Scena prima |
Si vedrà l'assalto, e presa di Gerosolima. |
(♦) Polemone, soldati <- Berenice |
BERENICE |
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POLEMONE |
Confida in questo braccio, idolo mio. | |
BERENICE |
Frena, mio re, l'ardire del nemico roman fuggi lo sdegno, serba te stesso a Berenice, e al regno. | |
POLEMONE |
Mi circondino pur stragi, e ruine, vada il regno distrutto, pera, pur ch'io ti salvi il mondo tutto. | |
BERENICE |
Cedi all'empia fortuna, fuggi, deh fuggi, o sire l'imminente periglio, ch'irritar i più forti è van consiglio. | |
POLEMONE |
Amor giova agli audaci; pugnerà questo ferro, e fra monti d'estinti misti n'andranno ai vincitori i vinti; e s'egli è ver, che ne' volumi eterni con penna d'adamante scrisse lassù la mia caduta il fato, qual più felice sorte, ch'in braccio alla mia vita aver la morte. | |
Scena seconda |
Elio, capitano delle coorti, coro di Soldati. |
<- Elio, Ninfo |
ELIO |
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POLEMONE |
Pria, ch'a vile timore io dia ricetto entro l'aste più folte farò a un torrente d'armi argine del mio petto. | |
NINFO |
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BERENICE |
Invano, invan tentate empie perfide schiere, con barbaro furore svenar il mio signore, vo', ch'il mio seno ignudo al mio guerriero amor serva di scudo. | |
Scena terza |
Lepido. Elio. Polemone. Berenice. Ninfo. |
<- Lepido |
LEPIDO |
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POLEMONE |
In questa sola spada e vita insieme, e libertà ripono, né gradita mi sia, s'ella è tuo dono. | |
LEPIDO |
Com'invitto è costui! | |
ELIO |
Com'è feroce! | |
POLEMONE |
Pur se un tuo nemico l'alta virtude oggi onorar sì brama, concedi al cavaliero anco la dama. | |
LEPIDO |
Che celeste sembianza! S'io vagheggio costei col braccio armato, e l'aureo crin disciolto, è Pallade al valor, Venere al volto. | |
ELIO |
Che val d'acciaro armaro la man fatale, se del ferro assai più l'occhio è mortale. | |
LEPIDO |
Le prede più sublimi sono a Tito serbate, sì per legge di guerra è a noi prescritto, ben potrà di costei l'alta beltade di cesare obbligar l'animo invitto; poiché 'l latino augusto, il cui sommo valor la gloria spande, porta al par dell'imper l'anima grande. | |
BERENICE |
Io, che nacqui agli scettri, e alle corone, or dell'itala plebe fatta vile spettacolo, e infelice, incatenata dal romano orgoglio dovrò accrescere i fasti al Campidoglio? | |
POLEMONE |
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ELIO |
Quel favellar superbo l'indomita del cor fierezza accusa. | |
LEPIDO |
Schiavo sarà chi libertà ricusa. Itene, o miei guerrieri, a cesare guidate i prigionieri. | Berenice, Elio, Polemone, Ninfo, soldati -> |
Scena quarta |
Lepido. |
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fe' del mio cor rapina? E per destin d'amore, da duo luci trafitto, nelle giudee campagne, o miracolo novo! Dove i balsami stan, le piaghe io trovo. Dite, o candide pupille, dite, e donde veniste sin nella siria terra coperte d'armi bianche a farmi guerra? Ah che l'arcier bendato per occultar al core i suoi perigli anco quegl'occhi ei mascherò di gigli. | |
Più non amo occhio, ch'è nero, ch'è ben folle chi si crede in duo mori trovar fede; fulminar allor si vede quando fosco è l'emisfero. Più non amo occhio, ch'è nero. D'occhi bianchi ho l'alma accesa, segna ancor in lieti auspici bianca pietra i dì felici, e fra eserciti nemici bianco lin segno è di resa. D'occhi bianchi ho l'alma accesa. | Lepido -> | |
Scena quinta |
Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari, elefanti con varie macchine, ed insegne da guerra. |
Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati |
TITO |
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DOMIZIANO |
All'aquile romane piegò 'l Libano alfin l'audace fronte: treman le sirie genti, e fra monti di stragi scorsero già di sangue ampi torrenti. | |
CINNA |
Cadde l'alta Sionne, de Quiriti l'impero contermina con Giove, e ben può dirsi, mentre tu l'asta, o 'l fulmine ei disserra, ch'egli è un Tito nel ciel, tu un Giove in terra. | |
TITO |
Di cadaveri, e d'armi abbastanza, o miei fidi, del Siloe, e del Giordano tingeste l'onde, e seminaste i lidi; or qui sia 'l fin dell'ire, ed è ben giusto, ch'in aspetto giocondo s'al fragor di Bellona perduti ha i sonni, oggi riposi 'l mondo. | |
Scena sesta |
Tito. Domiziano. Cinna. Ninfo. |
<- Ninfo |
NINFO Largo al dio della guerra, ch'ad un giro del mio ciglio tutto 'l mondo va a scompiglio, e crollar io fo la terra. Del terrore, del furore io son fratello. Questo cerro, questo ferro degli eserciti è flagello; ma l'asta mia di tempra è così strana, che qual lancia d'Achille impiaga, e sana. | ||
CINNA |
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Scena settima |
Elio. Berenice. Polemone incatenati. Coro di Soldati, e gli antedetti. |
<- Elio, Berenice, Polemone |
ELIO |
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TITO |
Di Lepido la spada è il Palladio di Roma, ei, che di greche palme ornò la chioma, meraviglia non sia, s'ai prischi onori, intrecci novi fregi, e novi allori; ma qual beltà di cielo con fulgor sovrumano i sensi abbaglia! Quella chioma ondeggiante, ch'i dorati volumi al vento spiega così errante, e disciolta il cor mi lega. Filosofiche scole or che direte, che si formin nell'aria le comete? Se quel bel crin fra dolci mamme intatte stella è crinita entro la via del latte. Olà! Miei fidi si tronchino que' nodi, si frangano que' ceppi: e sol per annodare di così bianca mano il bel candore dall'arco suo tolga la corda Amore. | |
DOMIZIANO |
Di quel braccio alle nevi fian le zone del ciel degni legami: su rompete gl'indugi, si spezzin quei lacci? Ma che parlo de' lacci? Ah per mia pena le catene dal piede le sciolse Amore, ed al mio cor le diede. | |
NINFO |
Cesare per pietade si raddoppin le funi a quel guerriero, se rimirar non vuoi con tuo spavento Ninfo, Roma, e l'impero andar in vento. | |
TITO |
La clemenza di Tito si diffonde a' nemici; opra è da grande il dispensar fortune agl'infelici si sleghi il cavalier: ma tu chi sei prigioniera gentile? Ch'in sì vago sembiante anco vinta trionfi, e fai con tue bellezze anco presa, e legata felici i nodi, e la prigionia beata? | |
BERENICE |
Donna infelice or miri, e la tua man, che le province ha dome, del cui sommo valor schiava è Fortuna, al cui scettro s'aduna quanto l'occhio del sol circonda, e vede. | |
Scena ottava |
Gli antedetti. Agrippa, che sopraggiunge. |
<- Agrippa |
AGRIPPA |
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DOMIZIANO |
Signor, se questo serto, che di sangue Idumeo stilla pur anco, porto i fasci latini oltre l'Oronte, se tra falangi astate stabilii la corona alla tua fronte; costei, che col bel guardo di mille cor fa prede, concedi in guiderdone la mia fede. | |
POLEMONE |
(L'ascolto, e non lo sveno? Pria che tormi Berenice mi trarrà l'alma dal seno.) | |
TITO |
Altre spoglie, altre prede, o gran germano Roma deve al tuo merto, e alla tua mano. Duolmi, che ora non lice defraudar di sue pompe il Latio e 'l Tebro; del popolo romano, e non di Tito è costei prigioniera, con sue rare bellezze accrescer voglio i trionfi, e le glorie al Campidoglio. | |
BERENICE |
Dunque perché più gravi alla mia libertà fossero i ceppi si troncaro i miei nodi? Al dispetto di augusto, a mal grado di Roma, onta del fato, sapro con regia destra, qual nova Sofonisba, uscir di pene, e sottrarmi ai ludibri, e alle catene. | |
AGRIPPA |
(prostrato innanzi a Tito) Alla suora Agrippina non si devon catene: io, che fra selve d'aste a onor di Roma vestii l'aria d'insegne, il mar di vele, io, che per tua bontà, cesare invitto, degli atavi imperanti l'alta reggia possiedo, la libertà di Berenice or chiedo. | |
BERENICE |
Mio german, mio signore! | |
DOMIZIANO |
S'è reina è costei, giubila il core. | |
TITO |
Amico, egli è ben giusto, che ciò, che ti si dée, ti renda augusto; ma tu bella reina per qual cagion là fra nemiche genti arrotasti ver noi da tue pupille luminosi tormenti? Se tua beltà divina, s'il tuo guardo vivace vincer potea, e trionfar in pace. | |
BERENICE |
Dal licio re, che temerario amante di Cesarea colà fra l'alte mura m'assalì, mi rapì, non fui sicura, così di quel guerrier, ch'oggi svenato giace fra mille estinti in braccio a morte, resa fui in un sol dì preda, e consorte. | |
POLEMONE |
Scaltro è in mentir, benché fanciullo, amore. | |
BERENICE |
Costui ch'ivi tu scorgi, Adraspe è detto: questi, allor, ch'il tuo campo a Sionne superba portò gli ultimi eccidi, e le ruine, mi sottrasse co' l'armi alle spade, agli incendi, e alle rapine. | |
TITO |
(partendo) Bella, s'un re perdesti, affrena i tuoi dolori, avrà 'l mondo per te regi maggiori. | |
Tito, Elio, Cinna, Ninfo, capitani, soldati -> | ||
POLEMONE |
Polemone -> | |
DOMIZIANO dio bendato. Della mia luce privo cinocefalo amante io più non vivo. Luci candide adorate perché siate medicina a questo cor, v'ha formate di bianche margherite il dio d'Amor. Ma no, errai dolci rai, per far con le sue faci incendi più voraci, Cupido sol per gioco in duo globi di neve ascose il foco. | Domiziano -> | |
Scena nona |
Agrippa. Berenice. |
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BERENICE |
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AGRIPPA |
O di radice imperial indegna, sopprimi quelle voci, spoglia omai di reina il nome augusto! Tu prosapia d'eroi? Tu de' tetrarchi, tu degli Erodi, e degli Agrippi erede? Dunque a sentier sì degni della pudica madre ti chiamar, t'invitar gli alti vestigi? Perché di vezzi armata alla tua patria, e alla tua fé rubella fosti tra sozzi amplessi d'un altro Adon la Venere novella? | |
BERENICE |
Signor. | |
AGRIPPA |
Taci lasciva! La porpora d'un re macchie non soffre. | |
BERENICE |
Del mio candore è testimonio il cielo. | |
AGRIPPA |
Invano impura lingua al ciel ricorre, che sempre il ciel l'impuritade aborre. | |
BERENICE |
Te mio giudice invoco. | |
AGRIPPA |
(vuol ucciderla) Ebben farò, che con esempio raro sani la colpa d'amor colpo d'acciaro. | |
Scena decima |
Celso. Berenice. Agrippa. |
<- Celso |
CELSO |
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AGRIPPA |
È indegno d'esser re chi onor non prezza. | |
BERENICE |
Se del mio onor diffidi, odi le mie discolpe, e poi m'uccidi. | |
AGRIPPA |
Parto per non udir: sappi inonesta, che questo scettro, o questa man non langue, ma i falli tuoi saprò lavar col sangue. (parte) | Agrippa -> |
Scena undicesima |
Celso. Berenice. Sabina da parte. |
<- Sabina |
BERENICE | ||
CELSO |
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BERENICE |
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SABINA |
(Deh che miri o Sabina? Ecco il tuo vago che qual infido Ulisse acceso d'altra fiamma, prigionier d'altro laccio, sospira amante a nova Circe in braccio.) | |
CELSO |
De' tuoi cenni rea vittima sia quest'alma. | |
SABINA |
Odi l'empio incostante! Già deposti dell'armi i bellicosi spirti nell'idumee foreste dove nascon le palme, ei coglie i mirti. | |
BERENICE |
Ver la reggia d'augusto sia al mio naufrago passo cinosura fedele il tuo valore. | |
CELSO |
Ecco pronta la fé, la destra, e 'l core. Stelle fortuna, amor, più di voi non mi querelo, se l'Atlante son io d'un più bel cielo. | Berenice, Celso -> |
Scena dodicesima |
Sabina. |
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Occhi miei travedeste? Oppur la mente architettò fantasmi? Ah che purtroppo fui lince nel veder le mie sciagure; misera a chi racconto or le mie pene? Ah solo i pianti miei bevon l'arene. Or va' Sabina, lascia l'auguste pompe, e di guerriero usbergo cingi 'l tenero sen, fuggi dal Tebro: abbandona la patria, e 'l genitore, lascia la regia, e 'l regno sol per seguire un traditore indegno. | |
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Sabina -> | ||
Scena tredicesima |
Galleria con statue. |
Tito |
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Questi i trofei del tuo valor saranno? Dunque chi di Sion domò l'orgoglio, chi la Siria atterrò, l'Asia distrusse, fia prigionier d'un guardo, e della fama dirassi in Campidoglio, ch'armata di lusinghe, in breve gonna del mondo il vincitore vinto ha una donna? Taci lingua, che parli? Del bell'idolo mio così ragioni? O dio quel caro labbro, quel volto così vago, e quel dorato crine, che del sen palpitando in sulle brine sembra, ch'in mar di latte ondeggi il Tago, quel portamento altero, quel non so che d'amabile, e di fiero, l'aria di quel sembiante un Xenocrate ancor sarebbe amante. | |
Scena quattordicesima |
Domiziano. Tito. Ninfo. |
<- Domiziano, Ninfo |
DOMIZIANO |
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TITO |
Quanto val questo scettro, o questa mano tutto può Domiziano. | |
DOMIZIANO |
Gli occhi di Berenice. | |
TITO |
Principio tormentoso. | |
DOMIZIANO |
Benché vestiti di candor celeste sott'abito di pace, con armi di pietà mi fecer guerra. | |
TITO |
Una lucida nube, che di candor si veste messaggera è talor delle tempeste. | |
DOMIZIANO |
Quai tempeste in amor può aver quest'alma? se quei candidi lumi cinti di bianca luce il mio Castore è l'un, l'altro è Polluce. | |
TITO |
E che dirassi in Roma? Che dirà Vespasian? Che dirà 'l mondo? Mentre dunque di Solima i trionfi ergerà questa man del Tebro in riva, porterà Domiziano d'una sira beltà l'alma cattiva? | |
DOMIZIANO |
Quai spoglie più sublimi, quai trionfi più eccelsi, se chi vinse 'l mio cor, condurrò meco? | |
TITO |
Inciampa ognor chi ha per sua guida un cieco. Oltre i fonti del Nilo, oltre le vie del sole glorioso correa d'Antonio il nome, sull'Arasse, sul Tigri, e sull'Eufrate piantò i latini allori, e alle sue palme la cervice piegaro Arabi e Indi; quando ad un sol momento, ad un istante di guerrier fatto amante d'una egizia beltà reso idolatra, folle campion di duo begli occhi neri, là di Leucate in sen per Cleopatra perdé scettri, ed imperi. | |
DOMIZIANO |
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TITO |
Ma d'un re, ch'è servo. | |
NINFO |
Sarà buona per me. | |
DOMIZIANO |
(vede comparire Berenice) Cieli, ch'osservo! | |
Scena quindicesima |
Berenice. Celso. Tito. Domiziano. Ninfo. |
<- Berenice, Celso |
BERENICE |
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TITO |
Mio cor, ch'incontro è questo? Ergiti, o gran reina. | |
BERENICE |
Cesare di tua luce un lampo solo può serenar mia vita. | |
CELSO |
A bellezza, che prega nulla si vieta, o nega. | |
BERENICE |
Agrippa il mio germano inonesta mi crede, deh sia scudo al mio onor tua regia fede. | |
TITO |
Creder macchie nel sole proprio è occhio di talpa, tergi i tuoi vaghi rai. | |
DOMIZIANO |
Ciò, che può far un Tito oggi vedrai. | |
BERENICE |
Nella tua sola man sta la mia sorte. | |
DOMIZIANO |
Anzi ne' tuoi bei lumi ogn'ora immota è la sorte, e 'l destin tien la sua rota. | |
TITO |
Voi ritirate il piè, con Berenice di favellar desio. | |
DOMIZIANO |
Dammi soccorso, o faretrato dio. Al tuo aspetto m'involo. | |
CELSO |
Parto. | |
NINFO |
Sparisco, volo. | Domiziano, Celso, Ninfo -> |
Scena sedicesima |
Tito. Berenice. Polemone in disparte. |
<- Polemone |
TITO | ||
BERENICE |
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TITO |
Mia regina, mio nume! | |
POLEMONE |
(in disparte) Mia infida, mio tiranno! | |
BERENICE |
Arde Tito al mio volto, d'uopo è finger d'affetti, tu attesta all'idol mio volante amore, che, se mente la lingua, ho fido il core. | |
TITO |
Bella io moro trafitto, ma sì dolci, e sì care son le ferite mie, e sì del suo morir l'alma s'appaga, ch'adoro il ferritor, amo la piaga. | |
BERENICE |
Per saettar un Marte ci vuol beltà divina. | |
TITO |
Appunto duo begli occhi, che portan nel color livrea di cielo, furon del cor gli arcieri. | |
BERENICE |
Forse nel risanarti non saranno sì fieri. | |
POLEMONE |
(in disparte) Ah mia tradita fede, e che più speri! | |
BERENICE |
È romana, o straniera la beltà, che t'accese? | |
TITO |
Sol nell'arabe piagge nascono le fenici, e la sua culla sai, che non ha, ch'in oriente il sole. | |
BERENICE |
S' privo di bellezza è 'l ciel latino, che mendicar dovessi sin dall'Asia gli amori? | |
TITO |
Non ha l'Africa immensa, non ha l'Asia, l'Europa, e non ha Roma meraviglia, o tesoro, che si pareggi alla beltà, ch'adoro. | |
BERENICE | Berenice -> | |
Scena diciassettesima |
Tito. Polemone. |
|
TITO | ||
|
opportuno qui giunge, guerriero, il cui valore degno è, che fra nemici anco s'onore: tu, che già avesti in sorte di Solima distrutta nella fatal ruina preservar tra gl'incendi una reina, difendi dall'ardore di duo accese pupille anco 'l mio core. Sai che d'augusto al piede la fortuna soggiace, e pende il fato, e un cenno mio sol ti può far beato: titoli, dignità tesor prometto, pur che di Berenice m'intercedi l'affetto. | |
POLEMONE |
Che macchini, o destino? Dissimular conviene. Stimo gloria maggiore di cesar obbedir ai cenni alteri, che frenar mille imperi. Temo sol, che costei del re di Licia amante, benché estinto lo crede, qual novella Artemisia, oltre la pira serbi al cenere suo costanza, e fede. | |
TITO |
Amor nume di foco non conversa coll'ombre che lungi da sepolcri, benché in ferir sia crudo fugge di morte il gelo un dio, ch'è nudo, che giova lagrimar per un estinto? Sol dell'angue del Nilo all'impietà s'ascrive, pianger i morti, e far morir chi vive. | |
Tito -> | ||
Scena diciottesima |
Polemone. |
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|
delle sciagure mie farmi 'l Perillo? Dunque bombice insano per intesser altrui seriche spoglie, ordirò le mie doglie? E mentre al mio bel nume sarò dell'altrui fiamma infausto messo, dovrò qual nova face per rilucer altrui strugger me stesso? Ah ciò non sia mai vero. Tu, ch'udisti i miei torti Giove, che fai lassù, ch'ora non vibri il tuo fulmineo telo? Forse temi quegli occhi, che son nel saettar emuli al cielo? | |
|
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Polemone -> | ||
Scena diciannovesima |
Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina. |
<- due amorini mori |
AMORINO |
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AMORINI | due amorini mori -> | |
Scena ventesima |
Marzia. Apollonio. Lucindo. Escono dalla bocca dell'orca. |
<- Marzia, Apollonio, Lucindo |
LUCINDO |
Addio mar, addio Glauco, addio Nettuno: più con Dori, ed Anfitrite io non o' commercio alcuno. Addio mare, addio Glauco, addio Nettuno. Sento l core palpitante, par ch'ondeggi anco il piè, in quell'isola guizzante più non ritorno a fé, stanza è troppo aborrita star dalla morte sol lontan tre dita. È d'uopo, che la donna sia un cibo molto crudo per natura; s'ancor che sia sì vasta, e di gran lena non poté digerirla una balena. | |
APOLLONIO |
Marzia non sia stupore, se dal cielo di Roma oggi alle sirie sponde la tua rara beltà guidai per l'acque, che dal grembo del mar Venere nacque. In mia virtù confida, nelle braccia di Tito avrai conforto, dopo il naufragio è più gradito il porto. | |
MARZIA | ||
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APOLLONIO |
Quanto può del nero tartaro l'infernal Giove terribile, quanto val nel cieco baratro di mia voce il suono orribile a' tuoi cenni adoprerò, d'Acheronte i numi pallidi sol per te costringerò: ma credi, credi a me, che per destar ne' cori amorose faville, incanti più potenti han due pupille. (forma l'incanto) Or voi di Stige orrenda spaventose falangi, gran potenze d'Averno uscite, uscite, qua volate: su queste ignude arene vasta mole fermate. | |
Qui s'erge maestoso palazzo. | ||
APOLLONIO |
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LUCINDO |
Ohimè! Misero me! Per lo spavento reggermi più non posso: con quella nera verga ha costui congiurato di farmi entrar più d'uno spirto addosso. | |
MARZIA |
È più dolce quell'amore, che s'acquista col penar. Sempre ascosa fra le spine sta la rosa; e i suoi favi di rigore l'ape ancora suole armar, è più dolce quell'amore che s'acquista col penar. | |
Marzia, Lucindo, Apollonio -> | ||
Segue il ballo di Mori, che escono dal palazzo. | <- mori | |
Gerosolima.
(si vedrà l'assalto, e presa di Gerosolima)
Cedi, o guerrier, del tuo destino all'onte
Cessate dal ferire: e tu campione
Barbaro imperatore invan pretende
Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari, elefanti con varie macchine, ed insegne da guerra.
O chiunque tu sia guerrier cortese
Occhi miei travedeste? Oppur la mente
Folle, ma che vaneggio: ed a che spargo
Galleria con statue.
(Polemone in disparte)
Ma a che chiamar sin da più tetri abissi
Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina.
(comparisce una smisurata balena, frenata da due amorini mori)
(la balena spalancando le vaste fauci espone sopra la spiaggia Marzia, Apollonio e Lucindo)
Addio mar, addio Glauco, addio Nettuno
(le gran potenze d'Averno formano maestoso palazzo)
Maestoso palazzo.
Spera, o donna real, quel regio tetto
(ballo di mori)