DEMOFOONTE
Dramma per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Antonio CALDARA.
Prima esecuzione: 4 novembre 1733, Vienna.
Personaggi:
DEMOFOONTE re di Tracia |
tenore |
DIRCEA segreta moglie di Timante |
soprano |
CREUSA principessa di Frigia, destinata sposa di Timante |
soprano |
TIMANTE creduto principe ereditario, figlio di Demofoonte |
soprano |
CHERINTO figlio di Demofoonte, amante di Creusa |
soprano |
MATUSIO creduto padre di Dircea, grande del regno |
basso |
ADRASTO capitano delle guardie reali e confidente del re |
tenore |
OLINTO fanciullo, figlio di Timante |
soprano |
Comparse di Nobili traci con Demofoonte, di Guardie col medesimo; di Dame frigie, di Cavalieri, di Paggi, di Guardie, di Marinari con Creusa; di Traci sollevati con Timante; di Sacerdoti di Apollo.
Il luogo della scena è la reggia di Demofoonte nella Chersoneso di Tracia.
Dedica
Dramma per musica da rappresentarsi nella cesarea corte, per il nome gloriosissimo della sacra cesarea e cattolica real maestà di Carlo VI, imperatore de' Romani sempre augusto, per comando della sacra cesarea e cattolica real maestà di Elisabetta Cristina, imperatrice regnante, l'anno MDCCXXXIII.
La poesia è del signor abate Pietro Metastasio, poeta di sua maestà cesarea e cattolica. La musica è del signor Antonio Caldara, vicemaestro di cappella di sua maestà cesarea e cattolica.
Argomento
Regnando Demofoonte nella Chersoneso di Tracia, consultò l'oracolo d'Apollo, per intendere quando dovesse aver fine il crudel rito già dall'oracolo istesso prescritto di sacrificare ogni anno una vergine innanzi al di lui simulacro, e n'ebbe in risposta:
Con voi del ciel si placherà lo sdegno
quando noto a sé stesso
fia l'innocente usurpator d'un regno.
Non poté il re comprenderne l'oscuro senso ed aspettando che il tempo lo rendesse più chiaro, si dispose a compire intanto l'annuo sacrificio, facendo estrarre a sorte dall'urna il nome della sventurata vergine che doveva esser la vittima.
Matusio, uno de' grandi del regno, pretese che Dircea, di cui credevasi padre, non corresse la sorte delle altre, producendo per ragione l'esempio del re medesimo che, per non esporre le proprie figlie le teneva lontane di Tracia. Irritato Demofoonte dalla temerità di Matusio, ordina barbaramente che, senza attendere il voto della fortuna, sia tratta al sacrificio l'innocente Dircea.
Era questa già moglie di Timante, creduto figlio ed erede di Demofoonte; ma occultavano con gran cura i consorti il loro pericoloso imeneo, per timore d'una antica legge di quel regno, che condannava a morire qualunque suddita divenisse sposa del real successore. Demofoonte, a cui erano affatto ignote le segrete nozze di Timante con Dircea, avea destinata a lui per isposa la principessa Creusa, impegnando solennemente la propria fede col re di Frigia, padre di lei. Ed in esecuzione di sue promesse, inviò il giovane Cherinto, altro suo figliuolo, a prendere e condurre in Tracia la sposa, richiamando intanto dal campo Timante che di nulla informato volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi, e compreso il pericoloso stato di sé, e della sua Dircea, volle scusarsi e difenderla; ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le violenze, alle quali trascorse, scopersero al sagace re il loro nascosto imeneo. Timante come colpevole d'aver disubbidito il comando paterno, nel ricusar le nozze di Creusa, e d'essersi opposto con l'armi a' decreti reali, Dircea, come rea d'aver contravvenuto alla legge del regno nello sposarsi a Timante, son condannati a morire. Sul punto d'eseguirsi l'inumana sentenza, risentì il feroce Demofoonte i moti della paterna pietà, che, secondata dalle preghiere di molti, gli svelsero dalle labbra il perdono. Fu avvertito Timante di così felice cambiamento; ma in mezzo a' trasporti della sua improvvisa allegrezza, è sorpreso da chi gli scopre, con indubitate prove, che Dircea è figlia di Demofoonte. Ed ecco che l'infelice, sollevato appena dall'oppressione delle passate avversità, precipita più miseramente che mai in un abisso di confusione e d'orrore, considerandosi marito della propria germana. Pareva ormai inevitabile la sua disperazione, quando, per inaspettata via meglio informato della vera sua condizione, ritrova non esser egli il successore della corona né il figlio di Demofoonte, ma bensì di Matusio. Tutto cambia d'aspetto. Libero Timante dal concepito orrore abbraccia la sua consorte; trovando Demofoonte in Cherinto il vero suo erede, adempie le sue promesse destinandolo sposo alla principessa Creusa; e scoperto in Timante quell'innocente usurpatore, di cui l'oracolo oscuramente parlava, resta disciolto anche il regno dall'obbligo funesto dell'annuo crudel sacrificio (Hyginus, ex Philarcho, liber II).
Licenza
Che le sventure, i falli,
le crudeltà, le violenze altrui
servano in dì sì grande
di spettacol festivo agli occhi tuoi
non è strano o signor. Gli opposti oggetti
rende più chiari il paragon. Distingue
meglio ciascun di noi
nel mal che gli altri oppresse il ben ch'ei gode;
e il ben che noi godiam tutto è tua lode.
A morte una innocente
mandi il trace inumano, ognun ripensa
alla giustizia tua. Frema e s'irriti
de' miseri al priegar, rammenta ognuno
la tua pietà. Barbaro sia col figlio;
ciascun qual sei conosce
tenero padre a noi. Qualunque eccesso
rappresentin le scene, in te ne scopre
la contraria virtù. L'ombra in tal guisa
ingegnoso pennello al chiaro alterna;
così artefice industre,
qualor lucida gemma in oro accoglie,
fosco color le sottopone; e quella
presso al contrario suo splende più bella.
Aspira a facil vanto
chi l'ombre, onde maggior
si renda il tuo splendor,
trovar desia.
Luce l'antica età
chiara così non ha
che alla tua luce accanto
ombra non sia.
Orti pensili corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.
Dircea e Matusio.
DIRCEA
Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto
un mal dubbioso ancora
rende sicuro. A domandar che solo
il mio nome non vegga
l'urna fatale, altra ragion non hai
che il regio esempio.
MATUSIO
E ti par poco? Io forse
perché suddito nacqui
son men padre del re? D'Apollo il cenno
d'una vergine illustre
vuol che su l'are sue si sparga il sangue
ogn'anno in questo dì; ma non esclude
le vergini reali. Ei che si mostra
delle leggi divine
sì rigido custode agli altri insegni
con l'esempio costanza. A sé richiami
le allontanate ad arte
sue regie figlie. I nomi loro esponga
anch'egli al caso. All'agitar dell'urna
provi egli ancor d'un infelice padre
come palpita il cor, come si trema
quando al temuto vaso
la mano accosta il sacerdote e quando
in sembianza funesta
l'estratto nome a pronunciar s'appresta.
E arrossisca una volta
ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
di spettator nelle miserie altrui.
DIRCEA
Ma sai pur che a' sovrani
è suddita la legge.
MATUSIO
Le umane sì, non le divine.
DIRCEA
E queste
a lor s'aspetta interpretar.
MATUSIO
Non quando
parlan chiaro gli dèi.
DIRCEA
Mai chiari a segno...
MATUSIO
Non più, Dircea. Son risoluto.
DIRCEA
Ah meglio
pensaci, o genitor. L'ira ne' grandi
sollecita s'accende,
tarda s'estingue. È temeraria impresa
l'irritare uno sdegno
che ha congiunto il poter. Già il re purtroppo
bieco ti guarda. Ah che sarà se aggiunge
ire novelle all'odio antico?
MATUSIO
Invano
l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira.
La ragion mi difende, il ciel m'inspira.
O più tremar non voglio
fra tanti affanni e tanti;
o ancor chi preme il soglio
ha da tremar con me.
Ambo siam padri amanti;
ed il paterno affetto
parla egualmente in petto
del suddito e del re.
(parte)
Dircea, e poi Timante.
DIRCEA
Se 'l mio principe almeno
quindi lungi non fosse... Oh ciel! Che miro?
Ei viene a me!
TIMANTE
Dolce consorte...
DIRCEA
Ah taci,
potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
che qui non resta in vita
suddita sposa a regio figlio unita.
TIMANTE
Non temer mia speranza. Alcun non ode;
io ti difendo.
DIRCEA
E quale amico nume
ti rende a me?
TIMANTE
Del genitore un cenno
mi richiama dal campo
né la cagion ne so. Ma tu mia vita
m'ami ancor? Ti ritrovo
qual ti lasciai? Pensasti a me?
DIRCEA
Ma come
chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
TIMANTE
Oh dio!
Non dubito ben mio; lo so che m'ami.
Ma da quel dolce labbro
troppo, (soffrilo in pace),
sentirlo replicar troppo mi piace.
Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
de' nostri casti amori
che fa? Cresce in bellezza?
A qual di noi somiglia?
DIRCEA
Egli incomincia
già col tenero piede
orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
quella dolce fierezza
che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
par l'immagine tua. Lui rimirando,
te rimirar mi sembra. Oh quante volte
credula troppo al dolce error del ciglio
mi strinsi al petto il genitor nel figlio.
TIMANTE
Ah dov'è? Sposa amata,
guidami a lui; fa' ch'io lo vegga.
DIRCEA
Affrena,
signor, per ora il violento affetto.
In custodita parte
egli vive celato; e andarne a lui
non è sempre sicuro. Oh quanta pena
costa il nostro segreto!
TIMANTE
Ormai son stanco
di finger più, di tremar sempre. Io voglio
cercar oggi una via
d'uscir di tante angustie.
DIRCEA
Oggi sovrasta
altra angustia maggiore. Il giorno è questo
dell'annuo sacrificio. Il nome mio
sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole,
s'oppone il padre e della lor contesa
temo più che del resto.
TIMANTE
È noto forse
al padre tuo che sei mia sposa?
DIRCEA
Il cielo
no 'l voglia mai. Più non vivrei.
TIMANTE
M'ascolta.
Proporrò che di nuovo
si consulti l'oracolo. Acquistiamo
tempo a pensar.
DIRCEA
Questo è già fatto.
TIMANTE
E come
rispose?
DIRCEA
Oscuro e breve.
«Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
quando noto a sé stesso
fia l'innocente usurpator d'un regno.»
TIMANTE
Che tenebre son queste?
DIRCEA
E se dall'urna
esce il mio nome? Io che farò? La morte
mio spavento non è; Dircea saprebbe
per la patria morir. Ma Febo chiede
d'una vergine il sangue. Io moglie e madre
come accostarmi all'ara? O parli, o taccia,
colpevole mi rendo.
Il ciel se taccio, il re se parlo offendo.
TIMANTE
Sposa, ne' gran perigli
gran coraggio bisogna. Al re conviene
scoprir l'arcano.
DIRCEA
E la funesta legge
che a morir mi condanna?
TIMANTE
Un re la scrisse,
può revocarla un re. Benché severo
Demofoonte è padre ed io son figlio.
Qual forza han questi nomi
io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
senza merito a lui. La Scitia oppressa,
il soggiogato Fasi
son mie conquiste; e qualche cosa il padre
può fare anche per me. Se ciò non basta
saprò dinanzi a lui
piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
abbracciargli le piante,
domandargli pietà.
DIRCEA
Dubito... Oh dio!
TIMANTE
Non dubitar Dircea. Lascia la cura
a me del tuo destin. Va'. Per tua pace
ti stia nell'alma impresso
che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
DIRCEA
In te spero, o sposo amato;
fido a te la sorte mia;
e per te, qualunque sia,
sempre cara a me sarà.
Pur che a me nel morir mio
il piacer non sia negato
di vantar che tua son io
il morir mi piacerà.
(parte)
Timante e poi Demofoonte con Séguito, indi Adrasto.
TIMANTE
Sei pur cieca, o fortuna! Alla mia sposa
generosa concedi
beltà, virtù quasi divina e poi
la fai nascer vassalla. Error sì grande
correggerò ben io. Meco sul trono
la Tracia un dì l'adorerà. Ma viene
il real genitor. Più non s'asconda
il mio segreto a lui.
DEMOFOONTE
Principe, figlio.
TIMANTE
Padre, signor.
(s'inginocchia e gli bacia la mano)
DEMOFOONTE
Sorgi.
TIMANTE
I reali imperi
eccomi ad eseguir.
DEMOFOONTE
So che non piace
al tuo genio guerriero
la pacifica reggia; e il cenno mio
che ti svelle dall'armi
forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
e perché mie conquiste e perché tuoi,
sempre cari mi son. Ma tu di loro
mi sei più caro. I tuoi sudori ormai
di riposo han bisogno. È del riposo
figlio il valor. Sempre vibrato, al fine
inabile a ferir l'arco si rende.
Il meritar son le tue parti; e sono
il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
degnamente le sue compì finora,
il padre, il re le sue compisca ancora.
TIMANTE
(Opportuno è il momento: ardir.) Conosco
tanto il bel cor del mio
tenero genitor, che...
DEMOFOONTE
No, non puoi
conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
a te più che non credi.
Io ti leggo nell'alma; e quel, che taci,
intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
vorresti ormai che ti vedesse il regno.
Di', non è ver?
TIMANTE
(Certo ei scoperse il nodo
che mi stringe a Dircea.)
DEMOFOONTE
Parlar non osi;
e a compiacerti appunto
il tuo mi persuade
rispettoso silenzio. Io lo confesso
dubitai sulla scelta. Anzi mi spiacque.
L'acconsentire al nodo
mi pareva viltà. Gli odi del padre
aborria nella figlia. Alfin prevalse
il desio di vederti
felice, o prence.
TIMANTE
(Il dubitarne è vano.)
DEMOFOONTE
A paragon di questo
è lieve ogni riguardo.
TIMANTE
Amato padre,
nuova vita or mi dai. Volo alla sposa
per condurla al tuo piè.
DEMOFOONTE
Ferma. Cherinto
il tuo minor germano
la condurrà.
TIMANTE
Che inaspettata è questa
felicità!
DEMOFOONTE
V'è per mio cenno al porto
chi ne attende l'arrivo.
TIMANTE
Al porto!
DEMOFOONTE
E quando
vegga apparir la sospirata nave,
avvertiti sarem.
TIMANTE
Qual nave?
DEMOFOONTE
Quella
che la real Creusa
conduce alle tue nozze.
TIMANTE
(Oh dèi!)
DEMOFOONTE
Ti sembra
strano, lo so. Gli ereditari sdegni
de' suoi, degli avi nostri un simil nodo
non facevan sperar. Ma in dote al fine
ella ti porta un regno. Unica prole
è del cadente re.
TIMANTE
Signor... Credei...
(Oh error funesto!)
DEMOFOONTE
Una consorte altrove,
che suddita non sia per te non trovo.
TIMANTE
O suddita o sovrana
che importa o padre.
DEMOFOONTE
Ah no; troppo degli avi
ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge
che condanna a morir sposa vassalla
unita al real germe; e finch'io viva
saronne il più severo
rigido esecutor.
TIMANTE
Ma questa legge...
ADRASTO
Signor, giungono in porto
le frigie navi.
DEMOFOONTE
Ad incontrar la sposa
vola o Timante.
(Adrasto si ritira)
TIMANTE
Io?
DEMOFOONTE
Sì. Con te verrei;
ma un funesto dover mi chiama al tempio.
TIMANTE
Ferma, senti signor.
DEMOFOONTE
Parla. Che brami?
TIMANTE
Confessarti... (Che fo?) Chiederti... (Oh dio
che angustia è questa!) Il sacrificio, o padre,
la legge... la consorte...
(Oh legge! Oh sposa! Oh sacrificio! Oh sorte!)
DEMOFOONTE
Prence, ormai non ci resta
più luogo a pentimento. È stretto il nodo;
io l'ho promesso. Il conservar la fede
obbligo necessario è di chi regna;
e la necessità gran cose insegna.
Per lei fra l'armi dorme il guerriero;
per lei fra l'onde canta il nocchiero;
per lei la morte terror non ha.
Fin le più timide belve fugaci
valor dimostrano, si fanno audaci,
quand'è il combattere necessità.
(parte)
Timante solo.
Ma che vi fece, o stelle,
la povera Dircea, che tante unite
sventure contro lei! Voi che inspiraste
i casti affetti alle nostr'alme; voi
che al pudico imeneo foste presenti,
difendetelo, o numi; io mi confondo.
M'oppresse il colpo a segno
che il cor mancommi e si smarrì l'ingegno.
Sperai vicino il lido;
credei calmato il vento;
ma trasportar mi sento
fra le tempeste ancor.
E, da uno scoglio infido
mentre salvar mi voglio
urto in un altro scoglio
del primo assai peggior.
(parte)
Porto di mare festivamente adornato per l'arrivo della Principessa di Frigia. Vista di molte navi, dalla più magnifica delle quali al suono di vari strumenti barbari e preceduti da numeroso Corteggio sbarcano a terra Creusa, e Cherinto.
CREUSA
Ma che t'affanna, o prence?
Perché mesto così? Pensi, sospiri,
taci, mi guardi; e se a parlar t'astringo
con rimproveri amici
molto a dir ti prepari e nulla dici.
Dove andò quel sereno
allegro tuo sembiante? Ove i festivi
detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
qual eri in Frigia. Al talamo le spose
in sì lugubre aspetto
s'accompagnan fra voi? Per le mie nozze
qual augurio è mai questo?
CHERINTO
Se nulla di funesto
presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,
o bella principessa,
tutto sopra di me. Poco i miei mali
accresceran le stelle. Io de' viventi
già sono il più infelice.
CREUSA
E questo arcano
non può svelarsi a me? Vaglion sì poco
il mio soccorso, i miei consigli?
CHERINTO
E vuoi
ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
Quel giorno... Oh dio! No, non ho cor. Perdona,
meglio è tacer. Meriterei parlando
forse lo sdegno tuo.
CREUSA
Lo merta assai
già la tua diffidenza. È ver ch'alfine
io son donna e sarebbe
mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
Taci pur; n'hai ragion.
CHERINTO
Férmati. Oh numi!
Parlerò; non sdegnarti. Io non ho pace;
tu me la togli; il tuo bel volto adoro;
so che l'adoro invano;
e mi sento morir. Questo è l'arcano.
CREUSA
Come! Che ardir...
CHERINTO
No 'l dissi
che sdegnar ti farei!
CREUSA
Sperai Cherinto
più rispetto da te.
CHERINTO
Colpa d'amore...
CREUSA
Taci, taci. Non più.
(volendo partire)
CHERINTO
Ma già che a forza
tu volesti, o Creusa
il delitto ascoltar, senti la scusa.
CREUSA
Che dir potrai?
CHERINTO
Che di pietà son degno,
s'ardo per te. Che se l'amarti è colpa,
Demofoonte è il reo. Doveva il padre
per condurti a Timante
altri sceglier che me. Se l'esca avvampa,
stupir non dée chi l'avvicina al fuoco.
Tu bella sei, cieco io non son. Ti vidi,
t'ammirai, mi piacesti. A te vicino
ogni dì mi trovai. Comodo e scusa
il nome di congiunto
mi diè per vagheggiarti; e me quel nome
non che gli altri ingannò. L'amor che sempre
sospirar mi facea d'esserti accanto
mi pareva dovere. E mille volte
a te spiegar credei
gli affetti del german, spiegando i miei.
CREUSA
(Ah me n'avvidi.) Un tale ardir mi giunge
nuovo così che instupidisco.
CHERINTO
E pure
talor mi lusingai che l'alme nostre
s'intendesser fra loro
senza parlar. Certi sospiri intesi;
un non so che di languido osservai
spesso negli occhi tuoi, che mi parea
molto più che amicizia.
CREUSA
Or su, Cherinto,
della mia tolleranza
cominci ad abusar. Mai più d'amore
guarda di non parlarmi.
CHERINTO
Io non comprendo...
CREUSA
Mi spiegherò. Se in avvenir più saggio
non sei di quel che fosti infin ad ora,
non comparirmi innanzi. Intendi ancora?
CHERINTO
T'intendo, ingrata,
vuoi ch'io m'uccida.
Sarai contenta;
m'ucciderò.
Ma ti rammenta
ch'a un'alma fida
l'averti amata
troppo costò.
(vuol partire)
CREUSA
Dove? Ferma.
CHERINTO
No no. Troppo t'offende
la mia presenza.
(in atto di partire)
CREUSA
Odi, Cherinto.
CHERINTO
Eh troppo
abuserei restando
della tua tolleranza.
(come sopra)
CREUSA
E chi finora
t'impose di partir?
CHERINTO
Comprendo assai
anche quel che non dici.
CREUSA
Ah prence, ah quanto
mal mi conosci. Io da quel punto... (Oh numi!)
CHERINTO
Termina i detti tuoi.
CREUSA
Da quel punto... (Ah che fo?) Parti, se vuoi.
CHERINTO
Barbara partirò; ma forse... Oh stelle!
Ecco il german.
Timante frettoloso, e detti.
TIMANTE
Dimmi, Cherinto: è quella
la frigia principessa?
CHERINTO
Appunto.
TIMANTE
Io deggio
seco parlar. Per un momento solo
da noi ti scosta.
CHERINTO
Ubbidirò. (Che pena!)
CREUSA
Sposo, signor.
TIMANTE
Donna real, noi siamo
in gran periglio entrambi. Il tuo decoro,
la vita mia tu sola
puoi difender, se vuoi.
CREUSA
Che avvenne?
TIMANTE
I nostri
genitori fra noi strinsero un nodo,
che forse a te dispiace,
ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali
sarian degni d'un nume
non che di me; ma il mio destin non vuole
ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone
invincibil riparo. Il padre mio
no 'l sa; né posso dirlo. A te conviene
prevenire un rifiuto. In vece mia
va', rifiutami tu. Di' ch'io ti spiaccio;
aggrava, io te 'l perdono,
i demeriti miei; sprezzami e salva
per questa via, che il mio dover t'addita,
l'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
CREUSA
Come!
TIMANTE
Teco io non posso
trattenermi di più.
(a Cherinto partendo)
Prence alla reggia
sia tua cura il condurla.
CREUSA
Ah dimmi almeno...
TIMANTE
Dissi tutto il cor mio;
né più dirti saprei. Pensaci. Addio.
(parte)
Creusa, e Cherinto.
CREUSA
Numi! A Creusa? Alla reale erede
dello scettro di Frigia un tale oltraggio?
Cherinto, hai cuor?
CHERINTO
L'avrei,
se tu non me 'l toglievi.
CREUSA
Ah l'onor mio
vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
il talamo, lo scettro,
quanto possiedo è tuo. Limite alcuno
non pongo al premio.
CHERINTO
E che vorresti?
CREUSA
Il sangue
dell'audace Timante.
CHERINTO
Del mio german!
CREUSA
Che! Impallidisci? Ah vile.
Va'. Troverò chi voglia
meritar l'amor mio.
CHERINTO
Ma principessa.
CREUSA
Non più. Lo so; siete d'accordo entrambi
scellerati a tradirmi.
CHERINTO
Io? Come? E credi
così dunque il mio amor poco sincero...
CREUSA
Del tuo amor mi vergogno o falso o vero.
Non curo l'affetto
d'un timido amante
che serba nel petto
sì poco valor.
Che trema, se deve
far uso del brando,
ch'è audace sol quando
si parla d'amor.
(parte)
Cherinto solo.
Oh dèi perché tanto furor! Che mai
le avrà detto il german! Voler ch'io stesso
nelle fraterne vene... Ah ch'in pensarlo
gelo d'orror! Ma con qual fasto il disse!
Con qual fierezza! E pur quel fasto e quella
sua fierezza m'alletta. In essa io trovo
un non so che di grande
che in mezzo al suo furore
stupir mi fa, mi fa languir d'amore.
Il suo leggiadro viso
non perde mai beltà;
bello nella pietà,
bello è nell'ira.
Quand'apre i labbri al riso,
parmi la dèa del mar;
e Pallade mi par,
quando s'adira.
(parte)
Matusio esce furioso con Dircea per mano.
DIRCEA
Dove, dove o signor?
MATUSIO
Nel più deserto
sen della Libia, alle foreste ircane,
fra le scitiche rupi, o in qualche ignota,
se alcuna il mar ne serra,
separata dal mondo ultima terra.
DIRCEA
(Ahimè!)
MATUSIO
Sudate o padri
nella cura de' figli. Ecco il rispetto
che il dritto di natura,
che prometter si può la vostra cura.
DIRCEA
(Ah scoprì l'imeneo! Son morta). Oh dio
signor pietà.
MATUSIO
Non v'è pietà né fede.
Tutto è perduto.
DIRCEA
Ecco al tuo piè...
MATUSIO
Che fai?
DIRCEA
Io voglio pianger tanto...
MATUSIO
Il tuo caso domanda altro che pianto.
DIRCEA
Sappi...
MATUSIO
Attendimi. Un legno
volo a cercar che ne trasporti altrove.
(parte)
Dircea, e poi Timante.
DIRCEA
Dove, misera, ah dove
vuol condurmi a morir? Figlio innocente,
adorato consorte, oh dèi, che pena
partir senza vedervi.
TIMANTE
Alfin ti trovo,
Dircea, mia vita.
DIRCEA
Ah caro sposo addio
e addio per sempre. Al tuo paterno amore
raccomando il mio figlio.
Abbraccialo per me. Bacialo e tutta
narragli, quando sia
capace di pietà, la sorte mia.
TIMANTE
Sposa che dici? Ah nelle vene il sangue
gelar mi fai!
DIRCEA
Certo scoperse il padre
il nostro arcano. Ebro è di sdegno e vuole
quindi lungi condurmi. Io lo conosco,
per me non v'è più speme.
TIMANTE
Eh rassicura
lo smarrito tuo cor, sposa diletta,
al mio fianco tu sei.
Matusio torna frettoloso e detti.
MATUSIO
Dircea t'affretta.
TIMANTE
Dircea non partirà.
MATUSIO
Chi l'impedisce?
TIMANTE
Io.
MATUSIO
Come!
DIRCEA
Ahimè!
MATUSIO
Difenderò col ferro
la paterna ragion.
(snuda la spada)
TIMANTE
Col ferro anch'io
la mia difenderò.
(fa lo stesso)
DIRCEA
Prence che fai?
Férmati, o genitore.
(si frappone)
MATUSIO
Empio! Impedirmi
che al crudel sacrificio una innocente
vergine io tolga!
DIRCEA
(Oh dèi!)
TIMANTE
Ma dunque...
DIRCEA
(piano a Timante fingendo trattenerlo)
(Ah taci.
Nulla sa; m'ingannai.)
MATUSIO
Volerla oppressa!
DIRCEA
(Io quasi per timor tradii me stessa.)
TIMANTE
Signor perdona. Ecco l'error. Ti vidi
verso lei che piangea correr sdegnato;
tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
il salvarla credei dal tuo furore.
MATUSIO
Dunque la nostra fuga
non impedir. La vittima, se resta,
oggi sarà Dircea.
DIRCEA
Stelle!
TIMANTE
Dall'urna
forse il suo nome uscì?
MATUSIO
No; ma l'ingiusto
tuo padre vuol quell'innocente uccisa,
senza il voto del caso.
TIMANTE
E perché tanto
sdegno con lei?
MATUSIO
Per punir me che volli
impedir che alla sorte
fosse esposta Dircea, perché produssi
l'esempio suo, perché l'amor paterno
mi fe' scordar d'esser vassallo.
DIRCEA
Oh dio!
Ogni cosa congiura a danno mio.
TIMANTE
Matusio non temer. Barbaro tanto
il re non è. Negl'impeti improvvisi
tutti abbaglia il furor; ma la ragione
poi n'emenda i trascorsi.
Adrasto con Guardie, e detti.
ADRASTO
Olà, ministri
custodite Dircea.
(le guardie la circondano)
MATUSIO
No 'l dissi, o prence?
TIMANTE
Come?
DIRCEA
Misera me!
TIMANTE
Per qual ragione
è Dircea prigioniera?
ADRASTO
Il re l'impone.
(a Dircea)
Vieni.
DIRCEA
Ah dove?
ADRASTO
Fra poco
sventurata il saprai.
DIRCEA
Principe, padre,
soccorretemi voi,
movetevi a pietà.
TIMANTE
(in atto d'assalire)
No; non fia vero...
MATUSIO
(in atto d'assalire)
Non soffrirò...
ADRASTO
Se v'appressate, in seno
questo ferro le immergo.
(impugnando uno stilo)
TIMANTE
Empio!
MATUSIO
Inumano!
(si fermano)
ADRASTO
Il comando sovrano
mi giustifica assai.
DIRCEA
Dunque...
ADRASTO
T'affretta.
Or son vane, o Dircea, le tue querele.
DIRCEA
Vengo.
(incamminandosi)
TIMANTE E MATUSIO
(in atto d'assalire)
Ah barbaro!
ADRASTO
(in atto di ferire)
Olà.
TIMANTE E MATUSIO
(arrestandosi)
Ferma crudele.
DIRCEA
Padre perdona... Oh pene!
Prence rammenta... Oh dio!
(Già che morir degg'io,
potessi almen parlar!)
Misera in che peccai?
Come son giunta mai
de' numi a questo segno
lo sdegno a meritar?
(parte)
Timante, e Matusio.
TIMANTE
Consigliatemi, o dèi.
MATUSIO
Né s'apre il suolo!
Né un fulmine punisce
tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi
mi si dirà che Giove
abbia cura di noi.
TIMANTE
Facciamo, amico,
miglior uso del tempo. Appresso a lei
tu vanne e vedi ov'è condotta. Il padre
io volo intanto a raddolcir.
MATUSIO
Non spero...
TIMANTE
Oh dio. Va'. Troverassi
altra via di salvarla, ove non ceda
del genitor lo sdegno.
MATUSIO
O di padre miglior figlio ben degno.
(l'abbraccia e parte)
TIMANTE
Se ardire e speranza
dal ciel non mi viene,
mi manca costanza
per tanto dolor.
La dolce compagna
vedersi rapire,
udir che si lagna,
condotta a morire,
son smanie, son pene
che opprimono un cor.
(parte)
Gabinetti.
Demofoonte, e Creusa.
DEMOFOONTE
Chiedi pure, o Creusa. In questo giorno
tutto farò per te. Ma non parlarmi
a favor di Dircea. Voglio che il padre
morir la vegga. Il temerario offese
troppo il real decoro. In faccia mia
sediziose voci
sparger nel volgo! A' miei decreti opporsi!
Paragonarsi a me! Regnar non voglio
se tal vergogna ho da soffrir nel soglio.
CREUSA
Io non vengo per altri
a pregarti, signor. Conosco assai
quel che potrei sperar. Le mie preghiere
son per me stessa.
DEMOFOONTE
E che vorresti?
CREUSA
In Frigia
subito ritornar. Manca il tuo cenno
perché possan dal porto
le navi uscir. Questo io domando; e credo
che negarlo non puoi. Se pur qui, dove
venni a parte del trono,
(non è strano il timor), schiava io non sono.
DEMOFOONTE
Che dici, o principessa? Ah quai sospetti!
Che pungente parlar! Partir da noi!
E lo sposo? E le nozze?
CREUSA
Eh per Timante
Creusa è poco. Una beltà mortale
non lo speri ottener. Per lui... Ma questa
la mia cura non è. Partir vogl'io;
posso, o signor?
DEMOFOONTE
Tu sei
l'arbitra di te stessa. In Tracia a forza
ritenerti io non vuò. Ma non sperai
tale ingiuria da te.
CREUSA
Non so di noi
chi ha ragion di lagnarsi; e il prence... Alfine
bramo partir.
DEMOFOONTE
Ma lo vedesti?
CREUSA
Il vidi.
DEMOFOONTE
Ti parlò?
CREUSA
Così meco
parlato non avesse.
DEMOFOONTE
E che ti disse?
CREUSA
Signor basti così.
DEMOFOONTE
Creusa intendo.
Ruvido troppo alle parole, agli atti
ti parve il prence. Ei freddamente forse
t'accolse, ti parlò. Scuso il tuo sdegno.
A te che sei di Frigia
a' molli avvezza e teneri costumi
aspra rassembra e dura
l'aria d'un trace. E se Timante è tale,
meraviglia non è. Nacque fra l'armi,
fra l'armi s'educò. Teneri affetti
per lui son nomi ignoti. A te si serba
la gloria d'erudirlo
ne' misteri d'amor. Poco, o Creusa
ti costerà. Che non insegna un volto
sì pien di grazie, e due vivaci lumi,
che parlan come i tuoi? S'apprende in breve
sotto la disciplina
di sì dotti maestri ogni dottrina.
CREUSA
Al rossor d'un rifiuto una mia pari
non s'espone però.
DEMOFOONTE
Rifiuto! E come
lo potresti temer?
CREUSA
Chi sa.
DEMOFOONTE
La mano,
pur che tu non la sdegni, in questo giorno
il figlio a te darà. La mia ne impegno
fede reale. E se l'audace ardisse
di repugnar, da mille furie invaso
saprei... Ma no. Troppo è lontano il caso.
CREUSA
(Sì sì, Timante all'imeneo s'astringa
per poter rifiutarlo.) Ebbene, accetto
signor la tua promessa; or fia tua cura
che poi...
DEMOFOONTE
Basta così. Vivi sicura.
CREUSA
Tu sai chi son; tu sai
quel ch'al mio onor conviene.
Pensaci. E s'altro avviene
non ti lagnar di me.
Tu re, tu padre sei
ed obliar non déi
come comanda un padre,
come punisce un re.
(parte)
Demofoonte, e poi Timante.
DEMOFOONTE
Che alterezza ha costei! Quasi... Ma tutto
al grado, al sesso ed all'età si doni.
Pur convien che Timante
troppo mal l'abbia accolta. È forza ch'io
l'avverta, lo riprenda. Acciò più saggio
le ripugnanze sue vinca in appresso.
(alle guardie)
Timante a me. Ma viene ei stesso.
Vien Timante istesso.
TIMANTE
Mio re, mio genitor, grazia, perdono,
pietà.
DEMOFOONTE
Per chi?
TIMANTE
Per l'infelice figlia
dell'afflitto Matusio.
DEMOFOONTE
Ho già deciso
del suo destin. Non si rivoca un cenno
che uscì da regio labbro. È d'un errore
conseguenza il pentirsi. E il re non erra.
TIMANTE
Se si adorano in terra, è perché sono
placabili gli dèi. D'ogn'altro è il fato
nume il più grande; e sol perché non muta
un decreto giammai, non trovi esempio
di chi voglia innalzargli un'ara, un tempio.
DEMOFOONTE
Tu non sai che del trono
è custode il timor.
TIMANTE
Poco sicuro.
DEMOFOONTE
Di lui figlio è il rispetto.
TIMANTE
E porta seco
tutti i dubbi del padre.
DEMOFOONTE
A poco a poco
diventa amor.
TIMANTE
Ma simulato.
DEMOFOONTE
Il tempo
t'insegnerà quel ch'or non sai. Per ora
d'altro abbiamo a parlar. Dimmi; a Creusa
che mai facesti? In questo dì tua sposa
esser deve e l'irriti!
TIMANTE
Ho tal per lei
repugnanza nel cor che non mi sento
valor di superarla.
DEMOFOONTE
E pur conviene...
TIMANTE
Ne parleremo. Or per Dircea signore
sono al tuo piè. Quell'innocente vita
dona a' prieghi d'un figlio.
DEMOFOONTE
E pur di lei
torni a parlar! Se l'amor mio t'è caro
questa impresa abbandona.
TIMANTE
Ah padre amato
non ti posso ubbidir. Deh se giammai
il tuo paterno affetto
son giunto a meritar, se adorno il seno
d'onorate ferite alle tue braccia
ritornai vincitor, se i miei trionfi,
del tuo sublime esempio
non tardi frutti, han mai saputa alcuna
esprimerti dal ciglio
lagrima di piacer, libera, assolvi
la povera Dircea. Misera! Io solo
parlo per lei; l'abbandonò ciascuno;
non ha speme che in me. Sarebbe, oh dio!
troppa inumanità, senza delitto,
nel fior degli anni suoi, su l'are atroci
vederla agonizzar. Vederle a rivi
sgorgar tiepido il sangue
dal molle sen. Del moribondo labbro
udir gli ultimi accenti, i moti estremi
degli occhi suoi... Ma tu mi guardi, o padre!
Tu impallidisci! Ah lo conosco; è questo
un moto di pietà.
(s'inginocchia)
Deh non pentirti;
secondalo, o signor. No, finch'il cenno
onde viva Dircea padre non dai,
io dal tuo piè non partirò giammai.
DEMOFOONTE
Principe! (Oh sommi dèi!) Sorgi. E che deggio
creder di te? Quel nominar con tanta
tenerezza Dircea, queste eccessive,
violenti premure
che voglion dir? L'ami tu forse?
TIMANTE
Invano
farei studio a celarlo.
DEMOFOONTE
Ah questa è dunque
delle freddezze tue verso Creusa
la nascosta sorgente. E che pretendi
da questo amor? Che per tua sposa forse
una vassalla io ti conceda? O pensi
che un imeneo nascosto... Ah se potessi
immaginarmi sol...
TIMANTE
Qual dubbio mai
ti cade in mente! A tutti i numi il giuro
non sposerò Dircea; no 'l bramo. Io chiedo
che viva solo. E se pur vuoi che mora
morrà, non lusingarti, il figlio ancora.
DEMOFOONTE
(Per vincerlo si ceda.) E ben tu 'l vuoi;
vivrà la tua diletta.
La dono a te.
TIMANTE
Mio caro padre...
(vuol baciargli la mano)
DEMOFOONTE
Aspetta.
Merita la paterna
condiscendenza una mercé?
TIMANTE
La vita,
il sangue mio...
DEMOFOONTE
No, caro figlio, io bramo
meno da te. Nella real Creusa
rispetta la mia scelta. A queste nozze
non ti mostrar sì avverso.
TIMANTE
Oh dio!
DEMOFOONTE
Lo veggo;
ti costan pena. Or questa pena accresca
merito all'ubbidienza. Ebb'io pietade
della tua debolezza; abbi tu cura
dell'onor mio. Che si diria Timante
del padre tuo, se per tua colpa astretto
le promesse a tradir... Ma tanto ingrato
so che non sei. Vieni alla sposa; al tempio
conduciamola adesso; adesso in faccia
agl'invocati dèi
adempi, o figlio, i tuoi doveri e i miei.
TIMANTE
Signor... non posso.
DEMOFOONTE
Io fin ad ora, o prence,
da padre ti parlai. Non obbligarmi
a parlarti da re.
TIMANTE
Del re, del padre
venerabili i cenni
egualmente mi son. Ma tu lo sai;
amor forza non soffre.
DEMOFOONTE
Amor governa
le nozze de' privati; hanno i tuoi pari
nume maggior che gli congiunge. E questo
sempre è il pubblico ben.
TIMANTE
Se il bene altrui
tal prezzo ha da costar...
DEMOFOONTE
Prence, son stanco
di garrir teco. Altra ragion non rendo.
Io così voglio.
TIMANTE
Ed io non posso.
DEMOFOONTE
Audace!
Non sai...
TIMANTE
Lo so. Vorrai punirmi.
DEMOFOONTE
E voglio
che in Dircea s'incominci il tuo castigo.
TIMANTE
Ah no.
DEMOFOONTE
Parti.
TIMANTE
Ma senti.
DEMOFOONTE
Intesi assai.
Dircea voglio che mora.
TIMANTE
E morendo Dircea...
DEMOFOONTE
Né parti ancora?
TIMANTE
(turbato)
Sì partirò. Ma poi
non ti lagnar...
DEMOFOONTE
Che! Temerario! Oh dèi!
Minacci!
TIMANTE
Io non distinguo
se prego o se minaccio. A poco a poco
la ragion m'abbandona. A un passo estremo
non costringermi, o padre. Io mi protesto;
farei... Chi sa?
DEMOFOONTE
Di'. Che faresti ingrato?
TIMANTE
Tutto quel che farebbe un disperato.
Prudente mi chiedi?
Mi brami innocente?
Lo senti; lo vedi;
dipende da te.
Di lei, per cui peno,
se penso al periglio,
tal smania ho nel seno,
tal benda ho sul ciglio,
che l'alma di freno
capace non è.
(parte)
Demofoonte solo.
Dunque m'insulta ognun? L'ardita nuora,
il suddito superbo, il figlio audace
tutti scuotono il freno. Ah non è tempo
di soffrir più. Custodi, olà. Dircea
si tragga al sacrificio
senz'altro indugio; ella è cagion de' falli
del padre suo, del figlio mio. Né quando
fosse innocente ancora
viver dovrebbe. È necessario al regno
l'imeneo con Creusa; e mai Timante
no 'l compirà finché Dircea non muore.
Quando al pubblico giova,
è consiglio prudente
la perdita d'un solo, anche innocente.
Se tronca un ramo, un fiore
l'agricoltor così,
vuol che la pianta un dì
cresca più bella.
Tutta sarebbe errore
lasciarla inaridir,
per troppo custodir
parte di quella.
(parte)
Portici.
Matusio, e Timante.
MATUSIO
E l'unica speranza...
TIMANTE
Sì, caro amico, è nella fuga. Invece
di placarsi a' miei prieghi
il re più s'irritò. Fuggir conviene
e fuggire a momenti. Un agil legno
sollecito provvedi. In quello aduna
quanto potrai di prezioso e caro;
e dove fra' scogli
alla destra del porto il mar s'interna,
m'attendi ascoso. Io con Dircea fra poco
a te verrò.
MATUSIO
Ma de' custodi suoi...
TIMANTE
Deluderò la cura. Ignota via
v'è chi m'apre all'albergo ov'ella è chiusa.
Va', che il tempo è infedele a chi ne abusa.
MATUSIO
È soccorso d'incognita mano
quella brama che l'alma t'accende;
qualche nume pietoso ti fa.
Dall'esempio d'un padre inumano
non s'apprende sì bella pietà.
(parte)
Timante, e poi Dircea in bianca veste e coronata di fiori fra le Guardie ed i Ministri del tempio.
TIMANTE
Gran passo è la mia fuga! Ella mi rende
e povero e privato. Il regno e tutte
le paterne ricchezze
io perderò. Ma la consorte e il figlio
vaglion di più. Proprio valor non hanno
gli altri beni in sé stessi; e gli fa grandi
la nostra opinion. Ma i dolci affetti
e di padre e di sposo hanno i lor fonti
nell'ordine del tutto. Essi non sono
originati in noi
dalla forza dell'uso o dalle prime
idee di cui bambini altri ci pasce;
già n'ha i semi nell'alma ognun che nasce.
Fuggasi pur... Ma chi s'appressa? È forse
il re; veggo i custodi. Ah no; vi sono
ancor sacri ministri; e in bianche spoglie
fra lor... Misero me! La sposa! Oh dio!
Fermatevi. Dircea, che avvenne?
DIRCEA
Alfine
ecco l'ora fatale. Ecco l'estremo
istante ch'io ti veggo. Ah prence, ah questo
è pur l'amaro passo.
TIMANTE
E come! Il padre...
DIRCEA
Mi vuol morta a momenti.
TIMANTE
Infin ch'io vivo...
(vuol snudar la spada)
DIRCEA
Signor, che fai? Sol contro tanti, invano
difendi me, perdi te stesso.
TIMANTE
È vero.
Miglior via prenderò.
(volendo partire)
DIRCEA
Dove?
TIMANTE
A raccorre
quanti amici potrò. Va' pure. Al tempio
sarò prima di te.
(in atto di partire)
DIRCEA
No. Pensa... Oh dio.
TIMANTE
Non v'è più che pensar. La mia pietade
già diventa furor. Tremi qualunque
oppormisi vorrà, se fosse il padre.
Non risparmio delitti; il ferro, il fuoco
vuò che abbatta, consumi
la reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi.
(parte)
Dircea, e poi Creusa.
DIRCEA
Férmati. Ah non m'ascolta. Eterni dèi
custoditelo voi. S'ei pur si perde,
chi avrà cura del figlio? In questo stato
mi mancava il tormento
di tremar per lo sposo. Avessi almeno
a chi chieder soccorso... Ah principessa,
ah Creusa pietà. Non puoi negarla;
la chiede al tuo bel cuore
nell'ultime miserie una che muore.
CREUSA
Chi sei? Che brami?
DIRCEA
Il caso mio già noto
purtroppo ti sarà. Dircea son io,
vado a morir; non ho delitto. Imploro
pietà, ma non per me. Salva, proteggi
il povero Timante. Egli si perde
per desio di salvarmi. In te ritrovi,
se i prieghi di chi muor vani non sono,
disperato assistenza e reo perdono.
CREUSA
E tu a morir vicina
come puoi pensar tanto al suo riposo?
DIRCEA
Oh dio! Più non cercar. Sarà tuo sposo.
Se tutti i mali miei
io ti potessi dir,
divider ti farei
per tenerezza il cor.
In questo amaro passo
sì giusto è il mio martir,
che se tu fossi un sasso
ne piangeresti ancor.
(parte fra le guardie, ed i ministri, che la guidano al tempio)
Creusa, e poi Cherinto.
CREUSA
Che incanto è la beltà! Se tale effetto
fa costei nel mio cor, degno di scusa
è Timante che l'ama. Appena il pianto
io potei trattener. Questi infelici
s'aman da vero! E la cagion son io
di sì fiera tragedia? Ah no. Si trovi
qualche via d'evitarla. Appunto ho d'uopo
di te Cherinto.
CHERINTO
Il mio germano esangue
domandar mi vorrai.
CREUSA
No, quella brama
con l'ira nacque e s'ammorzò con l'ira.
Or desio di salvarlo. Al sacrificio
già Dircea s'incammina.
Timante è disperato. I suoi furori
tu corri a regolar. Grazia per lei
ad implorare io vado.
CHERINTO
Oh degna cura
d'una anima reale! E chi potrebbe
non amarti, o Creusa? Ah, se non fossi
sì tiranna con me...
CREUSA
Ma donde il sai
ch'io son tiranna? È questo cor diverso
da quel che tu credesti.
Anch'io... Ma va'. Troppo saper vorresti.
CHERINTO
No, non chiedo amate stelle
se nemiche ancor mi siete.
Non è poco, o luci belle,
ch'io ne possa dubitar.
Chi non ebbe ore mai liete,
chi agli affanni ha l'alma avvezza
crede acquisto una dubbiezza
ch'è principio allo sperar.
(parte)
Creusa sola.
Se immaginar potessi
Cherinto idolo mio, quanto mi costa
questo finto rigor che sì t'affanna,
ah forse allor non ti parrei tiranna.
È ver che di Timante
ancor sposa non son; facile è il cambio,
può dipender da me. Ma destinata
al regio erede, ho da servir vassalla,
dove venni a regnar? No; non consente
che sì debole io sia
il fasto, la virtù, la gloria mia.
Felice età dell'oro,
bella innocenza antica,
quando al piacer nemica
non era la virtù!
Dal fasto e dal decoro
noi ci troviamo oppressi;
e ci formiam noi stessi
la nostra servitù.
(parte)
Atrio del tempio d'Apollo. Magnifica ma breve scala per cui si ascende al tempio medesimo, la parte interna del quale è tutta scoperta agli spettatori, se non quanto ne interrompono la vista le colonne che sostengono la gran tribuna. Veggonsi l'are cadute, il fuoco estinto, i sacri vasi rovesciati, i fiori, le bende, le scuri e gli altri strumenti del sacrificio sparsi per le scale e sul piano, i Sacerdoti in fuga, i Custodi reali inseguiti dagli amici di Timante e per tutto confusione e tumulto.
Timante che incalzando disperatamente per la scala alcune Guardie si perde fra le scene, Dircea che dalla cima della scala medesima spaventata lo richiama; segue breve mischia col vantaggio degli Amici di Timante; e dileguati i Combattenti, Dircea che rivede Timante corre a trattenerlo scendendo dal tempio.
DIRCEA
Santi numi del cielo
difendetelo voi. Timante ascolta;
Timante, ah per pietà...
TIMANTE
(tornando affannato con spada alla mano)
Vieni, mia vita,
vieni. Sei salva.
DIRCEA
Ah che facesti!
TIMANTE
Io feci
quel che dovea.
DIRCEA
Misera me! Consorte,
oh dio, tu sei ferito. Oh dio, tu sei
tutto asperso di sangue.
TIMANTE
Eh no, Dircea,
non ti smarrir. Dalle mie vene uscito
questo sangue non è. Dal seno altrui
lo trasse il mio furor.
DIRCEA
Ma guarda...
TIMANTE
Ah sposa
non più dubbi. Fuggiamo.
(la prende per mano)
DIRCEA
E Olinto? E il figlio?
Dove resta? Senz'esso
vogliam partir?
TIMANTE
Ritornerò per lui
quando in salvo sarai.
(partendo alla sinistra)
DIRCEA
Férmati, io veggo
tornar per questa parte
i custodi reali.
TIMANTE
(verso la destra)
È ver, fuggiamo
dunque per l'altra via; ma quindi ancora
stuol d'armati s'avanza.
DIRCEA
Ahimè!
TIMANTE
(guardando intorno)
Gli amici
tutti m'abbandonar!
DIRCEA
Miseri noi!
Or che farem?
TIMANTE
Col ferro
una via t'aprirò. Seguimi.
(lascia Dircea e con la spada alla mano s'incammina alla sinistra)
Demofoonte dall'altro lato con spada alla mano. Guardie per tutte le parti.
DEMOFOONTE
Indegno.
Non fuggirmi. T'arresta.
TIMANTE
Ah padre, ah dove
vieni ancor tu?
DEMOFOONTE
Perfido figlio!
TIMANTE
(vede crescer il numero delle guardie e si pone innanzi alla sposa)
Alcuno
non s'appressi a Dircea.
DIRCEA
Principe ah cedi.
Pensa a te.
DEMOFOONTE
No. Custodi
non si stringa il ribelle. Al suo furore
si lasci il fren. Vediamo
fin dove giungerà. Via su compisci
l'opera illustre. In questo petto immergi
quel ferro, o traditor. Tremar non debbe
nel trafiggere un padre
chi fin dentro a' lor tempi insulta i numi.
TIMANTE
Oh dio!
DEMOFOONTE
Che ti trattien? Forse il vedermi
la destra armata? Ecco l'acciaro a terra.
Brami di più? Senza difesa io t'offro
il tuo maggior nemico. Or l'odio ascoso
puoi soddisfar. Puniscimi d'averti
prodotto al mondo. A meritar fra gli empi
il primo onor poco ti manca; ormai
il più facesti; altro a compir non resta
che del paterno sangue
fumante ancor la scellerata mano
porgere alla tua bella.
TIMANTE
Ah basta, ah padre
taci, non più. Con quei crudeli accenti
l'anima mi trafiggi. Il figlio reo,
il colpevole acciaro
(s'inginocchia)
ecco al tuo piè. Quest'infelice vita
riprenditi se vuoi; ma non parlarmi
mai più così. So ch'io trascorsi; e sento
che ardir non ho per domandar mercede.
Ma un tal castigo ogni delitto eccede.
DIRCEA
(In che stato è per me!)
DEMOFOONTE
(S'io non avessi
della perfidia sua pruove sì grandi,
mi sedurrebbe. Eh non s'ascolti.) A' lacci
quella destra ribelle
porgi, o fellon.
TIMANTE
(s'alza e va a farsi incatenare egli stesso)
Custodi
dove son le catene?
Ecco la man. Non la ricusa il figlio
del giusto padre al venerato impero.
DIRCEA
(Purtroppo il mio timor predisse il vero).
DEMOFOONTE
All'oltraggiato nume
la vittima si renda; e me presente
si sveni, o sacerdoti.
TIMANTE
(a Dircea)
Ah ch'io non posso
difenderti ben mio!
DIRCEA
Quante volte in un dì morir degg'io!
TIMANTE
Mio re, mio genitor.
DEMOFOONTE
Lasciami in pace.
TIMANTE
Pietà.
DEMOFOONTE
La chiedi invan.
TIMANTE
Ma ch'io mi vegga
svenar Dircea sugli occhi
non sarà ver. Si differisca almeno
il suo morir. Sacri ministri udite,
sentimi, o padre; esser non può Dircea
la vittima richiesta. Il sacrificio
sacrilego saria.
DEMOFOONTE
Per qual ragione?
TIMANTE
Di': che domanda il nume?
DEMOFOONTE
D'una vergine il sangue.
TIMANTE
Ebben Dircea
non può condursi a morte.
Ella è moglie, ella è madre, e mia consorte.
DEMOFOONTE
Come!
DIRCEA
(Io tremo per lui.)
DEMOFOONTE
Numi possenti
che ascolto mai! L'incominciato rito
sospendete o ministri. Ostia novella
sceglier convien. Perfido figlio! E queste
son le belle speranze
ch'io nutrivo di te? Così rispetti
le umane leggi e le divine? In questa
guisa tu sei della vecchiezza mia
il felice sostegno? Ah...
DIRCEA
Non sdegnarti,
signor, con lui; son io la rea; son queste
infelici sembianze. Io fui che troppo
mi studiai di piacergli. Io lo sedussi
con lusinghe ad amarmi. Io lo sforzai
al vietato imeneo con le frequenti
lagrime insidiose.
TIMANTE
Ah non è vero,
non crederle signor. Diversa affatto
è l'istoria dolente. È colpa mia
la sua condiscendenza. Ogn'opra, ogn'arte
ho posta in uso. Ella da sé lontano
mi scacciò mille volte; e mille volte
feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
costrinsi, minacciai. Ridotto alfine
mi vide al caso estremo. In faccia a lei
questa man disperata il ferro strinse.
Volli ferirmi e la pietà la vinse.
DIRCEA
Eppur...
DEMOFOONTE
Tacete. (Un non so che mi serpe
di tenero nel cor che in mezza all'ira
vorrebbe indebolirmi. Ah troppo grandi
sono i lor falli; e debitor son io
d'un grand'esempio al mondo
di virtù, di giustizia.) Olà. Costoro
in carcere distinto
si serbino al castigo.
TIMANTE
Almen congiunti...
DIRCEA
Congiunti almen nelle sventure estreme...
DEMOFOONTE
Sarete, anime ree, sarete insieme.
Perfidi, già che in vita
v'accompagnò la sorte,
perfidi, no la morte
non vi scompagnerà.
Unito fu l'errore,
sarà la pena unita;
il giusto mio rigore
non vi distinguerà.
(parte)
Dircea, e Timante.
DIRCEA
Sposo.
TIMANTE
Consorte.
DIRCEA
E tu per me ti perdi?
TIMANTE
E tu mori per me?
DIRCEA
Chi avrà più cura
del nostro Olinto?
TIMANTE
Ah qual momento!
DIRCEA
Ah quale...
Ma che? Vogliamo o prence
così vilmente indebolirci? Eh sia
di noi degno il dolore. Un colpo solo
questo nodo crudel divida e franga;
separiamci da forti; e non si pianga.
TIMANTE
Sì, generosa. Approvo
l'intrepido pensier. Più non si sparga
un sospiro fra noi.
DIRCEA
Disposta io sono.
TIMANTE
Risoluto son io.
DIRCEA
Coraggio.
TIMANTE
Addio Dircea.
(si dividono con intrepidezza; ma giunti alla scena tornano a riguardarsi)
DIRCEA
Principe addio.
TIMANTE
Sposa.
DIRCEA
Timante.
DIRCEA E TIMANTE
Oh dèi!
DIRCEA
Perché non parti?
TIMANTE
Perché torni a mirarmi?
DIRCEA
Io volli solo
veder come resisti a' tuoi martiri.
TIMANTE
Ma tu piangi fra tanto.
DIRCEA
E tu sospiri.
TIMANTE
Oh dio quanto è diverso
l'immaginar dall'eseguire!
DIRCEA
Oh quanto
più forte mi credei! S'asconda almeno
questa mia debolezza agli occhi tuoi.
TIMANTE
Ah fermati ben mio. Senti.
DIRCEA
Che vuoi?
TIMANTE
La destra ti chiedo,
mio dolce sostegno,
per ultimo pegno
d'amore e di fé.
DIRCEA
Ah questo fu il segno
del nostro contento;
ma sento che adesso
l'istesso non è.
TIMANTE
Mia vita, ben mio.
DIRCEA
Addio sposo amato.
DIRCEA E TIMANTE
Che barbaro addio!
Che fato crudel!
Che attendono i rei
dagli astri funesti,
se i premi son questi
d'un'alma fedel?
(partono condotti separatamente dalle guardie in carceri distinte)
Cortile interno nel carcere, in cui è custodito Timante.
Timante, ed Adrasto.
TIMANTE
Taci. E speri ch'io voglia,
quando muore Dircea, serbarmi in vita,
stringendo un'altra sposa? E con qual fronte
sì vil consiglio osi propor?
ADRASTO
L'istessa
tua Dircea lo propone. Ella ti parla
così per bocca mia. Dice ch'è questo
l'ultimo don che ti domanda.
TIMANTE
Appunto
perch'ella il vuol, non deggio farlo.
ADRASTO
E pure...
TIMANTE
Basta così.
ADRASTO
Pensa signor...
TIMANTE
Non voglio
Adrasto altri consigli.
ADRASTO
Io per salvarti
pietoso m'affatico...
TIMANTE
Chi di viver mi parla è mio nemico.
ADRASTO
Non odi consiglio?
Soccorso non vuoi?
È giusto se poi
non trovi pietà.
Chi vede il periglio
né cerca salvarsi
ragion di lagnarsi
del fato non ha.
(parte)
Timante, e poi Cherinto.
TIMANTE
Perché bramar la vita? E quale in lei
piacer si trova? Ogni fortuna è pena,
è miseria ogni età. Tremiam fanciulli
d'un guardo al minacciar; siam giuoco adulti
di fortuna ed amor; gemiam canuti
sotto il peso degli anni; or ne tormenta
la brama d'ottenere; or ne trafigge
di perdere il timore; eterna guerra
hanno i rei con sé stessi; i giusti l'hanno
con l'invidia e la frode; ombre, deliri,
sogni, follie son nostre cure; e quando
il vergognoso errore
a scoprir s'incomincia, allor si muore.
Ah si muoia una volta...
CHERINTO
Amato prence
vieni al mio sen.
(l'abbraccia)
TIMANTE
Così sereno in volto
mi dai gli estremi amplessi? E queste sono
le lagrime fraterne
dovute al mio morir?
CHERINTO
Che amplessi estremi,
che lagrime, che morte, il più felice
tu sei d'ogni mortal. Placato il padre
è già con te; tutto obliò; ti rende
la tenerezza sua, la sposa, il figlio,
la libertà, la vita.
TIMANTE
A poco a poco
Cherinto per pietà. Troppe son queste,
troppe gioie in un punto. Io verrei meno
già di piacer, se ti credessi a pieno.
CHERINTO
Non dubitar Timante.
TIMANTE
E come il padre
cambiò pensier? Quando partì dal tempio
me con Dircea voleva estinto.
CHERINTO
Il disse;
e l'eseguia, che inutilmente ognuno
s'affannò per placarlo. Io cominciavo,
principe, a disperar, quando comparve
Creusa in tuo soccorso.
TIMANTE
In mio soccorso
Creusa che oltraggiai?
CHERINTO
Creusa. Ah tutti
di quell'anima bella
tu non conosci i pregi. E che non disse,
che non fe' per salvarti? I merti tuoi
come ingrandì! Come scemò l'orrore
del fallo tuo! Per quante strade e quante
il cor gli ricercò! Parlar per voi
fece l'utile, il giusto,
la gloria, la pietà. Sé stessa offesa
gli propose in esempio
e lo fece arrossir. Quand'io m'avvidi
che il genitor già vacillava, allora
volo, il ciel m'inspirò, cerco Dircea;
con Olinto la trovo; entrambi appresso
frettoloso mi traggo; e al regio ciglio
presento in quello stato e madre e figlio.
Questo tenero assalto
terminò la vittoria. O sia che l'ira
per soverchio avvampar fosse già stanca,
o che allor tutte in lui
le sue ragioni esercitasse il sangue,
il re cedé; si raddolcì; dal suolo
la nuora sollevò; si strinse al petto
l'innocente bambin; gli sdegni suoi
calmò; s'intenerì; pianse con noi.
TIMANTE
Oh mio dolce germano!
Oh caro padre mio! Cherinto andiamo,
andiamo a lui.
CHERINTO
No. Il fortunato avviso
recarti ei vuol. Si sdegnerà se vede
ch'io lo prevenni.
TIMANTE
E tanto amore e tanta
tenerezza ha per me che fino ad ora
la meritai sì poco! Oh come chiari
la sua bontà rende i miei falli! Adesso
gli veggo e n'ho rossor. Potessi almeno
di lui col re di Frigia
disimpegnar la fé. Cherinto, ah salva
l'onor suo tu che puoi. La man di sposo
offri a Creusa in vece mia. Difendi
da una pena infinita
gli ultimi dì della paterna vita.
CHERINTO
Che mi proponi, o prence! Ah per Creusa,
sappilo alfin, non ho riposo. Io l'amo
quanto amar si può mai. Ma...
TIMANTE
Che?
CHERINTO
Non spero
ch'ella m'accetti. Al successor reale
sai che fu destinata. Io non son tale.
TIMANTE
Altro inciampo non v'è?
CHERINTO
Grande abbastanza
questo mi par.
TIMANTE
Va'; la paterna fede
disimpegna o german. Tu sei l'erede.
CHERINTO
Io?
TIMANTE
Sì. Già lo saresti
s'io non vivea per te. Ti rendo, o prence,
parte sol del tuo dono
quando ti cedo ogni ragione al trono.
CHERINTO
E il genitore...
TIMANTE
E il genitore almeno
non vedremo arrossir. Povero padre!
Posso far men per lui? Che cosa è un regno
a paragon di tanti
beni ch'egli mi rende?
CHERINTO
Ah perde assai
chi lascia una corona.
TIMANTE
Sempre è più quel che resta a chi la dona.
CHERINTO
Nel tuo dono io veggo assai
che del don maggior tu sei;
nessun trono invidierei
come invidio il tuo gran cor.
Mille moti in un momento
tu mi fai svegliar nel petto
di vergogna, di rispetto,
di contento e di stupor.
(parte)
Timante, e poi Matusio con un foglio in mano.
TIMANTE
Oh figlio, oh sposa, oh care
parti dell'alma mia. Dunque fra poco
v'abbraccerò sicuro. È dunque vero
che fino all'ore estreme
senza più palpitar vivremo insieme?
Numi, che gioia è questa! A pruova io sento
che ha più forza un piacer d'ogni tormento.
MATUSIO
Prence, signor.
TIMANTE
Sei tu Matusio? Ah scusa
se invano al mar tu m'attendesti.
MATUSIO
Assai
ti scusa il luogo in cui ti trovo.
TIMANTE
E come
potesti mai qui penetrar!
MATUSIO
Cherinto
m'agevolò l'ingresso.
TIMANTE
Ei t'avrà dette
le mie felicità.
MATUSIO
No. Frettoloso
non so dove correa.
TIMANTE
Gran cose, amico,
gran cose ti dirò.
MATUSIO
Forse più grandi
da me ne ascolterai.
TIMANTE
Sappi che in terra
il più lieto or son io.
MATUSIO
Sappi che or ora
scopersi un gran segreto.
TIMANTE
E quale?
MATUSIO
Ascolta
se la novella è strana.
Dircea non è mia figlia. È tua germana.
TIMANTE
(turbato)
Mia germana Dircea!
Eh tu scherzi con me.
MATUSIO
Non scherzo o prence;
la cuna, il sangue, il genitor, la madre
hai comuni con lei.
TIMANTE
Taci. Che dici?
(Ah no 'l permetta il ciel.)
MATUSIO
Fede sicura
questo foglio ne fa.
TIMANTE
(con impazienza)
Che foglio è quello?
Porgilo a me.
MATUSIO
Sentimi pria. Morendo
chiuso me 'l diè la mia consorte; e volle
giuramento da me che, (tolto il caso
che a Dircea sovrastasse alcun periglio),
aperto non l'avrei.
TIMANTE
Quand'ella adunque
oggi dal re fu destinata a morte,
perché non lo facesti?
MATUSIO
Eran tant'anni
scorsi di già ch'io l'obliai.
TIMANTE
Ma come
or ti sovvien?
MATUSIO
Quando a fuggir m'accinsi
fra le cose più care
il ritrovai che trassi meco al mare.
TIMANTE
(con impazienza)
Lascia alfin ch'io lo vegga.
MATUSIO
Aspetta.
TIMANTE
Oh stelle!
MATUSIO
Rammenti già che alla real tua madre
fu amica sì fedel la mia consorte
che in vita l'adorò, seguilla in morte?
TIMANTE
Lo so.
MATUSIO
Questo ravvisi
reale impronto?
TIMANTE
Sì.
MATUSIO
Vedi ch'è il foglio
di propria man della regina impresso?
TIMANTE
(con impazienza)
Sì, non straziarmi più.
MATUSIO
Leggilo adesso.
(gli porge il foglio)
TIMANTE
(Mi trema il cor.)
(legge)
«Non di Matusio è figlia
ma del tronco reale
germe è Dircea. Demofoonte è il padre,
nacque da me. Come cambiò fortuna
altro foglio dirà. Quello si cerchi
nel domestico tempio a piè del nume,
là dove altri non osa
accostarsi che il re. Pruova sicura
eccone intanto; una regina il giura.
Argia»
MATUSIO
Tu tremi o prence!
Questo è più che stupor. Perché ti copri
di pallor sì funesto!
TIMANTE
(Onnipotenti dèi che colpo è questo!)
MATUSIO
Narrami adesso almeno
le tue felicità.
TIMANTE
Matusio ah parti.
MATUSIO
Ma che t'affligge? Una germana acquisti
ed è questa per te cagion di duolo?
TIMANTE
Lasciami per pietà, lasciami solo.
(si getta a sedere)
MATUSIO
Quanto le menti umane
son mai varie fra lor! Lo stesso evento
a chi reca diletto, a chi tormento.
Ah che né mal verace
né vero ben si dà;
prendono qualità
da' nostri affetti.
Secondo in guerra o in pace
trovano il nostro cor,
cambiano di color
tutti gli oggetti.
(parte)
Timante solo.
Misero me! Qual gelido torrente
mi ruina sul cor! Qual nero aspetto
prende la sorte mia! Tante sventure
comprendo alfin; perseguitava il cielo
un vietato imeneo. Le chiome in fronte
mi sento sollevar. Suocero e padre
m'è dunque il re! Figlio e nipote Olinto!
Dircea moglie e germana? Ah qual funesta
confusion d'opposti nomi è questa.
Fuggi, fuggi Timante. Agli occhi altrui
non esporti mai più. Ciascuno a dito
ti mostrerà. Del genitor cadente
tu sarai la vergogna; e quanto, oh dio,
si parlerà di te. Tracia infelice
ecco l'Edipo tuo. D'Argo e di Tebe
le furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah non t'avessi mai
conosciuta Dircea. Moti del sangue
eran quei ch'io credevo
violenze d'amor. Che infausto giorno
fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
che orribili memorie
saran per noi! Che mostruoso oggetto
a me stesso io divengo! Odio la luce;
ogn'aura mi spaventa; al piè tremante
parmi che manchi il suol; strider mi sento
cento folgori intorno e leggo, oh dio,
scolpito in ogni sasso il fallo mio.
Creusa, Demofoonte, Adrasto con Olinto per mano e Dircea, l'uno dopo l'altro da parti opposte, e detto.
CREUSA
Timante.
TIMANTE
Ah principessa, ah perché mai
morir non mi lasciasti?
DEMOFOONTE
Amato figlio.
TIMANTE
Ah no; con questo nome
non chiamarmi mai più.
CREUSA
Forse non sai...
TIMANTE
Troppo, troppo ho saputo.
DEMOFOONTE
Un caro amplesso
pegno del mio perdon... Come! T'involi
dalle paterne braccia!
TIMANTE
Ardir non ho di rimirarti in faccia.
CREUSA
Ma perché?
DEMOFOONTE
Ma che avvenne?
ADRASTO
(a Timante)
Ecco il tuo figlio,
consolati signor.
TIMANTE
Dagli occhi Adrasto
toglimi quel bambin.
DIRCEA
Sposo adorato.
TIMANTE
Parti, parti Dircea.
DIRCEA
Da te mi scacci
in dì così giocondo?
TIMANTE
Dove, misero me, dove m'ascondo?
DIRCEA
Ferma.
DEMOFOONTE
Senti.
CREUSA
T'arresta.
TIMANTE
Ah voi credete
consolarmi, crudeli, e m'uccidete.
DEMOFOONTE
Ma da chi fuggi?
TIMANTE
Io fuggo
dagli uomini, da' numi,
da voi tutti e da me.
DIRCEA
Ma dove andrai?
TIMANTE
Ove non splenda il sole,
ove non sian viventi, ove sepolta
la memoria di me sempre rimanga.
DEMOFOONTE
E il padre?
ADRASTO
E il figlio?
DIRCEA
E la tua sposa?
TIMANTE
Oh dio
non parlate così. Padre, consorte,
figlio, german son dolci nomi agli altri;
ma per me sono orrori.
CREUSA
E la cagione?
TIMANTE
Non curate saperla.
Scordatevi di me.
DIRCEA
Deh per quei primi
fortunati momenti in cui ti piacqui...
TIMANTE
Taci Dircea.
DIRCEA
Per quei soavi nodi...
TIMANTE
Ma taci per pietà. Tu mi trafiggi
l'anima e non lo sai.
DIRCEA
Già che sì poco
curi la sposa, almen ti muova il figlio.
Guardalo, è quell'istesso
ch'altre volte ti mosse;
guardalo; è sangue tuo.
TIMANTE
Così no 'l fosse.
DIRCEA
Ma in che peccò? Perché lo sdegni? A lui
perché nieghi un sguardo? Osserva, osserva
le pargolette palme
come solleva a te, quanto vuol dirti
con quel riso innocente.
TIMANTE
Ah se sapessi,
infelice bambin, quel che saprai
per tua vergogna un giorno,
lieto così non mi verresti intorno.
Misero pargoletto
il tuo destin non sai.
Ah non gli dite mai
qual era il genitor.
Come in un punto, oh dio,
tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio terror.
(parte)
Demofoonte, Dircea, Creusa, Adrasto.
DEMOFOONTE
Seguilo Adrasto. Ah, chi di voi mi spiega
se il mio Timante è disperato o stolto?
(Adrasto parte, dopo aver consegnato Olinto ad un servo, che lo conduce fuori di scena)
Ma voi smarrite in volto,
mi guardate e tacete. Almen sapessi
qual rovina sovrasta,
qual riparo apprestar. Numi del cielo
datemi voi consiglio;
fate almen ch'io conosca il mio periglio.
Odo il suono de' queruli accenti;
veggo il fumo che intorbida il giorno;
strider sento le fiamme d'intorno;
né comprendo l'incendio dov'è.
La mia tema fa 'l dubbio maggiore;
nel mio dubbio s'accresce il timore,
tal ch'io perdo, per troppo spavento,
qualche scampo che v'era per me.
(parte)
Dircea, e Creusa.
CREUSA
E tu Dircea che fai? Di te si tratta,
si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
corri, cerca saper... Ma tu non m'odi?
Tu le attonite luci
non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
svegliati alfin. Sempre il peggior consiglio
è il non prenderne alcun. S'altro non sai
sfoga il duol che nascondi,
piangi, lagnati almen, parla, rispondi.
DIRCEA
Che mai risponderti,
che dir potrei?
Vorrei difendermi,
fuggir vorrei;
né so qual fulmine
mi fa tremar.
Divenni stupida
nel colpo atroce.
Non ho più lagrime;
non ho più voce;
non posso piangere;
non so parlar.
(parte)
Creusa sola.
Qual terra è questa! Io perché venni a parte
delle miserie altrui! Quante in un giorno,
quante il caso ne aduna! Ire crudeli
tra figlio e genitor, vittime umane,
contaminati tempi,
infelici imenei; mancava solo
che tremar si dovesse
senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
è violento il tuo furor. Conviene
che passi o scemi. In così rea fortuna
parte è di speme il non averne alcuna.
Non dura una sventura
quando a tal segno avanza.
Principio è di speranza
l'eccesso del timor.
Tutto si muta in breve.
E il nostro stato è tale,
che, se mutar si deve,
sempre sarà miglior.
(parte)
Luogo magnifico nella reggia festivamente adornato per le nozze di Creusa.
Timante, e Cherinto.
TIMANTE
Dove, crudel, dove mi guidi? Ah queste
liete pompe festive
son pene a un disperato.
CHERINTO
Io non conosco
più il mio german. Che debolezza è questa
troppo indegna di te? Senza saperlo
errasti alfin; sei sventurato, è vero,
ma non sei reo. Qualunque male è lieve
dove colpa non è.
TIMANTE
Dall'opre il mondo
regola i suoi giudizi. E la ragione,
quando l'opra condanna, indarno assolve.
Son reo purtroppo; e, se finor no 'l fui,
lo divengo vivendo. Io non mi posso
dimenticar Dircea. Sento che l'amo;
so che non deggio. In così brevi istanti
come franger quel nodo
che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
strinser così? Che le sventure istesse
resero più tenace? E tanta fede?
E sì dolci memorie?
E sì lungo costume? Oh dio Cherinto,
lasciami per pietà. Lascia ch'io mora
finché sono innocente.
Adrasto, poi Matusio, indi Dircea con Olinto, e detti.
ADRASTO
Il re per tutto
ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
dal domestico tempio uscir lo vidi.
Ambo son lieti in volto
né chiedon che di te.
TIMANTE
Fuggasi. Io temo
troppo l'incontro del paterno ciglio.
MATUSIO
Figlio mio, caro figlio.
(abbracciandolo)
TIMANTE
A me tal nome!
Come? Perché?
MATUSIO
Perché mio figlio sei,
perché son padre tuo.
TIMANTE
Tu sogni... Oh stelle!
Torna Dircea.
DIRCEA
No; non fuggirmi, o sposo;
tua germana io non son.
TIMANTE
Voi m'ingannate
per rimetter in calma il mio pensiero.
Demofoonte con Séguito, e detti.
DEMOFOONTE
Non t'ingannan, Timante, è vero, è vero.
TIMANTE
Se mi tradiste adesso
sarebbe crudeltà.
DEMOFOONTE
Ti rassicura.
No, mio figlio non sei. Tu con Dircea
fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,
tu di Matusio. Alla di lui consorte
la mia ti chiese in dono. Utile al regno
il cambio allor credé. Ma quando poi
nacque Cherinto, al proprio figlio il trono
d'aver tolto s'avvide; e a me l'arcano
non ardì palesar, che troppo amante
già di te mi conobbe. All'ore estreme
ridotta alfin, tutto in due fogli il caso
scritto lasciò. L'un diè all'amica; e quello
Matusio ti mostrò; l'altro nascose;
ed è questo che vedi.
TIMANTE
E perché tutto
nel primo non spiegò?
DEMOFOONTE
Solo a Dircea
lasciò in quello una pruova
del regio suo natal. Bastò per questo
giurar ch'era sua figlia. Il gran segreto
della vera tua sorte era un arcano
da non fidar che a me, perch'io potessi
a seconda de' casi
palesarlo o tacerlo. A tale oggetto
celò quest'altro foglio in parte solo
accessibile a me.
TIMANTE
Sì strani eventi
mi fanno dubitar.
DEMOFOONTE
Troppo son certe
le pruove, i segni; eccoti il foglio in cui
di quanto ti narrai la serie è accolta.
TIMANTE
Non deludermi, o sorte, un'altra volta.
(prende il foglio e legge fra sé. Intanto)
Creusa, e detti.
CREUSA
Signor, veraci sono
le felici novelle, onde la reggia
tutta si riempì?
DEMOFOONTE
Sì principessa.
Ecco lo sposo tuo. L'erede, il figlio
io ti promisi; ed in Cherinto io t'offro
ed il figlio e l'erede.
CHERINTO
Il cambio forse
spiace a Creusa.
CREUSA
A quel che il ciel destina
invan farei riparo.
CHERINTO
Ancora non vuoi dir ch'io ti son caro!
CREUSA
L'opra stessa il dirà.
TIMANTE
Dunque son io
quell'innocente usurpator di cui
l'oracolo parlò!
DEMOFOONTE
Sì. Vedi come
ogni nube sparì. Libero è il regno
dall'annuo sacrificio; al vero erede
la corona ritorna; io le promesse
mantengo al re di Frigia,
senza usar crudeltà; Cherinto acquista
la sua Creusa, ella uno scettro; abbracci
sicuro tu la tua Dircea; non resta
una cagion di duolo;
e scioglie tanti nodi un foglio solo.
TIMANTE
Oh caro foglio! Oh me felice! Oh numi
da qual orrido peso
mi sento alleggerir! Figlio, consorte
tornate a questo sen; posso abbracciarvi
senza tremar.
DIRCEA
Che fortunato istante!
CREUSA
Che teneri trasporti!
TIMANTE
(s'inginocchia)
A' piedi tuoi
eccomi un'altra volta
mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
d'un disperato amor. Sarò, lo giuro,
sarò miglior vassallo
che figlio non ti fui.
DEMOFOONTE
Sorgi; tu sei
mio figlio ancor. Chiamami padre. Io voglio
esserlo fin che vivo. Era finora
obbligo il nostro amor; ma quindi innanzi
elezion sarà. Nodo più forte
fabbricato da noi, non dalla sorte.
CORO
Par maggiore ogni diletto,
se in un'anima si spande
quand'oppressa è dal timor.
Qual piacer sarà perfetto,
se convien per esser grande
che cominci dal dolor?
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)