didone, e pure

sì barbaro non son qual tu mi credi.

Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni.

L'offese io ti perdono,

e mia sposa ti guido al letto e al trono.

DIDONE

Io sposa d'un tiranno,

d'un empio, d'un crudel, d'un traditore,

che non sa che sia fede,

non conosce dover, non cura onore!

S'io fossi così vile,

saria giusto il mio pianto;

no, la disgrazia mia non giunse a tanto.

IARBA

In sì misero stato insulti ancora?

Olà, miei fidi andate,

s'accrescano le fiamme. In un momento

si distrugga Cartago e non vi resti

orma d'abitator che la calpesti.

(partono due comparse)

SELENE

Pietà del nostro affanno!

IARBA

Or potrai con ragion dirmi tiranno.

Cadrà fra poco in cenere

il tuo nascente impero

e ignota al passeggero

Cartagine sarà.

Se a te del mio perdono

meno è la morte acerba,

non meriti superba

soccorso né pietà.

(parte)

Scena ventesima

Didone, Selene e Osmida.

OSMIDA

Cedi a Iarba o Didone.

SELENE

Conserva colla tua la nostra vita.

DIDONE

Solo per vendicarmi

del traditore Enea,

ch'è la prima cagion de' mali miei,

l'aure vitali io respirar vorrei.

Ah faccia il vento almeno,

facciano almen gli dèi le mie vendette.

E folgori e saette

e turbini e tempeste

rendano l'aure e l'onde a lui funeste.

Vada ramingo e solo e la sua sorte

così barbara sia

che si riduca ad invidiar la mia.

SELENE

Deh modera il tuo sdegno, anch'io l'adoro

e soffro il mio tormento.

DIDONE

Adori Enea?

SELENE

Sì, ma per tua cagion...

DIDONE

Ah disleale,

tu rivale al mio amor?

SELENE

Se fui rivale

ragion non hai...

DIDONE

Dagli occhi miei t'invola,

non accrescer più pene

ad un cor disperato.

SELENE

(Misera donna ove la guida il fato!)

(parte)

Scena ventunesima

Didone e Osmida.

OSMIDA

Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?

DIDONE

Mancano più nemici! Enea mi lascia,

trovo Selene infida,

Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.

Ma che feci empi numi? Io non macchiai

di vittime profane i vostri altari.

Né mai di fiamma impura

feci l'are fumar per vostro scherno.

Dunque perché congiura

tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?

OSMIDA

Ah pensa a te, non irritar gli dèi.

DIDONE

Che dèi? Son nomi vani,

son chimere sognate, o ingiusti sono.

OSMIDA

(Gelo a tanta empietade! E l'abbandono.)

(parte)

Cadono alcune fabbriche, e si vedono crescere le fiamme nella reggia.

Scena ventiduesima

Didone sola.

Ah che dissi, infelice! A qual eccesso

mi trasse il mio furore.

Oh dio cresce l'orrore! Ovunque io miro

mi vien la morte e lo spavento in faccia:

trema la reggia e di cader minaccia.

Selene, Osmida, ah tutti,

tutti cedeste alla mia sorte infida,

non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.

Vado... Ma dove?... Oh dio!

Resto... Ma poi, che fo!

Dunque morir dovrò

senza trovar pietà?

E v'è tanta viltà nel petto mio?

No no. Si mora. E l'infedele Enea

abbia nel mio destino

un augurio funesto al suo cammino.

Precipiti Cartago,

arda la reggia e sia

il cenere di lei la tomba mia.

Varianti principali dell'atto III

Secondo l'edizione di Parigi del 1780.

Finale della scena II.

Enea e Iarba.

[...]

ENEA

Se al vincitor sdegnato

non domandi pietà...

IARBA

Segui il tuo fato.

ENEA

Sì, mori... Ma che fo? No, vivi. In vano

tenti il mio cor con quell'insano orgoglio.

No; la vittoria mia macchiar non voglio.

(parte)

IARBA

Son vinto sì, ma non oppresso. Almeno

oggetto all'ire tue, sorte incostante,

Iarba sol non sarà.

La caduta d'un regnante

tutto un regno opprimerà.

(parte)

Aria di Selene nella scena nona.

SELENE

Io d'amore, oh dio! mi moro,

e mi niega il mio tiranno

anche il misero ristoro

di lagnarmi e poi morir.

Che costava a quel crudele

l'ascoltar le mie querele,

e donare a tanto affanno

qualche tenero sospir!

(parte)

Didascalia finale della scena ventiduesima.

Dicendo l'ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia: e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo, che si sollevano alla sua caduta.

Nel tempo medesimo su l'ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell'avvicinarsi all'incendio, a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza delle acque. Il furioso alternar dell'onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell'incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de' tuoni, l'interrotto lume de' lampi, e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l'ostinato contrasto dei due nemici elementi.

Licenza

Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l'orrida in lieta sinfonia; e dal seno dell'onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di Nereidi, di Sirene e di Tritoni, comparisce il Nume, che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore:

NETTUNO

Se alla discordia antica

ritornar gli elementi, astri benigni

del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,

non vi rechi stupor. Di merto eguali,

bella gara d'onor ci fa rivali.

Se l'emulo Vulcano

qui degl'incendi suoi

fa spettacolo a voi, per qual cagione

dovrà sì nobil peso

a me nume dell'acque esser conteso?

Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo

talor da' cavi bronzi,

dell'ira vostra esecutor fedele;

della vostra giustizia

fedele ognora esecutore anch'io

porto a' mondi remoti

le vostre leggi; e ne riporto i voti.

Onde a ragion pretesi

parte alla gloria; onde a ragion costrinsi

nell'illustre contesa

a fremer le procelle in mia difesa.

Tacete, o mie procelle,

di questo soglio al piè,

or che il rivale a me

cedé la palma.

E dell'ibere stelle

al fausto balenar

tutti i regni del mar

tornino in calma.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Variante principale dell'atto II Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima Scena ventiduesima Varianti principali dell'atto III