LA ROSINDA
Dramma per musica.
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Libretto di Giovanni FAUSTINI.
Musica di Francesco CAVALLI.
Prima esecuzione: carnevale 1651, Venezia.
Interlocutori:
NEREA regina di Corcira, amante di Clitofonte |
soprano |
ROSINDA principessa di Corinto amata da Thisandro, e innamorata di Clitofonte |
soprano |
CLITOFONTE principe di Creta, acceso di Rosinda |
tenore |
RUDIONE scudiero di Rosinda |
basso |
THISANDRO principe d'Argo, tradito amante di Rosinda |
basso |
PLUTONE |
basso |
PROSERPINA |
soprano |
VAFRILLO paggio di Nerea |
soprano |
CILLENA dama confidente di Nerea |
soprano |
AURILLA fanciulla di Nerea |
soprano |
MEANDRO mago, balio di Nerea |
basso |
Cori di maghe.
Coro di spiritelli.
Un Gigante tacito.
Coro di spiriti in forma di soldati di Nerea.
Coro di nani.
Coro di mostri di Meandro.
Eccettuata la prima scena, che si finge sopra uno scoglietto vicino a Corcira, si rappresenta la favola in una delle Strofadi, che sono due isolette del mar Ionio già nidi di Celeno, e dell'altre Arpie, dette di prima Plote, poscia Strofade, dal ritorno, che fecero Calaino, e Zeto figliuoli di Borea, avvertiti da Iride di non seguire più i cani di Giove, intendendo di quelli mostruosi, e voraci augelli, ch'avevano que' giovanetti Argonauti colà fugati sin dalla Tracia dalle mense del cieco Fineo, significando «strofe» in greco «ritorno».
Spettatore
La Rosinda è un puro romanzo. Le sue peripezie, e le sue azioni, lontane dal naturale, e del verosimile sono figlie di due verghe, e di due fonti. Mi dichiarai nell'antecedente Oristeo, che questi due drammi furono da me composti per disobbligazione di debito, non per avidità d'applauso.
Attendi alla favola.
Delucidazione della favola
Rosinda principessa di Corinto, avvezza all'armi, e per prove famosa, errando, com'era l'uso in quei tempi de' cavalieri a difesa de gl'impotenti, e per sradicare dal mondo i malvagi; giunse con Clitofonte, erede dello scettro di Creta, in Scithia, ambo là tratti dalla fama d'una difficile impresa; beverono dentro una selva dell'acque di certa fonte, che con occulta qualità smorzava le fiamme attuali d'Amore, e n'accendeva di nuove. Rosinda in pochi sorsi, lavata dal cor l'immagine di Thisandro, il più valoroso principe di quel secolo, s'innamorò del guerriero presente, e Clitofonte, spento quel foco, che per Nerea, regina di Corcira, l'ardeva, all'improvviso sospirò per Rosinda: Nerea istrutta nelle magiche discipline da Meandro il balio famosissimo mago, gettate l'arti, intese le spurie svisceratezze del suo caro, onde fattolo rapire da un turbine, mentre lusingava l'amata guerriera, in un delizioso loco di Corcira incantollo, spendendo però invano ogni allettamento per recuperare dall'ammaliato le perdute dolcezze. Meandro, tormentato nelle fredde impotenze dell'età da acuti stimoli amorosi per l'allieva, non potendo più vivere taciturno, scoprì il suo male alla bella regina. Le rigorose repulse, ch'ebbe, destarono lo sdegno nel savio vecchio, quale ritrovata Rosinda, che lacrimava le perdite del nuovo amante, con il dono d'una spada incantata, inviolla sopra d'una nave in forma di spaventevole serpe alla liberazione del sospirato. Dissipò l'innamorata con la virtù del ferro ogn'incanto, e sprigionate le sue viscere, ritornò al serpentino vascello, che raccolti gl'amanti, battendo l'ali per l'acque, si volse verso le Strofadi, dove disperato dimorava il principe d'Argo, Thisandro. Questi navigando il Ionio per andarsene a Corinto, desideroso d'aver nuove della sua bella, approdata la nave a Zacinto, ritrovò su la spiaggia Rudione, scudiero di Rosinda, dal quale intese la infedeltà della principessa, ed i suoi recenti amori con Clitofonte. Tramortì al funesto di quei ragguagli Thisandro, e giunta la notte, abbandonati nelle tende i sergenti, montò sopra d'un pallaschermo, e si diede all'arbitrio del mare, che gettollo alle deserte arene d'una delle Strofadi. Scese su l'incoltivato sasso il dolente, e stabilito di morire, tradito d'Amore, su quel deserto, separato da' vivi, si spogliò l'armi, ed appesele in forma di trofeo ad una quercia, intagliò nel tronco della pianta caratteri di disperazione con i quali esprimeva la cagione della sua morte.
Impose Meandro a quelle intelligenze, ch'invisibili reggevano il natante serpente, che lo facessero arrivare a quei lidi, acciocché Thisandro, conosciuto l'emulo, l'uccidesse, per addolorare con la strage del suo adorato, Nerea. Ella avvedutasi della fuga di Clitofonte, addoppiata la verga, e mormorati i carmi infruttuosamente per ritenerlo, superata dalli studi del balio, convoca orrendo concilio di maghe amiche su la solitudine a un scoglio a Corcira vicino, sperando, sconsigliata, di ritrovare in quella dieta, consiglio, e rimedio all'acerbità de' suoi casi.
Con la scena della tenda velata.
Le Furie.
Del magico concilio
chi vela li spettacoli?
Dei tartarei miracoli
chi chi l'aspetto ottenebra?
Squarcisi questa tenebra,
questa tela si laceri,
e la pompa terribile
fra le felci, e tra gli aceri
si faccia omai visibile.
Su su sorelle Eumenide
al sibilar degl'aspidi
tosto l'opra eseguiscasi
ratto il velo rapiscasi.
(portano con loro volando la tenda)
Selva sul deserto d'uno scoglio a Corcira vicino.
Nerea, Coro Primo, Secondo, Terzo di Maghe.
NEREA
Della magica tromba i fiati o saggie,
su quest'aride spiaggie,
tra i sacri orrori, e tra i silenzi amici
di questo bosco annoso,
perché noto vi sia del mio penoso
cordoglio repentin l'aspre ferite
v'invitar risonanti. Udite, udite.
Rosinda, ohimè Rosinda,
la guerriera rivale
da Meandro il ribello, e lo sleale
protetta, favorita,
m'ha rapito la vita.
D'un incantato brando
con il don, che le fece il traditore,
dell'arti mie troncando
la fanciulla virtù, m'ha tolto il core.
L'amato Clitofonte
sovra orribile pin con lei se n' fugge,
io lagrimosa il vedo, e i scherni e l'onte
non posso vendicar maga impotente,
ahi consigliate voi questa dolente.
CORO
Iº
Quell'anima è insensata,
ch'amante, e non amata
vuol languir volontaria in mezzo a' lai.
Nerea svegliati omai
dai sonni amorosi, e sciolti i nodi
fa', che fuor del tuo petto amor s'involi,
che della gelosa le sferze, i chiodi,
gl'aspidi, i geli il fier seco portando
ti lascerà d'alto conforto erede,
da servaggio sì reo libera il piede.
NEREA
Chi d'amor non conosce
la fatal forza, il suo valor non crede.
A medicar l'angosce,
ch'arreca lo suo strale
ragion punto non vale:
troppo è il suo laccio adamantino, e forte,
né sanar può sua piaga altri, che morte.
CORO
IIº
Se non valgono i carmi
contro magie canute,
a pro di tua salute,
poderosa reina, adopra l'armi.
NEREA
Ove pugna l'inferno
cade ogni uman vigore.
Dell'empio protettore
del vecchio miscredente
troppo l'arte è possente,
le falangi tartaree egli ha devote,
cedon le nostre verghe alle sue note.
CORO
IIIº
Di Persefone amica,
di Ecate a centri orrendi
precipita, discendi,
a lei le tirannie
esponi dal cadente, e i tuoi languori,
implora i suoi favori.
Con il lirico trace
la pietade a quei stagni un dì discese,
e col suo foco insin le furie accese.
Iº e IIº
Da luminosi superi
sì sì si piomba agl'inferi
il tuo tesor s'acquisti, e si recuperi.
NEREA
Ite sul dorso alato
de' vostri mostri alle natie contrade,
le sotterranee strade,
approvando il consiglio,
m'appresto di calcar con piante ardite.
Apriti o terra, io scender voglio a Dite.
CORO
Iº, IIº e IIIº
Da luminosi superi
sì sì si piomba agl'inferi
il tuo tesor s'acquisti, e si recuperi.
La spiaggia d'una delle Strofadi.
Rosinda, Clitofonte, Rudione.
ROSINDA
Il serpentino abete
qui s'arresta mio bene.
Quest'incognite arene
del nostro navigar sono le mete.
CLITOFONTE
Ogni terra, ogni lido
la spada n'assicura,
scendiamo pur, scendiam, bella guerriera
bella per mia ventura.
RUDIONE
Padrona mia, padrona, aita, aita.
Se cado in questo luogo,
vado nel mar, m'affogo.
ROSINDA
Sei pur, sei pur dappoco,
per sbarcare da un legno
anco chiedi il sostegno?
RUDIONE
Legno chiami quel drago?
Egl'è un diavolo vero,
quanto temei, che m'inghiottisse intero.
ROSINDA
Più che t'osservo, e miro,
Clitofonte mia speme
più dolcemente peno, e più sospiro.
Quando l'empia magia
dell'emula Nerea
prigionier ti tenea,
oh dio, di gelosia
provai tutti i tormenti, e se son viva,
del tuo nome invocato,
o mio cor sospirato,
oh mia fiamma infinita,
fu la virtù, che mi mantenne in vita.
CLITOFONTE
De' dileguati incanti,
degl'importuni, e disprezzati vezzi
la membranza si spezzi,
e fatta in polve la disperda il vento.
Dolce, dolce contento
il mio digiun ricrea, drizza quei sguardi
a' sguardi miei, che tardi?
ROSINDA
Li vibro. Eccoli, o caro,
ma se di strali armato
amore in lor s'annida
guarda, ch'ei non t'uccida.
CLITOFONTE
O luminosi, o belli
volanti spiritelli
s'uccidermi sapete io vi perdono.
Anco de' miei nel trono
s'asside un faretrato,
che le superbie atterra.
ROSINDA
A guerra dunque, a guerra.
CLITOFONTE
A guerra, a guerra sì.
ROSINDA
Vedrem chi meglio sa
piagar la sua beltà.
CLITOFONTE
Un dardo mi ferì.
ROSINDA
Quest'altro aspetta, aspetta.
CLITOFONTE
Arrotata saetta
ohimè mi passò il petto.
Lasso son quasi estinto,
non più lucidi arcieri, io son già vinto.
ROSINDA
Così, così si doma
il domator dell'alme,
pur ti cedo le palme.
RUDIONE
Non fan altro costoro,
ch'amoreggiarsi, ed io
per il terror passato anco mi moro.
CLITOFONTE
Rosinda il piè s'inoltri, alta avventura
serba l'isola a noi, che non a caso
qui ci drizzò che della nave ha cura.
ROSINDA
Così credo. E sparito il pino alato,
tu qui ci attendi.
RUDIONE
Andate,
non vi vorrei venir, benché chiamato.
CLITOFONTE
Fermati. Qual trofeo
sospende là quel tronco? E chi lo pose?
ROSINDA
Queste l'armi famose
son di Thisandro. Incise a piè del legno
che dicon quelle note?
CLITOFONTE
Infelice guerriero
navigante qui giace
non li pregar, ti prego o requie, o pace.
Disperato morì,
Rosinda lo tradì
amor l'estinse. Fuggi a vele piene
da queste infauste, e maledette arene.
ROSINDA
Ossa un tempo dilette,
del generoso pianto
già delle vostre lucide pupille,
ricevete le stille,
pietà vi piange, e intenerisce un petto,
chi vi lasciò per più gradito oggetto.
CLITOFONTE
Se qui d'intorno voli
ombra del grand'eroe,
mira del tuo rival nel volto impresso
del tuo fato il dolor. Le chiome eoe
di funebre cipresso,
e degli Sciti i crini
s'incoronino omai. Colossi, e marmi
eternino i tuoi gesti onor dell'armi.
Rudione.
Thisandro è qui sepolto?
Rosinda l'ammazzò.
Piangere anch'io lo vo'.
Ma lagrimar non posso:
mi disseccò degl'occhi il mesto umore
della fame il calore;
roderei, frangerei spolpato un osso
dentro del basilisco
non vidi una vivanda,
e se vi fosse stata
io non l'avrei mangiata,
tanto orror avei di quella furia.
Ora dove è penuria
d'ogni umano alimento
il mio destin m'ha spento.
Se l'isola è deserta, oh me meschino:
non vi sarà vicino,
ch'abbia d'un poveretto
forestier carità,
al sicuro di fame ei perirà.
Di già vacilla il piede,
l'occhio torbido mira,
il capo mi s'aggira,
mancar, morir mi sento,
voglio far testamento.
Rudion, che mangiò
qual lupo, e divorò
affamato morendo
così tosto, dicendo.
Lascio del mar, del lito
a corvi, alle balene il corpo mio,
a cibarsi di lui qui qui gl'invito.
Se 'l cibo mentre vissi
mi fu giocondo, e grato,
vo' morto esser mangiato.
Thisandro, Rudione.
THISANDRO
Armi, quando vi miro
io son dal vostro oggetto
a singhiozzar costretto.
Per gloriose prove
voi note al mondo, sovra scoglio inculto,
nidi d'infausti augelli, or dimorate,
lasciato il signor vostro; oh cieli, inulto.
Alla crudel troncate
le novelle speranze
esser doveano, e poi di sangue asperse
eleggersi i deserti.
L'erma spiaggia è conforme a' vostri merti.
RUDIONE
Sento gente, che parla?
Egl'è un uomo. Allegrezza.
Oh quanto si consola
il voto ventre, e l'affamata gola.
THISANDRO
Oh Thisandro, Thisandro
della tua donna infida
mira il caro scudiero, il servo infido.
Chi, chi ci vomitò su questo lido?
RUDIONE
Ohimè. Del guerrier morto
è questa l'ombra; ohimè.
THISANDRO
Che fa l'empia? Dov'è?
Non rispondi? Che sì
che ti gettò nel mar.
RUDIONE
Spirto va in pace.
La tua Rosinda, e Cli...
THISANDRO
Rosinda, oh stelle, e chi?
RUDIONE
Rosinda, e Clitofonte.
THISANDRO
Clitofonte?
RUDIONE
Di là
or se ne vanno appunto.
THISANDRO
Per dove? Per di qua?
RUDIONE
Sì sì sì per di là.
THISANDRO
Il vostro nume invoco,
oh furie, oh voi, che con le tedi, e gl'angeli
flagellandomi il sen m'ardete il core.
Disprezzato d'amore
sugl'occhi alla sleale
vo' sbranar il rivale
da voi spronato, e dallo sdegno invitto:
poscia cader trafitto
della mia destra, alla rival inante.
Non più, non più percosse
prendo l'armi, e li cerco, angui agitanti.
Rudione.
La fantasma sparì. Son tutto gelo.
Già già da me prende licenze il pelo.
Se l'avessi lasciato
almen da buon soldato
in un lascivo agone
non mi lamenterei, mi darei pace,
questo sol mi dispiace
pelarmi da poltrone.
Povero disgraziato;
speravo ristorarmi
creduto un uom quell'ombra,
e son stato vicino a spiritarmi,
con diavoli, e con larve
ha d'esser la mia pratica in eterno?
C'ho da far con l'inferno.
Rosinda mia, Rosinda
se mai giungo in sicuro
ti giuro a fé, ti giuro
con un addio lasciarti,
e alla capanna mia di far ritorno.
Non vo', non vo', ch'un giorno,
vivo presomi in spalla,
il demonio mi porti
alle case de' morti,
vo' star dove si mangia,
e scaldarmi col vin sin che potrò
non dove all'aria bruna
si languisce di sete, e si digiuna.
Quanto è soave, quanto
lagrimar per dolcezza
di dolce Bacco tracannando il pianto.
Gusto maggior non ho
quando formo bevendo il clò, clò, clò.
Oh mia fortuna avara,
dove m'hai tu condotto
a veder acqua sola, ed acqua amara.
Quando più sentirò
caro vin mio quel tuo clò, clò, clò?
La reggia di Dite.
Plutone, Proserpina.
PLUTONE
Amor ti cedo,
una sol dramma
della tua fiamma
di quanto foco
chiude il mio loco
ha più virtù
sceso quaggiù
l'aureo tuo strale
e più mortale;
fa maggior piaga.
Dolce mia vaga,
diva mia bella
per te quel monarca,
ch'impera a Cocito,
che regga la parca,
avvampa ferito.
PROSERPINA
Se crudele
t'impiagò la mia beltà,
cor fedele
il languor ti addolcirà.
Il mio labbro
nutre umor, ch'il foco ammorza,
e rinforza
il piacer col suo cinabro.
Se tu vuoi la sanità
bacia, o re,
la mia fé,
la mia bocca or te la dà.
PLUTONE
La tua bocca
quando bacia a mille a mille
le faville
nel mio seno avventa, e scocca.
Quando prendo
a baciar quel tuo divino
bel rubino,
più m'infiammo, e più m'offendo.
Per accendere,
per offendere
baciar vuoi spietata mia,
non pietà,
ferità
è la tua barbara, e ria.
Nerea, Plutone, Proserpina.
NEREA
Non col ramo di Cuma, o con la scorta,
tremenda maestade or qui discendo,
disperazion d'amore a voi mi porta,
e di torvi una preda io non pretendo.
Per l'ombre delle selve, e delle fonti,
triforme dèa, per l'orbe tuo d'argento,
per il tuo re de' popoli defonti
dà salubre ristoro al mio tormento.
PROSERPINA
Efficaci scongiuri
l'innamorata maga
per te signor mi prega.
Gl'affanni tuoi dispiega,
scoprimi la tua piaga.
NEREA
Amo guerrier gentile,
questi di pari ardore
mantenne acceso il core;
poscia infido, oh martire,
d'altra beltà seguace,
m'abbandonò fugace.
Io l'arti esercitando,
che tua mercé possedendo
tra i singulti, e tra 'l pianto
all'emula lo toglio,
e sovra ameno scoglio
tra delizie l'incanto.
Meandro, a me scoperti,
temerario vassal, gl'osceni amori,
sdegnato a' miei rigori
alle repulse mie fe', che Rosinda
con le perdite sue per tormentarmi
il caro m'involasse, e rese imbelle
con la mia verga il mormorar de' carmi;
il soccorso, che chiedo
è, che sordo Cocito
renda del traditor vani gli accenti;
le mie note impotenti
sovrastino alle sue come agl'incanti,
d'oltraggiarmi il fellon più non si vanti.
PLUTONE
La grazia si conceda.
Ratto sgombri costei l'infernal chiostro:
rieda alla luce, rieda.
De' suoi gelidi affetti
l'Erebo non infetti.
Questa d'Averno, questa,
Ecate mia, calpesta
la tenebrosa ria
colma di gelosia.
PROSERPINA
Amante addolorata
ascendi lieta, ascendi, e scaccia i guai,
in tuo favor le mie potenze avrai.
PLUTONE
Amorosa
bella mia,
di gelosa
peste amore, il cor mi guardi
i suoi dardi
di lassù scocchi pur, scocchi
né mi tocchi
la crudel con il suo gelo,
nell'inferno io godo il cielo.
Nerea.
Qui qui dove inonda
il pianto ogni sponda,
mi brilla il contento.
Qui dove il lamento
assorda col grido
di Stige ogni lido,
d'immenso diletto
fo centro il mio petto.
Speranze fugaci
qui dove non può
sperar chi v'entrò,
tra gli urli, e le faci,
in mezzo alle pene
vi trovo ancor vive.
Su mie fuggitive
all'alme e serene
magion della luce,
a' chiari soggiorni,
s'ascenda, si torni,
amor ci conduce.
Coro di Spiritelli.
Ora che rapido
chi sferza Cerbero
l'atro dell'Erebo
sgombrò con trivia,
il piè, ch'è libero
da' ligi ossequi
formi con giubilo
danza festevole.
In fieri crucci
gl'altri s'impieghino,
e l'ombre esprimino
tra i lor patiboli
accenti queruli,
noi, noi festevoli,
fendendo l'aria,
carole al giubilo
tessiamo elogio
codardo, e misero
si batti, e maceri.
Sei Spiritelli formano il ballo.
Bosco.
Clitofonte, Rosinda.
CLITOFONTE
L'isoletta è deserta,
incoltivato il pian, di sterpi ha l'erta.
Sol d'infeconde piante
nutre boschi spinosi il scabro sasso,
né può vagar senza fatica il passo.
ROSINDA
Quivi annidar si deve
infesta a' naviganti, o belva, o mostro,
l'uccida il valor nostro.
CLITOFONTE
Mostro a punto volando
ver noi Rosinda viene, all'armi, al brando.
ROSINDA
Dov'è, dov'è? No 'l miro, ove si pose?
CLITOFONTE
Volò nella tua bocca, e si nascose.
ROSINDA
Così scherzi, o diletto,
anima del mio petto?
CLITOFONTE
Non sono scherzi i miei,
entrar lo vidi, e nell'entrar scoccò
l'arco curvo il feroce, e m'impiagò!
ROSINDA
Se timido il volante
tra 'l mio labbro si chiusi egli è sicuro.
CLITOFONTE
Dunque vuoi dar ricetto
a miei nemici, o bella, a' traditori?
Scaccia, scaccialo fuori.
ROSINDA
No, no, l'assida il loco,
ne vorrà uscire. Ed a sforzarlo io temo,
che sceso nelle viscere, e fuggito,
non le squarci adirato, e inviperito.
CLITOFONTE
Di raddolcirlo almeno
procura, e fa', che sia pace fra noi,
o dell'anima mia cielo sereno.
ROSINDA
Placidetto s'asside
sull'uscio della bocca, eccolo, e ride.
CLITOFONTE
Ragion comanda, e vuole
l'uso, che con i baci
s'autentichin le paci.
Rudione prigioniero d'un Gigante, Clitofonte, Rosinda.
RUDIONE
Padrona, Clitofonte
questo diavolo irsuto
all'inferno mi porta, aiuto, aiuto.
Clitofonte, Rosinda.
CLITOFONTE
Non par, non par, che voli
quella mole corporea, e smisurata?
Ladron, ladron aspetta.
ROSINDA
Ei va sì, che rassembra una saetta.
CLITOFONTE
Attendimi Rosinda
qui dove imbosca orridamente il scoglio,
quel villano assassin punire io voglio.
ROSINDA
L'impresa a me si deve, interessata
nella prigion del mio.
Della spada incantata
la virtù vincitrice,
più che la forza, e il core,
m'inanima a seguire il predatore.
S'il suo nido nefando
sarà difeso da malvagi incanti
farà svanire ogni custodia il brando.
Incatenar lo vo' con suo gran scorno
spirto del mio spirto, io vado, e torno.
Clitofonte.
Se parte il mio respiro,
deh non mi lasciar solo
amor, che mi consolo,
se bene io non ti miro.
Lascivetto mio nume
invisibile al lume,
posto da parte il foco,
meco ragiona un poco.
Sento mille querele
di questo, e quell'amante,
che ti fanno crudele,
bugiardo, ed incostante.
Sei tale, o pur son queste
calunnie manifeste?
Rispondi amor mio caro
io son un dolce amaro.
Thisandro, Clitofonte.
THISANDRO
Thisandro il corso arresta,
s'il piede la tracciò, la spada tronchi
del nemico rival l'odiata testa.
CLITOFONTE
Un guerriero, un guerriero?
Il ferro impugna? Olà chi sei, che chiedi?
THISANDRO
Guerra, guerra, non vedi.
CLITOFONTE
E guerra avrai, che nato all'armi ed uso
battaglie non ricuso.
THISANDRO
Della tua diva indarno
ti salverò la vita
quella imago, che porti in sen scolpita.
Bersaglio de' miei colpi
sarà quel loco, e fragile ritegno
diverrà forte usbergo al mio disegno.
Quell'arcier scellerato
che ciecamente ti protegge, e guida
a tuo favor pugnando entri in steccato,
Thisandro ambo vi sfida.
CLITOFONTE
Il famoso Thisandro è questi, è questi?
Reggi la spada coraggiosa e destra
di ferir l'avversario è gran maestra.
Per tornar ne' sepolcri
risuscitasti, oppure
uscisti dagl'avelli
per farti delle belve esca, e d'augelli
per celarti al mio ferro
non ti giovar le fosse in questo lido.
Anch'io sfidato, e solo or ti disfido.
THISANDRO
Del valor di Thisandro
i superati incanti,
gl'atterriti giganti
le superbie domate
son prove note al mondo, e celebrate.
Della mia codardia
vo', che ragguaglio questo acciar ti dia.
Vafrillo, Clitofonte, Thisandro.
VAFRILLO
Sospendete quell'ire, o cavalieri,
accorrete pietosi, ov'io vi guido,
gigante il più feroce
di quanti mai ne partorì la terra,
sproporzionata guerra
con ardita fanciulla è in pugna atroce
tutte lacere l'armi, e insanguinate
ha la guerriera, e lena
di reggersi sul piè conserva appena.
CLITOFONTE
Ohimè quest'è Rosinda.
La tenzon differita,
non si neghi il soccorso alla ferita
obbligo, cortesia
di cavalier, ci chiama all'opra pia.
THISANDRO
Non più ragion, comprendo
lo stimolo, ch'a nove
contese ora ti move
la pugnante piagata
è quella dispietata,
che tradì la mia fede. Io vo' ritorla
di quel mostro al furore,
e poi che veda lei, passarti il core.
Io vi volea congiunti,
il ciel v'unisce: andiam.
CLITOFONTE
S'affretti il passo.
VAFRILLO
Indebolito, e lasso
esser ciascun di voi
deve per la contesa.
Prendete pur vigore,
lenti ci incamminiamo. Il traditore
troppo è possente, e forte.
CLITOFONTE
Sarà condotta a morte,
se tardiam, la guerriera.
VAFRILLO
Ei non uccide:
vive brama le prede, ed ha diletto
tormentarle in prigion. L'infame tetto
se la lite è decisa
vi scorgerò dell'empio, ove i lor fieri
casi, piangon le donzelle, e cavalieri.
THISANDRO
E quando giunse, e quando
su questo scoglio abitator sì crudo?
Che vi fosse mai seppi. Egli si trovi,
e col suo fine al pellegrin si giovi.
Palazzo incantato.
Nerea, Cillena.
NEREA
Su queste solitudini sassose
raggiunsi i fuggitivi
ora indifesi, e privi
della verga impotente
del lestrigon tiranno,
del lor Meandro in mia balia verranno.
L'incantato palazzo,
ch'eressero a' miei cenni, in un baleno,
spirti architetti, aperto sempre il varco,
la coppia infida ricettando in seno,
li negherà l'imbarco.
Le gigantee fantasme
seguendo la rivale or or qui arriva.
Vafrillo, semiviva
finta Rosinda, e tolto al ferro irato
di Thisandro il feroce,
il mio core, il mio fiato
per cui vivo, e respiro, a me s'invia
con l'incauto prigion, che m'imprigiona,
ch'al rigor del martir mi lascia, e dona.
Per levarmi il tormento
ogni rimedio io tento.
Che credi tu Cillena
svanirà la mia pena?
CILLENA
Spero, reina, spero
vederti consolata,
dal tuo crudel baciata, e ribaciata.
CILLENA
Lusinga, che prega
distempra il rigor.
Placabile è amor
bambino si piega.
Lusinga che prega
distempra il rigor.
NEREA
Lusingare
una tigre è vanità.
Sempre amare
le bevande amor mi dà.
Lusingare
una tigre è vanità,
CILLENA
Amando si speri
d'aver a gioir.
Tra dolci pensieri
svanisca il martir.
Amando si speri
d'aver a gioir.
NEREA
Sperar voglio
d'assaggiar di novo il mel,
che di scoglio
non ha il petto il mio crudel.
Sperar voglio
d'assaggiar di novo il mel.
Rosinda, seguendo il Gigante, che le conduceva prigione il suo Rudione, appena tocca il limitare dell'incantato palazzo che tramortita se n' cade.
Cillena, Nerea, Rosinda.
CILLENA
Dell'incantato suolo
forza, virtù possente,
disanima la gente.
NEREA
Cadesti, empia cadesti,
ne' labirinti miei perfida entrasti.
Tu, che mi divoresti
le delizie, i contenti, alfin giungesti
a vomitarli alla vendetta in grembo:
ti minaccia naufragio orrido nembo
dalle cadute sue
facci il ciel, facci amore,
delle delizie mie, che sorga il fiore.
A quei tuoi svenimenti
svanisca il mio mortoro,
e provi l'alma amante il secol d'oro.
CILLENA
Dell'esangue meschina
pietà, pietà reina.
NEREA
Tra le reggie, e da regi
nacque Nerea, non tra bistonie selve
da immansuete belve:
inferocir non vo' contro la rea.
La beltà del mio bello
scusa il suo fallo, e gl'amorosi errori
scemano i miei rigori.
Vo', che pena le sia
per gl'atri, e per le sale
infaticabilmente andar vagante
in traccia del gigante.
Le notizie perdute,
il colosso cercato
le sembrerà l'amato,
e Thisandro il fuggivo
per Clitofonte abbraccerà, delusa.
L'anima, ch'è racchiusa
ne' stupidi soggiorni
agl'esercizi suoi la verga torni.
CILLENA
Comincia a respirare,
apre gl'occhi, e risorge.
ROSINDA
Chi m'ha levato il ferro?
Dov'è questo predon, questo villano?
Con disarmata mano
l'affogherò. Si cela?
Chi di voi me 'l rivela?
Tacete? Se no 'l trovo
con il nascoso loco
farò, ch'ardente incenerisca il foco.
Cillena, Nerea.
CILLENA
Come rapida corre?
NEREA
Non può tardar l'arrivo
del mio bel fuggitivo;
avvicinar si deve.
Palpita il cor, l'anima trema, e 'l sangue
nelle fibre natie fatto è di neve.
Nerea misera langue,
tra la tema, e 'l desio gela avvampando:
le rigide bellezze, e troppo avare
cominciano i sospiri a salutare.
Vafrillo, Cillena, Nerea, Thisandro, Clitofonte.
VAFRILLO
Ecco li prigionieri
all'immobile passo
alla ferma attitudine, o stupore.
Non sembrano di sasso.
NEREA
Che mi vuoi morta? Ohimè rallenta amore,
non più rallenta l'arco,
ho di strali novelli il petto carco.
Oh mio dolce spietato, oh mio fugace,
non so come raccorti,
o nemico, od amante. Alla mia pace
ognor tu guerra apporti,
incessante flagello
sempre, sempre ti provo, o caro, o bello.
Per baciar la sua pena
l'alma da suoi recessi al labbro è giunta,
ma importuna onestà te sgrida e affrena
il semimorto senso,
del magico letargo
dalle catene, omai si sciolga, e sferri.
Raccogliete quei ferri.
CILLENA
Animate si sono
queste statue guerriere.
THISANDRO
Dov'è, dov'è la spada? Ove mi trovo?
In regie costrutture
non abitan ladroni.
CILLENA
Ahi che di novo
della carcere antica,
sfortunato amator, calco le porte.
Quest'è Nerea l'abbandonata. Oh sorte.
NEREA
Anco mi neghi ingrato
degl'occhi sprezzatori i rai scortesi?
Oppur del tuo peccato,
della tua fellonia complici resi,
non ardiscon fissarsi
nella lor tradita?
Luce bella, e gradita
ch'in due stelle divisa abbaglia i cori
volgimi i tuoi splendori.
Ti perdono l'offese. Un guardo pio
sconoscente mi neghi? Oh cruccio, oh dio.
CILLENA
Obbligate le luci ad altro oggetto
non voglion, ribellanti,
altro viso mirar, ch'il lor diletto.
Contro di me la verga adopra, e l'arti,
te l'affermo Nerea, non posso amarti.
Thisandro, Nerea, Cillena.
THISANDRO
Colei, che di Corcira
sostien lo scettro è questa,
che tra fiamma funesta
per chi mi tolse l'alma arde, e sospira?
NEREA
Così barbaro parti
tu seguiti il mio duolo, e non mai stanco
sempre ti sia con le sue spine accanto
principe, i nostri pianti
han la vena comune.
Amorose fortune
con egual tirannia
ci avvelenò l'ambrosia, onde, costretti,
toschi invece di nettare beviamo.
A raddolcir soletti,
queruli, i nostri amori andiamo, andiamo.
THISANDRO
Unisoni sospiri,
accordati singulti
sieno i nostri, o reina. Amor superbo
con fierezze ridenti
udirà l'armonia de' cor dolenti.
Cillena.
Povero amor; ciascuno
ti lacera, e ti chiama
con barbari epiteti ingiusto dio.
Ti seguo pur anch'io,
né tal ti provo, anzi di te mi lodo.
Lascio chi non mi vuole, e così godo.
Mi spiace sol, mi spiace
d'essermi qui ridotta
tra gl'eremi, e tra i sassi a viver casta.
Mi tormenta, e contrasta
il lascivo desio, ch'in petto io covo.
Delle soglie incantate
più d'un spirto ministro
con mentite vaghezze alletta i sguardi.
Affé getto i riguardi
se tardo sul deserto, e col periglio
della sua lunga coda ad un m'appiglio.
Aurilla.
Castigar lo voglio affé.
Più leggero
del pensiero
sempre sta,
sempre va lungi da me.
Castigar lo voglio affé.
So ben io, come si fa.
Nell'amare,
a domare
crudo cor,
schernitor della beltà.
So ben io, come si fa.
Qui con Vafrillo il bello
mi condusse di corte
dentro nube volante
la maga mia, la mia reina amante.
Ei si smarrì, né sorte
ho di trovarlo, eppure
tutta ripiena d'amorose cure
il passo affaticando
lo vo, lo vo cercando.
Se crede il ribaldello
con maniere ritrose
spezzarmi il core a colpi di martello,
invece di schernir sarà schernito.
Egli è bene scaltrito,
m'anch'io, se non m'inganno,
semplicetta non sono,
s'alcun me la sa fare, io gli perdono.
Fanciulla anco mi vanto
nell'arti astute addottorar scolari,
e giocando in amor vincer dal pari.
Se n' viene vagabondo,
e discorre tra sé
per udir ciò, che dice,
vo' qui in disparte ritirare il piè.
Vafrillo, Aurilla in disparte.
VAFRILLO
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
Di rado v'accendete,
ma quando poscia ardete
siete troppo tenaci in adorar.
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
Mille leggiadri amanti
non saranno bastanti a farvi amar.
Alfine un solo è buono,
postevi in abbandono,
i disprezzi di tanti a vendicar.
Povere donne mie,
amor quante pazzie vi sforza a far.
Aborrendo la reggia,
senza decoro, a guisa di baccante,
la bella delirante
i rimedi, che sa,
prova per ritenere il fuggitivo,
che posto d'altra amante in libertà,
e dell'amor primiero, è sano, e privo.
Per farci correr dietro
vi vuol la rigidezza, o donne care,
e bisogna con voi l'asprezza usare.
È spedito chi prega;
la vostra ostinazion vieppiù s'indura:
per renderla matura
non vi voglio impiastri, e lenitivi;
l'ammollisce il rigore,
e spesso un legno in voi ritrova amore.
Come il fucil trae dalla pietra il foco,
così da voi, più delle pietre dure,
pon le fiamme destar le battiture.
Vo' con Aurilla anch'io
fingermi rigidetto, acciò maggiore
in lei cresca il desio, sorga l'ardore;
vo' scolorir le sue sembianze belle.
AURILLA
Sì, sì, t'accorgerai, s'io son di quelle.
VAFRILLO
Eccola appunto. Voglio
finger di non vederla, e per mio gioco.
Far che giaccio geloso
cada sopra il suo foco.
AURILLA
Udrem ciò, che sa dir questo ritroso.
VAFRILLO
È ben più che stolto
chi adora un sol volto,
io dieci ne vo'.
Per una sola mai non arderò.
Certo, certo m'ha inteso.
AURILLA
Ei m'ha veduto,
e canta in questa guisa,
voglio in sagacità vincer l'astuto.
VAFRILLO
Non vo', ch'il mio bene
sia posto in catene
d'alcuna beltà:
voglio amare, e godere in libertà.
Tormentoso sospetto
le dée gelare il petto.
AURILLA
Aurilla a te. Se n' cada
morto a tuoi piè costui dalla sua spada.
Se crede alcun, ch'amore
alberghi nel mio seno egl'è in errore.
Son falsi i martiri,
son finti i sospiri,
è voce mentita,
mio spirto, mia vita.
Se crede alcun, ch'amore
alberghi nel mio petto egl'è in errore.
VAFRILLO
Ohimè costei che dice?
AURILLA
Cade trafitto omai questo infelice.
Se pensa alcun, ch'in core
nutri incendio amoroso egl'è in errore.
Per scherzo amoreggio
l'amante beffeggio,
con dirgli mia speme,
mia fiamma, mio bene.
Se pensa alcun, ch'in core
nutri incendio amoroso egl'è in errore.
VAFRILLO
Aurilla addio.
AURILLA
Vafrillo!
VAFRILLO
Così, così ti vanti
di schernire gl'amanti?
AURILLA
Sarei ben senza senno
ch'amassi da dovero:
non ho così leggero
pargoletto mio bello
il core, ed il cervello.
VAFRILLO
Eppur con queste voci amorosette
beffeggiando mi vai.
AURILLA
Son tanto avvezza
a mentir parolette, ed adulare,
che senza lusingar non so parlare.
VAFRILLO
Oh falsa speme mia, misero me.
Derelitto da te,
Vafrillo, che farà?
AURILLA
Altra ritroverà,
che più sinceramente
gli sanerà cortese il cor languente.
Feci patto con Cupido
di piagar, senz'ardor mai.
Sempre vezzi falseggia,
degl'amanti io me ne rido.
Se non è morto, more
il finto rigidetto, il vantatore.
A domar questi tiranni,
della nostra libertà
belle mie così si fa.
VAFRILLO
Udì certo costei
i miei proponimenti,
ch'eran d'ingelosirla, e questi accenti
forma, imitando i miei,
per vincermi in rigore, e in gelosie,
d'accortezza natie,
forz'è, ch'io lo confessi,
donne ci superate, e il vostro ingegno
sol di far star gl'amanti aspira al segno.
Ma placherò ben io
l'alterato cor mio.
Queste comuni, e simulate asprezze
ci condiranno i baci, e le dolcezze.
Rudione, Vafrillo.
RUDIONE
Ohimè non ho più scampo,
nella disgrazia mia di nuovo inciampo.
VAFRILLO
Ch'hai tu? Di che paventi?
RUDIONE
Io credea, che tu fossi
quell'orrendo gigante, e maledetto.
Mi torna il cor nel petto.
VAFRILLO
Di poco almeno errasti,
t'ingannò la statura
ma dentro queste mura,
che fai, chi sei, che cerchi, e com'entrasti?
RUDIONE
Son scudier di Rosinda,
qui dalla spiaggia, qui
mi condusse un gigante, e cerco alcuno,
che ristori, e che cibi il mio digiuno.
Cado, non ho più lena,
la fame, ohimè m'uccide,
s'a mangiar son sfidato io vinco Alcide.
VAFRILLO
Non temer, vo' saziarti;
olà quivi arrecate
vivande all'affamato,
condite, numerose, e delicate.
Appariscono sei Nani, e s'accostano con sei coppe, ripiene di varie vivande, a Rudione.
Rudione, Vafrillo, coro di Nani taciti.
RUDIONE
Rallegrati mia gola,
ventre mio ti consola,
per letizia gridate
semivive budelle.
O vivande mie belle
tanto desiderate
voi siete il mio ristoro,
vi prendo, e vi divoro.
In questo, escono dalle coppe de' Nani spaventevoli serpi, quali vomitando fuoco necessitano alla fuga il povero affamato.
VAFRILLO
Ah, ah. Vo' seguitare
il deriso meschino, e da dovero
farlo, farlo cibare.
Partito Vafrillo, i Nani intrecciano un ballo.
Rosinda.
Onde partii ritorno.
Qual di questo soggiorno
latebra, a me ti cela
o codardo ladrone?
Timido, la tenzone
con disarmata vergine paventi?
Senti il mio grido, senti.
Mi caverò l'usbergo,
mi trarrò l'elmo getterò lo scudo,
e con il corpo ignudo,
coperto sol quanto onestà richiede,
in singolar steccato
entrerò teco, esci pur, esci armato.
Anco non vieni, e temi
vilissimo assassino? O che morrai
nelle tane profonde
ove viltà ti asconde,
o ch'io ti sbranerò. Sì vasta mole
piena di codardia tolgasi al sole.
Thisandro, Rosinda.
THISANDRO
Rosinda l'incostante, ohimè Rosinda.
ROSINDA
Oh della vita mia immortale.
Ti fe' la mia tardanza
temer d'infausto evento,
onde, dolce tormento,
seguisti addolorato
l'orme del piede amato.
THISANDRO
Clitofonte mi crede,
l'incanto la delude.
O bellezze mie crude
dov'è l'antica fede?
ROSINDA
Non può chi si nasconde
inciampar nella morte,
sì trionfa del forte.
Fugace, e sbigottita
sempre da me seguita
fu quella belva umana.
Entrò qui, né so dove ella s'intana.
Ma tu lo spirto lasso
con la gemina stella
a ristorar ne vieni anima bella.
THISANDRO
Già, ch'a Thisandro, amore,
con barbaro rigore
fuggitivo li rende il suo piacere
vuol come Clitofonte almen godere.
Non potea,
vaga dèa,
il mio core
star disgiunto
dal suo centro, e dal suo punto.
Disse Amore,
che là solo
pien di duolo
mi scorge
che fai qui? Segui il mio piè.
Così scorto io vengo a te.
ROSINDA
Mio bel fato
sospirato
caro arrivi.
Co' tuoi soli
mi rallegri, e mi consoli.
Sempre vivi
scintillanti
e brillanti
sien per me
quei splendori, e di mia fé
le delizie, e la mercé.
Clitofonte, Rosinda, Thisandro.
CLITOFONTE
Non cadi Clitofonte?
L'angoscia non t'uccide?
Le tue bellezze infide
abbraccian lusinghiere, e lusingate,
il tuo rivale? Ah traditrici ingrate.
ROSINDA
Ecco il gigante indegno, ecco il rapace.
Ladron sì tardi audace?
Così di pigro ardire
armi quel petto infame?
Preparati alla pugna, ed al morire.
Dov'è la tua rapina?
Ov'è il mio scudiero
uomo non già, ma femmina assassina?
THISANDRO
Di novo delirante
le sembra Clitofonte
il cercato gigante.
CLITOFONTE
Ah Rosinda, Rosinda,
qual, qual tartareo oblio
la conoscenza mia ti sommerge?
La memoria dov'è
de' nostri dolci amori idolo mio?
ROSINDA
Dallo sdegno costui mi tragge il riso.
Chi sei tu?
CLITOFONTE
Clitofonte,
colui che mai te parte indiviso.
ROSINDA
Ah, ah, ah, ah; si finge
te mio foco il fellone,
conoscer non ti dée, perché la pena
non mandi il ferro a far grondar la vena.
THISANDRO
Lasciam questo codardo.
Non si lordi la mano
di sangue sì villano.
ROSINDA
No, no, non fuggirai
per mentir personaggio estremi i guai.
CLITOFONTE
Eccomi genuflesso
tua crudeltate appaga.
THISANDRO
Il vuoi più vile? Andiamo.
Libero colà parmi
Rudione veder.
ROSINDA
Sì sì partiamo.
Ah, ah, la codardia
tiene in quel seno il trono,
e spiega le sue insegne. A lei lo dono.
Clitofonte.
Ove vai? Torna, senti,
magica verga, bella mia, t'accieca.
Fantasmi fraudolenti
ti mutano gli oggetti.
I sviscerati affetti
ch'amano Clitofonte
son fa larve ingannati
voi, voi cieli, voi fati
queste degl'empi abissi
scelleraggini enormi acconsentite?
Fiera Nerea ti eclissi,
astro vendicativo, ogni contento,
e come martirizzi il mio diletto
con le ceraste sue ti sferzi Aletto.
Nerea, Clitofonte, Cillena.
NEREA
Dettami le parole
amorosa facondia, onde poss'io
del ribellante mio
stemprar nel cor ferino,
con la lingua di foco, il ghiaccio alpino.
CLITOFONTE
Vedila Clitofonte.
Fuggi le sue lusinghe, ed i suoi vezzi
dispera con i sprezzi.
NEREA
Ferma, arresta quel piede
o nobile macigno,
volubile tu l'hai come la fede.
Non partirai crudele,
pria che di mie querele
non odi il suon dolente, e che non senti
l'aspra tua ferità ne' miei lamenti.
CILLENA
Disdegnoso la mira.
CLITOFONTE
Che dirai, sempre infesta alla mia pace?
Arsi un tempo per te, smorzai la face,
l'accesi ad altro foco, e te lasciai.
Questi sono i tuoi lai.
Odimi, quel tuo pianto
non può risuscitar fiamma, ch'è spenta,
né il mormorato incanto
può dar la vita ad un estinto ardore,
saggia, chiudi la piaga, e sana il core.
CILLENA
Raddoppia la meschina
le calde lagrimatte.
NEREA
Ch'io non t'ami spietato?
La ragion non ha fiato
per smorzar quell'incendio aspro, e vorace.
Che nel mio petto infuso
per le vene mi serpe. Egra, ricuso
la sanità. Piuttosto,
che abbandonarti, o disperata speme
voglio amarti nell'odio, e nelle pene.
Vieni, vieni in questo seno,
che sereno
già t'accolse entro il suo latte.
Le sue, caro,
mamme intatte,
se già manna a te stillaro,
da quei fini
loro rubini.
Vo', ch'ambrosia or ti zampillino.
NEREA
Sii tranquillino
mio placato, e bel Polluce,
le mie sorti alla tua luce.
CLITOFONTE
Lusinghevol sirena
credi indarno allettarmi,
molli verran pria, che mi adeschi, i marmi.
Cillena, Nerea.
NEREA
Così parti sprezzante?
Il fulmine ti segua;
scaglialo dal tuo soglio, o gran tonante.
Lassa, lassa, chi nuoco?
Il castigo di foco
trattien, trattien signore.
L'amato traditore
m'offenda pure ardito,
inoffeso se n' vada, ed impunito.
Amor fulmina, amor del suo misfatto
è consigliero, e sprone:
sia l'iniquo garzone
confinato a girarsi eternamente
sull'orbe d'Ision tristo, e dolente.
CILLENA
Non ti smarrir reina
tra le repulse, ho speme
di vederti a gioir l'alma, che geme.
Meandro, Nerea, Cillena.
MEANDRO
Penitente offensore,
rubello supplicante
vedi al tuo piè prostrato, alta regnante.
CILLENA
Quest'è Meandro il saggio.
MEANDRO
A medicar l'oltraggio
con salubre licore a te ne vegno;
dall'amoroso regno
fuggito, e della fiamma,
che tra le brine dell'etade, il seno
m'ardea per te libero, e sano appieno.
NEREA
La reale indulgenza
ti cancella l'offese,
si dimentica i torti.
Ma qual rimedio al mio languire apporti?
MEANDRO
Rosinda, e Clitofonte
della scitica fonte
smorzar, libate l'acque, il foco antico,
e suscitaro in loro altro desio.
Tra i Garamanti è un rio,
che con contrari effetti
ravviva i spenti affetti.
L'onda, ch'è qui racchiusa
là, per giovarti io colsi, e a te la porto,
vedrai sorgente il tuo piacer, ch'è morto.
Torna Rosinda al seno
riverita mia figlia,
e vedrai meraviglia.
NEREA
Letizia, e giubilo,
cessate gl'impeti,
non uccidetemi,
il cor, che debole
non può resistere.
Lagrime torbide,
sospiri languidi,
io vi licenzio:
non più di assenzio
beverò i calici,
che del mio strazio
amore è sazio.
Cillena.
Gioirà la reina, io penerò,
mi saranno amarezze
le tue care dolcezze,
oggetti tormentosi ognor vedrò.
Ma no, di che m'affanno?
Clitofonte, e Nerea pacificati
i scogli lasceranno.
Io rivedrò la reggia, antico nido
de' miei dolci piaceri,
ove passo le notti, e i giorni interi
con più d'un mio Cupido
in lascive assemblee. Non più timore
ritorneremo a nostri lussi, o core.
Bellezze incoltivate
il vostro vago ornate,
accrescete con l'arte i vostri lampi,
chi vi rimira avvampi.
Giunte nella città
incatenate, ardete,
la mia necessità voi, voi sapete.
Affamata digiuno,
il sole è per me bruno
amor di gelo, e l'uomo sparito, e morto,
rendetemi il conforto.
Giunte nella città
incatenate, ardete,
la mia necessità voi, voi sapete.
Cortile del sopraddetto palazzo.
Rudione.
Lodato il mio Vafrillo ho empito il ventre.
Felici queste bande,
che vino, che vivande.
Mai più di qua mi parto. Addio Rosinda.
Non voglio più seguirti
fatto gioco de' spirti
al sole, ed alla neve:
qui si mangia, e si beve
in ozio, alla reale.
Ma Venere m'assale,
Bacco col suo calore
m'accende il pizzicore.
Quest'è un altro appetito,
che sopraggiunto m'ha,
e non trovar pavento
chi a questo incitamento
facea la carità.
Aurilla, Rudione.
AURILLA
Del mio petto
con le nevi accendo i cori
del diletto
dispensiera, e degli amori
fo beato
tra le braccia il vago amato.
RUDIONE
Uh, che bella fanciulla
piena di leggiadria.
Amor sa 'l mio bisogno, e qui l'invia.
AURILLA
Il mio bello ritroso
impetrò la mercé de' vanti arditi,
e confessò tra dolci abbracciamenti,
che gl'uomini, di noi
son schiavi impotenti.
RUDIONE
Ohimè l'ho perso, ohimè
nel petto egli non v'è.
AURILLA
E c'hai perduto?
RUDIONE
Il core.
Tu, tu me l'hai rubato,
qui venni in mia mal'ora
per restar sviscerato.
AURILLA
Povero sfortunato.
A dirtela, il tuo core
non lo rubai, nel petto mi saltò.
È vero sì, sì l'ho.
Ma pietosa al tuo caso atroce, e rio
farò un cambio, se vuoi, ti darò il mio.
RUDIONE
Volentieri lo torrò.
Così, così mio ben
con un core nel sen viver potrò.
Vafrillo, Aurilla, Rudione.
VAFRILLO
Aurilla, Aurilla mia
da tue bellezze rare
lontan star non poss'io.
Convien, che come il rio ritorni al mare.
AURILLA
Di te, di te più bello
ritrovato ho un amante,
vedilo, quest'è quello.
Vafrillo si dileggi
l'innamorato mostro, e si beffeggi.
VAFRILLO
Sì, sì. Se tu mi lasci
prezioso tesoro
perdo l'anima, e moro.
RUDIONE
Ospite mio gentile
se la tua cortesia già m'obbligò,
e se risuscitò
Rudione per te morto di fame
alle mie nove brame
concedi l'esca, e insin c'abito qua
rinunziami, ti prego,
questa, questa beltà.
Sana il mal, che mi festi:
col tuo lauto convito
fosti, fosti cagion del mio prurito.
AURILLA
Che licenza pretendi?
Non ha, non ha ragione
alcun sopra di me, libera io sono,
di novo mi ti dono.
VAFRILLO
Già, già che così vuole il mio destino,
al mio male acconsento.
Ti concedo il favore,
e voglio per tu' amore
soggettarmi al tormento.
Ma pregasi Cupido,
ch'assista a' tuoi diletti amico, e fido.
AURILLA
Cantiam, cantiam a tre
«amor di nostra fé».
La sai?
VAFRILLO
La so, la so.
RUDIONE
Anch'io vi seguirò.
AURILLA, VAFRILLO E RUDIONE
Amor di nostra fé
stringi, deh stringi i nodi,
e faccia tua mercé,
ch'il cor le tue dolcezze, e gusti, e godi:
proteggi i nostri ardori,
spargi, spargi il tuo mel sui nostri amori.
RUDIONE
Così, così partite?
Così, voi mi schernite?
AURILLA
Bel sembiante,
bell'amante
da baciar le verginelle.
Dove siete,
qui correte,
per baciarlo, o donne belle.
Bel sembiante,
bell'amante
da baciar le verginelle.
Vago labbro
di cinabro
da dar baci in dolci amplessi.
S'io 'l toccassi,
se 'l baciassi
sputerei sin che vivessi.
Vago labbro
di cinabro
da dar baci in dolci amplessi.
RUDIONE
Senso mio torna, torna
a tuoi sonni primieri,
né mai più ti destar su questo scoglio.
Esser da te non voglio
tormentato co' stimoli, e pensieri.
Non vuol questa villana in sé raccormi.
Senso mio dormi, dormi.
Rosinda, Clitofonte.
ROSINDA
Strane cose mi narri.
Maledetti deliri
voi m'arrecaste in sen l'odiato pondo
seno impuro, ed immondo,
contaminato, e infetto
dagl'aborriti amplessi,
della tua viva fiamma unito al petto
purga le sordidezze.
Perdonate all'offese, o mie bellezze.
CLITOFONTE
Ohimè di gioia io moro.
Congiunto a questo seno
dolce, grato veleno
con qualità di foco
m'uccide a poco, a poco.
ROSINDA
Quai svenimenti, o fido
mi ti rendono esangue, e semivivo?
Vipera non son io.
Apri gl'occhi ben mio.
CLITOFONTE
Abbandonati i sensi,
vicina alla tua bocca, uscir volea
l'anima dalla mia per cangiar nido;
s'interpose Cupido
e ritornar la fece a' primi offici
negl'elisi felici
del tuo petto bramava
passar beata l'ore
della carcere sua, caro il mio core.
Meandro, Rosinda, Clitofonte.
MEANDRO
Amanti, intempestivi
sono gli scherzi, e gl'amori.
Uscir da questi errori
tosto conviene a voi. Nerea sdegnosa
vi prepara prigion tetra, e penosa.
ROSINDA
Oh Meandro, Meandro.
CLITOFONTE
Oh saggio amico.
MEANDRO
Turbe di Flegetonte in mille forme
custodiscon l'uscita. Onda v'arreco,
che bevuta da voi farà, che cieco
divenga ogni custode, e ne' lor sibili
deluse l'empie guardie,
verrete agl'invisibili invisibili.
Ma per fuggir, sinché la fuga ha il varco,
dall'incantata rete,
ecco l'acqua bevete.
ROSINDA
Il rimedio ricevo.
CLITOFONTE
Pronto la prendo, e bevo.
MEANDRO
Beuta la salute
con l'onde avete, e risanati i cori
delle piaghe mal nate.
Omai vi ravvivate
dell'antiche faville o spenti ardori.
Già già scopro animarvi estinti affetti
onde prendo congedo,
e de' miei studi a tetti,
lieto alle vostre vite, io me ne riedo.
Rosinda, Clitofonte.
ROSINDA
Thisandro il core invoca,
e l'anima le dice
ch'è morto l'infelice.
CLITOFONTE
Nerea, questo sospiro
per messagger ti manda
delle sue conversioni il convertito.
Ei se ne viene ardito
a te sua dolce, e riaccesa face,
sperando d'ottener perdono, e pace.
ROSINDA
Tu, tu morte li desti
crudel, cangiando ardore.
Nella tua colpa infida
per vendetta t'uccida
l'affanno, o traditore.
CLITOFONTE
Dove sei? Vieni, vieni
mio ravvivato ardore
a rallegrarmi il core
delle bellezze tue con i baleni.
Dove sei? Vieni, vieni.
Nerea, Clitofonte, Cillena, Rosinda.
NEREA
Ancor sei tu satollo
di flagellarmi, o bello
mio tiran, mio rubello?
CLITOFONTE
Testimoni veraci
del mio cangiato intento
questi umori ti sien del pentimento,
che parti rugiadosi
il lume figlia, e stilla,
meta de' miei riposi,
calma del mio penar vaga, e tranquilla.
NEREA
Oh pentito adorato,
s'il ben era insperato
morta mi avrebbe il repentin piacere.
Grazie al bendato arciere
ritorni pur, ritorni
ricuperata speme
di queste braccia mie tra le catene.
CLITOFONTE
Delle tue gioie nove,
rinnovata reina,
son stata indovina.
ROSINDA
Mi son gl'altrui contenti
spine acute, e pungenti.
CLITOFONTE
Non vo', non vo' perdono,
punisci il delinquente.
Ribellante nocente
volontario mi rendo, e m'imprigiono.
Non vo', non vo' perdono,
punisci il delinquente.
NEREA
Punir ti vo' ben sì,
ma sieno i tuoi castighi
mirati dalla notte, e non dal dì.
Punir ti vo' ben sì.
ROSINDA
Io merto ogni tormento,
ch'il mio guerrier ho spento.
Sveni la vostra fede un'incostante,
esempio ad ogni amante
volubile, e leggera.
Pera la rea d'infedeltade, pera,
sveni la vostra fede un'incostante.
Thisandro, Nerea, Rosinda, Clitofonte, Cillena, Rudione.
THISANDRO
Della mia vaneggiante
traccio l'orme smarrite,
da quei vezzi ingannato
vago d'aver ferite.
NEREA
La tua fama, o guerriero, omai ritorni
a tralasciati voli
con le penne d'amore
prove del tuo valore
porti di novo all'occidente all'orto
valorosa Rosinda ecco il tuo morto.
ROSINDA
Vive Thisandro, vive? Ed io non spiro
nel vederti spirante
traditrice, spergiura, infida amante?
Non so come abbracciarti:
nella colpa avvilito
non osa rimirarti,
conscio de' suoi misfatti,
l'occhio ch'ad altro oggetto
sovvertì il core a consacrar l'affetto.
THISANDRO
Ti rimetto il delitto
bella mia lagrimosa.
In questo petto afflitto
riedi, corri, riposa.
Oh dio son tutto ghiaccio,
e pur stringo la fiamma, e 'l sole abbraccio.
CLITOFONTE
Resti il nostro furore
da quei nodi sì stretti incatenato,
e l'odio esanimato
cada tra quelle paci.
Al suon de' nostri baci
fugga la gelosia.
Raddoppiamo gl'amplessi anima mia.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)