Proemio dell'autore

Una giovane schiava, cresciuta in un serraglio, che, amante del sultano e da lui riamata, nel giorno istesso delle sue nozze ritrova il padre e il fratello, eroi cristiani, i quali la richiamano ad una fede che tai nozze le vieta; un'anima ardente, combattuta fra la religione e l'amore, vicina a cadere alla più possente delle passioni che nacque per così dire con essa, e sgomentata dall'impero di una legge che da un sol giorno conosce; gli spasimi infine e le dubbiezze di un cuore straziato che inorridisce di amare, e di amare non cessa: soggetto egli è questo sommamente tragico, ed atto al pari d'ogni altro a commuovere e intenerire gli spettatori d'ogni tempo e d'ogni nazione. - Ma corre presso che un secolo dacché i teatri ripetono i sospiri di questa giovane infelicissima; e il pubblico non sarà egli noiato della sua compassione medesima? E dove a me riesca di far dimenticare nel mio lavoro il difetto di novità; potrò io sostenermi a confronto del Voltaire, al quale era dato un libero campo dove spaziare a sua voglia, io che inceppato mi trovo da tutte le parti, principalmente dalla barbara legge di un'estrema brevità? Potrò io mutare tutto ciò che mi cade in acconcio in un genere dì componimento tanto diverso dalla tragedia, senza aver taccia d'ardito per aver raffazzonato a mio comodo un soggetto sì conosciuto e sì celebre? Potrò io adoperare, come vuolsi, tutti gli attori che mi sono assegnati, ed aggiungere alcuna cosa del mio, che non nuoccia alla semplicità dell'azione, ed al lume in cui vanno posti i principali personaggi? Queste e mille altre difficoltà ch'io non dico, mi faceano restio dal trattare così scabro argomento. Ma come avviene in tutte le opinioni, specialmente nelle letterarie, vi fu chi sostenne che, nelle opere per musica invece di nuocere, giova moltissimo che il soggetto sia noto; che ognuno conosce abbastanza gl'intoppi che si presentano ad un poeta melodrammatico, per negarmi lode se alcuno ne avessi saputo sormontare; che omai le convenienze delle parti dovevano cedere alla ragione della poesia... D'altronde il tempo premeva... e la mia renitenza fu vinta.

Ecco pertanto la Zaira, non già ravvolta nell'ampio manto che la tragedia le diede, ma ristretta nelle anguste spoglie che le dà il melodramma. Coloro che ad ogni costo (e ne conosco più d'uno) condannarono il mio lavoro anche prima di leggerlo, ne ingrosseranno ogni menda, e ne scemeranno il benché menomo pregio; ma i lettori cortesi (che molti pur ne conosco) diranno aver io conservati i caratteri, e sparso dov'io potea quella tinta orientale che loro manca nella tragedia: diranno ch'io feci bene a lasciare da parte un tal quale ostentamento di filosofia ch'era in voga ai tempi, del Voltaire per attenermi al linguaggio della passione: riconosceranno che il personaggio di Corasmino, il quale mi conveniva ingrandire, non iscapita punto per essere cambiato, di un freddo confidente ch'egli era, in un severo musulmano; e che devoto, qual è, alle leggi e alle usanze dell'harem, serve, per così dire, di contrapposto al sultano che le pone tutte in oblio. So bene che lo stile voleva essere più curato, e che qua e là andavano tolte alcune ripetizioni di frasi e di concetti; ma la poesia fu scritta a brani mentre si faceva la musica, di maniera che più permesso non era di riandar sul già fatto: e poesia e musica furono compiute in meno di un mese. So pure che a chi si scusa col tempo, l'Alceste dì Molière è pronto a gridare che le temps ne fait rien a l'affaire; nulladimeno è da osservarsi che l'Alceste di Molière è un misantropo.

Qualunque sia il giudizio del pubblico intorno a questo mio lavoro, andrò sempre superbo che siasi adoperato in così solenne circostanza; e il pensare alla fiducia che nel mio scarso ingegno fu posta, addolcirà qualunque amarezza io abbia potuto e potessi ancora provare.

Felice Romani

Atto primo Atto secondo

• • •

Testo PDF Ridotto