Atto primo

 

Scena prima

Si vedrà l'assalto, e presa di Gerosolima.
Berenice. Polemone.

Immagine d'epoca ()

 Q 

Polemone, soldati

<- Berenice

 

BERENICE

Chi mi soccorre, o dio?  

POLEMONE

Confida in questo braccio, idolo mio.

BERENICE

Frena, mio re, l'ardire

del nemico roman fuggi lo sdegno,

serba te stesso a Berenice, e al regno.

POLEMONE

Mi circondino pur stragi, e ruine,

vada il regno distrutto,

pera, pur ch'io ti salvi il mondo tutto.

BERENICE

Cedi all'empia fortuna,

fuggi, deh fuggi, o sire

l'imminente periglio,

ch'irritar i più forti è van consiglio.

POLEMONE

Amor giova agli audaci;

pugnerà questo ferro,

e fra monti d'estinti

misti n'andranno ai vincitori i vinti;

e s'egli è ver, che ne' volumi eterni

con penna d'adamante

scrisse lassù la mia caduta il fato,

qual più felice sorte,

ch'in braccio alla mia vita aver la morte.

 

Scena seconda

Elio, capitano delle coorti, coro di Soldati.
Berenice. Polemone. Ninfo.

<- Elio, Ninfo

 

ELIO

Cedi, o guerrier, del tuo destino all'onte,  

ch'il cercar fra cataste

di svenati nemici il suo morire

è valor disperato, e non ardire.

POLEMONE

Pria, ch'a vile timore io dia ricetto

entro l'aste più folte

farò a un torrente d'armi

argine del mio petto.

 

Vengano pur cento falangi, e cento  

non pavento,

sin che l'alma in seno avrò,

pugnerò,

e se la parca micidiale

con la forbice fatale

a miei danni congiurò,

non torpe già questa mia destra ardita,

pagheran mille morti una sol vita.

 

NINFO

(a cui vien levata l'asta di mano da Berenice)  

Ohimè, l'asta perdei!

Ma ad Onfale sì brava

quanti Ercoli oggidì darian la clava.

BERENICE

Invano, invan tentate

empie perfide schiere,

con barbaro furore

svenar il mio signore,

vo', ch'il mio seno ignudo

al mio guerriero amor serva di scudo.

 

Permetti mio re,  

ch'io mora per te,

e 'l mio core

cada vittima d'onore

sull'altare di mia fé.

 

Scena terza

Lepido. Elio. Polemone. Berenice. Ninfo.

<- Lepido

 

LEPIDO

Cessate dal ferire: e tu campione  

frena l'ardir:

ch'è temeraria impresa

contro un immenso stuolo

opporre a mille brandi un brando solo;

ferma il braccio guerriero, e acciò che sappi,

di quai tempre è formato un cor romano,

non mi serbo ragion, spoglia non chiedo,

m'al tuo valor la libertà concedo.

POLEMONE

In questa sola spada

e vita insieme, e libertà ripono,

né gradita mi sia, s'ella è tuo dono.

LEPIDO

Com'invitto è costui!

ELIO

Com'è feroce!

POLEMONE

Pur se un tuo nemico

l'alta virtude oggi onorar sì brama,

concedi al cavaliero anco la dama.

LEPIDO

Che celeste sembianza!

S'io vagheggio costei

col braccio armato, e l'aureo crin disciolto,

è Pallade al valor, Venere al volto.

ELIO

Che val d'acciaro armaro la man fatale,

se del ferro assai più l'occhio è mortale.

LEPIDO

Le prede più sublimi

sono a Tito serbate,

sì per legge di guerra è a noi prescritto,

ben potrà di costei l'alta beltade

di cesare obbligar l'animo invitto;

poiché 'l latino augusto,

il cui sommo valor la gloria spande,

porta al par dell'imper l'anima grande.

BERENICE

Io, che nacqui agli scettri, e alle corone,

or dell'itala plebe

fatta vile spettacolo, e infelice,

incatenata dal romano orgoglio

dovrò accrescere i fasti al Campidoglio?

 

Ah voi nemiche spade  

con pietoso rigor

trafiggete questo seno,

spalancate questo cor.

 

POLEMONE

Barbaro imperatore invan pretende  

ne' suoi pensieri gonfi

di condurti legata a suoi trionfi.

Troncherà questo ferro

(se questa destra, o 'l mio valor non sviene)

Roma, Tito, l'imper, le tue catene.

ELIO

Quel favellar superbo

l'indomita del cor fierezza accusa.

LEPIDO

Schiavo sarà chi libertà ricusa.

Itene, o miei guerrieri,

a cesare guidate i prigionieri.

Berenice, Elio, Polemone, Ninfo, soldati ->

 

Scena quarta

Lepido.

 

 

Qual bellezza divina  

fe' del mio cor rapina?

E per destin d'amore,

da duo luci trafitto,

nelle giudee campagne,

o miracolo novo!

Dove i balsami stan, le piaghe io trovo.

Dite, o candide pupille,

dite, e donde veniste

sin nella siria terra

coperte d'armi bianche a farmi guerra?

Ah che l'arcier bendato

per occultar al core i suoi perigli

anco quegl'occhi ei mascherò di gigli.

 

Più non amo occhio, ch'è nero,  

ch'è ben folle chi si crede

in duo mori trovar fede;

fulminar allor si vede

quando fosco è l'emisfero.

Più non amo occhio, ch'è nero.

D'occhi bianchi ho l'alma accesa,

segna ancor in lieti auspici

bianca pietra i dì felici,

e fra eserciti nemici

bianco lin segno è di resa.

D'occhi bianchi ho l'alma accesa.

Lepido ->

 
 

Scena quinta

Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari, elefanti con varie macchine, ed insegne da guerra.
Tito. Domiziano. Aulo Cinna. Coro di Capitani, e Soldati romani.

 Q 

Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati

 

TITO

Sotto al cesareo brando  

giace sconfitto il palestin rubello;

Solima è già distrutta, e in breve d'ora

ciò che Marte lasciò, Vulcan divora.

DOMIZIANO

All'aquile romane

piegò 'l Libano alfin l'audace fronte:

treman le sirie genti,

e fra monti di stragi

scorsero già di sangue ampi torrenti.

CINNA

Cadde l'alta Sionne,

de Quiriti l'impero

contermina con Giove, e ben può dirsi,

mentre tu l'asta, o 'l fulmine ei disserra,

ch'egli è un Tito nel ciel, tu un Giove in terra.

TITO

Di cadaveri, e d'armi

abbastanza, o miei fidi,

del Siloe, e del Giordano

tingeste l'onde, e seminaste i lidi;

or qui sia 'l fin dell'ire, ed è ben giusto,

ch'in aspetto giocondo

s'al fragor di Bellona

perduti ha i sonni, oggi riposi 'l mondo.

 

Scena sesta

Tito. Domiziano. Cinna. Ninfo.

<- Ninfo

 

NINFO

(tutto armato)  

Largo al dio della guerra,

ch'ad un giro del mio ciglio

tutto 'l mondo va a scompiglio,

e crollar io fo la terra.

Del terrore,

del furore

io son fratello.

Questo cerro,

questo ferro

degli eserciti è flagello;

ma l'asta mia di tempra è così strana,

che qual lancia d'Achille impiaga, e sana.

 

CINNA

Merta un eroe sì grande,  

che se gli erga una statua in sul Tarpeo,

eccovi trasformato

il Tersite di corte in novo Anteo.

 

Scena settima

Elio. Berenice. Polemone incatenati. Coro di Soldati, e gli antedetti.

<- Elio, Berenice, Polemone

 

ELIO

Lepido il sommo duce,  

ch'alle tue squadre impera,

pegno della sua fede,

trasmette incatenati

duo prigionieri ignoti al regio piede.

TITO

Di Lepido la spada

è il Palladio di Roma,

ei, che di greche palme ornò la chioma,

meraviglia non sia, s'ai prischi onori,

intrecci novi fregi, e novi allori;

ma qual beltà di cielo

con fulgor sovrumano i sensi abbaglia!

Quella chioma ondeggiante,

ch'i dorati volumi al vento spiega

così errante, e disciolta il cor mi lega.

Filosofiche scole or che direte,

che si formin nell'aria le comete?

Se quel bel crin fra dolci mamme intatte

stella è crinita entro la via del latte.

Olà! Miei fidi

si tronchino que' nodi,

si frangano que' ceppi:

e sol per annodare

di così bianca mano il bel candore

dall'arco suo tolga la corda Amore.

DOMIZIANO

Di quel braccio alle nevi

fian le zone del ciel degni legami:

su rompete gl'indugi,

si spezzin quei lacci?

Ma che parlo de' lacci? Ah per mia pena

le catene dal piede

le sciolse Amore, ed al mio cor le diede.

NINFO

Cesare per pietade

si raddoppin le funi a quel guerriero,

se rimirar non vuoi con tuo spavento

Ninfo, Roma, e l'impero andar in vento.

TITO

La clemenza di Tito

si diffonde a' nemici; opra è da grande

il dispensar fortune agl'infelici

si sleghi il cavalier: ma tu chi sei

prigioniera gentile?

Ch'in sì vago sembiante

anco vinta trionfi,

e fai con tue bellezze

anco presa, e legata

felici i nodi, e la prigionia beata?

BERENICE

Donna infelice or miri,

e la tua man, che le province ha dome,

del cui sommo valor schiava è Fortuna,

al cui scettro s'aduna

quanto l'occhio del sol circonda, e vede.

 

Or, ch'al piede  

toglie i nodi,

fian sue lodi

con duplicate palme

vincer i corpi, e trionfar dell'alme.

 

Scena ottava

Gli antedetti. Agrippa, che sopraggiunge.

<- Agrippa

 

AGRIPPA

(Luci mie che mirate?  

Le reali sembianze

scorgo di Berenice!)

DOMIZIANO

Signor, se questo serto,

che di sangue Idumeo stilla pur anco,

porto i fasci latini oltre l'Oronte,

se tra falangi astate

stabilii la corona alla tua fronte;

costei, che col bel guardo

di mille cor fa prede,

concedi in guiderdone la mia fede.

POLEMONE

(L'ascolto, e non lo sveno?

Pria che tormi Berenice

mi trarrà l'alma dal seno.)

TITO

Altre spoglie, altre prede, o gran germano

Roma deve al tuo merto, e alla tua mano.

Duolmi, che ora non lice

defraudar di sue pompe il Latio e 'l Tebro;

del popolo romano, e non di Tito

è costei prigioniera,

con sue rare bellezze accrescer voglio

i trionfi, e le glorie al Campidoglio.

BERENICE

Dunque perché più gravi

alla mia libertà fossero i ceppi

si troncaro i miei nodi?

Al dispetto di augusto,

a mal grado di Roma, onta del fato,

sapro con regia destra,

qual nova Sofonisba, uscir di pene,

e sottrarmi ai ludibri, e alle catene.

AGRIPPA

(prostrato innanzi a Tito)

Alla suora Agrippina

non si devon catene:

io, che fra selve d'aste a onor di Roma

vestii l'aria d'insegne, il mar di vele,

io, che per tua bontà, cesare invitto,

degli atavi imperanti

l'alta reggia possiedo,

la libertà di Berenice or chiedo.

BERENICE

Mio german, mio signore!

DOMIZIANO

S'è reina è costei, giubila il core.

TITO

Amico, egli è ben giusto,

che ciò, che ti si dée, ti renda augusto;

ma tu bella reina

per qual cagion là fra nemiche genti

arrotasti ver noi da tue pupille

luminosi tormenti?

Se tua beltà divina,

s'il tuo guardo vivace

vincer potea, e trionfar in pace.

BERENICE

Dal licio re, che temerario amante

di Cesarea colà fra l'alte mura

m'assalì,

mi rapì, non fui sicura,

così di quel guerrier, ch'oggi svenato

giace fra mille estinti in braccio a morte,

resa fui in un sol dì preda, e consorte.

POLEMONE

Scaltro è in mentir, benché fanciullo, amore.

BERENICE

Costui ch'ivi tu scorgi, Adraspe è detto:

questi, allor, ch'il tuo campo

a Sionne superba

portò gli ultimi eccidi, e le ruine,

mi sottrasse co' l'armi

alle spade, agli incendi, e alle rapine.

TITO

(partendo)

Bella, s'un re perdesti,

affrena i tuoi dolori,

avrà 'l mondo per te regi maggiori.

 

Sta' saldo cor mio  

ti veggo in periglio,

l'arco adopra d'un bel ciglio

per ferirti il cieco dio.

Tito, Elio, Cinna, Ninfo, capitani, soldati ->

 

POLEMONE

(parte)

Soccorrimi Cupido  

stimolo troppo fiero

è in cor di donna avidità d'impero.

Polemone ->

 

DOMIZIANO

Dammi aita nume alato,  

dio bendato.

Della mia luce privo

cinocefalo amante io più non vivo.

Luci candide adorate

perché siate

medicina a questo cor,

v'ha formate

di bianche margherite il dio d'Amor.

Ma no, errai

dolci rai,

per far con le sue faci

incendi più voraci,

Cupido sol per gioco

in duo globi di neve ascose il foco.

Domiziano ->

 

Scena nona

Agrippa. Berenice.

 

BERENICE

Mio rege, mio germano!  

AGRIPPA

O di radice imperial indegna,

sopprimi quelle voci,

spoglia omai di reina il nome augusto!

Tu prosapia d'eroi? Tu de' tetrarchi,

tu degli Erodi, e degli Agrippi erede?

Dunque a sentier sì degni

della pudica madre

ti chiamar, t'invitar gli alti vestigi?

Perché di vezzi armata

alla tua patria, e alla tua fé rubella

fosti tra sozzi amplessi

d'un altro Adon la Venere novella?

BERENICE

Signor.

AGRIPPA

Taci lasciva!

La porpora d'un re macchie non soffre.

BERENICE

Del mio candore è testimonio il cielo.

AGRIPPA

Invano impura lingua al ciel ricorre,

che sempre il ciel l'impuritade aborre.

BERENICE

Te mio giudice invoco.

AGRIPPA

(vuol ucciderla)

Ebben farò, che con esempio raro

sani la colpa d'amor colpo d'acciaro.

 

Scena decima

Celso. Berenice. Agrippa.

<- Celso

 

CELSO

(frastornando il colpo)  

Frena l'irata destra!

Perché novo Diomede

tenti svenar con esecrando ferro

la dèa della bellezza?

AGRIPPA

È indegno d'esser re chi onor non prezza.

BERENICE

Se del mio onor diffidi,

odi le mie discolpe, e poi m'uccidi.

AGRIPPA

Parto per non udir: sappi inonesta,

che questo scettro, o questa man non langue,

ma i falli tuoi saprò lavar col sangue.

(parte)

Agrippa ->

 

Scena undicesima

Celso. Berenice. Sabina da parte.

<- Sabina

 

BERENICE

Che pretendi, o ciel di più?  

Mi togliesti alle catene,

perché viva fra le pene

porti l'alma in servitù?

 

CELSO

Lagrimate occhi divini:  

venga chi veder vol

fatto in acquario oggi più ardente il sol.

 

Pupillette rugiadose  

mentre lagrime versate,

ad Amor l'armi temprate:

che s'avanti i dardi scocchi

spesso Amor gli strali affina,

servirà l'umor degl'occhi

per dar tempra alla fucina.

 

BERENICE

O chiunque tu sia guerrier cortese,  

che pietoso accorresti

d'innocente reina alle difese;

se la vita mi doni,

d'un regio arbitrio a tuo voler disponi.

SABINA

(Deh che miri o Sabina? Ecco il tuo vago

che qual infido Ulisse

acceso d'altra fiamma,

prigionier d'altro laccio,

sospira amante a nova Circe in braccio.)

CELSO

De' tuoi cenni rea

vittima sia quest'alma.

SABINA

Odi l'empio incostante!

Già deposti dell'armi

i bellicosi spirti

nell'idumee foreste

dove nascon le palme, ei coglie i mirti.

BERENICE

Ver la reggia d'augusto

sia al mio naufrago passo

cinosura fedele il tuo valore.

CELSO

Ecco pronta la fé, la destra, e 'l core.

Stelle fortuna, amor,

più di voi non mi querelo,

se l'Atlante son io d'un più bel cielo.

Berenice, Celso ->

 

Scena dodicesima

Sabina.

 

 

Occhi miei travedeste? Oppur la mente  

architettò fantasmi? Ah che purtroppo

fui lince nel veder le mie sciagure;

misera a chi racconto or le mie pene?

Ah solo i pianti miei bevon l'arene.

Or va' Sabina, lascia

l'auguste pompe, e di guerriero usbergo

cingi 'l tenero sen, fuggi dal Tebro:

abbandona la patria, e 'l genitore,

lascia la regia, e 'l regno

sol per seguire un traditore indegno.

 

O numi coniugali,  

o tu del casto letto

protettrice Lucina, o voi del cielo

deità spergiurate!

Voi quest'alma vendicate,

fulminate

numi offesi in questo dì

il fellon, che mi tradì.

 

 

Folle, ma che vaneggio: ed a che spargo  

inutilmente le querele a' venti!

Ah se de' miei tormenti,

e delle ingiurie miei Giove si ride,

voi, che fate ire omicide?

Questo vindice ferro

fia la spada d'Astrea.

 

Con barbaro scempio  

si sveni quell'empio,

sarò all'anima rea

d'un novello Giason nova Medea.

Sabina ->

 
 

Scena tredicesima

Galleria con statue.
Tito.

 Q 

Tito

 

Quanto vale, e quanto può    

bella bocca di cinabro,

s'a goder d'un vago labbro

Giove in cigno si cangiò?

Che non opra, e che non fa?

Il candor di vaga fronte,

s'il gran nume d'Acheronte

fe' prigion di sua beltà.

S

Sfondo schermo () ()

 

 

Tito, ma che vaneggi?  

Questi i trofei del tuo valor saranno?

Dunque chi di Sion domò l'orgoglio,

chi la Siria atterrò, l'Asia distrusse,

fia prigionier d'un guardo, e della fama

dirassi in Campidoglio,

ch'armata di lusinghe, in breve gonna

del mondo il vincitore vinto ha una donna?

Taci lingua, che parli?

Del bell'idolo mio così ragioni?

O dio quel caro labbro,

quel volto così vago,

e quel dorato crine,

che del sen palpitando in sulle brine

sembra, ch'in mar di latte ondeggi il Tago,

quel portamento altero,

quel non so che d'amabile, e di fiero,

l'aria di quel sembiante

un Xenocrate ancor sarebbe amante.

 

S'ami pur Berenice,  

eliodramo d'amore

il mio sole seguirò,

spiegherò

del mio cor le doglie estreme,

ch'amor, e maestà non vanno insieme.

 

Scena quattordicesima

Domiziano. Tito. Ninfo.

<- Domiziano, Ninfo

 

DOMIZIANO

Dalle grazie di Tito  

il mio destin dipende.

TITO

Quanto val questo scettro, o questa mano

tutto può Domiziano.

DOMIZIANO

Gli occhi di Berenice.

TITO

Principio tormentoso.

DOMIZIANO

Benché vestiti di candor celeste

sott'abito di pace,

con armi di pietà mi fecer guerra.

TITO

Una lucida nube,

che di candor si veste

messaggera è talor delle tempeste.

DOMIZIANO

Quai tempeste in amor può aver quest'alma?

se quei candidi lumi

cinti di bianca luce

il mio Castore è l'un, l'altro è Polluce.

TITO

E che dirassi in Roma?

Che dirà Vespasian? Che dirà 'l mondo?

Mentre dunque di Solima i trionfi

ergerà questa man del Tebro in riva,

porterà Domiziano

d'una sira beltà l'alma cattiva?

DOMIZIANO

Quai spoglie più sublimi,

quai trionfi più eccelsi,

se chi vinse 'l mio cor, condurrò meco?

TITO

Inciampa ognor chi ha per sua guida un cieco.

Oltre i fonti del Nilo,

oltre le vie del sole

glorioso correa d'Antonio il nome,

sull'Arasse, sul Tigri, e sull'Eufrate

piantò i latini allori, e alle sue palme

la cervice piegaro Arabi e Indi;

quando ad un sol momento, ad un istante

di guerrier fatto amante

d'una egizia beltà reso idolatra,

folle campion di duo begli occhi neri,

là di Leucate in sen per Cleopatra

perdé scettri, ed imperi.

 

Lascia cotesti amori!  

Presto si spezza alfine

la prigionia d'un crine.

Sovvengati, o germano,

che figlio sei d'imperator romano.

Misero! A che son giunto!

Se qual fisico insano,

mentre alle piaghe altrui porgo ristoro,

trafitto 'l sen da mille strali io moro.

 

DOMIZIANO

Ella è suora di re.  

TITO

Ma d'un re, ch'è servo.

NINFO

Sarà buona per me.

DOMIZIANO

(vede comparire Berenice)

Cieli, ch'osservo!

 

Scena quindicesima

Berenice. Celso. Tito. Domiziano. Ninfo.

<- Berenice, Celso

 

BERENICE

Eccomi al piè d'augusto.  

TITO

Mio cor, ch'incontro è questo?

Ergiti, o gran reina.

BERENICE

Cesare di tua luce un lampo solo

può serenar mia vita.

CELSO

A bellezza, che prega

nulla si vieta, o nega.

BERENICE

Agrippa il mio germano

inonesta mi crede,

deh sia scudo al mio onor tua regia fede.

TITO

Creder macchie nel sole

proprio è occhio di talpa,

tergi i tuoi vaghi rai.

DOMIZIANO

Ciò, che può far un Tito oggi vedrai.

BERENICE

Nella tua sola man sta la mia sorte.

DOMIZIANO

Anzi ne' tuoi bei lumi ogn'ora immota

è la sorte, e 'l destin tien la sua rota.

TITO

Voi ritirate il piè, con Berenice

di favellar desio.

DOMIZIANO

Dammi soccorso, o faretrato dio.

Al tuo aspetto m'involo.

CELSO

Parto.

NINFO

Sparisco, volo.

Domiziano, Celso, Ninfo ->

 

Scena sedicesima

Tito. Berenice. Polemone in disparte.

<- Polemone

 

TITO

Che mi consigli amor?  

Or che prospera, e opportuna

per lo crin tengo fortuna,

palesar deggio l'ardor!

Parlerò,

scoprirò

del cor lo strale,

che la piaga più ascosa è più mortale.

 

BERENICE

Mio monarca, e signore!  

TITO

Mia regina, mio nume!

POLEMONE

(in disparte)

Mia infida, mio tiranno!

BERENICE

Arde Tito al mio volto,

d'uopo è finger d'affetti,

tu attesta all'idol mio volante amore,

che, se mente la lingua, ho fido il core.

TITO

Bella io moro trafitto,

ma sì dolci, e sì care

son le ferite mie,

e sì del suo morir l'alma s'appaga,

ch'adoro il ferritor, amo la piaga.

BERENICE

Per saettar un Marte

ci vuol beltà divina.

TITO

Appunto duo begli occhi,

che portan nel color livrea di cielo,

furon del cor gli arcieri.

BERENICE

Forse nel risanarti

non saranno sì fieri.

POLEMONE

(in disparte)

Ah mia tradita fede, e che più speri!

BERENICE

È romana, o straniera

la beltà, che t'accese?

TITO

Sol nell'arabe piagge

nascono le fenici, e la sua culla

sai, che non ha, ch'in oriente il sole.

BERENICE

S' privo di bellezza è 'l ciel latino,

che mendicar dovessi

sin dall'Asia gli amori?

TITO

Non ha l'Africa immensa,

non ha l'Asia, l'Europa, e non ha Roma

meraviglia, o tesoro,

che si pareggi alla beltà, ch'adoro.

 

BERENICE

Qual beltà  

non cedrà

al suo impero alto, e sovrano

è signor d'ogni cor, chi ha 'l mondo in mano.

Berenice ->

 

Scena diciassettesima

Tito. Polemone.

 

TITO

Mi rallegro alma con te,  

che ridente

non più Eraclito dolente

piangerai senza mercé.

 

 

Ma che scorgo, ecco Adraspe  

opportuno qui giunge,

guerriero, il cui valore

degno è, che fra nemici anco s'onore:

tu, che già avesti in sorte

di Solima distrutta

nella fatal ruina

preservar tra gl'incendi una reina,

difendi dall'ardore

di duo accese pupille anco 'l mio core.

Sai che d'augusto al piede

la fortuna soggiace, e pende il fato,

e un cenno mio sol ti può far beato:

titoli, dignità tesor prometto,

pur che di Berenice

m'intercedi l'affetto.

POLEMONE

Che macchini, o destino?

Dissimular conviene.

Stimo gloria maggiore

di cesar obbedir ai cenni alteri,

che frenar mille imperi.

Temo sol, che costei

del re di Licia amante,

benché estinto lo crede,

qual novella Artemisia, oltre la pira

serbi al cenere suo costanza, e fede.

TITO

Amor nume di foco

non conversa coll'ombre

che lungi da sepolcri,

benché in ferir sia crudo

fugge di morte il gelo un dio, ch'è nudo,

che giova lagrimar per un estinto?

Sol dell'angue del Nilo

all'impietà s'ascrive,

pianger i morti, e far morir chi vive.

 

Io so, che Berenice  

grata mi corrisponde:

ma l'amor stimolato è più veloce:

parla, prega, scongiura,

palesa a lei, ch'adoro

la mia fede amorosa,

che sopra la tua fé Tito riposa.

(partendo)

S'al mio ardor più non resiste

la beltà che mi piagò,

s'amore m'assiste

beato sarò.

Tito ->

 

Scena diciottesima

Polemone.

 

A quai pene mi condanni  

per seguirti, o dio di Gnido?

Non sai dunque empio Cupido

dispensar se non affanni

per seguirti, o dio di Gnido,

a quai pene mi condanni?

 

 

Perché perfide stelle  

delle sciagure mie farmi 'l Perillo?

Dunque bombice insano

per intesser altrui seriche spoglie,

ordirò le mie doglie?

E mentre al mio bel nume

sarò dell'altrui fiamma infausto messo,

dovrò qual nova face

per rilucer altrui strugger me stesso?

Ah ciò non sia mai vero.

Tu, ch'udisti i miei torti

Giove, che fai lassù,

ch'ora non vibri il tuo fulmineo telo?

Forse temi quegli occhi,

che son nel saettar emuli al cielo?

 

Ma, s'il cielo mi fa guerra,  

voi dagl'antri di sotterra

fiere dèe di Flegetonte

empie figlie d'Acheronte

agitate,

tormentate

crudi Eumenidi spietate

la crudel che mi piagò,

la infedel, che mi lasciò.

 

 

Ma a che chiamar sin da più tetri abissi  

le crude Erinni? Il mio furore dunque

non è furia bastante? E qual inferno

chiude mostro più spietato?

 

Più d'Ercole furente,  

più agitato d'Oreste,

d'Erostrato più insano,

arderò questa reggia!

Con questa mano ultrice

sbranerò 'l cor di Tito,

svenerò Berenice.

Polemone ->

 
 

Scena diciannovesima

Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina.
Comparisce una smisurata balena, frenata da due Amorini mori. Questa spalancando le vaste fauci espone sopra la spiaggia.
Marzia. Apollonio. Lucindo.
Due amorini con archi, e facelle alla mano.

 Q 

<- due amorini mori

 

AMORINO

Ferma i tuoi giri ondosi  

gigantessa de' popoli squamosi,

per consolar un'alma,

del foco tuo ti fe' ministra Amor.

 

AMORINI
a 2

Non ridete  

folli amanti,

se vedete

or d'Amor foschi i sembianti.

Sempre il volto ha nero, e scabro

chi per padre ha un dio, ch'è fabbro;

ed a ragion tetro color c'ingombra,

ch'i diletti d'Amor son fumo, ed ombra.

(qui spiccando il volo spariscono)

due amorini mori ->

 

Scena ventesima

Marzia. Apollonio. Lucindo. Escono dalla bocca dell'orca.

<- Marzia, Apollonio, Lucindo

 

LUCINDO

Addio mar, addio Glauco, addio Nettuno:  

più con Dori, ed Anfitrite

io non o' commercio alcuno.

Addio mare, addio Glauco, addio Nettuno.

Sento l core palpitante,

par ch'ondeggi anco il piè,

in quell'isola guizzante

più non ritorno a fé,

stanza è troppo aborrita

star dalla morte sol lontan tre dita.

È d'uopo, che la donna

sia un cibo molto crudo per natura;

s'ancor che sia sì vasta, e di gran lena

non poté digerirla una balena.

APOLLONIO

Marzia non sia stupore,

se dal cielo di Roma

oggi alle sirie sponde

la tua rara beltà guidai per l'acque,

che dal grembo del mar Venere nacque.

In mia virtù confida,

nelle braccia di Tito avrai conforto,

dopo il naufragio è più gradito il porto.

 

Sulla ruota di Fortuna  

va aguzzando Amor lo stral,

non però tal forza aduna,

che gli sia sempre letal,

varia ognor vicende, e stato

una diva girante, un nume alato.

 

MARZIA

Scagli pur l'ignudo arciero  

le sue faci a mille a mille,

che fra incendi, e tra faville

ho di Scevola il coraggio,

son di Porzia più costante:

per soffrir pena, ed oltraggio,

basta dir, ch'io sono amante.

 

 

Ah che quinci non lunge  

con un mondo d'armati

cinge Tito guerriero

ad immensa città le forti mura:

là tra 'l ferro, tra 'l sangue, e fra le stragi

sia mia gloria infinita

ritrovar fra le morti oggi la vita.

APOLLONIO

Quanto può del nero tartaro

l'infernal Giove terribile,

quanto val nel cieco baratro

di mia voce il suono orribile

a' tuoi cenni adoprerò,

d'Acheronte i numi pallidi

sol per te costringerò:

ma credi, credi a me,

che per destar ne' cori

amorose faville,

incanti più potenti han due pupille.

(forma l'incanto)

Or voi di Stige orrenda

spaventose falangi,

gran potenze d'Averno

uscite, uscite,

qua volate:

su queste ignude arene

vasta mole fermate.

 
 
Qui s'erge maestoso palazzo.

 Q 

 

APOLLONIO

Spera, o donna real, quel regio tetto  

sia tuo nobil ricetto,

splenda ne' tuoi bei lumi

or più brillante, e più sereno il raggio,

predomina alle stelle un cor, ch'è saggio.

LUCINDO

Ohimè! Misero me!

Per lo spavento

reggermi più non posso:

con quella nera verga

ha costui congiurato

di farmi entrar più d'uno spirto addosso.

MARZIA

È più dolce quell'amore,

che s'acquista col penar.

Sempre ascosa

fra le spine

sta la rosa;

e i suoi favi di rigore

l'ape ancora suole armar,

è più dolce quell'amore

che s'acquista col penar.

 

È più caro quel contento,  

che s'ottiene col martir,

mai non cogli

vaga perla,

che fra scogli,

e dal grembo del tormentoso

ha la nascita il gioir.

 

Marzia, Lucindo, Apollonio ->

Segue il ballo di Mori, che escono dal palazzo.

<- mori

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Gerosolima.

(si vedrà l'assalto, e presa di Gerosolima)

Polemone, soldati
 
Polemone, soldati
<- Berenice

Chi mi soccorre, o dio?

Polemone, soldati, Berenice
<- Elio, Ninfo

Cedi, o guerrier, del tuo destino all'onte

Ohimè, l'asta perdei!

Polemone, soldati, Berenice, Elio, Ninfo
<- Lepido

Cessate dal ferire: e tu campione

Barbaro imperatore invan pretende

Lepido
Berenice, Elio, Polemone, Ninfo, soldati ->

Qual bellezza divina

Lepido ->

Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari, elefanti con varie macchine, ed insegne da guerra.

Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati
 

Sotto al cesareo brando

Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati
<- Ninfo

Merta un eroe sì grande

Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati, Ninfo
<- Elio, Berenice, Polemone

Lepido il sommo duce

Tito, Domiziano, Cinna, capitani, soldati, Ninfo, Elio, Berenice, Polemone
<- Agrippa

Luci mie che mirate?

Domiziano, Berenice, Polemone, Agrippa
Tito, Elio, Cinna, Ninfo, capitani, soldati ->

Soccorrimi Cupido

Domiziano, Berenice, Agrippa
Polemone ->
Berenice, Agrippa
Domiziano ->

Mio rege, mio germano!

Berenice, Agrippa
<- Celso

Frena l'irata destra!

Berenice, Celso
Agrippa ->
Berenice, Celso
<- Sabina

Lagrimate occhi divini

O chiunque tu sia guerrier cortese

Sabina
Berenice, Celso ->

Occhi miei travedeste? Oppur la mente

Folle, ma che vaneggio: ed a che spargo

Sabina ->

Galleria con statue.

Tito
 

Tito, ma che vaneggi?

Tito
<- Domiziano, Ninfo

Dalle grazie di Tito

Ella è suora di re

Tito, Domiziano, Ninfo
<- Berenice, Celso

Eccomi al piè d'augusto

Tito, Berenice
Domiziano, Celso, Ninfo ->
Tito, Berenice
<- Polemone

(Polemone in disparte)

Mio monarca, e signore!

Berenice
Qual beltà
Tito, Polemone
Berenice ->

Ma che scorgo, ecco Adraspe

Polemone
Tito ->

Perché perfide stelle

Ma a che chiamar sin da più tetri abissi

Polemone ->

Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina.

(comparisce una smisurata balena, frenata da due amorini mori)

<- due amorini mori

Ferma i tuoi giri ondosi

due amorini mori ->

(la balena spalancando le vaste fauci espone sopra la spiaggia Marzia, Apollonio e Lucindo)

<- Marzia, Apollonio, Lucindo

Addio mar, addio Glauco, addio Nettuno

Ah che quinci non lunge

(le gran potenze d'Averno formano maestoso palazzo)

Maestoso palazzo.

Spera, o donna real, quel regio tetto

Marzia, Lucindo, Apollonio ->
<- mori

(ballo di mori)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima
Gerosolima. Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari,... Galleria con statue. Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina. Maestoso palazzo. Cortil regio. Notturna con appartamenti di Berenice. Boscaglia di cipressi con fontane, statue; spunta l'aurora. Ippodromo. Giardino con fontana, ove risiede la statua d'Adone con palazzo nel prospetto. Campagna montuosa sopra le sponde del Giordano. Reggia di Salomone.
Atto secondo Atto terzo

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