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Scena prima |
Bosco. Clitofonte, Rosinda. |
Q
Clitofonte, Rosinda
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CLITOFONTE |
L'isoletta è deserta,
incoltivato il pian, di sterpi ha l'erta.
Sol d'infeconde piante
nutre boschi spinosi il scabro sasso,
né può vagar senza fatica il passo.
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ROSINDA |
Quivi annidar si deve
infesta a' naviganti, o belva, o mostro,
l'uccida il valor nostro.
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CLITOFONTE |
Mostro a punto volando
ver noi Rosinda viene, all'armi, al brando.
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ROSINDA |
Dov'è, dov'è? No 'l miro, ove si pose?
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CLITOFONTE |
Volò nella tua bocca, e si nascose.
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ROSINDA |
Così scherzi, o diletto,
anima del mio petto?
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CLITOFONTE |
Non sono scherzi i miei,
entrar lo vidi, e nell'entrar scoccò
l'arco curvo il feroce, e m'impiagò!
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ROSINDA |
Se timido il volante
tra 'l mio labbro si chiusi egli è sicuro.
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CLITOFONTE |
Dunque vuoi dar ricetto
a miei nemici, o bella, a' traditori?
Scaccia, scaccialo fuori.
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ROSINDA |
No, no, l'assida il loco,
ne vorrà uscire. Ed a sforzarlo io temo,
che sceso nelle viscere, e fuggito,
non le squarci adirato, e inviperito.
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CLITOFONTE |
Di raddolcirlo almeno
procura, e fa', che sia pace fra noi,
o dell'anima mia cielo sereno.
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ROSINDA |
Placidetto s'asside
sull'uscio della bocca, eccolo, e ride.
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CLITOFONTE |
Ragion comanda, e vuole
l'uso, che con i baci
s'autentichin le paci.
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Scena seconda |
Rudione prigioniero d'un Gigante, Clitofonte, Rosinda. |
<- gigante, Rudione
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RUDIONE |
Padrona, Clitofonte
questo diavolo irsuto
all'inferno mi porta, aiuto, aiuto.
| gigante, Rudione ->
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Scena terza |
Clitofonte, Rosinda. |
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CLITOFONTE |
Non par, non par, che voli
quella mole corporea, e smisurata?
Ladron, ladron aspetta.
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ROSINDA |
Ei va sì, che rassembra una saetta.
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CLITOFONTE |
Attendimi Rosinda
qui dove imbosca orridamente il scoglio,
quel villano assassin punire io voglio.
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ROSINDA |
L'impresa a me si deve, interessata
nella prigion del mio.
Della spada incantata
la virtù vincitrice,
più che la forza, e il core,
m'inanima a seguire il predatore.
S'il suo nido nefando
sarà difeso da malvagi incanti
farà svanire ogni custodia il brando.
Incatenar lo vo' con suo gran scorno
spirto del mio spirto, io vado, e torno.
| Rosinda ->
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Scena quarta |
Clitofonte. |
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Se parte il mio respiro,
deh non mi lasciar solo
amor, che mi consolo,
se bene io non ti miro.
Lascivetto mio nume
invisibile al lume,
posto da parte il foco,
meco ragiona un poco.
Sento mille querele
di questo, e quell'amante,
che ti fanno crudele,
bugiardo, ed incostante.
Sei tale, o pur son queste
calunnie manifeste?
Rispondi amor mio caro
io son un dolce amaro.
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Scena quinta |
Thisandro, Clitofonte. |
<- Thisandro
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THISANDRO |
Thisandro il corso arresta,
s'il piede la tracciò, la spada tronchi
del nemico rival l'odiata testa.
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CLITOFONTE |
Un guerriero, un guerriero?
Il ferro impugna? Olà chi sei, che chiedi?
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THISANDRO |
Guerra, guerra, non vedi.
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CLITOFONTE |
E guerra avrai, che nato all'armi ed uso
battaglie non ricuso.
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THISANDRO |
Della tua diva indarno
ti salverò la vita
quella imago, che porti in sen scolpita.
Bersaglio de' miei colpi
sarà quel loco, e fragile ritegno
diverrà forte usbergo al mio disegno.
Quell'arcier scellerato
che ciecamente ti protegge, e guida
a tuo favor pugnando entri in steccato,
Thisandro ambo vi sfida.
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CLITOFONTE |
Il famoso Thisandro è questi, è questi?
Reggi la spada coraggiosa e destra
di ferir l'avversario è gran maestra.
Per tornar ne' sepolcri
risuscitasti, oppure
uscisti dagl'avelli
per farti delle belve esca, e d'augelli
per celarti al mio ferro
non ti giovar le fosse in questo lido.
Anch'io sfidato, e solo or ti disfido.
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THISANDRO |
Del valor di Thisandro
i superati incanti,
gl'atterriti giganti
le superbie domate
son prove note al mondo, e celebrate.
Della mia codardia
vo', che ragguaglio questo acciar ti dia.
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Scena sesta |
Vafrillo, Clitofonte, Thisandro. |
<- Vafrillo
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VAFRILLO |
Sospendete quell'ire, o cavalieri,
accorrete pietosi, ov'io vi guido,
gigante il più feroce
di quanti mai ne partorì la terra,
sproporzionata guerra
con ardita fanciulla è in pugna atroce
tutte lacere l'armi, e insanguinate
ha la guerriera, e lena
di reggersi sul piè conserva appena.
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CLITOFONTE |
Ohimè quest'è Rosinda.
La tenzon differita,
non si neghi il soccorso alla ferita
obbligo, cortesia
di cavalier, ci chiama all'opra pia.
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THISANDRO |
Non più ragion, comprendo
lo stimolo, ch'a nove
contese ora ti move
la pugnante piagata
è quella dispietata,
che tradì la mia fede. Io vo' ritorla
di quel mostro al furore,
e poi che veda lei, passarti il core.
Io vi volea congiunti,
il ciel v'unisce: andiam.
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CLITOFONTE |
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VAFRILLO |
Indebolito, e lasso
esser ciascun di voi
deve per la contesa.
Prendete pur vigore,
lenti ci incamminiamo. Il traditore
troppo è possente, e forte.
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CLITOFONTE |
Sarà condotta a morte,
se tardiam, la guerriera.
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VAFRILLO |
Ei non uccide:
vive brama le prede, ed ha diletto
tormentarle in prigion. L'infame tetto
se la lite è decisa
vi scorgerò dell'empio, ove i lor fieri
casi, piangon le donzelle, e cavalieri.
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THISANDRO |
E quando giunse, e quando
su questo scoglio abitator sì crudo?
Che vi fosse mai seppi. Egli si trovi,
e col suo fine al pellegrin si giovi.
| Clitofonte, Vafrillo, Thisandro ->
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Scena settima |
Palazzo incantato. Nerea, Cillena. |
Q
Nerea, Cillena, Thisandro, Clitofonte
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NEREA |
Su queste solitudini sassose
raggiunsi i fuggitivi
ora indifesi, e privi
della verga impotente
del lestrigon tiranno,
del lor Meandro in mia balia verranno.
L'incantato palazzo,
ch'eressero a' miei cenni, in un baleno,
spirti architetti, aperto sempre il varco,
la coppia infida ricettando in seno,
li negherà l'imbarco.
Le gigantee fantasme
seguendo la rivale or or qui arriva.
Vafrillo, semiviva
finta Rosinda, e tolto al ferro irato
di Thisandro il feroce,
il mio core, il mio fiato
per cui vivo, e respiro, a me s'invia
con l'incauto prigion, che m'imprigiona,
ch'al rigor del martir mi lascia, e dona.
Per levarmi il tormento
ogni rimedio io tento.
Che credi tu Cillena
svanirà la mia pena?
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CILLENA |
Spero, reina, spero
vederti consolata,
dal tuo crudel baciata, e ribaciata.
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CILLENA |
Lusinga, che prega
distempra il rigor.
Placabile è amor
bambino si piega.
Lusinga che prega
distempra il rigor.
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NEREA |
Lusingare
una tigre è vanità.
Sempre amare
le bevande amor mi dà.
Lusingare
una tigre è vanità,
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CILLENA |
Amando si speri
d'aver a gioir.
Tra dolci pensieri
svanisca il martir.
Amando si speri
d'aver a gioir.
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NEREA |
Sperar voglio
d'assaggiar di novo il mel,
che di scoglio
non ha il petto il mio crudel.
Sperar voglio
d'assaggiar di novo il mel.
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Scena ottava |
Rosinda, seguendo il Gigante, che le conduceva prigione il suo Rudione, appena tocca il limitare dell'incantato palazzo che tramortita se n' cade. Cillena, Nerea, Rosinda. |
<- Rosinda
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CILLENA |
Dell'incantato suolo
forza, virtù possente,
disanima la gente.
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NEREA |
Cadesti, empia cadesti,
ne' labirinti miei perfida entrasti.
Tu, che mi divoresti
le delizie, i contenti, alfin giungesti
a vomitarli alla vendetta in grembo:
ti minaccia naufragio orrido nembo
dalle cadute sue
facci il ciel, facci amore,
delle delizie mie, che sorga il fiore.
A quei tuoi svenimenti
svanisca il mio mortoro,
e provi l'alma amante il secol d'oro.
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CILLENA |
Dell'esangue meschina
pietà, pietà reina.
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NEREA |
Tra le reggie, e da regi
nacque Nerea, non tra bistonie selve
da immansuete belve:
inferocir non vo' contro la rea.
La beltà del mio bello
scusa il suo fallo, e gl'amorosi errori
scemano i miei rigori.
Vo', che pena le sia
per gl'atri, e per le sale
infaticabilmente andar vagante
in traccia del gigante.
Le notizie perdute,
il colosso cercato
le sembrerà l'amato,
e Thisandro il fuggivo
per Clitofonte abbraccerà, delusa.
L'anima, ch'è racchiusa
ne' stupidi soggiorni
agl'esercizi suoi la verga torni.
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CILLENA |
Comincia a respirare,
apre gl'occhi, e risorge.
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ROSINDA |
Chi m'ha levato il ferro?
Dov'è questo predon, questo villano?
Con disarmata mano
l'affogherò. Si cela?
Chi di voi me 'l rivela?
Tacete? Se no 'l trovo
con il nascoso loco
farò, ch'ardente incenerisca il foco.
| Rosinda ->
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Scena nona |
Cillena, Nerea. |
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CILLENA |
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NEREA |
Non può tardar l'arrivo
del mio bel fuggitivo;
avvicinar si deve.
Palpita il cor, l'anima trema, e 'l sangue
nelle fibre natie fatto è di neve.
Nerea misera langue,
tra la tema, e 'l desio gela avvampando:
le rigide bellezze, e troppo avare
cominciano i sospiri a salutare.
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Scena decima |
Vafrillo, Cillena, Nerea, Thisandro, Clitofonte. |
<- Vafrillo
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VAFRILLO |
Ecco li prigionieri
all'immobile passo
alla ferma attitudine, o stupore.
Non sembrano di sasso.
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NEREA |
Che mi vuoi morta? Ohimè rallenta amore,
non più rallenta l'arco,
ho di strali novelli il petto carco.
Oh mio dolce spietato, oh mio fugace,
non so come raccorti,
o nemico, od amante. Alla mia pace
ognor tu guerra apporti,
incessante flagello
sempre, sempre ti provo, o caro, o bello.
Per baciar la sua pena
l'alma da suoi recessi al labbro è giunta,
ma importuna onestà te sgrida e affrena
il semimorto senso,
del magico letargo
dalle catene, omai si sciolga, e sferri.
Raccogliete quei ferri.
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CILLENA |
Animate si sono
queste statue guerriere.
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THISANDRO |
Dov'è, dov'è la spada? Ove mi trovo?
In regie costrutture
non abitan ladroni.
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CILLENA |
Ahi che di novo
della carcere antica,
sfortunato amator, calco le porte.
Quest'è Nerea l'abbandonata. Oh sorte.
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NEREA |
Anco mi neghi ingrato
degl'occhi sprezzatori i rai scortesi?
Oppur del tuo peccato,
della tua fellonia complici resi,
non ardiscon fissarsi
nella lor tradita?
Luce bella, e gradita
ch'in due stelle divisa abbaglia i cori
volgimi i tuoi splendori.
Ti perdono l'offese. Un guardo pio
sconoscente mi neghi? Oh cruccio, oh dio.
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CILLENA |
Obbligate le luci ad altro oggetto
non voglion, ribellanti,
altro viso mirar, ch'il lor diletto.
Contro di me la verga adopra, e l'arti,
te l'affermo Nerea, non posso amarti.
| Clitofonte, Vafrillo ->
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Scena undicesima |
Thisandro, Nerea, Cillena. |
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THISANDRO |
Colei, che di Corcira
sostien lo scettro è questa,
che tra fiamma funesta
per chi mi tolse l'alma arde, e sospira?
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NEREA |
Così barbaro parti
tu seguiti il mio duolo, e non mai stanco
sempre ti sia con le sue spine accanto
principe, i nostri pianti
han la vena comune.
Amorose fortune
con egual tirannia
ci avvelenò l'ambrosia, onde, costretti,
toschi invece di nettare beviamo.
A raddolcir soletti,
queruli, i nostri amori andiamo, andiamo.
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THISANDRO |
Unisoni sospiri,
accordati singulti
sieno i nostri, o reina. Amor superbo
con fierezze ridenti
udirà l'armonia de' cor dolenti.
| Nerea, Thisandro ->
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Scena dodicesima |
Cillena. |
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Povero amor; ciascuno
ti lacera, e ti chiama
con barbari epiteti ingiusto dio.
Ti seguo pur anch'io,
né tal ti provo, anzi di te mi lodo.
Lascio chi non mi vuole, e così godo.
Mi spiace sol, mi spiace
d'essermi qui ridotta
tra gl'eremi, e tra i sassi a viver casta.
Mi tormenta, e contrasta
il lascivo desio, ch'in petto io covo.
Delle soglie incantate
più d'un spirto ministro
con mentite vaghezze alletta i sguardi.
Affé getto i riguardi
se tardo sul deserto, e col periglio
della sua lunga coda ad un m'appiglio.
| Cillena ->
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Scena tredicesima |
Aurilla. |
<- Aurilla
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Castigar lo voglio affé.
Più leggero
del pensiero
sempre sta,
sempre va lungi da me.
Castigar lo voglio affé.
So ben io, come si fa.
Nell'amare,
a domare
crudo cor,
schernitor della beltà.
So ben io, come si fa.
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Qui con Vafrillo il bello
mi condusse di corte
dentro nube volante
la maga mia, la mia reina amante.
Ei si smarrì, né sorte
ho di trovarlo, eppure
tutta ripiena d'amorose cure
il passo affaticando
lo vo, lo vo cercando.
Se crede il ribaldello
con maniere ritrose
spezzarmi il core a colpi di martello,
invece di schernir sarà schernito.
Egli è bene scaltrito,
m'anch'io, se non m'inganno,
semplicetta non sono,
s'alcun me la sa fare, io gli perdono.
Fanciulla anco mi vanto
nell'arti astute addottorar scolari,
e giocando in amor vincer dal pari.
Se n' viene vagabondo,
e discorre tra sé
per udir ciò, che dice,
vo' qui in disparte ritirare il piè.
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Scena quattordicesima |
Vafrillo, Aurilla in disparte. |
<- Vafrillo
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VAFRILLO
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
Di rado v'accendete,
ma quando poscia ardete
siete troppo tenaci in adorar.
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
Mille leggiadri amanti
non saranno bastanti a farvi amar.
Alfine un solo è buono,
postevi in abbandono,
i disprezzi di tanti a vendicar.
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
| (♦)
(♦)
|
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Aborrendo la reggia,
senza decoro, a guisa di baccante,
la bella delirante
i rimedi, che sa,
prova per ritenere il fuggitivo,
che posto d'altra amante in libertà,
e dell'amor primiero, è sano, e privo.
Per farci correr dietro
vi vuol la rigidezza, o donne care,
e bisogna con voi l'asprezza usare.
È spedito chi prega;
la vostra ostinazion vieppiù s'indura:
per renderla matura
non vi voglio impiastri, e lenitivi;
l'ammollisce il rigore,
e spesso un legno in voi ritrova amore.
Come il fucil trae dalla pietra il foco,
così da voi, più delle pietre dure,
pon le fiamme destar le battiture.
Vo' con Aurilla anch'io
fingermi rigidetto, acciò maggiore
in lei cresca il desio, sorga l'ardore;
vo' scolorir le sue sembianze belle.
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AURILLA |
Sì, sì, t'accorgerai, s'io son di quelle.
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VAFRILLO |
Eccola appunto. Voglio
finger di non vederla, e per mio gioco.
Far che giaccio geloso
cada sopra il suo foco.
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AURILLA |
Udrem ciò, che sa dir questo ritroso.
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VAFRILLO |
È ben più che stolto
chi adora un sol volto,
io dieci ne vo'.
Per una sola mai non arderò.
Certo, certo m'ha inteso.
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AURILLA |
Ei m'ha veduto,
e canta in questa guisa,
voglio in sagacità vincer l'astuto.
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VAFRILLO |
Non vo', ch'il mio bene
sia posto in catene
d'alcuna beltà:
voglio amare, e godere in libertà.
Tormentoso sospetto
le dée gelare il petto.
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AURILLA |
Aurilla a te. Se n' cada
morto a tuoi piè costui dalla sua spada.
Se crede alcun, ch'amore
alberghi nel mio seno egl'è in errore.
Son falsi i martiri,
son finti i sospiri,
è voce mentita,
mio spirto, mia vita.
Se crede alcun, ch'amore
alberghi nel mio petto egl'è in errore.
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VAFRILLO |
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AURILLA |
Cade trafitto omai questo infelice.
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Se pensa alcun, ch'in core
nutri incendio amoroso egl'è in errore.
Per scherzo amoreggio
l'amante beffeggio,
con dirgli mia speme,
mia fiamma, mio bene.
Se pensa alcun, ch'in core
nutri incendio amoroso egl'è in errore.
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VAFRILLO |
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AURILLA |
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VAFRILLO |
Così, così ti vanti
di schernire gl'amanti?
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AURILLA |
Sarei ben senza senno
ch'amassi da dovero:
non ho così leggero
pargoletto mio bello
il core, ed il cervello.
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VAFRILLO |
Eppur con queste voci amorosette
beffeggiando mi vai.
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AURILLA |
Son tanto avvezza
a mentir parolette, ed adulare,
che senza lusingar non so parlare.
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VAFRILLO |
Oh falsa speme mia, misero me.
Derelitto da te,
Vafrillo, che farà?
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AURILLA |
Altra ritroverà,
che più sinceramente
gli sanerà cortese il cor languente.
Feci patto con Cupido
di piagar, senz'ardor mai.
Sempre vezzi falseggia,
degl'amanti io me ne rido.
Se non è morto, more
il finto rigidetto, il vantatore.
A domar questi tiranni,
della nostra libertà
belle mie così si fa.
| Aurilla ->
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VAFRILLO |
Udì certo costei
i miei proponimenti,
ch'eran d'ingelosirla, e questi accenti
forma, imitando i miei,
per vincermi in rigore, e in gelosie,
d'accortezza natie,
forz'è, ch'io lo confessi,
donne ci superate, e il vostro ingegno
sol di far star gl'amanti aspira al segno.
Ma placherò ben io
l'alterato cor mio.
Queste comuni, e simulate asprezze
ci condiranno i baci, e le dolcezze.
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Scena quindicesima |
Rudione, Vafrillo. |
<- Rudione
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RUDIONE |
Ohimè non ho più scampo,
nella disgrazia mia di nuovo inciampo.
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VAFRILLO |
Ch'hai tu? Di che paventi?
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RUDIONE |
Io credea, che tu fossi
quell'orrendo gigante, e maledetto.
Mi torna il cor nel petto.
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VAFRILLO |
Di poco almeno errasti,
t'ingannò la statura
ma dentro queste mura,
che fai, chi sei, che cerchi, e com'entrasti?
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RUDIONE |
Son scudier di Rosinda,
qui dalla spiaggia, qui
mi condusse un gigante, e cerco alcuno,
che ristori, e che cibi il mio digiuno.
Cado, non ho più lena,
la fame, ohimè m'uccide,
s'a mangiar son sfidato io vinco Alcide.
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VAFRILLO |
Non temer, vo' saziarti;
olà quivi arrecate
vivande all'affamato,
condite, numerose, e delicate.
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Scena sedicesima |
Appariscono sei Nani, e s'accostano con sei coppe, ripiene di varie vivande, a Rudione. Rudione, Vafrillo, coro di Nani taciti. |
<- sei nani
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RUDIONE
Rallegrati mia gola,
ventre mio ti consola,
per letizia gridate
semivive budelle.
O vivande mie belle
tanto desiderate
voi siete il mio ristoro,
vi prendo, e vi divoro.
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In questo, escono dalle coppe de' Nani spaventevoli serpi, quali vomitando fuoco necessitano alla fuga il povero affamato. | Rudione ->
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VAFRILLO |
Ah, ah. Vo' seguitare
il deriso meschino, e da dovero
farlo, farlo cibare.
| Vafrillo ->
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Partito Vafrillo, i Nani intrecciano un ballo. | |
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