Atto primo

 

Immagine d'epoca ()

[Ouvertura]

 N 

 

Scena prima

Gabinetto nella locanda di Taddeo.
Teodoro che in magnifica veste da camera malinconico e pensoso sta seduto presso un tavolino, e Gafforio sotto nome di Garbolino; poi Taddeo con il conto.
Indi Lisetta col caffè.

 Q 

Teodoro, Gafforio

 
[N. 1 - Introduzione]

 N 

GAFFORIO

Scaccia il duol, mio re, che degno  

quel tuo duol di te non è.

TEODORO

(Senza soldi e senza regno

brutta cosa è l'esser re.)

GAFFORIO

Deh sovvengati di Dario,

di Temistocle, di Mario,

e il destin di quegli eroi

grandi anch'essi, e pari tuoi,

ti dovrebbe consolar.

TEODORO

Figliuol mio, coteste istorie

io le so, le ho lette anch'io,

ma vorrei nel caso mio

non istorie ma danar.

 

<- Taddeo

TADDEO

(col conto)

Oh che splendida zimarra!

Se la cetra avesse al collo

giurerei ch'ei fosse Apollo.

TEODORO

Che domandi?

TADDEO

Se non erro

voi richiesto avete il conto;

v'ho servito: eccolo pronto.

TEODORO

Conti! oibò, perché m'accusi

d'incivil, di diffidente?

Garbolin?...

GAFFORIO

Non chiesi niente.

TEODORO

Tu t'inganni.

TADDEO

Ebben, scusate;

ma l'esigere i denari

son legittime domande;

e il pagar nelle locande

sono pratiche, son usi

troppo giusti e necessari

fin dal tempo di Noè.

TEODORO

Da' quel foglio a Garbolino.

GAFFORIO
(a Teodoro)

Ma signor, non ho un quattrino.

TEODORO
(piano a Gafforio)

Ah Gafforio, il so pur troppo,

sempre siam su quest'intoppo.

GAFFORIO
(a Taddeo)

Parlerem fra me e te.

 

<- Lisetta

LISETTA

(col caffè)

Signor conte, son qua lesta

co' lo zucchero e il caffè.

Ma perché con faccia mesta?

Così torbido, perché?

TEODORO

(a Lisetta mentre versa il caffè)

Ah tu sol, Lisetta mia,

col tuo brio, co' gli occhi tuoi

dissipar tu sola puoi

la crudel malinconia

che nel cor fissa mi sta.

LISETTA

Signor mio, troppa bontà.

Ma per or chiedo licenza,

che domestica incombenza

mi richiama ora di là.

TADDEO

Oh che figlia! oh che zitella!

TEODORO

(prendendo il caffè)

(Com'è savia.)

GAFFORIO

(Com'è bella.)

TEODORO, TADDEO E GAFFORIO

È un portento d'onestà.

TEODORO
(a Lisetta)

(dando la tazza)

M'abbandoni?

LISETTA
(a Teodoro)

(prendendo la tazza)

Mi perdoni.

TEODORO

Ah...

LISETTA
(a Teodoro)

Sospira?

TADDEO
(a Gafforio)

Che cos'ha?

GAFFORIO, TADDEO E LISETTA

Eh via, state allegramente,

dissipate il mal umor.

TEODORO

Vi ringrazio, buona gente,

vi ringrazio del buon cuor.

 
Taddeo e Lisetta partono.

Taddeo, Lisetta ->

 

Scena seconda

Teodoro e Gafforio.

 
Recitativo

GAFFORIO

Perdona, o sire: io da più giorni il grande  

magnanimo Teodoro

non riconosco in te, quel Teodoro

che a ragion per suo re Corsica elesse;

Corsica, patria mia, che per te spera

di riacquistar la gloria sua primiera.

Perché mesto e pensoso?...

TEODORO

Odi, Gafforio,

tu segretario mio, tu dello stato

ministro principal, che per seguirmi

vesti abito mentito, e di Gafforio

il nome in quel di Garbolin cangiasti;

se amo i popoli miei, se cerco e bramo

la lor felicità tu ben lo sai.

Di miei nemici alle ricerche esposto,

ramingo, vagabondo,

per sì bella cagion erro pe 'l mondo.

Pur tutto soffrirei; ma esausti sono

non sol gli erari pubblici del regno,

ma delle borse nostre,

e quest'è peggio assai,

il privato tesoro è voto omai.

E intanto invan dalle potenze amiche

i promessi sussidi attendo ognora.

GAFFORIO

Non disperiamo ancora: a noi fra breve

il gratuito don giunger qui deve

che dai fedeli sudditi del regno

mandasi a te, della lor fede in pegno,

onde in ogni ordinario aspetto, o sire,

una rimessa almen di mille lire.

TEODORO

E frattanto però duro, indiscreto

l'oste chiede denari, e porta il conto;

e non vorrei che un improvviso affronto...

Tremo solo in pensarvi.

GAFFORIO

Odi un pensiero

che ora in mente mi vien: codesta veste

che magnificamente ti ricopre

da capo a' piè le membra,

oggi inutil mi sembra.

TEODORO
(turbato)

E che pretendi

dirmi perciò?

GAFFORIO

Che in essa una risorsa

all'esausta tua borsa...

TEODORO

Oh dio! t'accheta.

Dunque tor mi vorresti

del mio regio splendor l'unico avanzo,

che in mirarlo talor sul dosso mio

mi risovvengo ancor che re son io.

GAFFORIO

Ma dimmi, e perché tanto

resti in Venezia ancor?

TEODORO

Sai che i sussidi

attendo qui dell'alleate corti.

Che qui i dispacci del mio regno attendo.

Che amo Lisetta inoltre sai; confesso

la debolezza mia:

cara m'è sol per lei quest'osteria.

Ed ella, oh dio, mi fugge, e par non veda

e non curi il mio amor.

GAFFORIO

So che tu l'ami,

ma non sdegnano amor l'anime grandi.

Lascia che al padre io parli,

e più discreto a domandar denari

forse lo renderò, forse la figlia

farò che a te si renda

più docile e indulgente; e se felice

alla fin non riesce il mio maneggio,

sia quel che vuol, noi non starem mai peggio.

TEODORO

Va', mi riposo in te: ma sopra tutto

bada, osserva, domanda

se genovesi son nella locanda.

GAFFORIO

Eh non temere: se cautele io prendo,

la pelle tua, la pelle mia difendo.

(parte)

Gafforio ->

 

Scena terza

Teodoro solo.

 
[N. 2 - Recitativo accompagnato]

 N 

 

O miei tristi pensier, che vergognosi  

dentro il sen v'ascondete, or che siam soli

uscite fuor dell'affannoso petto.

Che mi giova, a dispetto

delli natali miei, della mia sorte,

aver saputo co' lo scaltro ingegno

una corona, un regno

e il titolo acquistar di re de' Corsi,

se timido e meschino

son costretto a fuggir ed a celarmi?

E a qual birbon della più vil canaglia

Genova pon sul capo mio la taglia?

In ciaschedun che incontro

un assassin pavento,

a ogni passo un'insidia, un tradimento,

un colpo d'archibuso o di pistola,

o un coltel nella gola;

se desino, se ceno,

temo ch'ogni boccon non sia veleno,

e in mezzo a tanti guai per tormentarmi

mancava l'ostessina,

quella crudel che ognora

quanto mi sprezza più, più m'innamora.

 
[N. 3 - Aria Teodoro]

 N 

Io re sono e sono amante.    

Il mio amor è un brutto affanno,

il mio regno è un bel malanno,

ma la taglia è peggio ancor.

Quando volgo il mio pensiero

alla mia crudel Lisetta,

par che irato amor mi metta

mille diavoli nel cor.

Ch'io son re poi mi rammento,

e dai stimoli di gloria

cose a far degne d'istoria

infiammar mi sento allor.

Ma la solita paura

smorza amor, la gloria oscura,

e aver parmi sulla groppa

il sicario che m'accoppa

e con qualche botta ria

mi risana in sempiterno

dall'eroïca pazzia

della gloria e dell'amor.

(parte)

S

Sfondo schermo () ()

Teodoro ->

 
 

Scena quarta

Sala nella locanda suddetta.
Lisetta che stira la biancheria e altre Donzelle impiegate in diversi lavori, e poi Sandrino.

 Q 

Lisetta, donzelle

 
[N. 4 - Canzoni e coro]

 N 

LISETTA

O giovinette  

innamorate,

deh mi spiegate

che cos'è amor.

Se sia diletto,

se sia martire,

io ben capire

non posso ancor.

CORO DI DONZELLE

O giovinette

innamorate,

deh ci spiegate

che cos'è amor.

 

<- Sandrino

LISETTA

Il mio Sandrino

quando non vedo,

allora io credo

che sia dolor.

Se a me vicino

spiega il suo affetto,

gioia e diletto

lo credo allor.

CORO DI DONZELLE

O giovinette

innamorate,

deh ci spiegate

che cos'è amor.

 
Mentre canta Lisetta, giunge Sandrino e si pone in disparte a udire; poi si fa avanti dicendo:

SANDRINO

Amor che sia

se vuoi sapere,

Lisetta mia,

odil da me.

È un garzoncello

che ama il piacere,

è dolce e bello,

somiglia a te.

LISETTA E SANDRINO

Ai dolci palpiti

ch'io provo in seno

or sento appieno

amor cos'è.

CORO DI DONZELLE

O giovinette

innamorate,

or imparate

amor cos'è.

 
Recitativo

LISETTA

Caro Sandrino mio, perché cotanto  

ti fai desiderar?

SANDRINO

Bella Lisetta,

se teco esser vorrei continuamente

il ciel lo sa; ma il padre tuo... la gente...

LISETTA

La gente che può dir? quanto a mio padre

egli sa che ci amiamo, ed è contento

che tu sii sposo mio.

SANDRINO

Sì, ma quel conte,

che non si sa chi diavolo si sia,

ti guarda con certi occhi... Eh, non vorrei...

LISETTA

Non lo posso soffrir.

SANDRINO

Bada, Lisetta,

bada... non gli dar retta,

che costor che girando van pe 'l mondo

son furbi sopraffini, e fan mestiere

d'ingannar le fanciulle.

LISETTA

Eh non temere,

sì semplice non son...

SANDRINO

Nella locanda

son giunti ancor degli altri forestieri?

LISETTA

Giunto è un armen l'altr'ieri,

di cui non vidi mai

uom più fiero e superbo.

Quegli occhi, quella burbera figura,

quei brutti baffi suoi mi fan paura.

SANDRINO

Odi...

LISETTA

Sandrin, m'incresce assai che altrove

mi richiamino omai le mie faccende.

Ritiriamoci, amiche;

ci rivedrem di poi, Sandrino mio,

con maggior libertà.

SANDRINO

Lisetta addio.

 
[N. 5 - Duetto Lisetta e Sandrino]

 N 

LISETTA E SANDRINO

Ai dolci palpiti  

ch'io provo in seno

or sento appieno

amor cos'è.

CORO DI DONZELLE

O giovinette

innamorate,

or imparate

amor cos'è.

 
Le Donzelle, cantando il suddetto coro, pongono nei panieri le biancherie e le altre loro stoviglie, e poi partono appresso a Lisetta.

Lisetta, donzelle ->

 

Scena quinta

Acmet in abito d'armeno seguìto da' suoi Servitori vestiti nella medesima maniera e Sandrino, che attentamente l'osserva nell'uscir in scena.

<- Acmet, servitori

 
Acmet ordina a' suoi Servi che aspettino; essi fatta profondissima riverenza si ritirano in dietro.
Acmet passeggia pensoso e fa di tratto in tratto atti di smania, di fierezza e di collera.
 
[N. 6 - Aria Acmet]

 N 

ACMET

Se al mio fato terribile e fiero  

fisso il torbido e tetro pensiero,

mille serpi mi mordono il sen.

SANDRINO

(in disparte, vedendo venire Acmet)

(Chi è costui che con burbera faccia

fra sé stesso parlando se 'n vien?)

ACMET

Onta, rabbia, dispetto e furore

m'arroventano l'anima e il core

e v'infondono il loro velen.

SANDRINO

(Seco adirasi, freme e minaccia:

ah potessi comprenderlo almen.

 
Recitativo

SANDRINO

È certo quegli lo stranier di cui  

ragionava Lisetta.)

ACMET

(Io dunque Acmet -)

SANDRINO

(osservandolo)

(Veramente costui

ha una faccia assai brusca.)

ACMET

(- io dunque quello -)

SANDRINO

(Nuova affatto non m'è quella sembianza.)

ACMET

(- che coll'istesso onnipotente -)

SANDRINO

(Al certo

altrove il vidi.)

ACMET

(- il suo poter spartia,

e or balzato dal trono -)

SANDRINO

(Al volto... ai moti...)

(sempre tutti due da sé)

ACMET

(- fuggitivo, inseguito -)

SANDRINO

(Eh, possibil non è...)

ACMET

(- fra gl'inimici

del nome musulmano e di Maometto

vita e ricovro a mendicar costretto!)

(fa cenno ai servi, che fatta profondissima riverenza partono)

servitori ->

SANDRINO

(No, non m'inganno, è desso:  

è quegli Acmet istesso,

il deposto sultan.)

ACMET

(V'è chi m'osserva.

Se non erro altre volte

vidi colui.)

SANDRINO

(Mi guarda: io giurerei

che anch'ei mi riconosce.)

 

ACMET
(con aria fiera)

Olà, chi sei

tu che lo sguardo osi fissarmi in volto?

SANDRINO

Signor, son io mercante

e mi chiamo Sandrino: io vi guardava

perché credea d'avervi visto altrove.

ACMET
(con sorpresa)

Tu mi vedesti? e dove?

SANDRINO

Parmi in Costantinopoli.

ACMET

Tu dunque

fosti in Costantinopoli?

SANDRINO

Vi fui

col nostro ambasciator, e all'udienza

fui del sultano Acmet, che in guisa tale

rassomigliava a voi, che si diria

che siete Acmet istesso.

ACMET

(Util costui

esser mi può: voglio scoprirmi a lui.)

Odi, e di ciò che ti dirò parola

bada ben di non far con uom vivente.

O che la testa tua...

SANDRINO

D'un gran sultano

questo è pure lo stil. Signor, parlate:

tacer prometto.

ACMET

Io quel Acmet istesso,

sì quel Acmet io sono, a cui tu dici

ch'io somiglio cotanto.

SANDRINO
(con meraviglia)

Come! tu dunque Acmet...

ACMET

Ascolta, e taci.

Maomet nipote mio, come saprai,

di trono mi balzò, prigion mi chiuse

dentro il vecchio serraglio, e già risolto

avea di farmi strangolar: lo seppi,

e a tempo del cordon la cerimonia

co' la fuga prevenni, e tolto meco

oro e gioie in gran copia,

in abito d'armeno

mi condussi a Venezia, e qui mi faccio

Niceforo chiamar.

SANDRINO

Se l'opra mia

util credete, io l'offro a voi.

ACMET

L'accetto.

D'altro poi parlerem; per or vo' dirti

che quinci spesso trapassar vid'io

donna giovine e bella...

SANDRINO

Una straniera è quella, allegra e franca,

che Belisa si chiama: ella a te forse

piace, o signor.

ACMET

Sì, l'amo.

SANDRINO

In quest'istessa

locanda alloggia anch'essa; a lei potete

spiegar il vostro amor: fra noi permessa

è una gentil dichiarazion d'affetto;

ma l'altura e l'orgoglio

sorte fra noi non fa, fra noi l'uom cólto

con cortese linguaggio

presta alle belle omaggio;

piace il cor dolce e la gentil maniera,

s'odia il tuon minaccioso e l'alma fiera.

 
[N. 7 - Aria Sandrino]

 N 

Se stride irato il vento,  

se il mar minaccia e freme,

il passeggier lo teme,

lo teme il marinar.

Ma se la lieve auretta

scherzando increspa l'onda,

dall'arenosa sponda

a riguardarlo alletta,

e van le ninfe belle

sulle barchette snelle

per lo tranquillo mar.

(parte)

Sandrino ->

 
Recitativo

ACMET

Che nuovo stil di mendicar affetto!  

Pur m'è forza obliar chi son, che fui,

ed adottar le stravaganze altrui.

(parte)

Acmet ->

 

Scena sesta

Taddeo e poi Gafforio.

<- Taddeo

 

TADDEO

Da un bucolin segreto  

che risponde alla camera del conte

udii che Garbolin gli dava il titolo

di maestà, di sire.

Che diavolo vuol dire?

Sarebbe mai un re che viaggi incognito!

Perché no? grazie al ciel, non è più il tempo

che viaggiavano i re co' le migliaia

d'incomodi compagni.

Un dubbio sol... se è re, perché non paga?

Il perché vi sarà. Ho inteso dire

che i re hanno sempre un qualche lor perché

che non possiam saper noi gente bassa.

E poi, s'ei non è re, io non comprendo

perché mai Garbolin da re lo tratti.

O Alberto è re, oppur costor son matti.

 
[N. 8 - Aria Taddeo]

 N 

Che ne dici tu, Taddeo?    

È un birbante? è un conte? è un re?

Qual Berlich, qual Asmodeo

mi dirà chi diavol è?

Egli è un re; se re non è

perché mai chiamarlo re?

Qua v'è certo il suo perché.

Ma l'entrate non son troppe...

re di picche, o re di coppe.

Ma l'entrate non son ricche

re di coppe, o re di picche.

Qual Berlich, qual Asmodeo

mi dirà chi diavol è?

S

 

<- Gafforio

Recitativo

TADDEO

Ma Garbolino è qua.  

GAFFORIO

Taddeo, t'abbraccio,

tu sei un brav'uom.

TADDEO

(Con quella

sua gravità patetica costui

mi vuol pagar di complimenti.)

(a Gafforio)

E il conto?

GAFFORIO

Amico, il conto tuo né più discreto

né più giusto esser può; e perché appunto

sì onesto sei, vo' darti un buon consiglio.

TADDEO

Dunque tu vieni a darmi

consiglio, e non danar.

GAFFORIO

Sì, ma un consiglio

che val più che i danar; il mio padrone,

se generosamente alcun lo tratta,

di generosità più allor si picca;

e perciò ti consiglio

di non dargli mai conti, e alfin vedrai

che dieci volte più del conto avrai.

TADDEO

Ma dimmi un po', di grazia:

cotesto tuo padrone

chi è egli?

GAFFORIO

È il conte Alberto,

tu lo sai pur.

TADDEO

Conte, e non più?

GAFFORIO

No certo.

(turbato)

Qual dubbio? qual domanda?

Lo conosce qualcun nella locanda?

TADDEO

No, ma in passar poc'anzi

presso al vostro quartier, udii che tu

re lo chiamavi.

GAFFORIO

(come sopra)

Oh dio! caro Taddeo,

che non ti senta alcun; ciò che ascoltasti,

per carità, non t'esca mai di bocca.

TADDEO

Dunque è un re veramente? e perché tanto

teme di palesarsi?

GAFFORIO

Perché vuole

evitar i spettacoli e le feste

che vorria dargli la città e il senato.

TADDEO

Ma mi potresti dir che re egli sia?

(si cava il cappello, e Taddeo fa lo stesso)

GAFFORIO

Egli è il gran Teodoro, il re de' Corsi.

TADDEO

Come! egli è Teodoro? Ho udito tanto

parlar di lui...

GAFFORIO

Grand'uom, amico mio,

grande, caro Taddeo, te lo dich'io;

e se sai profittarne, una gran sorte

si prepara per te.

TADDEO

Che sorte?

GAFFORIO

Egli ama

la figlia tua.

TADDEO

Mia figlia! ah che tu scherzi.

GAFFORIO

Fidati a me, io non t'inganno.

TADDEO

E poi...

non può mia figlia esser sua sposa: il mondo,

tu vedi ben... l'onor... già mi capisci.

GAFFORIO

Capisco ben, Taddeo, tu t'hai ragione,

e perciò 'l mio padrone

pensa seco contrarre

matrimonio segreto, il qual col tempo

potrebbe pubblicarsi, e la tua figlia

montar sul trono e diventar regina.

TADDEO

(Gran sorte in ver questa saria per noi.)

(a Gafforio)

Ma come assicurarmi

poss'io, che vero sia quanto asserisci?

GAFFORIO

Vuoi prove; eccole qua: guarda e stupisci.

(tira di tasca un fascio di carte)

 
[N. 9 - Aria Gafforio]

 N 

Queste son lettere  

scritte in inglese,

questi capitoli

stesi in francese;

patti, prammatiche,

trattati autentici,

editti ed ordini,

e atti di regia

autorità.

(tira di tasca un gran sigillo)

Mira di Corsica

l'armi e il sigillo;

osserva, esamina:

per tutto scorgonsi

le marche e i titoli

di maestà.

(parte)

Gafforio ->

 

Scena settima

Taddeo, e poi Lisetta.

 
[N. 10 - Recitativo accompagnato]

 N 

TADDEO
(attonito)

(Gli editti... gli ordini...  

l'armi... il sigillo...

le marche... e i titoli

di maestà.)

Recitativo

 

Io son fuori di me, corpo del diavolo!

Qui non si tratta già di bagatelle;

di divenir si tratta

il suocero d'un re. Cosa può fare

il merito d'aver sì bella figlia!

Che importa a me se savio del consiglio,

se patrizio non son né senatore,

se tu, Lisetta mia, tu dolce frutto

di mia paternità compensi il tutto?

Impaziente io sono...

(va incontro a Lisetta che vede venire e l'abbraccia)

<- Lisetta

 

Eccola, ah vieni,  

vieni fra le mie braccia, o cara figlia,

tu lo splendor sarai di mia famiglia.

Le favole e l'istorie

parleranno di te.

LISETTA

Che dite mai?

Padre mio, non comprendo...

TADDEO

Ah tu sarai

sposa d'un re.

LISETTA

D'un re! (Sogna o delira?)

TADDEO

Conosci il conte Alberto.

LISETTA

È quei che alloggia

nella nostra locanda?

TADDEO

Quello appunto.

Egli conte non è.

LISETTA

Chi è dunque?

TADDEO

È un re,

un re che viaggia incognito.

LISETTA

E che specie

di re credete voi che sia costui?

TADDEO

Egli... ma zitto: egli è de' Corsi il re,

il gran Teodoro e non il conte Alberto.

LISETTA

Ma non potreste equivocar?

TADDEO

No certo.

Ogni sospetto è vano:

vidi con gli occhi miei, toccai con mano...

Recitativo accompagnato

 

Gli editti, gli ordini,

l'armi, il sigillo,

le marche e i titoli

di maestà.

Recitativo

TADDEO

Ei t'ama, e per isposa a me poc'anzi

dal segretario suo chieder ti fece.

LISETTA

O voi siete impazzato, o mi volete

far impazzar, e poi non vi sovviene

che in isposa a Sandrin mi prometteste?

TADDEO

Altri tempi, altre cure: or occuparsi

di sì bassi pensier più non conviene.

LISETTA

Ed io dovrei...

TADDEO

Non dubitar, carina;

sarai, Lisetta mia, sarai regina.

 
[N. 11 - Aria Taddeo]

 N 

Figlia, il cielo ti destina  

per isposa ad un sovrano;

ti vedrò lo scettro in mano

ed invece della cresta

la regal corona in testa;

e d'eredi una dozzina

usciran dal sen fecondo

della gravida regina

che saran stupor nel mondo

e de' sudditi l'amor.

E scherzando i nipotini

tutti intorno a me verranno.

O che cari pargoletti!

Che graziosi principini!

Ed i popoli soggetti

tutti omaggio presteranno

alla figlia, e al genitor.

(parte)

Taddeo ->

 

Scena ottava

Lisetta sola.

 
[N. 12 - Recitativo e Rondò Lisetta]

 N 

 

 

Che novità, che stravaganza è questa!  

Di qual confusïon m'empì la testa

di mio padre il linguaggio oscuro e strano?

Il conte Alberto è re?... vuole sposarmi?

Non vi sarebbe sotto qualche trappola

per ingannare me, e mio padre? e poi

come potrei Sandrino mio tradire?

Tradirlo! ah no... mi sentirei morire.

 

Come obliar potrei  

il mio primiero amor?

Ah ch'io mi morirei

di pena e di dolor.

Il caro amato oggetto

sveller non so dal cor.

E al mio primiero affetto

sarò costante ognor.

 

 

Ma che rimiro? Ei stesso  

con Belisa vien qua, molto occupati

in familiar discorsi, e allegri molto

mi paiono ambedue. Cos'egli mai

ha da far con colei? sono inquieta

se non giungo a saper di che si parli.

Mi porrò qui in disparte ad ascoltarli.

 

Scena nona

Belisa con Sandrino, e Lisetta in disparte.

<- Sandrino, Belisa

 
[N. 13 - Terzetto]

 N 

BELISA

Mio caro Sandrino,  

quel cor dunque m'ama?

SANDRINO

Ti cerca, ti brama,

per te tutto è ardor.

LISETTA

(Suo caro lo chiama,

si parla d'amor.)

BELISA

(prende per mano Sandrino)

Il vago mio volto

conquiste fa ognor.

LISETTA

(Che vedo! che ascolto!

M'insultano ancor!)

SANDRINO

Non far la tiranna

col nuovo amator.

LISETTA

(L'infido m'inganna,

e' finse finor.)

LISETTA

La rabbia, il dispetto

da questo momento

mi sento nel cor.

Insieme

BELISA E SANDRINO

La gioia, il diletto

da questo momento

mi sento nel cor.

(parte Lisetta)

Lisetta ->

 

Scena decima

Belisa e Sandrino.

 
Recitativo

SANDRINO

Dunque come dicea, gentil Belisa,  

quello stranier che t'ama,

il deposto sultano Acmet è quello

in abito d'armen.

BELISA

Che bella gloria

di veder a' miei piedi

un deposto sultan! Prendermi spasso

con quel turco vogl'io. Vo' che conosca

qual differenza passa

fra una schiava circassa

e una donna europea,

e di questo cervel vo' dargli idea.

SANDRINO

Felice te che sei

sempre lieta a dispetto

delle vicende tue.

BELISA

Le mie vicende,

che altri pianger farian, rider mi fanno.

SANDRINO

Sarei ben curioso

d'udir le tue avventure.

BELISA

Io di narrarle

non ho difficoltà. Nacqui in Westfalia;

un mio fratel, che solo

restat'era di tutta la famiglia,

inquieto, impaziente,

ardito, intraprendente,

d'indole romanzesca,

sparve improvviso, e nell'età più fresca

soletta mi lasciò.

SANDRINO

Crudel sventura!

BELISA

Il mal non fu sì grande. Uno straniero

mi si offre per isposo, a lui mi fido;

lo credo amante, e seco

abbandono la patria: indi a non molto

lo sposo m'abbandona.

SANDRINO

E allor...

BELISA

Per vari casi,

or altri abbandonando

ed or abbandonata,

qua giunsi, e così appresi

degli uomini a conoscer l'incostanza.

Della moneta istessa

a pagarli però m'accostumai;

a chi mi chiede amore

non dono il cor, né il niego:

ascolto tutti, e con nessun mi lego.

SANDRINO

Il tuo bizzarro amor, Belisa, ammiro.

Ma Acmet colà rimiro.

 

Scena undicesima

Acmet, Belisa e Sandrino.

<- Acmet

 

ACMET

Sandrin, colei ch'è teco è quella appunto  

che piace agli occhi miei.

SANDRINO

Belisa è questa.

BELISA

La vostra serva umil.

(prendendola per un braccio)

ACMET

Dunque vien meco.

BELISA

Olà, signor, che impertinenza! Abbiate

più rispetto di me.

(si distacca sdegnosamente)

ACMET

Tu non dicesti

che sei la serva mia?

BELISA

Turca è l'idea.

ACMET

Dunque non m'ami?

BELISA

Acciò ch io v'ami, a voi

tocca a ispirarmi amor.

ACMET

Il favor mio

sopra di te discese

come rugiada del mattin, che cade

ad innaffiar le rose e i tulipani.

BELISA
(a Sandrino)

Che diavol dice?

SANDRINO
(a Belisa)

È stil dei gran sultani.

BELISA

Eh, ch'io non ho bisogno

che rugiada m'innaffi.

(ad Acmet)

Grazie, Acmet, io ti rendo...

ACMET

Come! tu sai chi sono! ohimè, che intendo!

Sandrin, tu mi tradisti.

SANDRINO

È ver, gliel dissi;

è troppo giusto che la donna amata

sappia chi è quei che l'ama,

ché a sconosciuto oggetto

raro s'accorda affetto.

BELISA

Non temete, signor, ch'io tacerò,

e se amabil sarete io v'amerò.

ACMET

(presenta con aria autorevole un anello a Belisa)

Prendi questo gioiello: amami e taci.

BELISA

Che rozzo modo è quello

d'offrir doni a una giovine che s'ama?

ACMET

Che far dunque dovrei?

BELISA

Di buona grazia,

gentilmente convien pregarla pria

e d'accettarlo e di scusar l'ardire:

e femmine talora

di sì buon cuor vi sono

che fan l'onor fin d'accettar il dono.

SANDRINO

Che bizzarro cervel!

BELISA

(l'accarezza)

Via, caro turco,

questa prima lezion mettete in pratica,

fate l'offerta vostra.

SANDRINO

Questa è una cosa da morir di risa.

ACMET

Questo gioiello d'accettar, Belisa,

ti prego, e dell'ardir chiedo perdono.

BELISA

Scuso l'ardire, Acmet, e accetto il dono.

(facendo un grand'inchino prende il gioiello)

Bravo davver: da un turco

tanto non attendea; se seguirete

a profittar così, farete in breve

sotto la scuola mia

un onore immortale alla Turchia.

 
[N. 14 - Aria Belisa]

 N 

Se voi bramate  

il nostro amore,

l'arte imparate

di farvi amar.

I vezzi teneri,

i dolci modi,

il tratto amabile

sono quei nodi

che il cor ci possono

incatenar.

Col ruvido impero,

coll'aspra favella,

col ciglio severo,

di giovine bella

invan pretendete

l'affetto acquistar.

Se ancor non l'intende

tu meglio, o Sandrino,

a quel babbuino

la scuola puoi far.

(parte)

Belisa ->

 

Scena dodicesima

Acmet e Sandrino.

 
Recitativo

ACMET

Sandrin, questa ragazza  

è impertinente e pazza, e pur l'istessa

impertinenza sua, la sua pazzia

ha una segreta incognita magia

che irrìta il mio desir, punge il mio core.

La vo' seguir.

(parte)

Acmet ->

 

SANDRINO

Seguitela, signore.

Va', stai concio: hai trovato un umor bello

che a buon partito ti porrà il cervello.

(parte)

Sandrino ->

 

Scena tredicesima

Teodoro e Gafforio.

<- Teodoro, Gafforio

 

GAFFORIO

Signor, tutto è compìto,  

ritorno a te negoziator felice.

Al locandier parlai, qualche sospetto

vidi che avea dell'esser tuo, ma seppi

trarne vantaggio a tuo favor: gli dissi

chi sei.

TEODORO
(turbato)

Che mai facesti?

GAFFORIO

Non ti turbar, è un galantuom. Promise

il grand'arcano custodir, lo resi

fanatico di te, scoprii l'affetto

ch'hai per la figlia sua, lo lusingai

d'un matrimonio che, per or segreto,

dal regno un dì saria riconosciuto.

TEODORO

Ma la mia dignità tu comprometti.

GAFFORIO

Perché, signor? con isposar Lisetta

appaghi il genio tuo, né solo il padre

non più danar ci chiederà, ma forse

negli urgenti bisogni

ci porgerà qualche soccorso ancora.

TEODORO

E credi tu che con serene ciglia

d'un locandier la figlia

Corsica mirerà sul trono assisa?

GAFFORIO

Un espediente, o sire, atto alle tue

presenti circostanze, io sol propongo.

È sempre savio e giusto

quand'utile è un negozio,

come c'insegna il Puffendorff e il Grozio.

Se in avvenir non converrà, si sciolga.

Pe 'l volgo, o sire, indissolubil nodo

forma solo imeneo,

ma per disciorre i pari tuoi d'impegno

né grande sforzo vi vuol mai, né studio:

un divorzio, un ripudio...

legge o ragion, che il matrimonio annulli...

TEODORO

Ma che diranno i posteri?

GAFFORIO

Eh, mio sire,

sempre i viventi a modo lor faranno,

e i posteri diran quel che vorranno.

 

Scena quattordicesima

Taddeo che conduce Lisetta, e detti.

<- Taddeo, Lisetta

 
[N. 15 - Finale]

 N 

Finale.
 

TADDEO

Vieni, o figlia, a un re che t'ama  

e a regnar seco ti chiama.

Permettete, maestà,

ch'io mi prostri...

(s'inginocchia a Teodoro)

a' piedi vostri...

TEODORO

(porgendogli la mano)

Sorgi, amico: orsù favella.

TADDEO
(a Gafforio)

Anch'amico egli m'appella:

oh clemenza, oh gran bontà!

GAFFORIO

Ah, conoscer tu non puoi

tutti ancor i pregi suoi,

le sue grandi qualità.

LISETTA

(Io non so cosa mi dire

a sì strana novità.)

TADDEO

La mia figlia, eccelso sire,

l'amorosa vostra sposa,

si fa gloria d'obbedire

alla vostra volontà.

TEODORO

Ma Lisetta non risponde.

GAFFORIO

Bassa gli occhi e si confonde.

TADDEO

(a Lisetta)

Via, fatti animo, Lisetta...

(a Teodoro)

Ell'è un po' vergognosetta.

TEODORO

Ti ringrazio, caro amico,

del buon cor ch'io scorgo in te.

LISETTA

Padre mio, ciò ch io non dico

dillo tu, dillo per me.

TEODORO, TADDEO E GAFFORIO

Come attonita l'ha resa

la sorpresa e lo stupor.

LISETTA

(Di Sandrin che mi ha delusa

io non so scordarmi ancor.)

(a Teodoro, Taddeo e Gafforio)

Chiedo a voi perdono e scusa

del silenzio e del timor.

TEODORO, TADDEO E GAFFORIO

Merta ben perdono e scusa

quel silenzio e quel timor.

(partono)

Teodoro, Gafforio, Taddeo, Lisetta ->

 
 

Scena quindicesima

Sala.
Belisa che tira per un braccio Acmet.

 Q 

<- Belisa, Acmet

 

BELISA

Venite, via, movetevi,  

non siate sì selvatico,

andiamo a passeggiar.

ACMET

E dove mai mi strascichi?

Ah, che le braccia e gli omeri

tu mi potrai slogar.

BELISA

Perché star sempre in camera

solo, pensoso e tacito?

Vo' farvi socïabile:

a ciaschedun che incontrasi

vi voglio presentar.

ACMET

Con te, ragazza indocile,

mi vengon le vertigini.

Già mi vacilla il cerebro

e temo d'impazzar.

BELISA

Chi amante mio vuol essere

a modo mio dée far.

ACMET

Con te, ragazza indocile,

io temo d'impazzar.

BELISA

Vedete che le femmine

se daddover s'impegnano

a modo lor degli uomini

san l'indole cangiar.

Insieme

ACMET

Or veggo che le femmine

se daddover s'impegnano

a modo lor degli uomini

san l'indole cangiar.

 
(Belisa prende di nuovo Acmet per il braccio e lo conduce via)

Acmet, Belisa ->

 

Scena sedicesima

Sandrino solo, e poi Taddeo e Lisetta.

<- Sandrino

 

SANDRINO

Ov'è Lisetta,  

il mio bel foco?

In ogni loco

la cerco ognor.

 

<- Taddeo

TADDEO

(Gli editti e gli ordini,

le marche e i titoli

fissi nel capo

mi stanno ancor.)

SANDRINO

Quando, o Taddeo,

me con tua figlia

dolce imeneo

accoppierà?

TADDEO

Temo che retta

ad uom plebeo

la mia Lisetta

più non darà.

SANDRINO

(Che tuono insolito!

Che stravaganze!)

E le speranze?

E le promesse?

TADDEO

Le circostanze

non son l'istesse.

TADDEO

Lo rende stupido

tal novità.

Insieme

SANDRINO

Mi rende stupido

tal novità.

 

<- Lisetta

SANDRINO

Ma qua viene Lisetta, il mio bene.  

LISETTA

(escendo)

È qui il perfido, qui il traditore.

SANDRINO

Vieni, o cara, l'affanno e il dolore

deh consola d'un'anima amante,

che t'adora costante e fedel.

LISETTA

E osi ancora parlarmi d'amore,

e osi il guardo fissarmi nel volto?

Fuggi, ingrato, che più non ascolto

le menzogne d'un'alma infedel.

TADDEO

Brava figlia! quel nobile orgoglio

degno è d'anima grande, che al soglio

con ragion destinata è dal ciel.

SANDRINO

Ma che avvenne? che sento? ove sono?

Perché meco sei tanto crudel?

LISETTA

Vanne pur, mentitor, t'abbandono;

vanne perfido, vanne crudel.

TADDEO

D'uno scettro l'acquisto, e d'un trono,

val la pena di far la crudel.

 

Scena diciassettesima

Teodoro con Gafforio e detti.

<- Teodoro, Gafforio

 

TEODORO

Alfin mia diletta,  

mia bella Lisetta,

scacciasti dal core

il vano timore,

il tristo pensier?

TADDEO

Va', figlia, t'affretta,

va' incontro al tuo sposo.

GAFFORIO

(È assai premuroso...)

LISETTA

(Vo' far la vendetta

di quel menzogner.)

Accetto, signore,

l'offerta d'amore;

amor v'offro anch'io:

sarà voler mio

il vostro voler.

SANDRINO

Che veggio, che sento!

TADDEO

Che bel complimento!

TEODORO

O voci d'affetto,

che m'empiono il petto

di gioia e piacer!

LISETTA

Il perfido omai

il mio cangiamento

da questo momento

comincia a veder.

TEODORO, TADDEO E GAFFORIO

Con giubilo omai

quel suo cangiamento

da questo momento

comincio a veder.

Insieme

SANDRINO

L'origine omai

di quel cangiamento

da questo momento

comincio a veder.

 

Scena diciottesima

Belisa traendo per braccio Acmet, e detti.

<- Belisa, Acmet

 

BELISA

Vi presento, miei padroni,  

il gentil signor Niceforo.

(a Acmet)

Riveriteli, inchinatevi.

ACMET

(fa bruscamente un saluto)

Miei signori, vi saluto.

TUTTI

Ben venuto, ben venuto.

TEODORO

(vedendo Belisa)

Ma che veggo! che rimiro!

mia sorella al certo è quella.

BELISA

Che vegg'io! sogno o deliro?

certo quello è mio fratello.

GAFFORIO

(a Teodoro, accennando Acmet)

Ah signor, mira colui:

io ravviso Acmet in lui,

che vedemmo già sul soglio.

TEODORO

(a Gafforio)

Hai ragion, sì certo è desso.

(Cos'è mai codesto imbroglio!)

ACMET

(a Belisa)

Vedi tu quegli stranieri?

In Bisanzio gli ho veduti.

BELISA

Gli conosci?

ACMET

Uno di quegli

è de' Corsi il re posticcio.

BELISA

Oh che diavolo d'impiccio.

LISETTA, TADDEO E SANDRINO

Ma che avvenne? che cos'è?

 

BELISA

(a Sandrino, accennando Teodoro)

Chi è colui?

TEODORO

(a Lisetta, accennando Belisa)

Chi è colei?

GAFFORIO

(a Taddeo, accennando Acmet)

Chi è costui?

ACMET

(a Belisa, accennando Gafforio)

Colui chi è?

GAFFORIO

(a Lisetta, accennando Acmet)

Chi è colui?

TEODORO

(a Taddeo, accennando Belisa)

Chi è costei?

ACMET

(a Sandrino, accennando Teodoro)

Chi è costui?

BELISA

(a Taddeo, accennando Gafforio)

Colui chi è?

LISETTA, TADDEO E SANDRINO
(attoniti)

Si riguardano, stupiscono,

né capir posso il perché.

 

BELISA

(a Teodoro)

Sei o non sei fratello mio?

TEODORO

(a Belisa)

Taci taci, io... son io.

GAFFORIO

(a Belisa)

Non è quegli il turco sire?

BELISA

(a Gafforio)

Taci taci, non lo dire.

ACMET

(a Gafforio)

Non è quegli il re de' Corsi?

GAFFORIO

(ad Acmet)

Taci taci, oh che discorsi!

TADDEO

(ad Acmet)

Dunque Acmet degg'io chiamarti?

ACMET

(a Taddeo)

Taci taci, o fo strozzarti.

SANDRINO

(a Lisetta)

Dunque quei de' Corsi è il re?

LISETTA

(a Sandrino)

Taci taci, e bada a te.

TEODORO

(a Sandrino)

Non è quegli il gran sultano?

SANDRINO

(a Teodoro)

Taci taci, egli è un arcano.

LISETTA

(a Taddeo)

Ma costor che diamin hanno?

TADDEO

(a Lisetta)

Taci taci, essi lo sanno.

 

TUTTI

(Che sussurro! che bisbiglio    

or mi ronza nell'orecchia.

Non rimiro ovunque volgomi

che disordine e scompiglio.

Parmi in testa aver due mantici

che mi soffiano nel cerebro

e lo fan come una macina

rotolandolo girar.

Né sapendone l'origine

resto stupido ed estatico,

come un sasso immobile...

e non so cosa mi far.)

S

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TEODORO

Già Belisa  

mi ravvisa:

la donnesca indiscretezza

è saviezza

d'evitar.

(parte)

Teodoro ->

 

GAFFORIO

Pe 'l mio sire

a vero dire

dei pericoli preveggio:

non lo deggio

abbandonar.

(parte)

Gafforio ->

 

BELISA

S'egli è quello

mio fratello,

qui v'è sotto qualche imbroglio:

me ne voglio

assicurar.

(parte)

Belisa ->

 

ACMET

Quivi al certo

io son scoperto:

è savissimo consiglio

il periglio

di schivar.

(parte)

Acmet ->

 

SANDRINO

Io già vidi

i tratti infidi

di Lisetta, e so l'arcano:

or è vano

altro indagar.

(parte)

Sandrino ->

 

LISETTA

Sospettoso,

timoroso

ognun fugge: il caso è brutto;

meglio il tutto

io vo' appurar.

(parte)

Lisetta ->

 

TADDEO

Tutti son andati al diavolo,

m'han piantato come un cavolo.

E Taddeo cosa farà?

E Taddeo se n'anderà.

(parte)

Taddeo ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo

[Ouvertura]

Gabinetto nella locanda di Taddeo.

Teodoro, Gafforio
 

[N. 1 - Introduzione]

Gafforio e Teodoro, poi Taddeo e Lisetta
Scaccia il duol, mio re, che degno
Teodoro, Gafforio
<- Taddeo
 
Teodoro, Gafforio, Taddeo
<- Lisetta
 
Teodoro, Gafforio
Taddeo, Lisetta ->

Perdona, o sire: io da più giorni il grande

Teodoro
Gafforio ->

[N. 2 - Recitativo accompagnato]

O miei tristi pensier, che vergognosi

[N. 3 - Aria Teodoro]

Teodoro ->

Sala nella locanda.

Lisetta, donzelle
 

[N. 4 - Canzoni e coro]

Lisetta e Donzelle, poi Sandrino
O giovinette innamorate
Lisetta, donzelle
<- Sandrino

(Sandrino si pone in disparte a udire)

 

(Sandrino si fa avanti)

 

Caro Sandrino mio, perché cotanto

[N. 5 - Duetto Lisetta e Sandrino]

Lisetta e Sandrino, Donzelle
Ai dolci palpiti
Sandrino
Lisetta, donzelle ->
Sandrino
<- Acmet, servitori

[N. 6 - Aria Acmet]

È certo quegli lo stranier di cui

Sandrino, Acmet
servitori ->

No, non m'inganno, è desso

[N. 7 - Aria Sandrino]

Acmet
Sandrino ->

Che nuovo stil di mendicar affetto!

Acmet ->
<- Taddeo

Da un bucolin segreto

[N. 8 - Aria Taddeo]

Taddeo
<- Gafforio

Ma Garbolino è qua

[N. 9 - Aria Gafforio]

Taddeo
Gafforio ->

[N. 10 - Recitativo accompagnato]

Gli editti... gli ordini...

Taddeo
<- Lisetta

Eccola, ah vieni

[N. 11 - Aria Taddeo]

Lisetta
Taddeo ->

[N. 12 - Recitativo e Rondò Lisetta]

Che novità, che stravaganza è questa!

Ma che rimiro? Ei stesso

(Lisetta in disparte)

Lisetta
<- Sandrino, Belisa

[N. 13 - Terzetto]

Belisa, Sandrino e Lisetta
Mio caro Sandrino
Sandrino, Belisa
Lisetta ->

Dunque come dicea, gentil Belisa

Sandrino, Belisa
<- Acmet

Sandrin, colei ch'è teco è quella appunto

[N. 14 - Aria Belisa]

Sandrino, Acmet
Belisa ->

Sandrin, questa ragazza

Sandrino
Acmet ->

Sandrino ->
<- Teodoro, Gafforio

Signor, tutto è compìto

Teodoro, Gafforio
<- Taddeo, Lisetta

[N. 15 - Finale]

Taddeo, Teodoro, Gafforio e Lisetta
Vieni, o figlia, a un re che t'ama
Teodoro, Gafforio, Taddeo, Lisetta ->

Sala.

<- Belisa, Acmet
Belisa e Acmet
Venite, via, movetevi
Acmet, Belisa ->
<- Sandrino
Sandrino
<- Taddeo
 
Sandrino, Taddeo
<- Lisetta
Sandrino, Lisetta e Taddeo
Ma qua viene Lisetta, il mio bene
Sandrino, Taddeo, Lisetta
<- Teodoro, Gafforio
Sandrino, Taddeo, Lisetta, Teodoro, Gafforio
<- Belisa, Acmet
Tutti, in sequenza
Già Belisa mi ravvisa
Sandrino, Taddeo, Lisetta, Gafforio, Belisa, Acmet
Teodoro ->
 
Sandrino, Taddeo, Lisetta, Belisa, Acmet
Gafforio ->
 
Sandrino, Taddeo, Lisetta, Acmet
Belisa ->
 
Sandrino, Taddeo, Lisetta
Acmet ->
 
Taddeo, Lisetta
Sandrino ->
 
Taddeo
Lisetta ->
 
Taddeo ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima
Gabinetto nella locanda di Taddeo. Sala nella locanda. Sala. Gabinetto. Parte esteriore della locanda con veduta del ponte di Rialto. Gabinetto. Grand'atrio nella locanda sostenuto da un doppio ordine di colonne; in fondo balaustrata che corrisponde sul... Carcere interna; atrio anteriore alla carcere, visibile per mezzo di ferriate..
[Ouvertura] [N. 1 - Introduzione] [N. 2 - Recitativo accompagnato] [N. 3 - Aria Teodoro] [N. 4 - Canzoni e coro] [N. 5 - Duetto Lisetta e Sandrino] [N. 6 - Aria Acmet] [N. 7 - Aria Sandrino] [N. 8 - Aria Taddeo] [N. 9 - Aria Gafforio] [N. 10 - Recitativo accompagnato] [N. 11 - Aria Taddeo] [N. 12 - Recitativo e Rondò Lisetta] [N. 13 - Terzetto] [N. 14 - Aria Belisa] [N. 15 - Finale] [N. 16 - Recitativo accompagnato] [N. 17 - Aria Belisa] [N. 18 - Quartetto] [N. 19 - Aria Lisetta] [N. 20 - Aria Sandrino] [N. 21 - Coro] [N. 22 - Aria Acmet] [N. 23 - Coro] [N. 24 - Aria Taddeo] [N. 25 - Sogno di Teodoro] [N. 26 - Marcia] [N. 27 - Duetto Lisetta e Teodoro] [N. 28 - Finale]
Atto secondo

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