Vengo a voi  

piagge beate,

imperlate

di rugiade,

e abbandono i tetti d'or.

Con le piante, con i fior,

l'alma afflitta ristorate.

Vengo a voi

piagge beate.

Verdi prati

ombre liete,

di quiete

veri asili

ristorate questo sen

ed in placido seren

aure dolci a me spirate.

Vengo a voi

piagge beate.

Livia? ove vai?  

Remota

solitaria piangendo.

A me lascia i singulti:

io Germanico adoro, ed ei mi sprezza.

E me Cesare adora;

ma 'l fratello m'uccise.

Ami Cesare?

Sì: perché?

Germano

egli a me s'è scoperto.

Ami tu dunque

il mio fratello, ed io

son amante del tuo.

Il tuo Claudio m'uccise.

E 'l tuo m'offende

con indecenti sprezzi.

O ne' fratelli, e ne' gl'amanti insieme

egualmente infelici!

Cesare cerca il mio per dargli morte.

E Germanico il mio per ugual sorte.

Il ciel di macigno

par fatto per me.

Un raggio benigno

mostrar non mi sa.

Che miro! il mio ribelle!  

Ecco Agrippina: o stelle

per crescermi 'l tormento

fate sì, ch'io lo miri ogni momento?

Senza parlarmi parti?

crudel; in che t'offesi?

(Ahi che martiri!)

M'odii?

Potessi farlo.

E se non puoi, perché mi fuggi?

Lascia

di molestarmi.

Ingrato,

meco tanti rigori?

Io medito vendette, e non amori.

Livia! Livia! Va', va' cercale tu.

Il credo.

Ma costume sempre fu

de le donne il far così.

Non è quest'usanza nova,

chi le cerca non le trova,

chi le fugge, notte e giorno

se le trova sempr'intorno.

Cesare d'una amante,

e de l'altra fratello,

per indizi, e sospetti

de la morte di Claudio è prigioniero.

O vecchia maledetta!  

Amori hai nel pensiero

e un cadavere sei da cimitero.

Ora paghi le pene empio Seiano  

de' venefici indegni.

A fé di maledir poch'ore avrai.

Ma Cesare 'l cor mio

lassa qui non vegg'io.

S'al mortale  

questa fra le

debil vita il ciel prestò,

se ritorsela poi vuole,

chi di lui doler si può!

Egli viene.

S'il destino

peregrino

il mortal nel mondo fé,

lo sperar di starvi sempre

ragionevole non è.

Cesare?  

Livia? In questi angoli oscuri

se ne viene il mio sole?

Da ciò comprendi, quanto

il tuo bel m'innamora.

Un fratel mi svenasti, e t'amo ancora.

Mi difesi assalito: e la sua morte

non fu voler, ma sorte.

Meco di ricche gioie

queste masse portai.

Fanne dono a i custodi

così la libertà comprar potrai.

(gli dà varie gemme)

Per la mia libertà, tanto s'impiega!

E per la servitù di questo core

un solo de' tuoi crini ha speso amore!

Ahimè, signora, ahimè!  

Che cos'è?

Via via.

Parla.

Non posso,

viene.

Chi viene?

Oh dio,

è Germanico forse?

Io non mi vidi

in intrico peggiore a questo mondo.

Io qui mi celo.

Oh dèi.

Quivi m'ascondo.

Addio Cesare.  

Addio

Germanico: nel carcere mi cerchi?

Che vuoi?

Ciò, ch'io ti devo,

renderti voglio pria:

poscia avrà loco la vendetta mia.

Che pensi far?

Al giudice narrai

che tu di Claudio l'uccisor non fosti,

e costante giurai

ch'eri meco in quel punto: e 'l san gli dèi.

Così per mio favor libero sei.

(Cieli ch'ascolto, e come

potrò svenarlo poi!)

O Germanico, quanto

obbligato mi trovo;

tant'offeso non fossi!

A ciò solo mi mossi

per pareggiar i tuoi favori: or sciolto,

col tuo l'obbligo mio,

senza nota di vile

a le vendette ritornar poss'io.

Dunque i mutui favori

che l'uno a l'altro rese

hanno gl'obblighi estinti,

e restano sol l'offese.

Libero che farai?

Ciò che richiede

il mio tradito onore.

Ed io quanto ricerca

d'un ucciso german giusto furore.

Quando mai si trovò di sorte umana

fatalità più strana!

Deh dimmi, in questo punto

ch'amico pur mi sei,

non mi lice abbracciarti?

Sì: come resti? di'?

Tu come parti?

Come vuol strano fato:

Com'il destin m'ha reso:

Offeso, ed obbligato.

(parte)

Obbligato, ed offeso.

Ei libero mi rende.

Padre?

Ferma.

Odi.

Ove vai?

Io prometto a gli dèi...

Partì 'l fratello, e il genitor?  

Partiro.

...di redimer l'onor...

Cesare?

...o pure,

lasciar la vita.

Non rispondi?

Posso

partirmi.

A tuo piacer: libero sei.

Così te n' vai?

Che chiedi?

Ormai posto in oblio

forse hai tu l'amor mio?

Penso a l'onore.

E tanto ingrato!

A la vendetta aspiro.

E l'amor?

È sospeso.

Dunque mi sprezzi.

T'amo.

E cerchi di svenarmi

anco l'altro germano?

Inonorato

viver non deggio.

Al fin perder mi vuoi.

Pazienza.

Così parti?

Che cerchi?

Vendicarmi.

E poi?

Amarti.

Dovrò all'ora aborrirti.

Ch'importa: in nobil core

l'ultimo degli affetti è quel d'amore.

Ohibò, ohibò.

Perché da porgerti

in età tenera

altro non ho.

Ohibò, ohibò.

Vecchiarella tu non puoi

esser già la sorte mia;

se 'l crin miro a fé non mento,

la fortuna l'ha d'oro, e tu d'argento.

Cerca

il tuo Ligdo gradito.

Se vuoi, ch'io te la dica,

amor ha fatto male,

a valersi del mio, ch'è un picciol strale.

Contro annoso tremante armi non movo.

Eh vanne.

Tosto s'estingue una scintilla.

Trova

chi per te pugni.

A ciò mi sforzi,

ch'io pur fuggivo, leggi.

(gli dà i fogli trovati nelle vesti di Agrippina)

Queste son l'armi; ond'io

da te mi guardo; mira: qui, se tanto

duolti l'onor offeso,

vedrai ch'il calpestò, chi vil l'ha reso.

Son fogli,

ch'io d'Agrippina impura,

ritrovai tra le spoglie.

A queste carte

lo crederai.

(M'è grave 'l suo tormento.)

Sì.

Quinci Seian ne fé rifiuto: e quinci

anch'io la ricusai.

(Duolmi di sua sventura.)

(A pietà son commosso.)

Ove vai?  

Odimi, ferma:

se l'uccidi ella more inonorata.

Via non è questa, che l'onor ti renda,

né sana il duol, né la tua fama emenda.

Ne le tue forze il reo

tenta d'aver, e sposo

fa' che pria le diventi: indi se vuoi

succedano le morti; e così sia.

Con atto di te degno

soddisfatto l'onore, e poi lo sdegno.

Commessa

a me resta in tuo loco oggi l'Armenia;

io, colà giunto, il reo

t'invierò.

Quanto

le mie forze potranno.

Per un'offesa,

che vendicar saprò, perder non deggio

quegl'incontri di gloria,

che fortuna mi dà. Tranne ciò solo

in che offeso tu sei, nel resto è pregio

beneficar il suo nemico. Intende

quest'opre di virtude,

chi magnanimo cor nel sen racchiude.

Non sia ch'io manchi.

Che miro! come genitor? che fai?  

Queste son l'ire ultrici?

S'abbracciano i nemici?

Così gli svelli il core?

(legge le lettere)

Misero me! che leggo!

Cesare assai fatico,

a frenar l'ira, a intepidir lo sdegno,

per l'ucciso german.

Cieli, ove sono!

Ma son concedo, e dono

queste dimore ad un desire onesto,

che tu conosca e veggia,

che l'immodestia altrui,

le mie mancanze d'ogni colpa affranca.

Manco di fede a chi d'onor mi manca.

A qual sorte son giunto?

Dov'è, dov'è l'iniqua? Eccola appunto.

Con il mio genitor, con il germano  

unito il mio ribel?

Lascia quell'alma,

che deturpasti empia impudica.

Ferma.

Arresta il brando.

Cieli!

Intempestiva è la vendetta.

Aita!

Trovisi 'l reo: di sposo

destra le porga, indi succedan l'ire.

Adesso è inonorato il suo morire.

Di qual colpa son rea?

Padre?

Al rio misfatto

qual demone t'ha mosso?

Ferma.

Signor sono innocente.

Scellerata impudente,

non finger innocenza.

(le dà le lettere)

Conosci questi fogli?

Io son tradita.

Ferma.

O giusto cielo!

Come?

Le mie strida innocenti i cieli udiro.

Io gioisco.

I' son lieto.

Or Cesare 'l tu' onore

intier tu trovi: impugna dunque l'armi,

de l'ucciso german vuò vendicarmi.

A tempo giungo di morir.  

Al fin la sorte a la mia speme arrise.

Ah ben sapeva il ciel, ch'in varie guise

l'ire nostre sospese,

ch'apparenti, e non vere eran l'offese.

E con ragion dal core

ostinato fuggir non volle amore.

Germanico? Sei mio?

Dop'aspri guai.

Ed io di Livia sperar posso i rai?

È Cesare tua prole?

Dunque con doppie gioie

abbiano fin gli sdegni.

Ed oggi sia

Agrippina tua sposa, e Livia mia.

O come dolci al fine

amor i dardi scocchi!

Allegrezza, allegrezza.

Arderò.

V'amerò.

Ed è pur vero?

Sì.

E già non fingi?

No.

Arderò.

V'amerò.