Atto primo

 

Scena prima

Orti pensili corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.
Dircea e Matusio.

Bozzetti

 Q 

Dircea, Matusio

 

DIRCEA

Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto  

un mal dubbioso ancora

rende sicuro. A domandar che solo

il mio nome non vegga

l'urna fatale, altra ragion non hai

che il regio esempio.

MATUSIO

E ti par poco? Io forse

perché suddito nacqui

son men padre del re? D'Apollo il cenno

d'una vergine illustre

vuol che su l'are sue si sparga il sangue

ogn'anno in questo dì; ma non esclude

le vergini reali. Ei che si mostra

delle leggi divine

sì rigido custode agli altri insegni

con l'esempio costanza. A sé richiami

le allontanate ad arte

sue regie figlie. I nomi loro esponga

anch'egli al caso. All'agitar dell'urna

provi egli ancor d'un infelice padre

come palpita il cor, come si trema

quando al temuto vaso

la mano accosta il sacerdote e quando

in sembianza funesta

l'estratto nome a pronunciar s'appresta.

E arrossisca una volta

ch'abbia a toccar sempre la parte a lui

di spettator nelle miserie altrui.

DIRCEA

Ma sai pur che a' sovrani

è suddita la legge.

MATUSIO

Le umane sì, non le divine.

DIRCEA

E queste

a lor s'aspetta interpretar.

MATUSIO

Non quando

parlan chiaro gli dèi.

DIRCEA

Mai chiari a segno...

MATUSIO

Non più, Dircea. Son risoluto.

DIRCEA

Ah meglio

pensaci, o genitor. L'ira ne' grandi

sollecita s'accende,

tarda s'estingue. È temeraria impresa

l'irritare uno sdegno

che ha congiunto il poter. Già il re purtroppo

bieco ti guarda. Ah che sarà se aggiunge

ire novelle all'odio antico?

MATUSIO

Invano

l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira.

La ragion mi difende, il ciel m'inspira.

 

O più tremar non voglio  

fra tanti affanni e tanti;

o ancor chi preme il soglio

ha da tremar con me.

Ambo siam padri amanti;

ed il paterno affetto

parla egualmente in petto

del suddito e del re.

(parte)

Matusio ->

 

Scena seconda

Dircea, e poi Timante.

 

DIRCEA

Se 'l mio principe almeno  

quindi lungi non fosse... Oh ciel! Che miro?

Ei viene a me!

 

<- Timante

TIMANTE

Dolce consorte...  

DIRCEA

Ah taci,

potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,

che qui non resta in vita

suddita sposa a regio figlio unita.

TIMANTE

Non temer mia speranza. Alcun non ode;

io ti difendo.

DIRCEA

E quale amico nume

ti rende a me?

TIMANTE

Del genitore un cenno

mi richiama dal campo

né la cagion ne so. Ma tu mia vita

m'ami ancor? Ti ritrovo

qual ti lasciai? Pensasti a me?

DIRCEA

Ma come

chieder lo puoi? Puoi dubitarne?

TIMANTE

Oh dio!

Non dubito ben mio; lo so che m'ami.

Ma da quel dolce labbro

troppo, (soffrilo in pace),

sentirlo replicar troppo mi piace.

Ed il picciolo Olinto, il caro pegno

de' nostri casti amori

che fa? Cresce in bellezza?

A qual di noi somiglia?

DIRCEA

Egli incomincia

già col tenero piede

orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto

quella dolce fierezza

che tanto in te mi piacque. Allor che ride,

par l'immagine tua. Lui rimirando,

te rimirar mi sembra. Oh quante volte

credula troppo al dolce error del ciglio

mi strinsi al petto il genitor nel figlio.

TIMANTE

Ah dov'è? Sposa amata,

guidami a lui; fa' ch'io lo vegga.

DIRCEA

Affrena,

signor, per ora il violento affetto.

In custodita parte

egli vive celato; e andarne a lui

non è sempre sicuro. Oh quanta pena

costa il nostro segreto!

TIMANTE

Ormai son stanco

di finger più, di tremar sempre. Io voglio

cercar oggi una via

d'uscir di tante angustie.

DIRCEA

Oggi sovrasta

altra angustia maggiore. Il giorno è questo

dell'annuo sacrificio. Il nome mio

sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole,

s'oppone il padre e della lor contesa

temo più che del resto.

TIMANTE

È noto forse

al padre tuo che sei mia sposa?

DIRCEA

Il cielo

no 'l voglia mai. Più non vivrei.

TIMANTE

M'ascolta.

Proporrò che di nuovo

si consulti l'oracolo. Acquistiamo

tempo a pensar.

DIRCEA

Questo è già fatto.

TIMANTE

E come

rispose?

DIRCEA

Oscuro e breve.

«Con voi del ciel si placherà lo sdegno,

quando noto a sé stesso

fia l'innocente usurpator d'un regno.»

TIMANTE

Che tenebre son queste?

DIRCEA

E se dall'urna

esce il mio nome? Io che farò? La morte

mio spavento non è; Dircea saprebbe

per la patria morir. Ma Febo chiede

d'una vergine il sangue. Io moglie e madre

come accostarmi all'ara? O parli, o taccia,

colpevole mi rendo.

Il ciel se taccio, il re se parlo offendo.

TIMANTE

Sposa, ne' gran perigli

gran coraggio bisogna. Al re conviene

scoprir l'arcano.

DIRCEA

E la funesta legge

che a morir mi condanna?

TIMANTE

Un re la scrisse,

può revocarla un re. Benché severo

Demofoonte è padre ed io son figlio.

Qual forza han questi nomi

io lo so, tu lo sai. Non torno alfine

senza merito a lui. La Scitia oppressa,

il soggiogato Fasi

son mie conquiste; e qualche cosa il padre

può fare anche per me. Se ciò non basta

saprò dinanzi a lui

piangere, supplicar, piegarmi al suolo,

abbracciargli le piante,

domandargli pietà.

DIRCEA

Dubito... Oh dio!

TIMANTE

Non dubitar Dircea. Lascia la cura

a me del tuo destin. Va'. Per tua pace

ti stia nell'alma impresso

che a te penso, cor mio, più che a me stesso.

 

DIRCEA

In te spero, o sposo amato;  

fido a te la sorte mia;

e per te, qualunque sia,

sempre cara a me sarà.

Pur che a me nel morir mio

il piacer non sia negato

di vantar che tua son io

il morir mi piacerà.

(parte)

Dircea ->

 

Scena terza

Timante e poi Demofoonte con Séguito, indi Adrasto.

 

TIMANTE

Sei pur cieca, o fortuna! Alla mia sposa  

generosa concedi

beltà, virtù quasi divina e poi

la fai nascer vassalla. Error sì grande

correggerò ben io. Meco sul trono

la Tracia un dì l'adorerà. Ma viene

il real genitor. Più non s'asconda

il mio segreto a lui.

 

<- Demofoonte, seguito

DEMOFOONTE

Principe, figlio.  

TIMANTE

Padre, signor.

(s'inginocchia e gli bacia la mano)

DEMOFOONTE

Sorgi.

TIMANTE

I reali imperi

eccomi ad eseguir.

DEMOFOONTE

So che non piace

al tuo genio guerriero

la pacifica reggia; e il cenno mio

che ti svelle dall'armi

forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,

e perché mie conquiste e perché tuoi,

sempre cari mi son. Ma tu di loro

mi sei più caro. I tuoi sudori ormai

di riposo han bisogno. È del riposo

figlio il valor. Sempre vibrato, al fine

inabile a ferir l'arco si rende.

Il meritar son le tue parti; e sono

il premiarti le mie. Se il prence, il figlio

degnamente le sue compì finora,

il padre, il re le sue compisca ancora.

TIMANTE

(Opportuno è il momento: ardir.) Conosco

tanto il bel cor del mio

tenero genitor, che...

DEMOFOONTE

No, non puoi

conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,

a te più che non credi.

Io ti leggo nell'alma; e quel, che taci,

intendo ancor. Con la tua sposa al fianco

vorresti ormai che ti vedesse il regno.

Di', non è ver?

TIMANTE

(Certo ei scoperse il nodo

che mi stringe a Dircea.)

DEMOFOONTE

Parlar non osi;

e a compiacerti appunto

il tuo mi persuade

rispettoso silenzio. Io lo confesso

dubitai sulla scelta. Anzi mi spiacque.

L'acconsentire al nodo

mi pareva viltà. Gli odi del padre

aborria nella figlia. Alfin prevalse

il desio di vederti

felice, o prence.

TIMANTE

(Il dubitarne è vano.)

DEMOFOONTE

A paragon di questo

è lieve ogni riguardo.

TIMANTE

Amato padre,

nuova vita or mi dai. Volo alla sposa

per condurla al tuo piè.

DEMOFOONTE

Ferma. Cherinto

il tuo minor germano

la condurrà.

TIMANTE

Che inaspettata è questa

felicità!

DEMOFOONTE

V'è per mio cenno al porto

chi ne attende l'arrivo.

TIMANTE

Al porto!

DEMOFOONTE

E quando

vegga apparir la sospirata nave,

avvertiti sarem.

TIMANTE

Qual nave?

DEMOFOONTE

Quella

che la real Creusa

conduce alle tue nozze.

TIMANTE

(Oh dèi!)

DEMOFOONTE

Ti sembra

strano, lo so. Gli ereditari sdegni

de' suoi, degli avi nostri un simil nodo

non facevan sperar. Ma in dote al fine

ella ti porta un regno. Unica prole

è del cadente re.

TIMANTE

Signor... Credei...

(Oh error funesto!)

DEMOFOONTE

Una consorte altrove,

che suddita non sia per te non trovo.

TIMANTE

O suddita o sovrana

che importa o padre.

DEMOFOONTE

Ah no; troppo degli avi

ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge

che condanna a morir sposa vassalla

unita al real germe; e finch'io viva

saronne il più severo

rigido esecutor.

TIMANTE

Ma questa legge...

 

<- Adrasto

ADRASTO

Signor, giungono in porto  

le frigie navi.

DEMOFOONTE

Ad incontrar la sposa

vola o Timante.

(Adrasto si ritira)

Adrasto ->

 

TIMANTE

Io?  

DEMOFOONTE

Sì. Con te verrei;

ma un funesto dover mi chiama al tempio.

TIMANTE

Ferma, senti signor.

DEMOFOONTE

Parla. Che brami?

TIMANTE

Confessarti... (Che fo?) Chiederti... (Oh dio

che angustia è questa!) Il sacrificio, o padre,

la legge... la consorte...

(Oh legge! Oh sposa! Oh sacrificio! Oh sorte!)

DEMOFOONTE

Prence, ormai non ci resta

più luogo a pentimento. È stretto il nodo;

io l'ho promesso. Il conservar la fede

obbligo necessario è di chi regna;

e la necessità gran cose insegna.

 

Per lei fra l'armi dorme il guerriero;  

per lei fra l'onde canta il nocchiero;

per lei la morte terror non ha.

Fin le più timide belve fugaci

valor dimostrano, si fanno audaci,

quand'è il combattere necessità.

(parte)

Demofoonte, seguito ->

 

Scena quarta

Timante solo.

 

 

Ma che vi fece, o stelle,  

la povera Dircea, che tante unite

sventure contro lei! Voi che inspiraste

i casti affetti alle nostr'alme; voi

che al pudico imeneo foste presenti,

difendetelo, o numi; io mi confondo.

M'oppresse il colpo a segno

che il cor mancommi e si smarrì l'ingegno.

 

Sperai vicino il lido;  

credei calmato il vento;

ma trasportar mi sento

fra le tempeste ancor.

E, da uno scoglio infido

mentre salvar mi voglio

urto in un altro scoglio

del primo assai peggior.

(parte)

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Timante ->

 
 

Scena quinta

Porto di mare festivamente adornato per l'arrivo della Principessa di Frigia. Vista di molte navi, dalla più magnifica delle quali al suono di vari strumenti barbari e preceduti da numeroso Corteggio sbarcano a terra Creusa, e Cherinto.

 Q 

<- corteggio, Creusa, Cherinto

corteggio ->

 

CREUSA

Ma che t'affanna, o prence?  

Perché mesto così? Pensi, sospiri,

taci, mi guardi; e se a parlar t'astringo

con rimproveri amici

molto a dir ti prepari e nulla dici.

Dove andò quel sereno

allegro tuo sembiante? Ove i festivi

detti ingegnosi? In Tracia tu non sei

qual eri in Frigia. Al talamo le spose

in sì lugubre aspetto

s'accompagnan fra voi? Per le mie nozze

qual augurio è mai questo?

CHERINTO

Se nulla di funesto

presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,

o bella principessa,

tutto sopra di me. Poco i miei mali

accresceran le stelle. Io de' viventi

già sono il più infelice.

CREUSA

E questo arcano

non può svelarsi a me? Vaglion sì poco

il mio soccorso, i miei consigli?

CHERINTO

E vuoi

ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...

Quel giorno... Oh dio! No, non ho cor. Perdona,

meglio è tacer. Meriterei parlando

forse lo sdegno tuo.

CREUSA

Lo merta assai

già la tua diffidenza. È ver ch'alfine

io son donna e sarebbe

mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.

Taci pur; n'hai ragion.

CHERINTO

Férmati. Oh numi!

Parlerò; non sdegnarti. Io non ho pace;

tu me la togli; il tuo bel volto adoro;

so che l'adoro invano;

e mi sento morir. Questo è l'arcano.

CREUSA

Come! Che ardir...

CHERINTO

No 'l dissi

che sdegnar ti farei!

CREUSA

Sperai Cherinto

più rispetto da te.

CHERINTO

Colpa d'amore...

CREUSA

Taci, taci. Non più.

(volendo partire)

CHERINTO

Ma già che a forza

tu volesti, o Creusa

il delitto ascoltar, senti la scusa.

CREUSA

Che dir potrai?

CHERINTO

Che di pietà son degno,

s'ardo per te. Che se l'amarti è colpa,

Demofoonte è il reo. Doveva il padre

per condurti a Timante

altri sceglier che me. Se l'esca avvampa,

stupir non dée chi l'avvicina al fuoco.

Tu bella sei, cieco io non son. Ti vidi,

t'ammirai, mi piacesti. A te vicino

ogni dì mi trovai. Comodo e scusa

il nome di congiunto

mi diè per vagheggiarti; e me quel nome

non che gli altri ingannò. L'amor che sempre

sospirar mi facea d'esserti accanto

mi pareva dovere. E mille volte

a te spiegar credei

gli affetti del german, spiegando i miei.

CREUSA

(Ah me n'avvidi.) Un tale ardir mi giunge

nuovo così che instupidisco.

CHERINTO

E pure

talor mi lusingai che l'alme nostre

s'intendesser fra loro

senza parlar. Certi sospiri intesi;

un non so che di languido osservai

spesso negli occhi tuoi, che mi parea

molto più che amicizia.

CREUSA

Or su, Cherinto,

della mia tolleranza

cominci ad abusar. Mai più d'amore

guarda di non parlarmi.

CHERINTO

Io non comprendo...

CREUSA

Mi spiegherò. Se in avvenir più saggio

non sei di quel che fosti infin ad ora,

non comparirmi innanzi. Intendi ancora?

 

CHERINTO

T'intendo, ingrata,  

vuoi ch'io m'uccida.

Sarai contenta;

m'ucciderò.

Ma ti rammenta

ch'a un'alma fida

l'averti amata

troppo costò.

(vuol partire)

 

CREUSA

Dove? Ferma.  

CHERINTO

No no. Troppo t'offende

la mia presenza.

(in atto di partire)

CREUSA

Odi, Cherinto.

CHERINTO

Eh troppo

abuserei restando

della tua tolleranza.

(come sopra)

CREUSA

E chi finora

t'impose di partir?

CHERINTO

Comprendo assai

anche quel che non dici.

CREUSA

Ah prence, ah quanto

mal mi conosci. Io da quel punto... (Oh numi!)

CHERINTO

Termina i detti tuoi.

CREUSA

Da quel punto... (Ah che fo?) Parti, se vuoi.

CHERINTO

Barbara partirò; ma forse... Oh stelle!

Ecco il german.

 

Scena sesta

Timante frettoloso, e detti.

<- Timante

 

TIMANTE

Dimmi, Cherinto: è quella  

la frigia principessa?

CHERINTO

Appunto.

TIMANTE

Io deggio

seco parlar. Per un momento solo

da noi ti scosta.

CHERINTO

Ubbidirò. (Che pena!)

CREUSA

Sposo, signor.

TIMANTE

Donna real, noi siamo

in gran periglio entrambi. Il tuo decoro,

la vita mia tu sola

puoi difender, se vuoi.

CREUSA

Che avvenne?

TIMANTE

I nostri

genitori fra noi strinsero un nodo,

che forse a te dispiace,

ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali

sarian degni d'un nume

non che di me; ma il mio destin non vuole

ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone

invincibil riparo. Il padre mio

no 'l sa; né posso dirlo. A te conviene

prevenire un rifiuto. In vece mia

va', rifiutami tu. Di' ch'io ti spiaccio;

aggrava, io te 'l perdono,

i demeriti miei; sprezzami e salva

per questa via, che il mio dover t'addita,

l'onor tuo, la mia pace e la mia vita.

CREUSA

Come!

TIMANTE

Teco io non posso

trattenermi di più.

(a Cherinto partendo)

Prence alla reggia

sia tua cura il condurla.

CREUSA

Ah dimmi almeno...

TIMANTE

Dissi tutto il cor mio;

né più dirti saprei. Pensaci. Addio.

(parte)

Timante ->

 

Scena settima

Creusa, e Cherinto.

 

CREUSA

Numi! A Creusa? Alla reale erede  

dello scettro di Frigia un tale oltraggio?

Cherinto, hai cuor?

CHERINTO

L'avrei,

se tu non me 'l toglievi.

CREUSA

Ah l'onor mio

vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,

il talamo, lo scettro,

quanto possiedo è tuo. Limite alcuno

non pongo al premio.

CHERINTO

E che vorresti?

CREUSA

Il sangue

dell'audace Timante.

CHERINTO

Del mio german!

CREUSA

Che! Impallidisci? Ah vile.

Va'. Troverò chi voglia

meritar l'amor mio.

CHERINTO

Ma principessa.

CREUSA

Non più. Lo so; siete d'accordo entrambi

scellerati a tradirmi.

CHERINTO

Io? Come? E credi

così dunque il mio amor poco sincero...

CREUSA

Del tuo amor mi vergogno o falso o vero.

 

Non curo l'affetto  

d'un timido amante

che serba nel petto

sì poco valor.

Che trema, se deve

far uso del brando,

ch'è audace sol quando

si parla d'amor.

(parte)

Creusa ->

 

Scena ottava

Cherinto solo.

 

 

Oh dèi perché tanto furor! Che mai  

le avrà detto il german! Voler ch'io stesso

nelle fraterne vene... Ah ch'in pensarlo

gelo d'orror! Ma con qual fasto il disse!

Con qual fierezza! E pur quel fasto e quella

sua fierezza m'alletta. In essa io trovo

un non so che di grande

che in mezzo al suo furore

stupir mi fa, mi fa languir d'amore.

 

Il suo leggiadro viso  

non perde mai beltà;

bello nella pietà,

bello è nell'ira.

Quand'apre i labbri al riso,

parmi la dèa del mar;

e Pallade mi par,

quando s'adira.

(parte)

Cherinto ->

 

Scena nona

Matusio esce furioso con Dircea per mano.

<- Matusio, Dircea

 

DIRCEA

Dove, dove o signor?  

MATUSIO

Nel più deserto

sen della Libia, alle foreste ircane,

fra le scitiche rupi, o in qualche ignota,

se alcuna il mar ne serra,

separata dal mondo ultima terra.

DIRCEA

(Ahimè!)

MATUSIO

Sudate o padri

nella cura de' figli. Ecco il rispetto

che il dritto di natura,

che prometter si può la vostra cura.

DIRCEA

(Ah scoprì l'imeneo! Son morta). Oh dio

signor pietà.

MATUSIO

Non v'è pietà né fede.

Tutto è perduto.

DIRCEA

Ecco al tuo piè...

MATUSIO

Che fai?

DIRCEA

Io voglio pianger tanto...

MATUSIO

Il tuo caso domanda altro che pianto.

DIRCEA

Sappi...

MATUSIO

Attendimi. Un legno

volo a cercar che ne trasporti altrove.

(parte)

Matusio ->

 

Scena decima

Dircea, e poi Timante.

 

DIRCEA

Dove, misera, ah dove  

vuol condurmi a morir? Figlio innocente,

adorato consorte, oh dèi, che pena

partir senza vedervi.

 

<- Timante

TIMANTE

Alfin ti trovo,  

Dircea, mia vita.

DIRCEA

Ah caro sposo addio

e addio per sempre. Al tuo paterno amore

raccomando il mio figlio.

Abbraccialo per me. Bacialo e tutta

narragli, quando sia

capace di pietà, la sorte mia.

TIMANTE

Sposa che dici? Ah nelle vene il sangue

gelar mi fai!

DIRCEA

Certo scoperse il padre

il nostro arcano. Ebro è di sdegno e vuole

quindi lungi condurmi. Io lo conosco,

per me non v'è più speme.

TIMANTE

Eh rassicura

lo smarrito tuo cor, sposa diletta,

al mio fianco tu sei.

 

Scena undicesima

Matusio torna frettoloso e detti.

<- Matusio

 

MATUSIO

Dircea t'affretta.  

TIMANTE

Dircea non partirà.

MATUSIO

Chi l'impedisce?

TIMANTE

Io.

MATUSIO

Come!

DIRCEA

Ahimè!

MATUSIO

Difenderò col ferro

la paterna ragion.

(snuda la spada)

TIMANTE

Col ferro anch'io

la mia difenderò.

(fa lo stesso)

DIRCEA

Prence che fai?

Férmati, o genitore.

(si frappone)

MATUSIO

Empio! Impedirmi

che al crudel sacrificio una innocente

vergine io tolga!

DIRCEA

(Oh dèi!)

TIMANTE

Ma dunque...

DIRCEA

(piano a Timante fingendo trattenerlo)

(Ah taci.

Nulla sa; m'ingannai.)

MATUSIO

Volerla oppressa!

DIRCEA

(Io quasi per timor tradii me stessa.)

TIMANTE

Signor perdona. Ecco l'error. Ti vidi

verso lei che piangea correr sdegnato;

tempo a pensar non ebbi; opra pietosa

il salvarla credei dal tuo furore.

MATUSIO

Dunque la nostra fuga

non impedir. La vittima, se resta,

oggi sarà Dircea.

DIRCEA

Stelle!

TIMANTE

Dall'urna

forse il suo nome uscì?

MATUSIO

No; ma l'ingiusto

tuo padre vuol quell'innocente uccisa,

senza il voto del caso.

TIMANTE

E perché tanto

sdegno con lei?

MATUSIO

Per punir me che volli

impedir che alla sorte

fosse esposta Dircea, perché produssi

l'esempio suo, perché l'amor paterno

mi fe' scordar d'esser vassallo.

DIRCEA

Oh dio!

Ogni cosa congiura a danno mio.

TIMANTE

Matusio non temer. Barbaro tanto

il re non è. Negl'impeti improvvisi

tutti abbaglia il furor; ma la ragione

poi n'emenda i trascorsi.

 

Scena dodicesima

Adrasto con Guardie, e detti.

<- Adrasto, guardie

 

ADRASTO

Olà, ministri  

custodite Dircea.

(le guardie la circondano)

MATUSIO

No 'l dissi, o prence?

TIMANTE

Come?

DIRCEA

Misera me!

TIMANTE

Per qual ragione

è Dircea prigioniera?

ADRASTO

Il re l'impone.

(a Dircea)

Vieni.

DIRCEA

Ah dove?

ADRASTO

Fra poco

sventurata il saprai.

DIRCEA

Principe, padre,

soccorretemi voi,

movetevi a pietà.

TIMANTE

(in atto d'assalire)

No; non fia vero...

MATUSIO

(in atto d'assalire)

Non soffrirò...

ADRASTO

Se v'appressate, in seno

questo ferro le immergo.

(impugnando uno stilo)

TIMANTE

Empio!

MATUSIO

Inumano!

(si fermano)

ADRASTO

Il comando sovrano

mi giustifica assai.

DIRCEA

Dunque...

ADRASTO

T'affretta.

Or son vane, o Dircea, le tue querele.

DIRCEA

Vengo.

(incamminandosi)

TIMANTE E MATUSIO

(in atto d'assalire)

Ah barbaro!

ADRASTO

(in atto di ferire)

Olà.

TIMANTE E MATUSIO

(arrestandosi)

Ferma crudele.

 

DIRCEA

Padre perdona... Oh pene!  

Prence rammenta... Oh dio!

(Già che morir degg'io,

potessi almen parlar!)

Misera in che peccai?

Come son giunta mai

de' numi a questo segno

lo sdegno a meritar?

(parte)

Adrasto, Dircea, guardie ->

 

Scena tredicesima

Timante, e Matusio.

 

TIMANTE

Consigliatemi, o dèi.  

MATUSIO

Né s'apre il suolo!

Né un fulmine punisce

tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi

mi si dirà che Giove

abbia cura di noi.

TIMANTE

Facciamo, amico,

miglior uso del tempo. Appresso a lei

tu vanne e vedi ov'è condotta. Il padre

io volo intanto a raddolcir.

MATUSIO

Non spero...

TIMANTE

Oh dio. Va'. Troverassi

altra via di salvarla, ove non ceda

del genitor lo sdegno.

MATUSIO

O di padre miglior figlio ben degno.

(l'abbraccia e parte)

Matusio ->

 

TIMANTE

Se ardire e speranza  

dal ciel non mi viene,

mi manca costanza

per tanto dolor.

La dolce compagna

vedersi rapire,

udir che si lagna,

condotta a morire,

son smanie, son pene

che opprimono un cor.

(parte)

Timante ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Orti pensili corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.

Dircea, Matusio
 

Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto

Dircea
Matusio ->

Se 'l mio principe almeno

Dircea
<- Timante

Dolce consorte / Ah taci

Timante
Dircea ->

Sei pur cieca, o fortuna!

Timante
<- Demofoonte, seguito

Principe, figlio

Timante, Demofoonte, seguito
<- Adrasto

Signor, giungono in porto

Timante, Demofoonte, seguito
Adrasto ->

Io? / Sì. Con te verrei

Timante
Demofoonte, seguito ->

Ma che vi fece, o stelle

Timante ->

Porto di mare festivamente adornato; vista di molte navi.

<- corteggio, Creusa, Cherinto

(suono di vari strumenti barbari)

Creusa, Cherinto
corteggio ->

Ma che t'affanna, o prence?

Dove? Ferma / No no. Troppo t'offende

Creusa, Cherinto
<- Timante

Dimmi, Cherinto: è quella

Creusa, Cherinto
Timante ->

Numi! A Creusa? Alla reale erede

Cherinto
Creusa ->

Oh dèi perché tanto furor!

Cherinto ->
<- Matusio, Dircea

Dove, dove o signor? / Nel più deserto

Dircea
Matusio ->

Dove, misera, ah dove

Dircea
<- Timante

Alfin ti trovo, Dircea

Dircea, Timante
<- Matusio

Dircea t'affretta

Dircea, Timante, Matusio
<- Adrasto, guardie

Olà, ministri custodite Dircea

Timante, Matusio
Adrasto, Dircea, guardie ->

Consigliatemi, o dèi / Né s'apre il suolo!

Timante
Matusio ->
Timante ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima
Orti pensili corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte. Porto di mare festivamente adornato; vista di molte navi. Gabinetti. Portici. Atrio del tempio d'Apollo; magnifica ma breve scala per cui si ascende al tempio medesimo,... Cortile interno nel carcere. Luogo magnifico nella reggia festivamente adornato per le nozze.
Atto secondo Atto terzo

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