I latini compagni, e confederati de' romani, facendo tutto un corpo con loro, ed essendo a parte delle fatiche, volevano essere ancora a parte degli onori; e che un console fosse romano, e uno latino. Non fu questa loro pretensione nel senato romano accettata; onde sdegnati i latini per questa repulsa, si ribellarono de' romani, dichiarando loro la guerra; non volendo, che le fatiche, e i patimenti fossero comuni, e non comune poi il premio, e l'onore. Tito Manlio console, d'ordine del senato comandò a Tito Manlio figlio, che passasse nel campo latino, ad esplorarne le forze, e la positura. E perché male si discernevano i latini dai romani, essendo tutti come un sol popolo, e le medesime armi, e vestitura usando; pronunziò egli al proprio figlio la legge del senato, e 'l comando d'esso console, che non ardisse combattere fuori dalle schiere, e delle militari ordinanze, a fine di sfuggire con ciò le confusioni. Portossi dunque al campo de' latini il giovane Tito Manlio, con un drappello di cavalieri romani, quando incontrato da Geminio Mezio latino, e capo de' cavalieri tuscolani, giovine cavaliere anch'esso, con dure, ed oltraggiose parole fu provocato, e sfidato a duellar seco. Manlio, fatti ritirare gli altri cavalieri compagni, come spettatori della battaglia, entrò in campo, uccise geminio, e coll'armi insanguinate, tolte di dosso al nemico, volò colla sua truppa tutta festosa in sembianza di trionfante al padre; il quale acerbamente ripresolo della violata legge, per mantenere illesa l'autorità del senato, per sostener le leggi nella sua forza, e per ristabilire ne' soldati la disciplina, ch'era trascorsa, scordatosi d'esser padre, volle ricordarsi solo d'esser romano, e condannollo ad esser decapitato.