A tempo giungi Eurillo, al mio defunto  

prega pace col canto.

Eccomi pronto.

Che far poss'io?

Ah che tropp'ardo.

Amo sforzata.

Un privato.

Non lice.

Così novello ardor mi fa infelice.

Non v'intesi.

Ecco il mio vago.  

Amar, né poter dirlo è un gran martire.

Muta adorante.

Il decoro mi vuol.

Clitarco?

Quegl'editti reali, ond'io giurai

di far de' miei sponsali

dispositor chi prigioniero, o morto

mi presentasse innanti

l'uccisor del mio re pur ti son noti?

Né cerchi

quest'onor, questa gloria, e questa sorte?

Pur saresti mio rege, e mio consorte.

Vuo' scoprir il suo genio.

Speri

d'ucciderlo?

Egli non m'ama.

Dunque tu lasci altrui questa Fortuna?

Sei sciocco.

Di me non cura.

Parto. Sia tuo pensier dell'epitaffio

affrettar il lavoro.

Nel duol io peno.

Meraspe?  

Amato prence?

Alcun non sente

Vuol vendicarsi in voi della Fortuna.

V'aborre, e voi l'amate?

Io v'amo, e m'aborrite?

Appunto.

Io prego, e mi fuggite,

ei nega, e voi pregate?

A' miei sospiri

che rispondete voi?

Et io replico a lui, non deggio udirvi.

Movetevi a pietà.

Porgetemi mercé.

Che rispondete a me?

Ed io replico a lui; mercé non do.

Sete crudel.

E voi

Artemisia in amar sete ostinato.

E 'l periglio?

E che sperate?

Perdete invan degl'anni il fiore.

Pietà di mie pene  

begl'occhi lucenti,

faville splendenti,

facelle serene,

pietà di mie pene.

Non voglion le stelle,

ch'io senta pietate,

se meco adirate

son rigide anch'elle;

non voglion le stelle.

Deh siate men fieri

bei labbri severi

di vivo rubino.

Non vuol il destino.

Lasciate, o bellezze

le rustiche asprezze,

la noia importuna.

Non vuol la Fortuna.

Io saprò vincer poi

la Fortuna, il Destin, le stelle, e voi.

Odi Niso?  

Sogni, o deliri? Oronta

prencipessa di Cipro, e tua signora

tratti così.

Hai ben ragion, a fé: così t'imposi

finger altrui presente,

per mantenermi occulta.

Sciocco è costui, ma fido. Odimi, sempre

afferma ciò, ch'io dico.

Ma che lucidi lampi, e che baleni!

Ecco Alindo.

O che fronte di neve, e rai di foco!

Temo d'esser tradita.  

Speranze mie che dite?  

Sfortunato principio!

Signor noi siam guerrieri: in aspra pugna

di pirata severo

preda restammo.

A la fortuna, al cielo

piacque di secondar i nostri voti.

Uccidemmo il corsaro, e con molt'altri

fuggimmo di quel fiero

dal servaggio, e dai ceppi.

Ora cerchiamo

di rassegnarsi in guerra

qui, dove eccelsa fama

d'impresa militar c'invita, e chiama.

Aldimiro.

Con l'alma, e con il cor: ma voi chi sete

sì cortese, e gentil?

Alindo voi?

Avete

(e giustamente) chi v'adora.

Oronta.

Con noi cattiva

sotto spoglie virili

fu del barbaro stesso, or liberata

cerca di voi.

Ahimè.

E l'ascolto, e non moro?

Quando il cor mi saettaste,  

luci vaghe,

pur miraste le mie piaghe,

foste un Argo a fulminarmi,

sete cieche a ristorarmi.

Voi scrivete sulla polve,

voi pregate il sordo mar,

no, non vi posso amar.

Nel vibrar facelle ardenti,

crudi rai,

pur ridenti vi mirai,

foste un cielo ad alettarmi,

sete inferno a tormentarmi.

Son un marmo son un aspe

vi potete allontanar:

no, non vi posso amar.

O mia bellezza amata?

Furia d'amor per flagellarmi nata.

Ah mi schernite?  

O sorte!

E di mia morte.

Amori eh? ritirati Clitarco  

non voglio affetti in corte, e lusinghiera

voi sempre vezzeggiate,

dal dì bambin fino all'adulta sera?

Regina a torto m'incolpate.

Or basta;

non parlate a Clitarco

D'amor però, ma d'altro poi?

Di nulla:

son giusti i miei divieti.

Anzi son rei.

Non merta i vostri affetti. E sforza i miei.

Ma che vaghezza è questa?

Il mio ritratto.

È forse

destinato a Clitarco?

Non già regina.

Assicurar mi voglio.

Datelo a me.

Son pronta.

E voi prendete

questo monil.

Troppo mi favorite.

M'intendeste; partite.

Rigor di stella ria!

Forza di gelosia! Venga Clitarco.  

Accostati: d'Artemia

tu idolatra? Tu amante?

Proseguiamo pensieri.

Se d'altro amor piagato?

E da qual arco uscì,

lo stral, che ti ferì?

Perché?

Sei gradito?

Ricerca.

Ardisci.

Né speri?

Certo egli arde per me.

Chiedi.

Gli altri amanti son ciechi, e questo è muto.

Ed io la vita.

Altro titolo, Alindo

per me non ritrovate?

Il mio genio lo sdegna.

O che ingrato!

Ed io regno, e vassalli a voi commetto.

Parliam di Marte, e abbandoniamo Amore.

Ed io felice.

Ite, principe, addio.

Chiedetelo al destin, ch'ei lo saprà.

Fortuna, ancor io spero.

Sposo non voglio.

Bramar ciò, ch'io non voglio, è una follia.

Mentono i rei mendaci,

detrattori mordaci.

Tutti,

ch'ardiran di pensarlo

farò cader d'aspri tormenti onusti.

Temo ahimè, che si scopra

il fulmine onde avvampo,

se ch'il fragor non sente osserva il lampo.

Eurillo olà, che pensi?

Una canzon ch'uguaglia

all'intagliar de' marmi

l'amorose ferite.

Fa', ch'io la senta.

Udite.

Parti non più.  

Clitarco odi, e da questa

confidenza inferisci,

che gradito mi sei,

mi consigli alle nozze, agl'imenei?

Sì?

Ei non è amante: e chi

potrebb'esser lo sposo?

Egl'intende d'Alindo: oh che insensato!

Tu, che versasti in varie corti gl'anni,

e di prencipi e regi,

sai le leggi, e i costumi

qual adattarsi meglio a me presumi?

Ch'è mio nemico tu non sai ancora?

Io di quell'empio, sin che spirto avrò

le stragi cercherò.

Che sento ahimè, di Mausolo la voce?

Che rovine?

Che leggo oh dio?

Partiam di qui. Mi scorre

un gelido rigor entro le vene.

A servir la regina.

Voi errate invero,

non fo questo mestiero.

Ed è pur vero, Alindo,

che sprezzata da voi rimanga Oronta?

Le promesse, la fede,

tutto il vento rapì?

La tradite così?

E tanto

di chi un tempo adoraste

la memoria v'offende?

Ella fedele

pena, soffre, vi segue, e mille espressi

vi dà dell'amor suo segni veraci;

e voi.

Troppo il fatto mi pesa.

A me.

Ci sono interessato.

Mi veggio disperato.

Se disprezzata prencipessa amante

da genio sì protervo,

che può sperar la fedeltà d'un servo?

E vi par poco?

Oh che inumano!

Sempre costui mi segue.  

Artemia? Artemia? E che fuggite?

I vostri

importuni discorsi.

Le tigri, gl'orsi, i mostri

non si fuggon così.

Bramate, o prence,

ch'io non fugga da voi?

Altro non bramo affé

Fuggite voi da me.

Or, che soli restiamo, o core insano,  

de' tuoi vaneggiamenti

discorriam tra noi stessi: e non sapesti

contrastar agl'incendi? E non potesti

rigettar le saette?

Un estero, un privato

prigionier t'ha legato?

Ah ti scordasti, ch'albergavi in seno

d'Artemisia: un baleno

t'abbagliò, ti confuse?

T'ingannò, ti deluse?

Ecco il tormento delle mie pupille.

Gradisco del tu' affetto

le cortesie. Clitarco

prenditi un fior: vorrei

a linguaggio di fiori esser intesa.

Ecco Alindo: son colta.

Di che?

Sei pazzo affé: lascia, ch'Alindo

mi ringrazi; te 'l diedi,

acciò, fin ch'ei venia, tu lo tenessi.

Porgilo a lui.

Gran periglio schivai!

Alindo, nulla insuperbite, sono

cosa fragile i fiori;

tutte le cortesie non sono amori.

Gran favor! gran mercede! e gran speranza!  

Ite adesso, e d'Oronta

obliate la fede, e la costanza.

Sopra un fior vi perdete?

Sì pieghevole sete?

Qual vi toglie a voi stesso, e a chi v'adora

di lasciva magia forza, o virtù?

Alindo? Alindo? ah non v'è Alindo più.

Più soffrir non poss'io gettate Alindo  

questo velen.

Dal veder che languite.

Ed io per gelosia vi tolsi il fiore.

Del vostro ben.

Più di quanto pensate.

È gran tempo, ch'io v'amo.

Vi conobbi per fama.

Ah no, non v'affidate.

Maledetto quel fiore.

Bella Artemia d'amarmi  

vi risolveste ancora?

Non mi cangio in un'ora.

Ben io mi cangerò:

Meraspe accuserò

di Mausolo uccisor, finto Clitarco;

ei sarà castigato,

a me tolto il rivale, a voi l'amato.

Voi commetter potrete

sì fiera fellonia?

Reo della colpa mia

sarà 'l vostro rigore.

Cieli, ch'ascolto mai? voglio piuttosto

ribellarmi al mio core

tradir i miei diletti.

(Finger convien.) Vi dono i miei affetti.

Li togliete a Meraspe?

Per salvargli la vita.

Dunque l'amate ancora?

Nulla più.

Vi cangiate in men d'un'ora?

Quant'ha, che mi pregate?

Mi promettete fede?

Fede, e amor, ma folle è ben chi 'l crede.

Non m'esaudir Amor: tu sai che fingo.

Ahimè perdei.  

Che ricercate?

Il monil, ch'Artemisia oggi mi diede.

Dove l'avrò smarrito?

Quivi non è.

Vado a cercarlo, addio.

Deh così non perdete anco il cor mio.

Ti quereli d'amor? Perché Clitarco?  

Se pietoso lo brami avverti, osserva

di scoprir chi più t'ama

con affetti profondi,

e a quella corrispondi.

Non credo.

Ama, sospira, e taci.

Tu fra l'armi? a qual fine?

Affé guerrier famoso:

va' con Artemia a folleggiar amori.

Non più, t'intendo,

e pur sempre l'offendo!

Itene: in voi confido.

Servite, e poi chiedete.

Sì: ma fuor di periglio.

Basta la fedeltà.

M'è proibito.

Da chi t'ama.

Dico il ver (qual dissi idolo mio)

voglio fargli un favor: Clitarco addio.

Che?

Ebbene?

Non mi sturbar.

Gradiscilo: egli deve

esser di qualche dama,

che porta de' tuoi sguardi il cor acceso.

Ah non vorrei, ch'egli m'avesse inteso!