TITO MANLIO
Dramma per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.
Codice QR per arrivare a questa pagina:
Libretto di Matteo NORIS.
Musica di Antonio Lucio VIVALDI.
Prima esecuzione: carnevale 1719, Mantova.
Personaggi:
TITO Manlio, console romano |
basso |
MANLIO soldato, suo figlio |
soprano |
VITELLIA figlia di Tito, amante di Geminio |
contralto |
DECIO capitano delle falangi |
contralto |
SERVILIA sorella di Geminio, destinata sposa a Manlio |
contralto |
LUCIO latino, amante di Vitellia |
soprano |
GEMINIO capitano de' latini, e amante di Vitellia |
tenore |
LINDO servo di Vitellia |
basso |
Soldati, Popolo, Cavalieri romani, Ufficiali, Littori, Falangi.
Argomento del dramma
I latini compagni, e confederati de' romani, facendo tutto un corpo con loro, ed essendo a parte delle fatiche, volevano essere ancora a parte degli onori; e che un console fosse romano, e uno latino. Non fu questa loro pretensione nel senato romano accettata; onde sdegnati i latini per questa repulsa, si ribellarono de' romani, dichiarando loro la guerra; non volendo, che le fatiche, e i patimenti fossero comuni, e non comune poi il premio, e l'onore. Tito Manlio console, d'ordine del senato comandò a Tito Manlio figlio, che passasse nel campo latino, ad esplorarne le forze, e la positura. E perché male si discernevano i latini dai romani, essendo tutti come un sol popolo, e le medesime armi, e vestitura usando; pronunziò egli al proprio figlio la legge del senato, e 'l comando d'esso console, che non ardisse combattere fuori dalle schiere, e delle militari ordinanze, a fine di sfuggire con ciò le confusioni. Portossi dunque al campo de' latini il giovane Tito Manlio, con un drappello di cavalieri romani, quando incontrato da Geminio Mezio latino, e capo de' cavalieri tuscolani, giovine cavaliere anch'esso, con dure, ed oltraggiose parole fu provocato, e sfidato a duellar seco. Manlio, fatti ritirare gli altri cavalieri compagni, come spettatori della battaglia, entrò in campo, uccise geminio, e coll'armi insanguinate, tolte di dosso al nemico, volò colla sua truppa tutta festosa in sembianza di trionfante al padre; il quale acerbamente ripresolo della violata legge, per mantenere illesa l'autorità del senato, per sostener le leggi nella sua forza, e per ristabilire ne' soldati la disciplina, ch'era trascorsa, scordatosi d'esser padre, volle ricordarsi solo d'esser romano, e condannollo ad esser decapitato.
Luogo pubblico in Roma, per li solenni giuramenti, con statua di Plutone, e Proserpina.
Al suono di sinfonia di vari strumenti vengono Tito Manlio, Manlio, Vitellia, Lucio, Servilia, Decio, Soldati e Popolo.
TITO
Popoli, chi è Romano e chi di Roma
sostien la fede e il divin culto adora,
or che a Dite profondo, del mondo la regina
su gl'altari consacra ostie e profumi,
giuri d'abisso ai numi,
aborrir de' latini,
gente ch'a noi rubella oggi si scopre,
il nome ancora e lo dimostrin l'opre.
Primo io vado all'altare;
voi del mio cor seguite
l'opra divota, e 'l giuramento udite.
A voi del basso Averno deità riverite,
a te di tre sembianti Ecate stigia,
a te o tartareo Giove,
giuro di chi è latino
aborrir sino il nome.
Giuro l'odio, la guerra, e sovra questa
lapida che il mio piede
sacra preme e calpesta,
giuro votar del sangue de' rubelli
con labbra sitibonde, a voi dinante,
colma tazza spumante.
Tito giura: io son Tito, e son romano;
pegno del cor che giura ecco la mano.
DECIO
Quanto Tito ora giurò,
giura armata ogni falange.
LUCIO
Giura ancor Lucio latino.
SERVILIA
(Lucio ancor?)
LUCIO
(Ché '1 dio bambino
per quel volto, ahi, mi piagò!)
MANLIO
Di Flegetonte al nume
porto la destra anch'io: stampo con essa,
o padre, o Roma, in questo
solenne venerabile momento,
della tua su i vestigi, il giuramento.
TITO
Per le romane vergini tu ancora
vanne o figlia, o Vitellia, e per le spose
vada Servilia.
SERVILIA
Ad Eaco...
VITELLIA
In su gli altari...
SERVILIA
...altre portino il piede;
VITELLIA
...altre stendan la mano;
SERVILIA
ché al nume io non m'accosto.
VITELLIA
Io m'allontano.
LUCIO
(Dèi, che sento?)
TITO
(Vitellia
giurar anche ricusa?) Immantinente
parta dal suol romano
chi tiene alma latina; e in questo punto
sciolto col figlio Manlio
il vicino imeneo, seco non porte
dal ciel di Roma il nome di consorte.
MANLIO
(Destin!)
SERVILIA
(Sarà di morte)
TITO
Ma, Vitellia, tu ancora
rubella della patria
latina ti dichiari?
Di' la cagione; taci e nulla rispondi?
Il saprà Tito: il saprà Roma.
Lucio, ne' regi alberghi alla tua fede
darem l'onor condegno.
(a Servilia e a Vitellia)
Tu al mio sguardo t'invola,
e tu al mio sdegno.
VITELLIA, SERVILIA
Di fortuna crudel son fatta segno.
Tito, e Manlio.
TITO
Manlio!
MANLIO
Mio genitore.
TITO
Vattene, vesti l'armi e de' nemici
gli ordini osserva, il sito e le falangi.
Ma non pugnar, e fuggi i cimenti, gli incontri;
ché questa, a cavalier ch'il brando regge,
del senato e del console è la legge.
Se il cor guerriero
t'invita all'armi,
pensa alla legge e al tuo dover.
Sfuggi il cimento
della battaglia,
né ti lusinghi vano piacer.
Se il cor guerriero
t'invita all'armi,
pensa alla legge e al tuo dover.
Servilia e Manlio.
SERVILIA
Ah, Manlio!
MANLIO
Mia Servilia...
SERVILIA
Lasciami, traditor. Se ai numi inferni
l'odio contro i latini
qui giurasti, rubello
dell'amor tuo, della mia fiamma antica,
tua sposa io più non son, ma tua nemica.
MANLIO
Dolce mio ben, perdona.
La patria, il genitore,
il senato, la legge
guidar la mano, il piede,
e di romano il debito, e la fede.
SERVILIA
E la mia fede, o ingrato? e l'amor mio?
MANLIO
E la tua fé d'amante!
E l'affetto di moglie!
Ah Servilia, tu all'or, che ricusasti
d'esser romana; all'imeneo maturo
spezzasti le catene,
ammorzasti le faci, e non giurando
sul venerato altare mi togliesti
baciar que' lumi ardenti.
SERVILIA
(O mie tiranne stelle!)
SERVILIA E MANLIO
O giuramenti!
SERVILIA
Dunque a me più non sei
né marito, né amante;
m'odi come nemica;
Servilia più non ami;
addio.
MANLIO
Così tu parti?
SERVILIA
Dà legge al partir mio
la patria, e Tito.
MANLIO
Addio Servilia.
SERVILIA
Addio:
senza Manlio, ch'adoro,
che mai farò?
MANLIO
Che mai
farò senza Servilia?
SERVILIA E MANLIO
Astri inclementi!
SERVILIA
Manlio.
MANLIO
Servilia.
SERVILIA
(O stelle!)
SERVILIA E MANLIO
O giuramenti!
MANLIO
(Ma di beltà nemica
ancor m'arresto ai pianti!)
Servilia, io parto.
SERVILIA
Ed io?
MANLIO
Tu qui rimanti.
SERVILIA
No: teco vengo.
MANLIO
Dove!
SERVILIA
Fra i latini.
MANLIO
Tu meco
venir ora non déi.
SERVILIA
Perché!
MANLIO
Nemica sei
SERVILIA
Vanne perfido, va': cerca fra l'armi
Geminio il mio germano;
sfoga l'odio romano
dentro al suo petto: irriga
del sangue suo la verde piaggia aprica:
ed in quel cor latino
svena il cor di Servilia a te nemica.
MANLIO
Ch'io dia morte al cor mio? vita del core:
odio non entra, ov'ha la fede amore.
Perché t'amo mia bella, mia vita,
non saprà questa destra ferir.
Porto in seno tua imago gradita,
questo basti per farti gioir.
Perché t'amo mia bella, mia vita,
non saprà questa destra ferir.
Servilia sola.
O dio, sento nel petto,
con moti vari, veementi e strani,
già palpitarmi il cor: che mai del cielo
nel volume stellato
scrisse di me, scrisse di Manlio il fato?
Liquore ingrato
beve il fanciullo
qualor del vetro
sia l'orlo asperso
di grato odor.
Così il mio core
nel duol che preme
beve l'amaro,
ma pronta speme
in suo riparo
tempra, e conforta
il mio dolor.
Liquore ingrato
beve il fanciullo
qualor del vetro
sia l'orlo asperso
di grato odor.
Lucio e Decio.
LUCIO
Sì, per Vitellia io lascio
anche il nome latino.
DECIO
E tanto puote su l'alma d'un eroe
femminile beltade?
LUCIO
Forse ancor a te note
non son l'armi d'Amore;
il tuo feroce core
forse ancor non provò
come ei sappia ferir.
DECIO
(Pur troppo il so.)
LUCIO
Solo in Vitellia trovo
e la gloria, e la patria.
DECIO
Ed a Vitellia ancora,
scopristi la tua face!
LUCIO
Tacqui, e penai finora;
ma più soffrir non posso
l'impeto dell'amor, ch'il sen m'accende.
DECIO
E se teco sdegnosa
ricusasse ascoltarti!
LUCIO
Forse de miei sospiri
il suo tenero core avrà pietade.
DECIO
Lusingar ti potresti, ella potria
aver per altro oggetto il sen ferito.
LUCIO
Ad ogni costo io voglio
svelarle il foco mio.
DECIO
(Potessi almen dirle il mio amore anch'io.)
LUCIO
Io vado, ed al mio fianco
stimoli aggiunge Amore,
e con dolce speranza
alletta questo core;
vado tutti a narrarle i miei tormenti,
contento se potrò ridurla almeno
ad udir senza sdegno, i miei lamenti.
Alla caccia d'un ben adorato
tendo l'arco del vezzo e del pianto;
ché se rendo quel seno infiammato,
del mio cuor, del mio amor, sarà vanto.
Alla caccia d'un ben adorato
tendo l'arco del vezzo e del pianto.
Decio solo.
Vanne, amante felice
se scoprir le tue fiamme
a chi le accese entro il tuo sen ti lice.
Io pure amo Vitellia, e lungo tempo
tacqui, e soffersi, e soffrirò tacendo.
Ben veggio, ch'il mio amore
al grado mio disdice, e che saria
delitto il palesarlo; onde io celo
del pari agl'occhi suoi, e agl'occhi altrui;
e solo il sa, perché lo sente il core.
E se tacendo io peno
dal silenzio non viene il mio tormento:
peno perch'il mio bene
in braccio altrui di rimirar pavento.
È pur dolce ad un'anima amante
poter dire, ma senza timore,
a un bel volto, io moro per te.
Il vedere l'amato sembiante
senza nube di sdegno, o rigore,
fa sperare più facil mercé.
È pur dolce ad un'anima amante
poter dire, ma senza timore,
a un bel volto, io moro per te.
Appartamenti di Vitellia nel palazzo di Tito.
Vitellia e Lindo.
LINDO
Perché a Geminio in campo
io l'arrechi?
VITELLIA
Nel campo all'idol mio.
LINDO
Che gli dirò?
VITELLIA
Che sono
qui fra le angosce acerbe,
in periglio di vita, e solo aspetto
da lui soccorso, aita.
LINDO
Prendo la via più corta, e più spedita.
VITELLIA
Lindo.
LINDO
Son qui.
VITELLIA
Ciò, che risponde, attendi.
LINDO
Bene.
VITELLIA
Lindo.
LINDO
Ecco Lindo.
VITELLIA
Di, che se tarda un punto, io morirò.
LINDO
Fido gli narrerò: ma del tuo rischio
s'ei la cagion mi chiede?
VITELLIA
Saprà dal foglio: va'.
LINDO
Do l'ali al piede;
ma signora...
VITELLIA
Che vuoi?
LINDO
Che... (di buon servo
perdona al zelo), che sperar tu puoi
da un amante nemico?
È Geminio latino.
VITELLIA
Vuol, che adori Geminio il mio destino.
LINDO
Amor senza speranza è una follia
VITELLIA
E non amar chi l'ama
non può quest'alma mia.
LINDO
Eh; di sì vano amore
lascia la rimembranza;
giura l'odio a' latini: esci di pene.
VITELLIA
Lindo: troppo tenaci
son del cor le catene.
LINDO
Ma se taci il periglio...
VITELLIA
Vanne, aita ricerco e non consiglio.
LINDO
Sorger preveggo insolito bisbiglio.
Vitellia, poi Tito e Lucio.
VITELLIA
O silenzio del mio labbro,
tu nascondi il foco mio
e m'insegni a non parlar.
Croci e morte io soffrirò,
busto e sangue spirerò
pria ch'il foco palesar.
O silenzio del mio labbro,
tu nascondi il foco mio
e m'insegni a non parlar.
(entrano Tito e Lucio, con un soldato che porta una catena)
TITO
Parla, tenta e minaccia.
LUCIO
(a Vitellia)
E vorrai ch'il silenzio alle tue luci
porti, o illustre Vitellia,
nembi d'occaso? Arruota
per te crudo ministro
la tagliente bipenne; il foco, e 'l tosco
già ti s'appressa, e viene
sanguinaria e tiranna a te la morte.
VITELLIA
Venga: questo è il tenor della mia sorte.
LUCIO
Morir tu vuoi?
VITELLIA
Contenta.
LUCIO
Ne gli anni più felici? E quando appena
nell'orïente il sol de gli occhi tuoi
i nostri dì rischiara?
VITELLIA
Morte bramata in ogni etade è cara.
LUCIO
Ma non è da romana, e da chi è figlia
del console, di Tito,
di non degne memorie
lasciar oscuro il nome, e la sua fama.
VITELLIA
Ma da Lucio non è, ne da latino,
del gran Settimio prole,
seguir la fé contraria a i propri fati.
LUCIO
(È sol vostro il delitto occhi adorati.)
Il reo pensi alla propria,
non alla colpa altrui.
Vitellia, del tuo sangue
fumerà il suolo intriso,
il delicato viso
lorderà polve immonda: e l'alma,
che il meglio della vita, ahi, seco porta
senza loco, raminga
d'intorno a Roma errar dovrà.
VITELLIA
Che importa!
LUCIO
(Oh dio: così ostinata
mi dà in braccio di morte.)
Dunque ciò, che ti sforza
a divenir latina,
dir ancor neghi?
VITELLIA
Dissi.
LUCIO
A dir ti resta.
VITELLIA
Io di più non dirò di quel ch'ho detto;
tu di più non saprai.
LUCIO
E vuoi tacer?
VITELLIA
Non parlerò già mai.
TITO
(a Vitellia)
Perfida; a tuo dispetto or lo dirai.
Questa ferrea pesante,
rugginosa catena,
all'alme ree di ribellata fede
è principio di pena;
sentila: è ancor leggera
per la tua colpa. Lucio,
prendila: e se più tace, alle sue piante
fa', che sia posta: per le vie di Roma
strascinata con essa
dalla plebe indiscreta, ed oltraggiosa,
nudo il virgineo sen, nuda la fronte;
sì, la figlia Vitellia
abbia fra poco i vilipendi, e l'onte.
VITELLIA
(Geminio, e tu non vieni?)
TITO
Orribile lo scempio
nel sangue si vedrà;
e all'altrui cor d'esempio
la strage servirà.
Orribile lo scempio
nel sangue si vedrà.
Lucio e Vitellia.
LUCIO
(E catene di ferro io darò al piede,
di chi nel biondo crine,
d'oro al mio cor le porge?)
Vitellia, sol di Roma, anzi del mondo,
sappi, ch'io per te moro: all'amor mio
corrispondi pietosa;
giura l'odio a' latini, e al tuo gran padre
ti chiederò in isposa.
Del dono in ricompensa
gli aprirò fra i nemici
la strada del trionfo: e sol per opra
d'un fido amor ci condurrà in senato,
sotto romana insegna,
avvinto in questi ferri
Geminio prigioniero.
VITELLIA
(Anima indegna!)
LUCIO
Che rispondi? Sarò, qual più vorrai,
e latino, e romano,
poiché sola nel petto
tengo la fé d'amante;
e altra patria non ho, che 'l tuo sembiante.
VITELLIA
(A uscir dal labirinto
l'amor ch'egli mi scopre
all'amor ch'ho nel seno, il filo porge.)
Lucio, lodo l'amor, stimo il consiglio;
la pesante catena
riporta al genitore;
chiedi tu le mie nozze: ed a momenti
di', che al paterno piede
io dirò quanto ei cerca, e quanto chiede.
LUCIO
Parla a me speranza amica,
e m'invita a non temer;
se l'ascolto par che dica:
poco lungi è il tuo goder.
Voglia il fato più cortese
il destin farmi palese,
che mi chiama a tal piacer.
Vitellia sola.
Volerò a Tito, il padre;
dirò, che per destino
di Geminio m'accesi: e non potea
giurar contro l'amante odio nemico.
Dirò, che dal mio sguardo
(e non dirò menzogna)
pende il guerrier latino;
e che in virtù dell'amorosa face,
io meditavo un giorno
dar vantaggio alla patria, e amica pace.
Di verde ulivo
cinta la chioma,
al padre, a Roma
figlia diletta, cara sarò.
E fin che vivo
dirò al mio bene
quante gran pene
ei mi costò.
Di verde ulivo
cinta la chioma,
al padre, a Roma
figlia diletta, cara sarò.
Campo dei latini.
Geminio con Cavalieri tuscolani.
GEMINIO
Bramo stragi, e son trafitto
dallo stral d'un occhio nero,
e d'un crin son prigioniero
quando in seno è il core invitto.
Nemico allor, ch'io mi partii da Roma,
Vitellia ti lasciai nell'aurea chioma
l'anima incatenata.
Lindo e Geminio.
LINDO
Signor!
GEMINIO
Lindo!
LINDO
T'invia
Vitellia questo foglio.
GEMINIO
Vitellia?
LINDO
Addolorata.
GEMINIO
Cara Vitellia.
(apre e legge la lettera)
«Geminio, amato ben; giurar non volli
contro di te, contro dei tuoi, nel tempio
l'odio, e la guerra: Tito il genitore
la cagion mi ricerca; e perché taccio,
mi prepara a momenti
di Falaride i tori,
di Mezenzio i tormenti.»
(Barbaro Tito!) «Vieni
rapido; salva me, salva te stesso,
per man d'amor dentro al mio core impresso.»
LINDO
Udisti?
GEMINIO
Sì; di quei rai dolenti
argine farò al pianto.
Andiamo.
LINDO
Andiamo.
GEMINIO
Già m'accingo all'impresa; e al suol di Roma
per sembiante divino
porto veloce il piè; no: son latino.
LINDO
E se latino sei, fatti romano.
GEMINIO
E romano sarò, quando in senato
fra i consoli un latino
entri con titol pari, ed ugual grado.
LINDO
Geminio!
GEMINIO
Sai quanto Vitellia adoro.
LINDO
Spasimi e non hai pace.
GEMINIO
Ma il torto, che il senato
fa alle latine genti,
negando il consolato,
occupa di Geminio
tutti i sensi, e i pensieri; e il Lazio appoggia
perché Roma sia posta in ferreo laccio,
la vendetta del torto a questo braccio.
LINDO
(Vitellia, sei spedita.)
GEMINIO
Ciò narra alla mia vita; e le dirai
che è fatto mio l'universal impegno
e, mancando, sarei
delle mie fasce, e di Vitellia indegno.
LINDO
L'abbraccerai dell'Erebo nel regno.
L'intendo e non l'intendo,
mi par e non mi par:
vi trovo un certo imbroglio,
di morte e di cordoglio,
d'amori e di penar.
Fatti li conti
col mio cervello,
trovo bel bello,
siete ben matti
voi altri amanti;
voi siete pronti
a cercar la morte
quando la sorte
non vi contenta;
ma poi si stenta
dir da dovero
ch'in voi la voglia,
quando s'imbroglia,
cangia il pensiero
d'esser galanti.
L'intendo e non l'intendo,
mi par e non mi par:
vi trovo un certo imbroglio,
di morte e di cordoglio,
d'amori e di penar.
Lindo parte. Sopravviene Manlio con Cavalieri romani.
GEMINIO
(Qual di pochi romani armata schiera
or viene a me?) Romani,
in che offendeste i numi? e qual delitto
pochi dai nostri molti
ad incontrar la morte ora vi guida?
MANLIO
(Costui quant'è superbo, e minaccioso!)
GEMINIO
Dove i consoli sono?
dove il guerriero esercito feroce?
MANLIO
Pronto all'uopo verrà, se verrà l'uopo.
GEMINIO
Olocausti innocenti: al sacrificio
il senato vi manda; e voi venite?
MANLIO
Il senato ci manda, e noi fra l'armi
veniam col ferro, ei non ottuso è al fianco.
GEMINIO
La gloria dei latini
che vantaggi non vuole,
deboli non vi accetta.
Tornate, e rinchiudetevi sicuri
fra le imbelli conocchie entro i tuguri.
MANLIO
Talor fra le conocchie
stanno le clave, avvezze
ad atterrare i mostri; e il Tebro adora
fra l'armi sue più di un Alcide ancora.
GEMINIO
O tu, che solo parli; e vanti armato
tutta aver de' romani
la forza nel tuo braccio, Ercole invitto;
qui vieni meco a singolar cimento:
e di noi dall'evento
veggasi, se miglior su l'egual piano,
è di ferro latin brando romano.
MANLIO
(Del comando del padre, e del senato
ricordati, alma mia.)
GEMINIO
Schivo alla pugna?
MANLIO
La pugna io non ricuso,
altro impegno la vieta.
GEMINIO
Chi la vieta? timore? o pur viltate?
MANLIO
Non teme de' romani
l'animo ardito e fiero;
né conosce viltà Manlio guerriero.
GEMINIO
(Manlio è questi, fratello
di Vitellia?) Qui Roma, a che ti manda?
MANLIO
Tu di cercar tant'oltre
autorità non tieni:
a domanda importuna, io non rispondo.
GEMINIO
O! Qual prode tu sei, che della Fama,
coll'opre del tuo brando,
stanca le trombe d'oro.
MANLIO
Qual io mi sia, non fuggo da' cimenti:
per incontrarli ho petto:
per sostenerli ho core: e conta, e vide,
mal suo pro, cor latino
le prove del mio ferro.
GEMINIO
Geminio ancor le vegga:
snuda l'acciaro.
MANLIO
(O patria, o padre, o legge!)
GEMINIO
Guerrier d'onore alla disfida è pronto.
MANLIO
Pronto è il cor, pronto il braccio;
ma perché miglior tempo attender deggio,
alto campion latino,
l'onor di pugnar teco io mi riserbo.
GEMINIO
Io vo', ch'ora tu vada
di quest'onor superbo.
MANLIO
(In quali angustie sono!)
Tempo rimane all'animo guerriero.
GEMINIO
Tu non sei cavaliero.
MANLIO
(Ah! puntura sì acerba
porta al brando la mano.)
Eccomi. (No: costui
di Servilia è germano.)
GEMINIO
Guerrier, cui vanità sol arma il fianco...
MANLIO
(Devo ubbidir al padre)
GEMINIO
Di cimenti nemico, e delle risse...
MANLIO
(La legge è del senato.)
Addio, Geminio.
GEMINIO
Vanne
tra le femmine in Roma.
MANLIO
Geminio addio.
GEMINIO
Non resti
tra i forti alma codarda: esci dal campo.
MANLIO
Sempre Manlio romano
nel campo di Bellona entra animoso,
e non esce già mai, se non invitto.
GEMINIO
Ma il por mano alla spada è in te delitto.
Se non la impugni, a che la tieni allato?
MANLIO
La impugno provocato.
Servilia e detti.
SERVILIA
(Deh, che veggio!) Fermatevi! Geminio,
Manlio, sposo, germano.
GEMINIO
Servilia, t'allontana.
SERVILIA
Ah, pria ch'al seno
dell'amato consorte
tu immerga il ferro, tingi
nel mio, ch'è pur suo sangue,
la forte destra. Manlio,
e tu contro il fratello
fiero t'avventi? è questa
la fé ch'a me tu desti?
MANLIO
Ad impugnar l'acciaro
ei stimolò la mano.
GEMINIO
Me l'ardimento suo.
SERVILIA
Più non attizzi
l'ira l'odio nemico.
MANLIO
Io lo giurai contro i latini.
GEMINIO
Ed io
giuro la morte...
SERVILIA
No: fermate (o dio).
Manlio: per quell'amore
che figlio è de tuoi lumi; e per quel foco,
che, se pur anco vive,
uscì da questi ad infiammarti il core;
lascia, lascia il furore.
Ma qui tratti, o Geminio, o gran germano,
la ragion delle piaghe; e (o dei) Vitellia,
Vitellia, che tu adori; e che non volle
contro de' tuoi nel tempio
giurar l'odio, e le stragi;
sta per cader in braccio dei tormenti
spettacolo funesto!
SERVILIA, GEMINIO E MANLIO
O giuramenti!
SERVILIA
Vadan l'armi sotterra e d'imeneo
la duplicata face
sia caduceo di pace.
MANLIO
Per Servilia il cor mio...
SERVILIA E MANLIO
...ricomponga bel nodo il cieco dio.
GEMINIO
Servilia: di Vitellia al caso estremo,
la contesa rinunzio; e ai suoi bei lumi
tutta dono l'offesa e la vendetta.
Vattene a Tito, e di', che della figlia,
se fra lampade sacre
stringo la bianca mano,
consolàti non cerco, e son romano.
SERVILIA
O contenta anima mia!
MANLIO
Mio cor felice!
SERVILIA
Rapida volo a Tito.
Sposo tu vieni?
MANLIO
No, qui mi trattiene
chi dà legge al mio piè.
Insieme
MANLIO
Parti, mio bene.
SERVILIA
Resta, mio bene
SERVILIA
Parto, ma lascio l'alma
in pegno della fé.
Tornerò con bella pace;
ché quell'occhio sì vivace
cinosura è del mio piè.
Parto, ma lascio l'alma
in pegno della fé.
Geminio e Manlio, che osserva Servilia che parte.
GEMINIO
Che feci mai! per femmina romana
rubello di me stesso
son fellone ai latini!
Ah! se trascuro il debito, se manco
all'impegno, alla fede,
appo Vitellia ancora
io perdo infin di cavaliere il nome.
MANLIO
(O bellissima imago,
o lumi di zaffiro, o bionde chiome!)
GEMINIO
Guerriero, a te!
MANLIO
Geminio,
Servilia a Tito in Roma,
a Vitellia di pace, e di sponsali,
si porta messaggera.
GEMINIO
Spargo d'oblio le nozze,
lascio Vitellia; e ad adempir m'accingo
l'obbligo di latino.
MANLIO
Manchi a quanto dicesti.
GEMINIO
Di cavaliere l'opre
ho in uso d'osservar; queste, o codardo,
perché tu non conosci, ora non sai.
MANLIO
Ed io, perché ho nel petto
alma di cavaliere,
questi affronti non soffro.
Chi la guerra desia, la guerra s'abbia.
Ch'entro nella battaglia provocato,
saprà Servilia, il padre, ed il senato.
Sia con pace, o Roma augusta,
s'io non servo alle tue leggi;
ch'a pugnar mi chiama onor.
Di tue leggi sei ben giusta,
ma il latin co' suoi dispregi
troppo oltraggia il mio valor.
Sia con pace, o Roma augusta,
s'io non servo alle tue leggi;
ch'a pugnar mi chiama onor.
Sala nel palazzo di Tito.
Tito, e Lucio.
TITO
Dunque l'occulta, e grave
reità del suo cor dirà la figlia?
LUCIO
Per confessarla, tosto
a te verrà prostrata.
TITO
E tu mi narri
ch'amor con le sue faci
l'anima in sen ti accese?
LUCIO
Amor bendato,
per gloria delle piaghe, e degl'incendi,
m'accese, e mi ferì co' suoi begl'occhi.
TITO
Dunque sol, perché amante,
segui la fé romana?
LUCIO
No, gran Tito: il tuo merto
prima all'altar del nume
portò il mio cor divoto;
la beltà poscia di Vitellia, e il senno
insinuar per le sue nozze il voto.
TITO
Dal nodo io non dissento;
ma il genio che a latini
mostra Vitellia, l'accoppiarsi vieta
a chi a Roma è nemica: e se ben dice,
colei, ciò che sinora
negò di palesar, quando ella viva
rubella della patria,
lacerata per via, giust'è che mora.
LUCIO
Non ti lusinghi la crudeltade
contro d'un core che devi amar.
E per la figlia mostra pietade
se questo petto vuoi consolar.
Non ti lusinghi la crudeltade
contro d'un core che devi amar.
Vitellia, che corre a Tito, Lucio, e poi Servilia.
VITELLIA
Padre: a te solo io palesar intendo
gli arcani del mio cor.
TITO
Lucio.
(vede Servilia)
Servilia,
tu non partisti?
SERVILIA
Torno
qui da' latini, e vengo
nunzia d'amica pace.
TITO
Narra!
LUCIO
(Che mai sarà!)
SERVILIA
Se di Vitellia
Geminio, che pur sente
per la vergine illustre
lo stral d'amor, Geminio, il mio germano,
stringe la man di sposa,
consolàti non cerca, ed è romano.
LUCIO
(Non mi tradir fortuna.)
VITELLIA
(In sì gran punto
opra, o possente Amor.)
TITO
Al fine un cieco
al tuo fratello aperse
della ragione i lumi.
LUCIO
Che oprar degg'io?
TITO
Sia di Geminio
sposa Vitellia.
LUCIO
E al mio rivale...
TITO
A Roma
che in questo dì è tua patria,
non a Geminio, il nodo,
e il merto dell'amor ceder conviene.
LUCIO
(Ahi crudo fato!)
SERVILIA, VITELLIA
(Abbraccerò il mio bene.)
TITO
Servilia!
SERVILIA
Eroe del Tebro.
TITO
Riedi a Geminio: reca
dell'imeneo le tede.
E fra i romani consoli, se ammesso
non è un latin, dirai che in queste braccia
di pacifica fronda
egli cinta la chioma,
avrà il cor del senato, anzi di Roma.
VITELLIA
Gran cognata.
SERVILIA
Vitellia.
VITELLIA
D'improvviso
riede il riso
sul tuo labbro a balenar.
Teco io godo,
perché il nodo
torna l'alma a incatenar.
SERVILIA
Sul tuo labro
di cinabro
dolce riso brillerà.
Al tuo seno
m'incateno,
schiava son di tua beltà.
Decio con Ufficiali, e detti, poi sopraggiunge Manlio.
DECIO
Manlio, di Tito il figlio, ora qui viene.
TITO
Servilia: impaziente
di abbracciar la consorte,
l'invia Geminio; ei più soffrir non puote
del tuo piè le dimore.
SERVILIA
Eccolo. (Pur godrò l'idolo mio.)
VITELLIA
(Stringerò tosto il caro nume anch'io.)
LUCIO
(Io son fuor di speranza, o cieco dio.)
(qui viene Manlio)
TITO
Figlio: le nozze di Vitellia, e quanto
dir il german le impose,
Servilia mi narrò.
Giusto è ben che t'abbracci: e tu ch'affretti
col tuo ridente arrivo
d'un sì bel giorno il lucido sereno;
Manlio: vieni al mio seno.
(l'abbraccia)
MANLIO
Gran genitor, da quel, che tu mi credi,
a te qui assai diverso or m'appresento.
TITO
Non vieni da' latini?
MANLIO
Vengo dal campo.
SERVILIA
E i sensi
di Geminio non rechi?
VITELLIA
E non arrivi
ragguagliator di pace,
che di doppio imeneo fra lacci è involta?
MANLIO
O Vitellia, o Servilia, o padre, ascolta:
co' cavalier del Tebro
nel campo de' latini,
dell'usbergo squamoso il sen vestito,
portai veloce il piè: fu con Geminio
il primo incontro. Questi
con vilipendi e scherni
mi sfidò all'arme ingiurïoso e fiero.
Io che son cavaliero
l'armi vibro e l'uccido.
Che pugnai provocato
saprà Servilia, il padre ed il senato.
SERVILIA E VITELLIA
(Morto è Geminio?)
MANLIO
Quelle
spoglie sono del vinto
di cui l'onte sfuggir non potei.
VITELLIA
(Manlio crudele!)
SERVILIA
(O dèi!)
(svengono)
LUCIO
(A sperar io ritorno, o affetti miei.)
TITO
(Dell'ucciso Geminio al vivo sangue
cade Vitellia esangue?) or che la indusse
contro i latin a non giurar le stragi,
scopre il duol che l'uccide.
Per Geminio svenato
piagolla il dio bendato.
LUCIO
(Ei del mio foco
più rival non sarà.)
TITO
Nei lor soggiorni
l'una e l'altra si porte.
Insieme
LUCIO
Seguirò la mia vita in braccio a morte.
MANLIO
Ahi destin! la mia vita è in braccio a morte.
Tito e Manlio.
TITO
È questa, Manlio, è questa
del senato la legge?
il comando di Tito?
MANLIO
Con l'ingiurie più volte, e con li scherni
provocommi colui.
TITO
Tu né men provocato
stringer dovevi il ferro;
né del sangue latin bagnar l'arena,
ma dell'error tu proverai la pena.
MANLIO
Signor sfuggii la pugna: e ben diranlo
i cavalier del Tebro.
TITO
Ma Geminio uccidesti.
MANLIO
Chiamò codardo, e vile
Manlio, di Tito il figlio
TITO
Che sempre è vil, quando la patria il chiede,
né pecca di viltà con alma rea
il cittadin, risponder si dovea.
MANLIO
Al cimento sfidommi; e la disfida
se non accetta, perde
il cavalier, di cavaliere il pregio.
TITO
Tu che facesti?
MANLIO
Chiesi
miglior tempo opportuno
al singolar cimento.
TITO
E uccidesti Geminio in quel momento.
MANLIO
Deh padre, genitore:
Manlio di Tito è figlio.
TITO
Di Tito era il comando.
MANLIO
Disse Geminio altero
ch'io non son cavaliero.
TITO
Tu, che facesti allor?
MANLIO
Mia spada ignuda
gli chiuse il labbro, e il fe' mentir tacendo.
TITO
Colpa nuova aggiungesti al tuo delitto.
MANLIO
È colpa esser invitto?
Ah, se alla patria
la gloria accrebbi; se atterrò un sol brando
tutto il campo latino
nel valor di Geminio; e se novelle
diedi le palme al Tebro,
de' glorïosi acquisti
perché perdo l'allor?
TITO
Non ubbidisti.
Manlio solo.
E attender io dovea, che le onorate
viscere mi passasse
d'insolente nemico il ferro ignudo?
Dovea, dunque, dovea
con la macchia di vile, e di codardo
tornar a Roma? o dèi; ché se il dolore
ha per me di Servilia il cor trafitto,
è questo il mio delitto.
Se non v'aprite al dì,
begl'occhi del mio sol, più dì non v'è.
Brune pupille amate,
vostr'ombre idolatrate
ombre saran d'occaso alla mia fé.
Se non v'aprite al dì,
begl'occhi del mio sol, più dì non v'è.
Cortile con tomba di Geminio.
Lindo e Vitellia.
LINDO
No, fermati signora.
VITELLIA
Ove sepolto
giace l'amato nume,
Lindo, lascia ch'io vada: io fuor dell'urna
trarrò il cenere amato.
LINDO
Che farai poscia?
VITELLIA
Stillerovvi in seno
tutto il mio core in pianti: e i nostri cori
unirà quell'amor, che il mio dissolve,
l'uno in pianto converso, e l'altro in polve.
LINDO
È grande insania; lascia
gli estinti a i chiusi avelli.
VITELLIA
Ma vive chi l'uccise; e la vendetta
porterò vanamente, ove non entra
rimembranza d'offesa?
Vindice ferro impugno: e contro l'empio
di Tebe io volo a rinnovar lo scempio.
LINDO
Contro il fratello? No.
VITELLIA
Perché? quel sangue
ch'ei verserà svenato, il primo forse
sarà, ch'uscito da fraterne vene,
corse del patrio lido
a imporporar l'arene?
Grida quel sangue
vendetta ancora;
forz'è che mora
quel traditor.
E finch'esangue
sia l'omicida,
sento che grida
se tardo ancor!
Grida quel sangue
vendetta ancora;
forz'è che mora
quel traditor.
Servilia e detti.
SERVILIA
Vitellia dove?...
VITELLIA
A trucidar colui,
che barbaro, inumano,
a me uccise l'amante, a te il germano.
SERVILIA
(O Manlio traditor!)
LINDO
(Manlio infelice!)
VITELLIA
Tu pur l'ultrice destra
arma d'acciar pungente.
LINDO
È a te fratello,
è a te consorte.
VITELLIA
Andiamo alle ferite.
SERVILIA
(O dio:
Manlio, benché omicida, è l'idol mio.)
VITELLIA
Servilia tu ancor pensi a colui traditore!
SERVILIA
(Per lui favella in sul mio labbro amore.)
VITELLIA
Dell'ucciso Geminio, chiama il sangue vendetta.
SERVILIA
E un voto di Servilia anche l'affretta.
VITELLIA
Dunque alle stragi.
SERVILIA
Aspetta
VITELLIA
Più non indugio.
SERVILIA
Andiamo.
LINDO
No.
VITELLIA
Ha il caro ben svenato.
SERVILIA
L'uccise provocato.
VITELLIA
Ah: Servilia: tu rendi
l'uccisore innocente, e reo l'ucciso.
In difesa converti
la reità di scellerato core.
LINDO
Povero Manlio, quanto compatisco
il deplorabil tuo misero stato:
ché l'esser strapazzato
da una femmina sola è gran tormento,
ma da due chi soffrir può un tal spavento?
Rabbia che accendesi
in cor di femmina
peggio è del tossico
che là nell'Erebo
crudo e pestifero,
per man dé diavoli,
sempre lavorasi
per gente flebile.
Dardo non scagliasi
veloce e rapido,
fiamma non sforzasi
ratta ad ascendere,
vento non gonfiasi
sull'onde mobile,
quanto la collera
pronta ad offendere
del sesso debile.
Rabbia che accendesi
in cor di femmina
peggio è del tossico
che là nell'Erebo
crudo e pestifero,
per man dé diavoli,
sempre lavorasi
per gente flebile.
LINDO
Eccolo!
VITELLIA
(Indegno!)
SERVILIA
(Come
cieli, stringer potrò quell'empia mano,
ch'ancor fuma del sangue
del trafitto germano?)
LINDO
(Questo per l'infelice è caso strano.)
Manlio e detti.
MANLIO
Mia Servilia, Vitellia!
SERVILIA
Manlio crudele!
VITELLIA
Barbaro omicida!
SERVILIA
Nunzia io vengo di pace, e tu nel campo
il fratello mi sveni?
VITELLIA
Quando attendo lo sposo,
asperse del suo sangue
le sue spoglie tu porti agl'occhi miei?
MANLIO
Fecer l'ingiurie sue le sue ferite.
E tu o Vitellia, indarno
caduta esangue, a ravvivarlo estinto
l'anima gli mandasti;
Manlio, Manlio l'uccise, e tanto basti.
VITELLIA
O iniquo cor: per l'alta della patria
inobbedita legge;
per l'ucciso Geminio
di due delitti reo.
SERVILIA, VITELLIA
Perfido core.
VITELLIA
Se il mio sposo piagasti
SERVILIA
Se svenasti il germano
VITELLIA
Questa man.
SERVILIA
Questa mano.
SERVILIA, VITELLIA
S'arma contro di re.
VITELLIA
Perfido.
SERVILIA
E rio.
VITELLIA
Inumano.
SERVILIA
E fellon! (Basta cor mio.)
MANLIO
(Vitellia mi rinfaccia;
non mi guarda Servilia;
ho nemico il senato, il padre, e Roma.
O misero trofeo;
o valor sfortunato;
o vittoria infelice;
che più sperar del mio destin mi lice?
Ma se m'odia Servilia, odio la vita.)
VITELLIA
Servilia andiam.
SERVILIA
Andiamo.
MANLIO
O mie furie tiranne;
Manlio, è pronto bersaglio alle vostr'ire.
Uccidetemi: presta
tu a Servilia, o Vitellia,
il ferro, che brandisci; ella primiera
faccia nel cor le piaghe.
VITELLIA
Servilia, eccoti il ferro.
SERVILIA
Il ferro prendo.
MANLIO
Tu le farai, crudel? tu le farai?
SERVILIA
Eccomi.
MANLIO
Non ve 'l credo, amati rai.
Entra Decio con Ufficiali che portano catene.
DECIO
Manlio, Tito al tuo piede
queste catene invia.
SERVILIA
Che miro!
MANLIO
A questo piè catene? a questo piede,
che fermò per la patria
la ruota alla fortuna?
VITELLIA
Catene al traditore.
SERVILIA
(Giorno per me fatale.)
DECIO
E alle catene il carcere succede.
SERVILIA
(Chiuso il mio sol fra l'ombre?)
VITELLIA
E al carcere la scure, onde quel capo
cada nel suol troncato.
(Mio Geminio svenato!)
SERVILIA
(Dolente, che più indugio?) Io del consorte
volo a chieder la vita.
VITELLIA
Ed io la morte.
SERVILIA
Dar la morte a te, mia vita,
morte mai no, non potrà;
ché l'amor che mi ha ferita
la sua falce spezzerà.
VITELLIA
Al tuo sen riparo, e scudo
non farà bendato Amor,
ché non può fanciullo ignudo
toglier l'armi del furor.
Manlio, Decio e poi Lucio.
MANLIO
Tu al carcere mi guidi: e avrà fra l'ombre
sepolcro tenebroso
quel, che illustrò col lampo di sua spada
il nome della patria, e de' romani?
DECIO
O Manlio, di fortuna
troppo infausto bersaglio.
Piango la tua sventura;
piango la mia, che della tua mi sforza
ad esser messaggero.
(qui viene Lucio leggendo una lettera)
MANLIO
Ah, Lucio!
LUCIO
Alto campione!
MANLIO
Vedi: queste
son catene.
LUCIO
(Egli è Manlio!)
MANLIO
Ah che giurando
l'odio contro a latini,
tu mal facesti: io feci
peggio di te, che lo giurai romano.
DECIO
Chi adora il divin culto
confederati ha i numi.
LUCIO
E chi di Roma
pugna sotto i vessilli
ha certe le Vittorie.
MANLIO
Sì, sì; va', di lorica
armati il fianco, infra i cimenti vibra
l'acuto brando; e in petto
quante io ne mostro (e queste, o Tito, o Roma
son pur ferite) porta
di valor onorate aperte piaghe:
ché del valor in premio, e della fede
avrai pesante, dura
una catena, e una prigione oscura.
LUCIO
Come? signore, Decio:
le palme son catene?
E a chi domò l'orgoglio
del nemico di Roma,
carcere d'ignominia è il Campidoglio?
DECIO
Non ubbidì alla Legge
del senato, e di Tito.
MANLIO
Stimol d'onor m'astrinse
a trapassar il petto
del superbo Geminio
con quell'acciar, che le falangi abbatto:
se ubbidivo alla legge,
della patria era danno,
di Manlio era misfatto.
LUCIO
O valor sfortunato!
MANLIO
Ma, se tal del valore è il guiderdone,
se il trionfo è demerto, e si condanna;
odio Tito, la patria, odio i suoi numi.
Estinto, se non vivo,
se non in corpo, in ombra,
co' latini in battaglia
a Roma ingrata, ed al senato ingiusto,
cinto d'aspidi il crine,
porterò scempi, e spargerò ruine.
(Manlio: che parli? segui
l'opre esecrande? E perché peccan gl'altri
peccar tu ancora vuoi?)
LUCIO
(Degno è suo caso acerbo
dell'umana pietà.)
MANLIO
Decio: mi bendi
tirannide le luci;
infame scure tronchi
questo mio capo: e ruotino a' miei danni
tutti gli astri del cielo erranti, e fissi:
vissi Romano, e morirò qual vissi.
LUCIO
Tue magnanime gesta,
signor io bacio, e adoro
l'alma invitta d'eroe.
MANLIO
Lucio.
LUCIO
Permetti
ch'io t'accompagni.
MANLIO
No, resta, e vedrai
che, il cipresso di morte
se in loco avrò del trionfale alloro,
mio trionfo faranno
un dì, nel monumento,
il pianto della patria, e 'l pentimento.
Vedrà Roma e vedrà il Campidoglio
dall'alto suo soglio
quai grandi sfortune
il fato le adune
nell'aspra mia sorte.
Parleran mie ferite a' romani
e i lidi più strani
udran con orrore
cangiarsi il valore
in scure, ed in morte.
Vedrà Roma e vedrà il Campidoglio
dall'alto suo soglio
quai grandi sfortune
il fato le adune
nell'aspra mia sorte.
Lucio solo.
Ingrata Roma, e più di Roma ingrato
Lucio se non fai scudo
al cavalier, che 'l tuo rivale ancise!
M'apre già questa carta
la via sicura; del campion romano
mi sforza alla difesa
l'obbligo, il merto e l'onorata impresa.
Combatta un gentil cor
la legge ed il rigor,
quando nel trionfar
virtù prevale.
Da forte mai sarà
mostrarsi con viltà,
non pronto a contrastar
con forza eguale.
Combatta un gentil cor
la legge ed il rigor,
quando nel trionfar
virtù prevale.
Sala nel palazzo di Tito.
Tito solo.
Già da forte catena
cinte ha Manlio le piante: or di sua morte
scriva la man di Tito
la sentenza fatal: giust'è, che mora.
Chi trascura il comando della patria
è fellon della patria.
Legge non ubbidita
non è più legge: e il cittadin, che a quella
non ubbidisce attento, e non l'osserva,
sedizioso vuole
sulla patria il comando, e la fa serva.
(va a sedere a un tavolino)
Io con occhio di padre
Manlio più non rimiro;
mi benda i lumi il suo delitto, e sola
la pena, ch'egli merta, è mia pupilla.
(lascia di scrivere)
Par, che di far le note
la man sul foglio aperto
abbia perduto l'uso.
Scrivi, o mia destra, e mosso
sia dalla colpa il giudice. Non posso.
(si leva dal tavolino)
Tito, non puoi? Non posso
castigare i delitti?
Un senso contumace a tanto arriva?
Mora il reo della patria, e Tito scriva.
(va al tavolino a scrivere)
Il castigo è da giudice, egli è vero;
ma la pietà è da padre.
(vuol deporre la penna, ma fermatosi dice)
Manlio non è mio figlio: errò, fellone.
Scritte col di lui sangue
di giudice e di padre al Tebro in riva
leggansi le giust'opre, e Tito scriva.
(Tito comincia a scrivere la sentenza)
Decio va da Tito, che scrive la sentenza, egli vedutolo dice:
TITO
Decio, che porti?
DECIO
Primo
del gran romuleo soglio,
cardine sempre fermo,
invittissimo Atlante: io qui per nome
delle romane squadre
chieggo, se degno dell'uffizio sono,
di Manlio, il figlio, a te la vita in dono.
TITO
Manlio di colpa è reo:
non ubbidì al senato,
non esegui del console il comando,
e dée morir.
DECIO
L'invitto ardir, il sangue
che del desio di bella gloria è ardente,
e quel valor, che nacque
da te, che 'l generasti, incolpa, e accusa.
TITO
Valor intempestivo
è infamia, non valor: e al fin è colpa.
DECIO
Con tante bocche, quante
numera nel suo petto
piaghe ancor fresche, il popolo guerriero
le suppliche ti porge.
TITO
La legge inobbedita a lor si oppone.
Io, dettata da lei, scrivo la pena.
DECIO
Il tuo voler è legge.
Ben può grazia donar chi dà castigo.
Nelle labbra dei giusti
sovente ella ancor suona.
TITO
Ma giustizia non fa chi grazia dona.
DECIO
Manlio svenò in Geminio il maggior capo
dell'idra a noi rubella; onde il suo fallo
merto diviene, e l'omicidio è impresa.
TITO
Merto la fellonia chiamasi ancora?
(scrive)
Manlio è Reo della Patria: e vo' che mora.
DECIO
È tuo figlio, o signore.
TITO
Dalla memoria
di padre questa penna or lo cancella.
DECIO
Non san, senza il suo braccio
pugnar le schiere: e naufraga la speme
de' romani trionfi
nel pianto dell'esercito, che tutto
prega al tuo piè prostrato
e grazia chiede al genitor sdegnato.
TITO
Va': rapporta che l'aquile romane
arman più d'un artiglio,
né di famoso allor cinti la chioma
mancar figli guerrieri al Tebro, a Roma.
DECIO
L'ultime lor libere voci ascolta:
o a Manlio dona vita,
o...
(qui Tito si leva in piedi e dice)
TITO
Chi dà legge a Roma?
chi è console? chi regge?
Son io del roman popolo in quest'ora
padre; e giudice sono; e il figlio mora.
DECIO
No che non morirà,
in tante pene,
al comun bene
troppo disdice
resti infelice
un vincitor.
Manlio sì sì vivrà,
ché dura legge
Roma corregge
e quando un forte
vince la sorte,
cinto è d'allor.
No che non morirà,
in tante pene,
al comun bene
troppo disdice
resti infelice
un vincitor.
Servilia va a Tito.
SERVILIA
(Amor, su queste labbra
tu favella per me.)
TITO
Servilia, vieni
a chieder supplicante
del prigione la vita, o pur la morte?
Se per la prima, scrisse
irrevocabil fato, e se il castigo
tu vuoi, non il perdono,
prima della domanda ottieni il dono.
SERVILIA
Signor, uccise Manlio
(sebben sfidato, e per l'onor l'uccise)
Geminio in campo ed obliò di Tito
gl'ordini, e del senato.
Gravi sono le colpe, ed ancor grave
dée, per esempio a gl'altri, esser la pena.
Del trafitto germano
al giudice romano
porto anch'io le querele, ed i lamenti;
e affretto il volo alle saette ardenti.
Ma se Manlio è a me sposo;
e a me se tu lo desti;
perché sì di repente ora me 'l togli?
Dunque sono sì brevi
i favori di Tito?
Ma, o gran Tito, la legge
già da te comandata a te comanda?
Misera dignità: se usar non puote
con divina sentenza
la pietà, ch'è da nume, e la clemenza.
Signor, dammi il consorte,
e tolga il ciel, che voglia,
autor di crudo affanno,
Tito, per esser giusto, esser tiranno.
(piange)
TITO
Servilia, del tuo dir io l'arte ammiro:
tu nel chieder le grazie hai gran virtute,
ma per chi dée morir non v'è salute.
SERVILIA
(Destin!) Almen concedi,
che nel brun de' suoi lumi
vegga la morte mia.
TITO
Servi, di Manlio
entri costei nell'orrida prigione:
ciò al tuo facondo favellar si done.
SERVILIA
Andrò fida, e sconsolata,
tra l'orror delle catene,
a trovar l'amato oggetto,
e in veder la sfortunata
sua bell'alma in tante pene,
l'alma mia parta dal petto.
Andrò fida, e sconsolata,
tra l'orror delle catene,
a trovar l'amato oggetto.
Tito poi Vitellia.
TITO
(Forte cor, non ti scuota o prego, o pianto.)
VITELLIA
Mio gran padre.
TITO
(Vitellia pe 'l fratello
qui porta ancor le preci.)
VITELLIA
Amai Geminio, e vicendevol fiamma
l'anime nostre ardea.
Col vincolo di pace
seco unirmi consorte
concertai con amor, e con la sorte.
La macchina struggeva il giuramento;
e l'industrie d'amor givano al vento.
Manlio Geminio uccise:
tolse a Roma la pace, e a me lo sposo.
Tu scaglia impetüoso
folgore al capo indegno; e in questo punto
alle genti latine
(mette la mano sul tavolino)
giuro stragi, terror, scempi, e ruine.
TITO
Lucio si chiami. Al reo colà il castigo
del suo fallir è scritto.
VITELLIA
Con la sua morte ei pagherà il delitto.
(entra Lucio)
Lucio e detti
LUCIO
Eccomi a Tito.
TITO
A Manlio, ove da ferri
incatenato ha il piede,
vanne: leggi quel foglio,
e ritorno Vitellia alla tua fede.
Legga, legga, e vegga
in quel terribile
foglio orribile
la sua morte a folgorar.
Legga, legga, e vegga
in quel terribile
foglio orribile
la sua morte a folgorar.
Vitellia e Lucio.
VITELLIA
Addio.
LUCIO
Consorte.
VITELLIA
A me?
LUCIO
Geminio è spento.
VITELLIA
(Ahi!) consorte sarò del monumento.
LUCIO
Fermati: il padre...
VITELLIA
Io reggo
il mio voler.
LUCIO
Le tue promesse...
VITELLIA
È giusto
con chi porta catene usar l'inganno.
LUCIO
(Quanto a mie piaghe acerbe è Amor tiranno.)
VITELLIA
Povero amante cor,
mi fa pietà il tuo amor.
Ma volgi ad altri il piè
se vuoi mercede.
Sospira quanto sai;
no, che non troverai
in questo sen per te
né amor né fede.
Povero amante cor,
mi fa pietà il tuo amor.
Ma volgi ad altri il piè
se vuoi mercede.
Lucio solo.
Vanne, perfida, va'.
Scempio del tuo furore
Manlio non caderà; dall'ombre cieche
porterò a' rai del giorno
l'alto campion romano,
ché sua parca omicida io tengo in mano.
Fra le procelle
del mar turbato,
lo sconsolato
il porto avrà.
E all'alme belle,
ricche d'onore,
suo gran valore
legge sarà.
Fra le procelle
del mar turbato,
lo sconsolato
il porto avrà.
Prigione.
Manlio e poi Servilia.
MANLIO
Sonno, se pur sei sonno e non orrore,
spargi d'ombra funesta il ciglio mio.
Sonno, se pur sei sonno e non orrore,
spargi d'ombra funesta il ciglio mio.
SERVILIA
Deposta Amor la benda,
chiusi ha i begl'occhi al sonno,
ma uniti in questi orrori,
sonno, e catene, o dio! come andar ponno?
La catena, che troppo
è grave pondo al piede, infin penosi
rende i suoi riposi.
Vanne, o Servilia, e la solleva alquanto.
Tu dormi in tante pene,
e qui per tormentarti
vegliano le catene.
Dormite, o luci vaghe,
sfere del foco mio,
delizie di mie piaghe,
amato bene.
Tu dormi in tante pene,
e qui per tormentarti
vegliano le catene.
SERVILIA
(prende in mano le catene)
Oh! crudo indegno laccio,
potesse il pianto mio...
MANLIO
(sognando)
Cara, t'abbraccio.
SERVILIA
Manlio!
MANLIO
(si risveglia)
Servilia, o dèi, dove ti stringo?
nel carcere? tra ferri? e tu qui meco?
Compagna nel delitto
a me tu già non fosti,
e nel carcere mio mi sei compagna?
SERVILIA
Manlio, mio ben, cor mio:
qui da Tito impetrai
venir nelle tue luci
quel giorno a rimirar, che mi si asconde;
ma in quest'orrendo, e chiuso
sepolcro de' viventi
il fratello di morte, ah, con quai vani
importuni fantasmi
perturbò i tuoi riposi?
MANLIO
Ascolta: mi parea
colà nel Campidoglio
fra gli applausi, e le pompe, e circondato
dal popolo roman seder in alto
di carro d'or, che a i vincitor di guerra
Roma invitta prepara.
Pareami, che sul crine
con sua destra di luce
mi ponesse la gloria il verde alloro.
Tito il console in volto
teneri m'imprimeva
caldi paterni baci: e mi parea
meco sul carro assisa
stringer al sen te, mia consorte, e dea.
(Servilia piange)
MANLIO
Piangi? dan questi applausi al mio trionfo
le tue pupille? (O dèi.)
SERVILIA
Piango que' baci
che ti stampò sulla tradita imago
il genitor tiranno.
MANLIO
Chi sa: talor co' sogni il ciel favella.
Dalle labbra di Tito uscir potrebbe
nel bacio, ch'io sognai,
il messaggio di pace al mio tormento.
SERVILIA
Ah, che bacio sognato è tradimento.
Portai le preci a Tito:
poco il labbro parlò, ché a i mesti lumi
lasciai l'uffizio: e questi impiegar tutta
la facondia del pianto.
Ma Tito ancor più crudo
del crudel Radamanto,
lodò il mio dir, e negò il dono: e disse,
che fato irrevocabile già scrisse.
MANLIO
Son reo, bella Servilia: e reo di morte.
Il fratello t'uccisi.
SERVILIA
Eh, ché al fratel non penso: ed al pensiero
il toglie la cagione,
per cui nel suol per la tua destra ei cadde.
Penso a te, del mio cor parte più cara:
ma di perderti, lassa;
or, ch'io sono in periglio,
Manlio, di te, di me, che mai sarà?
MANLIO
Sia ciò, che vuol Fortuna,
ché a te dovunque io sia sarò fedele.
Non pianger più; l'avversa
malignità degli astri
meco sopporta, e soffri
l'ingiustizia del fato,
che al nostro amor sempre nemico fu.
(Servilia piange)
MANLIO
Deh: cara anima mia, non pianger più.
Senti: a Tito ritorna.
Gli obblighi tuoi, gli oblighi miei tu esprimi;
perché a me fra quest'ombre
di venir ti concesse:
digli, che per portarmi alle sue piante
nel labbro tuo la supplica presento.
SERVILIA
Speri, con le preghiere,
duro ammollir quel core?
MANLIO
Spero, ché Tito a Manlio è genitore.
SERVILIA
Parto contenta,
volto vezzoso,
labbro amoroso,
e sperar voglio,
che l'aspra sorte
si cangerà.
Il ciel irato,
forse placato,
al gran cordoglio,
il dolce balsamo
ci recherà.
Parto contenta,
volto vezzoso,
labbro amoroso,
e sperar voglio,
che l'aspra sorte
si cangerà.
Manlio. Lucio che sopraggiunge leggendo, Servilia in disparte.
MANLIO
Toglie, s'ella più resta,
al mio cor sempre forte
parte del suo vigor, e indebolisce
la mia costanza.
LUCIO
Manlio.
MANLIO
(Lucio?) Amico: se pure
il mio perfido fato
d'amico il nome, e l'opre a te non toglie.
LUCIO
A te nel carcer tenebroso, e cieco
e morte, e vita arreco.
(gli presenta la sentenza di Tito, Manlio la legge)
MANLIO
«A Manlio, che la legge
del senato, e del console, nel campo
de' nemici latini
non ubbidì, e Geminio
lor duce svenò in singolar cimento,
quando nuova dal mar sorge l'aurora
recisa sia l'indegna testa, e mora.»
(Manlio confuso pensa)
LUCIO
Degno campion del Tebro: al tuo valore,
ah, che mal corrisponde
la patria sconoscente;
e fa più che da giudice, e da padre
teco Tito crudele,
le parti da tiranno.
MANLIO
(È ver: peccato è trasgredir la legge)
LUCIO
Fuggi da questi orrori:
ti attendono, se vuoi, palme, ed allori.
MANLIO
Allori a Manlio? Eh Lucio, ben un tempo
più d'un allor mi circondò la chioma;
ora l'eroica fronda
anche indegni a mirar son questi rai.
La legge è trasgredita ed io peccai.
LUCIO
Odimi: in questo foglio
l'esercito latino
me per suo duce acclama.
Io per giovarti sol, non perché il grado
m'alletti, o m'innamori,
accetterò l'offerta; ed or, ch'è sorta
la notte, e che riposa,
per sorger poi più vigorosa, e forte,
la pena a darti morte;
in Roma bellicose
introdurrò le schiere:
e togliendoti a' ceppi, ed alla scure,
alzerò, tuo campione, aste, e bandiere
MANLIO
Ah, Lucio: ben si scorge
che il Tebro al tuo natal non diè le fasce,
e che non sai qual sia
petto roman, che intrepido resiste
a i colpi della sorte.
Il carcere io non veggo;
non sento le ritorte.
LUCIO
(Lucio, che ascolti!)
MANLIO
Sempre
il favor della patria, e quanto aspetta
a cittadin fedele
io fedelmente oprai:
né veggan del Tarpeo gl'incliti eroi,
che strugga Manlio i benefizi suoi.
Servilia: ora ben veggo,
che son bugie di sopor cieco i sogni.
Vergognoso teatro
di Manlio alle vittorie è il Campidoglio.
Sono applausi gli obbrobri,
trofei le calpestate
trombe della mia fama;
la scure è il sacro alloro:
fa il carnefice infame
della gloria la vice; e carro eccelso
del mio trionfo in popolata arena
dell'orrendo spettacolo è la scena.
(Servilia piangendo dice)
SERVILIA
Pena maggior non v'è della mia pena.
MANLIO
Mia Servilia: va': parti.
Bell'alma senza colpa; udir non déi
quest'ordine di pena, anzi di morte
apparato funesto.
Loco pe' gl'innocenti, ah, non è questo.
LUCIO
Io parto.
MANLIO
A Tito narra,
che di mia giusta morte
bacio il decreto: bacio
chi me l'arreca, e bacerò il ministro
esecutor, perché di lui ministro.
Aggiungi, che il mio labbro umile chiede,
se indegno è della mano,
anche baciar di chi lo scrisse il piede.
LUCIO
(O qual animo eccelso in lui risiede!)
Chi seguir vuol la costanza
o non cerca il suo contento,
o tradisce il suo piacer.
Ché se il bene è in lontananza
troppo costa al debil core
di sospiri, e di tormento,
finché giunga al suo goder.
Chi seguir vuol la costanza
o non cerca il suo contento,
o tradisce il suo piacer.
Manlio, Servilia.
MANLIO
Servilia, tu qui resti, e quel tormento
che non mi dà l'annunzio
del mio morir vicino, or tu mi dai.
Va' con Lucio.
SERVILIA
Sì, vado, ora che veggo
che per fuggirmi corri
incontro alla bipenne;
e per far onta all'amorose faci,
pria, che baciar la sposa,
al carnefice reo tu porti i baci.
MANLIO
All'affetto d'amante...
(si volta, e vede Servilia)
Servilia tu non parti?
SERVILIA
Io movo il piede.
MANLIO
All'affetto di moglie...
SERVILIA
Come...
MANLIO
Ancor qui?
SERVILIA
M'affretto.
MANLIO
Virtù d'eroe...
(si volta e la vede)
T'intendo.
SERVILIA
Vedimi.
MANLIO
Restar tu vuoi lo veggo, e il so,
qui per più tormentarmi: io partirò.
SERVILIA
Non mi vuoi con te, o crudele,
e pur sono a te fedele,
e pur teco io vo' morir.
MANLIO
Se ben parton gl'occhi miei,
tu negl'occhi ogn'ora sei
e mi dai pena e martir.
SERVILIA
Non mi vuoi con te, o crudele,
e pur sono a te fedele.
MANLIO
Di te amante ancor fedele,
e sarò nel mio morir.
SERVILIA
E pur sono a te fedele,
e pur teco io vo' morir.
Sala nel palazzo di Tito.
Lindo e Vitellia.
LINDO
Signora: d'ogni intorno
stanno genti raccolte:
stretti sono i discorsi,
folte le radunanze.
VITELLIA
Affretteran di Manlio
la strage co i lor voti: e accuseranno
d'interessato troppo
nell'affetto di padre
il genitor, che prolungò sua vita.
LINDO
Manlio non morirà?
VITELLIA
Sì, morirà, ma quando more il sole.
Tu va': ciò che ragiona,
sempre loquace il volgo,
di penetrar procura
pria che venga l'orror
di notte oscura.
Brutta cosa è il far la spia,
ma far tutto ogn'ora suole
chi il pan d'altri ha da mangiar.
Può anche dir qualche bugia
e mischiar delle parole
onde il serio col faceto
s'abbia un poco da imbrogliar.
Brutta cosa è il far la spia,
ma far tutto ogn'ora suole
chi il pan d'altri ha da mangiar.
Lucio (che viene) e Vitellia.
LUCIO
Bella Vitellia...
VITELLIA
Fosti
al prigioniero? Intese
l'annunzio della pena a i suoi delitti?
LUCIO
Il foglio lesse.
VITELLIA
Lesse?
LUCIO
È la costanza,
virtù di chi è romano,
forte mostrò nell'incontrarlo invitto.
VITELLIA
Tolleranza sforzata
non è virtù.
LUCIO
Servigio della patria
fu Geminio trafitto.
VITELLIA
E mancante di fede il suo servigio
LUCIO
E me, che fido sono
servo di tua beltà, tu pur uccidi.
VITELLIA
Qual vanti servitù, s'oggi comincia?
LUCIO
Che de' tuoi rai cocenti
ardo, è lunga stagion; se ben la fiamma
in questo dì si scopre.
VITELLIA
Merto di servitù sol vien dall'opre.
LUCIO
Dimmi, che oprar dovrò, perché quel ciglio
splenda per me sereno?
VITELLIA
Tu mi reca di Manlio
il capo tronco, ed io t'avrò nel seno.
A te sarò fedele
se fido a me sarai,
usando crudeltà.
Se da me tu vuoi la vita
aprir déi cruda ferita,
che vitale a te sarà.
A te sarò fedele
se fido a me sarai,
usando crudeltà.
Lucio, poi Tito e Servilia che sopraggiungono.
LUCIO
Manlio mi baciò in volto, e in ricompensa
il suo capo reciso
io porterò d'un'empia donna al piede?
Non sia mai ver:
non serbo alma di tigre in petto.
Né la crudel Vitellia;
avvezza sempre ad essere spietata
con questo cor fedele,
insegnerà al mio core
il divenir crudele.
Già la sua crudeltade
mi scioglie da' suoi lacci
e fa pormi in oblio la sua beltade.
Lascio, ma, come, o dio,
s'oppone il core amante al labbro mio.
Ah, tutto il suo rigore
estinguere non puote
in questo seno il troppo acceso ardore;
e, piena l'alma mia
del barbaro dolcissimo sembiante,
finge di non curarlo, e pur l'adora,
dice di non amarlo, e l'ama ancora.
Non basta al labbro
sprezzar l'amore;
forz'è che il core
non voglia amar.
Quel non è fabbro
di nostra mente,
sol v'acconsente
col favellar.
Non basta al labbro
sprezzar l'amore;
forz'è che il core
non voglia amar.
Tito, Servilia, e detto.
TITO
Ch'ei venga a me dinanzi
in virtù di tue preci,
Servilia, comandai.
LUCIO
Baciarti il piede,
prima di spirar l'alma,
signor, Manlio ti chiede.
TITO
Manlio tosto fra ceppi a me sia scorto.
SERVILIA
(Di questo cor dolcissimo conforto.)
TITO
No che non vedrà Roma
su queste luci il pianto,
son tutto crudeltà.
Già la pietade è doma,
e nel mio core in tanto
ricetto più non ha.
No che non vedrà Roma
su queste luci il pianto,
son tutto crudeltà.
Manlio e detti.
MANLIO
Padre, Tito, signor: a queste labbra
pria, che porgan le preci,
baciar tua invitta destra ora permetti.
TITO
Chi dée baciar la faccia della morte,
del giudice la mano
baciar più non è degno.
SERVILIA
(Che implacabile cor.)
LUCIO
(Che fiero sdegno.)
MANLIO
Bacerò in essa il folgore, o almen l'orme
del folgore, che scrisse.
Bacerò di giustizia
le sante leggi, e bacerò...
TITO
Non posso
mirar più di quel volto...
(in quest'atto Manlio gli bacia la mano)
O temerario cor, la man baciasti,
e da me non concesso il don rubasti?
SERVILIA
(Cielo porgigli aita.)
TITO
(Insidïoso bacio,
con vigor penetrante
della man per le vene al cor sei giunto.
E introduci pietà dov'è il rigore.)
SERVILIA
Manlio.
MANLIO
Servilia.
SERVILIA E MANLIO
O amore.
TITO
Troppo ardito roman: sei reo di colpa.
MANLIO
Il tuo comando trascurai.
TITO
La legge
del senato offendesti.
MANLIO
La giusta legge offesi.
TITO
E Geminio uccidesti.
MANLIO
Geminio uccisi.
TITO
Gravi
rendono queste accuse i tuoi delitti.
MANLIO
Giudacate da te sono mie colpe.
TITO
Le conobbe il senato,
le giudicò la legge: ella prescrisse
la morte che leggesti; e Tito scrisse.
MANLIO
Piego, pria che alla scure,
il capo a te; precede
il mio duol la bipenne,
il duol, che mi trafigge, e dalle labbra
l'alma nel suo partir ti bacia il piede.
TITO
Lévati.
SERVILIA
Lucio, io moro.
TITO
(Intenerito io sono, e quasi viene
il pianto a questi luci.)
Figlio: l'amor di padre io desto in seno;
ma perché non oblio quel della legge,
e perché andar impune
non denno i gravi errori,
se ti negai la mano,
queste braccia ti do.
(Tito abbraccia Manlio)
Vattene, e mori.
SERVILIA
(Crudele.)
LUCIO
(Astri inclementi.)
MANLIO
La grazia per cui venni, o Tito, ascolta:
Servilia, a cui svenai
l'adorato germano, e che la pace
già ti portò, dall'innocente colpa
d'esser latina assolvi.
Con occhio di pietà mira i suoi casi.
Da te non parta, e sia
degna del tua favor l'anima mia.
TITO
A Servilia, di Tito
anche l'amor prometto;
se non del figlio, avrà del padre il letto.
Al carcere tornate il prigioniero.
Vieni, o Lucio.
LUCIO
(In amor, io che più spero?)
Servilia, e Manlio.
SERVILIA
Ingrato Manlio: ascolta.
Perché un altro m'abbracci, a me t'involi?
MANLIO
Tito sia tuo consorte:
abbraccia il tuo destin; io vado a morte
SERVILIA
Ferma: sol per donarmi ad un tiranno
qui nunzia de' tuoi preghi
me a pregiudizio mio venir facesti?
MANLIO
Tito non è Tiranno:
nemico io solo fui delle mie glorie:
già che mie colpe son le mie vittorie.
SERVILIA
Manlio, o dio, tu mi lasci?
MANLIO
Ti lascio, ed a te lascio
la fé d'amante pria, poscia di sposo.
La supplica ti lascio
di conceder perdono
a chi il fratel t'uccise, e all'onorata
cagion, per cui l'uccise.
Lascio la pace al cor, e in fin ti lascio
l'ultima mi preghiera
di amar Tito, la legge,
la volontà degli astri, e la tua sorte,
Roma, la mia costanza, e la mia morte.
SERVILIA
Ah, che 'l più non mi lasci e teco porti.
MANLIO
Che lasciarti di più, che mai poss'io?
L'alma? Quaggiù non resta.
Il cor? è della patria, e non più mio.
Ti lascerei
gl'affetti miei,
ma questi meco portare io vo'.
Colassù fra gli alti dèi
pudico amante t'adorerò.
Servilia sola.
O tu, che per Alcide
la notte prolungasti:
per me, deh, quest'ancora
prolunga sì, che più non venga aurora,
né il sol, dalle cui luci
spuntar agl'occhi miei l'alba si scorge,
abbia l'occaso allor, che l'astro sorge.
Sempre copra notte oscura
la più pura luce al giorno,
né già mai faccia ritorno
nuovo sol, e nuova aurora.
Senza moto, e mormorio
resti il vento immoto, e l'onda
al mio pianto sol risponda
pietosa Eco infin ch'io mora.
Sempre copra notte oscura
la più pura luce al giorno,
né già mai faccia ritorno
nuovo sol, e nuova aurora.
Luogo pubblico in Roma.
Vitellia e Lindo.
VITELLIA
Tu il vedesti?
LINDO
E a momenti
dal carcer fra i littori
andrà in catene al taglio della scure.
VITELLIA
Io, io con questa mano
gli benderò le luci:
farò, che a viva forza
pieghi al suol le ginocchia: e più dal tempo
termine a uscir di vita
quel tiranno d'amor già non attende.
LINDO
Vedi, che il novo Febo in ciel risplende.
VITELLIA
Mi fa da piangere
la sorte misera
del poveretto,
fra lacci stretto,
che va a morir.
Io vorrei frangere
con le mie lacrime
quelle catene,
che in tante pene
lo fan perir.
Mi fa da piangere
la sorte misera
del poveretto,
fra lacci stretto,
che va a morir.
Lindo, Servilia e Vitellia.
LINDO
Servilia vien.
VITELLIA
Servilia, al fin!
SERVILIA
Vitellia!
VITELLIA
Di Manlio è irreparabile la strage.
SERVILIA
Ingiusto guiderdone alla virtude.
VITELLIA
Sembianza ha di virtù, ma è fasto vano
di cor superbo, e altero.
SERVILIA
Sempre degno è d'allor valor guerriero.
LINDO
Ecco Manlio, vedetelo!
VITELLIA
Pur viene.
Manlio, Lucio, Soldati, Littori, e detti.
MANLIO
(È qui Servilia?) Bella,
vado dove si vieta
più ritornar colà donde si parte.
Ne gli amori, ne gli odi,
perdona, s'io t'offesi;
sol mi è grave il morir, perché mi è tolto
celebrar con la spada
tuo merto illustre, e far più grande il nome.
SERVILIA
(Morir mi sento.)
LUCIO
(Io dall'acerbo duolo
sento passarmi il cor.)
MANLIO
Vitellia, parto.
Più non avrai negl'occhi
chi ti svenò l'amante.
Perdono a te non chieggo,
poiché allor, che l'uccisi,
ignoto era il tuo foco: io no 'l sapea;
né con te di sua morte ho l'alma rea.
VITELLIA
Va' pur alla bipenne,
barbaro dispietato.
(Mio Geminio svenato.)
MANLIO
Servilia: de' tuoi sguardi
Manlio degno non è, nulla mi dici.
SERVILIA
O mio sol che tramonta,
Manlio, degno campion dei sette colli,
specchio d'onor, e di valor esempio;
Manlio, va' in pace: va' dei tuoi trionfi
a goder fra le stelle
la gloria degl'eroi; va', che al tuo crine
son preparate in cielo
le stellate corone.
E a te serbato fu
dal primo infra gli dèi... non posso più.
VITELLIA
Guidatelo, o littori.
SERVILIA
Ahi, tanta fretta.
MANLIO
Vengo. Lucio: con questo
bacio, che di mie labbra è a te il secondo,
pregoti contro Roma
non portar l'armi de' latini. Lascia
la cara patria in pace: e tu la pace
rendile, ch'io le tolsi,
quando Geminio, provocato, uccisi.
LUCIO
Signor, con l'alma mia, che teco viene,
teco porta la fede
che dà questa mia destra alla tua destra.
MANLIO
Un solo amplesso almeno.
SERVILIA
Manlio t'abbraccio.
LUCIO
(E di Vitellia in petto,
il core non si spezza?)
MANLIO
Dal labbro di Vitellia
queste grazie non chiedo:
elle sarieno offese.
VITELLIA
E più m'offendi
con tua dimora: va'.
MANLIO
Senza baciarti vado,
o cruda Vitellia,
dove per la mia morte ardon le faci.
(Vitellia gli corre dietro)
VITELLIA
No, Manlio, ferma: ecco gl'amplessi e i baci.
LUCIO
(Ciel!)
MANLIO
Vitellia...
VITELLIA
Fratello.
(piange)
MANLIO
Lasciami.
VITELLIA
Teco io venir voglio.
SERVILIA
Anch'io.
MANLIO
No: fermatevi, il vanto
di morir per la patria, e allor, ch'io moro
lasciar di nuovi allori
coronata sua fronte, a me si ascriva.
VITELLIA E SERVILIA
No.
MANLIO
Restate.
SOLDATI E POPOLO
Viva Manlio, viva.
MANLIO
Quai popoli?
VITELLIA E SERVILIA
Quai voci?
Arriva Decio con le Falangi armate, e detti.
DECIO
Viva il Marte del Tebro: itene voi.
Nostro è Manlio guerrier, non più di Roma.
Di lauro vincitor degna è sua chioma.
(gli mette la corona d'alloro)
SERVILIA
(O giusti numi!)
MANLIO
Amici,
a voi per voi rinasco.
LUCIO
(Io volo a Tito.)
DECIO
Va' pur al genitore: e ben si denno
i già pronti obelischi al tuo valore.
VITELLIA
Al ciel porgiamo i voti.
SERVILIA
E ad Amore.
MANLIO
Dopo sì rei disastri
torna la calma al sen.
L'empio tenor degli astri
non più mi toglie al core
di pace il bel seren.
Dopo sì rei disastri
torna la calma al sen.
Tito e detti.
TITO
Non morì Manlio? Vilipeso in Roma
il comando del console? di Tito?
DECIO
Questi, non più di Roma,
non più di Tito figlio,
d'empia Cloto sottratto al ferro indegno
è del romano Marte
sua conquista deità guerriera.
Il vegga Tito e veggalo il senato.
Il fil de nostri brandi
raggruppò di sua vita oggi lo stame;
che non si dée, gran Tito,
a chi merta l'allor, la scura infame.
TITO
(Tito, che vedi?) Decio:
è il voler delle squadre
legge alla legge; in mano
chi tiene Roma, impero ha sul romano.
Manlio, figlio, alla patria
vivi, ed al padre: e questa
nel tuo nuovo natal virtute impara.
Quel cittadin, che vago è di vittoria,
della sua patria cerchi
l'ubbidienza pria, poscia la gloria.
A Servilia, che degno
e d'amor, e di fede è al mondo esempio,
e che diverso in petto
il core ha da i natali;
stringi la man di sposa.
MANLIO
Mia vita!
SERVILIA
Mio tesoro!
MANLIO
Quanto il sogno mi diede al fin posseggo.
LUCIO
Signor, fa' che, ritrosa,
Vitellia a me s'annodi, e alla tua destra
do l'armi de' latini ed il comando.
(Gli dà la lettera dei latini.)
Del caduceo disponi tu, e del brando.
VITELLIA
Spontanea ecco la destra.
La pace abbia la patria, e con l'ulivo.
DECIO
E con l'allor di Manlio.
SERVILIA E DECIO
Oggi si scriva
viva l'eroe dei Campidoglio!
TUTTI
Viva!
Sparì già dal petto
la tema, e' l dolor;
la gioia, e' l diletto,
già scherza sul cor.
Sparì già dal petto
la tema, e' l dolor.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 18/09/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)