IL RE TEODORO IN VENEZIA
Dramma eroicomico.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Giovanni Battista CASTI.
Musica di Giovanni PAISIELLO.
Prima esecuzione: 23 agosto 1784, Vienna.
Attori:
TEODORO re di Corsica, sotto nome di conte Alberto |
basso |
GAFFORIO segretario e primo ministro di Teodoro, sotto nome di Garbolino |
tenore |
ACMET terzo gran sultano deposto, in abito d'armeno sotto nome di Niceforo |
basso |
TADDEO locandiere, padre di Lisetta |
basso |
LISETTA amante di Sandrino |
soprano |
SANDRINO mercante e amante di Lisetta |
tenore |
BELISA giovane venturiera e sorella di Teodoro |
soprano |
MESSER Grande con séguito |
basso |
Cori di Donzelle con Lisetta.
Gondoliere e Gondolieri.
Armeni del séguito d'Acmet, che non parlano.
Diverse altre comparse, che non parlano.
Argomento
Teodoro baron di Neühoff è uno di quei singolari fenomeni che di tratto in tratto offre la storia. Era egli nativo di Westfalia, di spirito fervido e intraprendente e d'indole romanzesca: dopo corse varie avventure in Germania, Francia, Svezia e Spagna, si portò in Tunisi, ove col mezzo del suo famoso amico baron di Riperda, che caduto dal ministero di Spagna si era con grandi ricchezze ricovrato in Africa, gli riuscì di ottenere da quel Bei e mercadanti considerevoli somme di danaro e munizioni di guerra co' le quali, sbarcato in Corsica, accolto fu con sommi onori da quei malcontenti, che allora erano alle mani co' Genovesi, e lusingandoli con grandiose promesse di flotte e di altri soccorsi per parte di diverse corti d'Europa gl'indusse di farsi da loro eleggere e incoronar re di Corsica; ma non comparendo mai né flotte né soccorsi, e mancatogli totalmente il danaro, i Corsi più non gli prestarono obbedienza ed ei fu costretto a ritirarsi dall'isola; e portatosi in Olanda e in Inghilterra, ivi gli riuscì di ammassare di nuovo del danaro, che l'incoraggiò a far qualche altra comparsa in Corsica; ma non più ricevuto né riconosciuto da quei popoli e spaventato dal bando pubblicato dalla Repubblica di Genova sopra la sua testa, ritornò in Olanda, ove fu carcerato per debiti; uscito dalla prigione si trasferì a Londra e anche colà fu fatto carcerare da' suoi creditori e, liberato ancora da questa prigionia, avendo per così dire esaurito e svaporato il cervello in tanti raffinati pensamenti e artificiosi ritrovati, restò stupido e indi a poco morì. Alcuni amatori dello straordinario gl'innalzarono un mausoleo ove era descritta la sua vita e le sue gesta.
Questo singolar personaggio è il soggetto del presente dramma, ove Teodoro si fa comparire in Venezia, come lo rappresenta uno dei più ameni tratti sortiti dalla penna d'un celebre scrittore in una delle sue più leggiadre e bizzarre produzioni generalmente conosciute. Tutte le circostanze sono immaginarie, e l'incontro di Acmet e di Belisa non deve riguardarsi che come semplice episodio. Si è dovuto sacrificare la convenevole estensione che richiederebbe il soggetto al comodo della musica, agl'incomodi usi comunemente ricevuti dal teatro italiano e ai limiti del tempo dentro i quali devono restringersi sì fatti spettacoli.
[Ouvertura]
Gabinetto nella locanda di Taddeo.
Teodoro che in magnifica veste da camera malinconico e pensoso sta seduto presso un tavolino, e Gafforio sotto nome di Garbolino; poi Taddeo con il conto.
Indi Lisetta col caffè.
[N. 1 - Introduzione]
GAFFORIO
Scaccia il duol, mio re, che degno
quel tuo duol di te non è.
TEODORO
(Senza soldi e senza regno
brutta cosa è l'esser re.)
GAFFORIO
Deh sovvengati di Dario,
di Temistocle, di Mario,
e il destin di quegli eroi
grandi anch'essi, e pari tuoi,
ti dovrebbe consolar.
TEODORO
Figliuol mio, coteste istorie
io le so, le ho lette anch'io,
ma vorrei nel caso mio
non istorie ma danar.
TADDEO
(col conto)
Oh che splendida zimarra!
Se la cetra avesse al collo
giurerei ch'ei fosse Apollo.
TEODORO
Che domandi?
TADDEO
Se non erro
voi richiesto avete il conto;
v'ho servito: eccolo pronto.
TEODORO
Conti! oibò, perché m'accusi
d'incivil, di diffidente?
Garbolin?...
GAFFORIO
Non chiesi niente.
TEODORO
Tu t'inganni.
TADDEO
Ebben, scusate;
ma l'esigere i denari
son legittime domande;
e il pagar nelle locande
sono pratiche, son usi
troppo giusti e necessari
fin dal tempo di Noè.
TEODORO
Da' quel foglio a Garbolino.
GAFFORIO
(a Teodoro)
Ma signor, non ho un quattrino.
TEODORO
(piano a Gafforio)
Ah Gafforio, il so pur troppo,
sempre siam su quest'intoppo.
GAFFORIO
(a Taddeo)
Parlerem fra me e te.
LISETTA
(col caffè)
Signor conte, son qua lesta
co' lo zucchero e il caffè.
Ma perché con faccia mesta?
Così torbido, perché?
TEODORO
(a Lisetta mentre versa il caffè)
Ah tu sol, Lisetta mia,
col tuo brio, co' gli occhi tuoi
dissipar tu sola puoi
la crudel malinconia
che nel cor fissa mi sta.
LISETTA
Signor mio, troppa bontà.
Ma per or chiedo licenza,
che domestica incombenza
mi richiama ora di là.
TADDEO
Oh che figlia! oh che zitella!
TEODORO
(prendendo il caffè)
(Com'è savia.)
GAFFORIO
(Com'è bella.)
TEODORO, TADDEO E GAFFORIO
È un portento d'onestà.
TEODORO
(a Lisetta)
(dando la tazza)
M'abbandoni?
LISETTA
(a Teodoro)
(prendendo la tazza)
Mi perdoni.
TEODORO
Ah...
LISETTA
(a Teodoro)
Sospira?
TADDEO
(a Gafforio)
Che cos'ha?
GAFFORIO, TADDEO E LISETTA
Eh via, state allegramente,
dissipate il mal umor.
TEODORO
Vi ringrazio, buona gente,
vi ringrazio del buon cuor.
Taddeo e Lisetta partono.
Teodoro e Gafforio.
Recitativo
GAFFORIO
Perdona, o sire: io da più giorni il grande
magnanimo Teodoro
non riconosco in te, quel Teodoro
che a ragion per suo re Corsica elesse;
Corsica, patria mia, che per te spera
di riacquistar la gloria sua primiera.
Perché mesto e pensoso?...
TEODORO
Odi, Gafforio,
tu segretario mio, tu dello stato
ministro principal, che per seguirmi
vesti abito mentito, e di Gafforio
il nome in quel di Garbolin cangiasti;
se amo i popoli miei, se cerco e bramo
la lor felicità tu ben lo sai.
Di miei nemici alle ricerche esposto,
ramingo, vagabondo,
per sì bella cagion erro pe 'l mondo.
Pur tutto soffrirei; ma esausti sono
non sol gli erari pubblici del regno,
ma delle borse nostre,
e quest'è peggio assai,
il privato tesoro è voto omai.
E intanto invan dalle potenze amiche
i promessi sussidi attendo ognora.
GAFFORIO
Non disperiamo ancora: a noi fra breve
il gratuito don giunger qui deve
che dai fedeli sudditi del regno
mandasi a te, della lor fede in pegno,
onde in ogni ordinario aspetto, o sire,
una rimessa almen di mille lire.
TEODORO
E frattanto però duro, indiscreto
l'oste chiede denari, e porta il conto;
e non vorrei che un improvviso affronto...
Tremo solo in pensarvi.
GAFFORIO
Odi un pensiero
che ora in mente mi vien: codesta veste
che magnificamente ti ricopre
da capo a' piè le membra,
oggi inutil mi sembra.
TEODORO
(turbato)
E che pretendi
dirmi perciò?
GAFFORIO
Che in essa una risorsa
all'esausta tua borsa...
TEODORO
Oh dio! t'accheta.
Dunque tor mi vorresti
del mio regio splendor l'unico avanzo,
che in mirarlo talor sul dosso mio
mi risovvengo ancor che re son io.
GAFFORIO
Ma dimmi, e perché tanto
resti in Venezia ancor?
TEODORO
Sai che i sussidi
attendo qui dell'alleate corti.
Che qui i dispacci del mio regno attendo.
Che amo Lisetta inoltre sai; confesso
la debolezza mia:
cara m'è sol per lei quest'osteria.
Ed ella, oh dio, mi fugge, e par non veda
e non curi il mio amor.
GAFFORIO
So che tu l'ami,
ma non sdegnano amor l'anime grandi.
Lascia che al padre io parli,
e più discreto a domandar denari
forse lo renderò, forse la figlia
farò che a te si renda
più docile e indulgente; e se felice
alla fin non riesce il mio maneggio,
sia quel che vuol, noi non starem mai peggio.
TEODORO
Va', mi riposo in te: ma sopra tutto
bada, osserva, domanda
se genovesi son nella locanda.
GAFFORIO
Eh non temere: se cautele io prendo,
la pelle tua, la pelle mia difendo.
(parte)
Teodoro solo.
[N. 2 - Recitativo accompagnato]
O miei tristi pensier, che vergognosi
dentro il sen v'ascondete, or che siam soli
uscite fuor dell'affannoso petto.
Che mi giova, a dispetto
delli natali miei, della mia sorte,
aver saputo co' lo scaltro ingegno
una corona, un regno
e il titolo acquistar di re de' Corsi,
se timido e meschino
son costretto a fuggir ed a celarmi?
E a qual birbon della più vil canaglia
Genova pon sul capo mio la taglia?
In ciaschedun che incontro
un assassin pavento,
a ogni passo un'insidia, un tradimento,
un colpo d'archibuso o di pistola,
o un coltel nella gola;
se desino, se ceno,
temo ch'ogni boccon non sia veleno,
e in mezzo a tanti guai per tormentarmi
mancava l'ostessina,
quella crudel che ognora
quanto mi sprezza più, più m'innamora.
[N. 3 - Aria Teodoro]
Io re sono e sono amante.
Il mio amor è un brutto affanno,
il mio regno è un bel malanno,
ma la taglia è peggio ancor.
Quando volgo il mio pensiero
alla mia crudel Lisetta,
par che irato amor mi metta
mille diavoli nel cor.
Ch'io son re poi mi rammento,
e dai stimoli di gloria
cose a far degne d'istoria
infiammar mi sento allor.
Ma la solita paura
smorza amor, la gloria oscura,
e aver parmi sulla groppa
il sicario che m'accoppa
e con qualche botta ria
mi risana in sempiterno
dall'eroïca pazzia
della gloria e dell'amor.
(parte)
Sala nella locanda suddetta.
Lisetta che stira la biancheria e altre Donzelle impiegate in diversi lavori, e poi Sandrino.
[N. 4 - Canzoni e coro]
LISETTA
O giovinette
innamorate,
deh mi spiegate
che cos'è amor.
Se sia diletto,
se sia martire,
io ben capire
non posso ancor.
CORO DI DONZELLE
O giovinette
innamorate,
deh ci spiegate
che cos'è amor.
LISETTA
Il mio Sandrino
quando non vedo,
allora io credo
che sia dolor.
Se a me vicino
spiega il suo affetto,
gioia e diletto
lo credo allor.
CORO DI DONZELLE
O giovinette
innamorate,
deh ci spiegate
che cos'è amor.
Mentre canta Lisetta, giunge Sandrino e si pone in disparte a udire; poi si fa avanti dicendo:
SANDRINO
Amor che sia
se vuoi sapere,
Lisetta mia,
odil da me.
È un garzoncello
che ama il piacere,
è dolce e bello,
somiglia a te.
LISETTA E SANDRINO
Ai dolci palpiti
ch'io provo in seno
or sento appieno
amor cos'è.
CORO DI DONZELLE
O giovinette
innamorate,
or imparate
amor cos'è.
Recitativo
LISETTA
Caro Sandrino mio, perché cotanto
ti fai desiderar?
SANDRINO
Bella Lisetta,
se teco esser vorrei continuamente
il ciel lo sa; ma il padre tuo... la gente...
LISETTA
La gente che può dir? quanto a mio padre
egli sa che ci amiamo, ed è contento
che tu sii sposo mio.
SANDRINO
Sì, ma quel conte,
che non si sa chi diavolo si sia,
ti guarda con certi occhi... Eh, non vorrei...
LISETTA
Non lo posso soffrir.
SANDRINO
Bada, Lisetta,
bada... non gli dar retta,
che costor che girando van pe 'l mondo
son furbi sopraffini, e fan mestiere
d'ingannar le fanciulle.
LISETTA
Eh non temere,
sì semplice non son...
SANDRINO
Nella locanda
son giunti ancor degli altri forestieri?
LISETTA
Giunto è un armen l'altr'ieri,
di cui non vidi mai
uom più fiero e superbo.
Quegli occhi, quella burbera figura,
quei brutti baffi suoi mi fan paura.
SANDRINO
Odi...
LISETTA
Sandrin, m'incresce assai che altrove
mi richiamino omai le mie faccende.
Ritiriamoci, amiche;
ci rivedrem di poi, Sandrino mio,
con maggior libertà.
SANDRINO
Lisetta addio.
[N. 5 - Duetto Lisetta e Sandrino]
LISETTA E SANDRINO
Ai dolci palpiti
ch'io provo in seno
or sento appieno
amor cos'è.
CORO DI DONZELLE
O giovinette
innamorate,
or imparate
amor cos'è.
Le Donzelle, cantando il suddetto coro, pongono nei panieri le biancherie e le altre loro stoviglie, e poi partono appresso a Lisetta.
Acmet in abito d'armeno seguìto da' suoi Servitori vestiti nella medesima maniera e Sandrino, che attentamente l'osserva nell'uscir in scena.
Acmet ordina a' suoi Servi che aspettino; essi fatta profondissima riverenza si ritirano in dietro.
Acmet passeggia pensoso e fa di tratto in tratto atti di smania, di fierezza e di collera.
[N. 6 - Aria Acmet]
ACMET
Se al mio fato terribile e fiero
fisso il torbido e tetro pensiero,
mille serpi mi mordono il sen.
SANDRINO
(in disparte, vedendo venire Acmet)
(Chi è costui che con burbera faccia
fra sé stesso parlando se 'n vien?)
ACMET
Onta, rabbia, dispetto e furore
m'arroventano l'anima e il core
e v'infondono il loro velen.
SANDRINO
(Seco adirasi, freme e minaccia:
ah potessi comprenderlo almen.
Recitativo
SANDRINO
È certo quegli lo stranier di cui
ragionava Lisetta.)
ACMET
(Io dunque Acmet -)
SANDRINO
(osservandolo)
(Veramente costui
ha una faccia assai brusca.)
ACMET
(- io dunque quello -)
SANDRINO
(Nuova affatto non m'è quella sembianza.)
ACMET
(- che coll'istesso onnipotente -)
SANDRINO
(Al certo
altrove il vidi.)
ACMET
(- il suo poter spartia,
e or balzato dal trono -)
SANDRINO
(Al volto... ai moti...)
(sempre tutti due da sé)
ACMET
(- fuggitivo, inseguito -)
SANDRINO
(Eh, possibil non è...)
ACMET
(- fra gl'inimici
del nome musulmano e di Maometto
vita e ricovro a mendicar costretto!)
(fa cenno ai servi, che fatta profondissima riverenza partono)
SANDRINO
(No, non m'inganno, è desso:
è quegli Acmet istesso,
il deposto sultan.)
ACMET
(V'è chi m'osserva.
Se non erro altre volte
vidi colui.)
SANDRINO
(Mi guarda: io giurerei
che anch'ei mi riconosce.)
ACMET
(con aria fiera)
Olà, chi sei
tu che lo sguardo osi fissarmi in volto?
SANDRINO
Signor, son io mercante
e mi chiamo Sandrino: io vi guardava
perché credea d'avervi visto altrove.
ACMET
(con sorpresa)
Tu mi vedesti? e dove?
SANDRINO
Parmi in Costantinopoli.
ACMET
Tu dunque
fosti in Costantinopoli?
SANDRINO
Vi fui
col nostro ambasciator, e all'udienza
fui del sultano Acmet, che in guisa tale
rassomigliava a voi, che si diria
che siete Acmet istesso.
ACMET
(Util costui
esser mi può: voglio scoprirmi a lui.)
Odi, e di ciò che ti dirò parola
bada ben di non far con uom vivente.
O che la testa tua...
SANDRINO
D'un gran sultano
questo è pure lo stil. Signor, parlate:
tacer prometto.
ACMET
Io quel Acmet istesso,
sì quel Acmet io sono, a cui tu dici
ch'io somiglio cotanto.
SANDRINO
(con meraviglia)
Come! tu dunque Acmet...
ACMET
Ascolta, e taci.
Maomet nipote mio, come saprai,
di trono mi balzò, prigion mi chiuse
dentro il vecchio serraglio, e già risolto
avea di farmi strangolar: lo seppi,
e a tempo del cordon la cerimonia
co' la fuga prevenni, e tolto meco
oro e gioie in gran copia,
in abito d'armeno
mi condussi a Venezia, e qui mi faccio
Niceforo chiamar.
SANDRINO
Se l'opra mia
util credete, io l'offro a voi.
ACMET
L'accetto.
D'altro poi parlerem; per or vo' dirti
che quinci spesso trapassar vid'io
donna giovine e bella...
SANDRINO
Una straniera è quella, allegra e franca,
che Belisa si chiama: ella a te forse
piace, o signor.
ACMET
Sì, l'amo.
SANDRINO
In quest'istessa
locanda alloggia anch'essa; a lei potete
spiegar il vostro amor: fra noi permessa
è una gentil dichiarazion d'affetto;
ma l'altura e l'orgoglio
sorte fra noi non fa, fra noi l'uom cólto
con cortese linguaggio
presta alle belle omaggio;
piace il cor dolce e la gentil maniera,
s'odia il tuon minaccioso e l'alma fiera.
[N. 7 - Aria Sandrino]
Se stride irato il vento,
se il mar minaccia e freme,
il passeggier lo teme,
lo teme il marinar.
Ma se la lieve auretta
scherzando increspa l'onda,
dall'arenosa sponda
a riguardarlo alletta,
e van le ninfe belle
sulle barchette snelle
per lo tranquillo mar.
(parte)
Recitativo
ACMET
Che nuovo stil di mendicar affetto!
Pur m'è forza obliar chi son, che fui,
ed adottar le stravaganze altrui.
(parte)
Taddeo e poi Gafforio.
TADDEO
Da un bucolin segreto
che risponde alla camera del conte
udii che Garbolin gli dava il titolo
di maestà, di sire.
Che diavolo vuol dire?
Sarebbe mai un re che viaggi incognito!
Perché no? grazie al ciel, non è più il tempo
che viaggiavano i re co' le migliaia
d'incomodi compagni.
Un dubbio sol... se è re, perché non paga?
Il perché vi sarà. Ho inteso dire
che i re hanno sempre un qualche lor perché
che non possiam saper noi gente bassa.
E poi, s'ei non è re, io non comprendo
perché mai Garbolin da re lo tratti.
O Alberto è re, oppur costor son matti.
[N. 8 - Aria Taddeo]
Che ne dici tu, Taddeo?
È un birbante? è un conte? è un re?
Qual Berlich, qual Asmodeo
mi dirà chi diavol è?
Egli è un re; se re non è
perché mai chiamarlo re?
Qua v'è certo il suo perché.
Ma l'entrate non son troppe...
re di picche, o re di coppe.
Ma l'entrate non son ricche
re di coppe, o re di picche.
Qual Berlich, qual Asmodeo
mi dirà chi diavol è?
Recitativo
TADDEO
Ma Garbolino è qua.
GAFFORIO
Taddeo, t'abbraccio,
tu sei un brav'uom.
TADDEO
(Con quella
sua gravità patetica costui
mi vuol pagar di complimenti.)
(a Gafforio)
E il conto?
GAFFORIO
Amico, il conto tuo né più discreto
né più giusto esser può; e perché appunto
sì onesto sei, vo' darti un buon consiglio.
TADDEO
Dunque tu vieni a darmi
consiglio, e non danar.
GAFFORIO
Sì, ma un consiglio
che val più che i danar; il mio padrone,
se generosamente alcun lo tratta,
di generosità più allor si picca;
e perciò ti consiglio
di non dargli mai conti, e alfin vedrai
che dieci volte più del conto avrai.
TADDEO
Ma dimmi un po', di grazia:
cotesto tuo padrone
chi è egli?
GAFFORIO
È il conte Alberto,
tu lo sai pur.
TADDEO
Conte, e non più?
GAFFORIO
No certo.
(turbato)
Qual dubbio? qual domanda?
Lo conosce qualcun nella locanda?
TADDEO
No, ma in passar poc'anzi
presso al vostro quartier, udii che tu
re lo chiamavi.
GAFFORIO
(come sopra)
Oh dio! caro Taddeo,
che non ti senta alcun; ciò che ascoltasti,
per carità, non t'esca mai di bocca.
TADDEO
Dunque è un re veramente? e perché tanto
teme di palesarsi?
GAFFORIO
Perché vuole
evitar i spettacoli e le feste
che vorria dargli la città e il senato.
TADDEO
Ma mi potresti dir che re egli sia?
(si cava il cappello, e Taddeo fa lo stesso)
GAFFORIO
Egli è il gran Teodoro, il re de' Corsi.
TADDEO
Come! egli è Teodoro? Ho udito tanto
parlar di lui...
GAFFORIO
Grand'uom, amico mio,
grande, caro Taddeo, te lo dich'io;
e se sai profittarne, una gran sorte
si prepara per te.
TADDEO
Che sorte?
GAFFORIO
Egli ama
la figlia tua.
TADDEO
Mia figlia! ah che tu scherzi.
GAFFORIO
Fidati a me, io non t'inganno.
TADDEO
E poi...
non può mia figlia esser sua sposa: il mondo,
tu vedi ben... l'onor... già mi capisci.
GAFFORIO
Capisco ben, Taddeo, tu t'hai ragione,
e perciò 'l mio padrone
pensa seco contrarre
matrimonio segreto, il qual col tempo
potrebbe pubblicarsi, e la tua figlia
montar sul trono e diventar regina.
TADDEO
(Gran sorte in ver questa saria per noi.)
(a Gafforio)
Ma come assicurarmi
poss'io, che vero sia quanto asserisci?
GAFFORIO
Vuoi prove; eccole qua: guarda e stupisci.
(tira di tasca un fascio di carte)
[N. 9 - Aria Gafforio]
Queste son lettere
scritte in inglese,
questi capitoli
stesi in francese;
patti, prammatiche,
trattati autentici,
editti ed ordini,
e atti di regia
autorità.
(tira di tasca un gran sigillo)
Mira di Corsica
l'armi e il sigillo;
osserva, esamina:
per tutto scorgonsi
le marche e i titoli
di maestà.
(parte)
Taddeo, e poi Lisetta.
[N. 10 - Recitativo accompagnato]
TADDEO
(attonito)
(Gli editti... gli ordini...
l'armi... il sigillo...
le marche... e i titoli
di maestà.)
Recitativo
Io son fuori di me, corpo del diavolo!
Qui non si tratta già di bagatelle;
di divenir si tratta
il suocero d'un re. Cosa può fare
il merito d'aver sì bella figlia!
Che importa a me se savio del consiglio,
se patrizio non son né senatore,
se tu, Lisetta mia, tu dolce frutto
di mia paternità compensi il tutto?
Impaziente io sono...
(va incontro a Lisetta che vede venire e l'abbraccia)
Eccola, ah vieni,
vieni fra le mie braccia, o cara figlia,
tu lo splendor sarai di mia famiglia.
Le favole e l'istorie
parleranno di te.
LISETTA
Che dite mai?
Padre mio, non comprendo...
TADDEO
Ah tu sarai
sposa d'un re.
LISETTA
D'un re! (Sogna o delira?)
TADDEO
Conosci il conte Alberto.
LISETTA
È quei che alloggia
nella nostra locanda?
TADDEO
Quello appunto.
Egli conte non è.
LISETTA
Chi è dunque?
TADDEO
È un re,
un re che viaggia incognito.
LISETTA
E che specie
di re credete voi che sia costui?
TADDEO
Egli... ma zitto: egli è de' Corsi il re,
il gran Teodoro e non il conte Alberto.
LISETTA
Ma non potreste equivocar?
TADDEO
No certo.
Ogni sospetto è vano:
vidi con gli occhi miei, toccai con mano...
Recitativo accompagnato
Gli editti, gli ordini,
l'armi, il sigillo,
le marche e i titoli
di maestà.
Recitativo
TADDEO
Ei t'ama, e per isposa a me poc'anzi
dal segretario suo chieder ti fece.
LISETTA
O voi siete impazzato, o mi volete
far impazzar, e poi non vi sovviene
che in isposa a Sandrin mi prometteste?
TADDEO
Altri tempi, altre cure: or occuparsi
di sì bassi pensier più non conviene.
LISETTA
Ed io dovrei...
TADDEO
Non dubitar, carina;
sarai, Lisetta mia, sarai regina.
[N. 11 - Aria Taddeo]
Figlia, il cielo ti destina
per isposa ad un sovrano;
ti vedrò lo scettro in mano
ed invece della cresta
la regal corona in testa;
e d'eredi una dozzina
usciran dal sen fecondo
della gravida regina
che saran stupor nel mondo
e de' sudditi l'amor.
E scherzando i nipotini
tutti intorno a me verranno.
O che cari pargoletti!
Che graziosi principini!
Ed i popoli soggetti
tutti omaggio presteranno
alla figlia, e al genitor.
(parte)
Lisetta sola.
[N. 12 - Recitativo e Rondò Lisetta]
Che novità, che stravaganza è questa!
Di qual confusïon m'empì la testa
di mio padre il linguaggio oscuro e strano?
Il conte Alberto è re?... vuole sposarmi?
Non vi sarebbe sotto qualche trappola
per ingannare me, e mio padre? e poi
come potrei Sandrino mio tradire?
Tradirlo! ah no... mi sentirei morire.
Come obliar potrei
il mio primiero amor?
Ah ch'io mi morirei
di pena e di dolor.
Il caro amato oggetto
sveller non so dal cor.
E al mio primiero affetto
sarò costante ognor.
Ma che rimiro? Ei stesso
con Belisa vien qua, molto occupati
in familiar discorsi, e allegri molto
mi paiono ambedue. Cos'egli mai
ha da far con colei? sono inquieta
se non giungo a saper di che si parli.
Mi porrò qui in disparte ad ascoltarli.
Belisa con Sandrino, e Lisetta in disparte.
[N. 13 - Terzetto]
BELISA
Mio caro Sandrino,
quel cor dunque m'ama?
SANDRINO
Ti cerca, ti brama,
per te tutto è ardor.
LISETTA
(Suo caro lo chiama,
si parla d'amor.)
BELISA
(prende per mano Sandrino)
Il vago mio volto
conquiste fa ognor.
LISETTA
(Che vedo! che ascolto!
M'insultano ancor!)
SANDRINO
Non far la tiranna
col nuovo amator.
LISETTA
(L'infido m'inganna,
e' finse finor.)
Insieme
LISETTA
La rabbia, il dispetto
da questo momento
mi sento nel cor.
BELISA E SANDRINO
La gioia, il diletto
da questo momento
mi sento nel cor.
(parte Lisetta)
Belisa e Sandrino.
Recitativo
SANDRINO
Dunque come dicea, gentil Belisa,
quello stranier che t'ama,
il deposto sultano Acmet è quello
in abito d'armen.
BELISA
Che bella gloria
di veder a' miei piedi
un deposto sultan! Prendermi spasso
con quel turco vogl'io. Vo' che conosca
qual differenza passa
fra una schiava circassa
e una donna europea,
e di questo cervel vo' dargli idea.
SANDRINO
Felice te che sei
sempre lieta a dispetto
delle vicende tue.
BELISA
Le mie vicende,
che altri pianger farian, rider mi fanno.
SANDRINO
Sarei ben curioso
d'udir le tue avventure.
BELISA
Io di narrarle
non ho difficoltà. Nacqui in Westfalia;
un mio fratel, che solo
restat'era di tutta la famiglia,
inquieto, impaziente,
ardito, intraprendente,
d'indole romanzesca,
sparve improvviso, e nell'età più fresca
soletta mi lasciò.
SANDRINO
Crudel sventura!
BELISA
Il mal non fu sì grande. Uno straniero
mi si offre per isposo, a lui mi fido;
lo credo amante, e seco
abbandono la patria: indi a non molto
lo sposo m'abbandona.
SANDRINO
E allor...
BELISA
Per vari casi,
or altri abbandonando
ed or abbandonata,
qua giunsi, e così appresi
degli uomini a conoscer l'incostanza.
Della moneta istessa
a pagarli però m'accostumai;
a chi mi chiede amore
non dono il cor, né il niego:
ascolto tutti, e con nessun mi lego.
SANDRINO
Il tuo bizzarro amor, Belisa, ammiro.
Ma Acmet colà rimiro.
Acmet, Belisa e Sandrino.
ACMET
Sandrin, colei ch'è teco è quella appunto
che piace agli occhi miei.
SANDRINO
Belisa è questa.
BELISA
La vostra serva umil.
(prendendola per un braccio)
ACMET
Dunque vien meco.
BELISA
Olà, signor, che impertinenza! Abbiate
più rispetto di me.
(si distacca sdegnosamente)
ACMET
Tu non dicesti
che sei la serva mia?
BELISA
Turca è l'idea.
ACMET
Dunque non m'ami?
BELISA
Acciò ch io v'ami, a voi
tocca a ispirarmi amor.
ACMET
Il favor mio
sopra di te discese
come rugiada del mattin, che cade
ad innaffiar le rose e i tulipani.
BELISA
(a Sandrino)
Che diavol dice?
SANDRINO
(a Belisa)
È stil dei gran sultani.
BELISA
Eh, ch'io non ho bisogno
che rugiada m'innaffi.
(ad Acmet)
Grazie, Acmet, io ti rendo...
ACMET
Come! tu sai chi sono! ohimè, che intendo!
Sandrin, tu mi tradisti.
SANDRINO
È ver, gliel dissi;
è troppo giusto che la donna amata
sappia chi è quei che l'ama,
ché a sconosciuto oggetto
raro s'accorda affetto.
BELISA
Non temete, signor, ch'io tacerò,
e se amabil sarete io v'amerò.
ACMET
(presenta con aria autorevole un anello a Belisa)
Prendi questo gioiello: amami e taci.
BELISA
Che rozzo modo è quello
d'offrir doni a una giovine che s'ama?
ACMET
Che far dunque dovrei?
BELISA
Di buona grazia,
gentilmente convien pregarla pria
e d'accettarlo e di scusar l'ardire:
e femmine talora
di sì buon cuor vi sono
che fan l'onor fin d'accettar il dono.
SANDRINO
Che bizzarro cervel!
BELISA
(l'accarezza)
Via, caro turco,
questa prima lezion mettete in pratica,
fate l'offerta vostra.
SANDRINO
Questa è una cosa da morir di risa.
ACMET
Questo gioiello d'accettar, Belisa,
ti prego, e dell'ardir chiedo perdono.
BELISA
Scuso l'ardire, Acmet, e accetto il dono.
(facendo un grand'inchino prende il gioiello)
Bravo davver: da un turco
tanto non attendea; se seguirete
a profittar così, farete in breve
sotto la scuola mia
un onore immortale alla Turchia.
[N. 14 - Aria Belisa]
Se voi bramate
il nostro amore,
l'arte imparate
di farvi amar.
I vezzi teneri,
i dolci modi,
il tratto amabile
sono quei nodi
che il cor ci possono
incatenar.
Col ruvido impero,
coll'aspra favella,
col ciglio severo,
di giovine bella
invan pretendete
l'affetto acquistar.
Se ancor non l'intende
tu meglio, o Sandrino,
a quel babbuino
la scuola puoi far.
(parte)
Acmet e Sandrino.
Recitativo
ACMET
Sandrin, questa ragazza
è impertinente e pazza, e pur l'istessa
impertinenza sua, la sua pazzia
ha una segreta incognita magia
che irrìta il mio desir, punge il mio core.
La vo' seguir.
(parte)
SANDRINO
Seguitela, signore.
Va', stai concio: hai trovato un umor bello
che a buon partito ti porrà il cervello.
(parte)
Teodoro e Gafforio.
GAFFORIO
Signor, tutto è compìto,
ritorno a te negoziator felice.
Al locandier parlai, qualche sospetto
vidi che avea dell'esser tuo, ma seppi
trarne vantaggio a tuo favor: gli dissi
chi sei.
TEODORO
(turbato)
Che mai facesti?
GAFFORIO
Non ti turbar, è un galantuom. Promise
il grand'arcano custodir, lo resi
fanatico di te, scoprii l'affetto
ch'hai per la figlia sua, lo lusingai
d'un matrimonio che, per or segreto,
dal regno un dì saria riconosciuto.
TEODORO
Ma la mia dignità tu comprometti.
GAFFORIO
Perché, signor? con isposar Lisetta
appaghi il genio tuo, né solo il padre
non più danar ci chiederà, ma forse
negli urgenti bisogni
ci porgerà qualche soccorso ancora.
TEODORO
E credi tu che con serene ciglia
d'un locandier la figlia
Corsica mirerà sul trono assisa?
GAFFORIO
Un espediente, o sire, atto alle tue
presenti circostanze, io sol propongo.
È sempre savio e giusto
quand'utile è un negozio,
come c'insegna il Puffendorff e il Grozio.
Se in avvenir non converrà, si sciolga.
Pe 'l volgo, o sire, indissolubil nodo
forma solo imeneo,
ma per disciorre i pari tuoi d'impegno
né grande sforzo vi vuol mai, né studio:
un divorzio, un ripudio...
legge o ragion, che il matrimonio annulli...
TEODORO
Ma che diranno i posteri?
GAFFORIO
Eh, mio sire,
sempre i viventi a modo lor faranno,
e i posteri diran quel che vorranno.
Taddeo che conduce Lisetta, e detti.
[N. 15 - Finale]
Finale.
TADDEO
Vieni, o figlia, a un re che t'ama
e a regnar seco ti chiama.
Permettete, maestà,
ch'io mi prostri...
(s'inginocchia a Teodoro)
a' piedi vostri...
TEODORO
(porgendogli la mano)
Sorgi, amico: orsù favella.
TADDEO
(a Gafforio)
Anch'amico egli m'appella:
oh clemenza, oh gran bontà!
GAFFORIO
Ah, conoscer tu non puoi
tutti ancor i pregi suoi,
le sue grandi qualità.
LISETTA
(Io non so cosa mi dire
a sì strana novità.)
TADDEO
La mia figlia, eccelso sire,
l'amorosa vostra sposa,
si fa gloria d'obbedire
alla vostra volontà.
TEODORO
Ma Lisetta non risponde.
GAFFORIO
Bassa gli occhi e si confonde.
TADDEO
(a Lisetta)
Via, fatti animo, Lisetta...
(a Teodoro)
Ell'è un po' vergognosetta.
TEODORO
Ti ringrazio, caro amico,
del buon cor ch'io scorgo in te.
LISETTA
Padre mio, ciò ch io non dico
dillo tu, dillo per me.
TEODORO, TADDEO E GAFFORIO
Come attonita l'ha resa
la sorpresa e lo stupor.
LISETTA
(Di Sandrin che mi ha delusa
io non so scordarmi ancor.)
(a Teodoro, Taddeo e Gafforio)
Chiedo a voi perdono e scusa
del silenzio e del timor.
TEODORO, TADDEO E GAFFORIO
Merta ben perdono e scusa
quel silenzio e quel timor.
(partono)
Sala.
Belisa che tira per un braccio Acmet.
BELISA
Venite, via, movetevi,
non siate sì selvatico,
andiamo a passeggiar.
ACMET
E dove mai mi strascichi?
Ah, che le braccia e gli omeri
tu mi potrai slogar.
BELISA
Perché star sempre in camera
solo, pensoso e tacito?
Vo' farvi socïabile:
a ciaschedun che incontrasi
vi voglio presentar.
ACMET
Con te, ragazza indocile,
mi vengon le vertigini.
Già mi vacilla il cerebro
e temo d'impazzar.
BELISA
Chi amante mio vuol essere
a modo mio dée far.
ACMET
Con te, ragazza indocile,
io temo d'impazzar.
Insieme
BELISA
Vedete che le femmine
se daddover s'impegnano
a modo lor degli uomini
san l'indole cangiar.
ACMET
Or veggo che le femmine
se daddover s'impegnano
a modo lor degli uomini
san l'indole cangiar.
(Belisa prende di nuovo Acmet per il braccio e lo conduce via)
Sandrino solo, e poi Taddeo e Lisetta.
SANDRINO
Ov'è Lisetta,
il mio bel foco?
In ogni loco
la cerco ognor.
TADDEO
(Gli editti e gli ordini,
le marche e i titoli
fissi nel capo
mi stanno ancor.)
SANDRINO
Quando, o Taddeo,
me con tua figlia
dolce imeneo
accoppierà?
TADDEO
Temo che retta
ad uom plebeo
la mia Lisetta
più non darà.
SANDRINO
(Che tuono insolito!
Che stravaganze!)
E le speranze?
E le promesse?
TADDEO
Le circostanze
non son l'istesse.
Insieme
TADDEO
Lo rende stupido
tal novità.
SANDRINO
Mi rende stupido
tal novità.
SANDRINO
Ma qua viene Lisetta, il mio bene.
LISETTA
(escendo)
È qui il perfido, qui il traditore.
SANDRINO
Vieni, o cara, l'affanno e il dolore
deh consola d'un'anima amante,
che t'adora costante e fedel.
LISETTA
E osi ancora parlarmi d'amore,
e osi il guardo fissarmi nel volto?
Fuggi, ingrato, che più non ascolto
le menzogne d'un'alma infedel.
TADDEO
Brava figlia! quel nobile orgoglio
degno è d'anima grande, che al soglio
con ragion destinata è dal ciel.
SANDRINO
Ma che avvenne? che sento? ove sono?
Perché meco sei tanto crudel?
LISETTA
Vanne pur, mentitor, t'abbandono;
vanne perfido, vanne crudel.
TADDEO
D'uno scettro l'acquisto, e d'un trono,
val la pena di far la crudel.
Teodoro con Gafforio e detti.
TEODORO
Alfin mia diletta,
mia bella Lisetta,
scacciasti dal core
il vano timore,
il tristo pensier?
TADDEO
Va', figlia, t'affretta,
va' incontro al tuo sposo.
GAFFORIO
(È assai premuroso...)
LISETTA
(Vo' far la vendetta
di quel menzogner.)
Accetto, signore,
l'offerta d'amore;
amor v'offro anch'io:
sarà voler mio
il vostro voler.
SANDRINO
Che veggio, che sento!
TADDEO
Che bel complimento!
TEODORO
O voci d'affetto,
che m'empiono il petto
di gioia e piacer!
Insieme
LISETTA
Il perfido omai
il mio cangiamento
da questo momento
comincia a veder.
SANDRINO
L'origine omai
di quel cangiamento
da questo momento
comincio a veder.
TEODORO, TADDEO E GAFFORIO
Con giubilo omai
quel suo cangiamento
da questo momento
comincio a veder.
Belisa traendo per braccio Acmet, e detti.
BELISA
Vi presento, miei padroni,
il gentil signor Niceforo.
(a Acmet)
Riveriteli, inchinatevi.
ACMET
(fa bruscamente un saluto)
Miei signori, vi saluto.
TUTTI
Ben venuto, ben venuto.
TEODORO
(vedendo Belisa)
Ma che veggo! che rimiro!
mia sorella al certo è quella.
BELISA
Che vegg'io! sogno o deliro?
certo quello è mio fratello.
GAFFORIO
(a Teodoro, accennando Acmet)
Ah signor, mira colui:
io ravviso Acmet in lui,
che vedemmo già sul soglio.
TEODORO
(a Gafforio)
Hai ragion, sì certo è desso.
(Cos'è mai codesto imbroglio!)
ACMET
(a Belisa)
Vedi tu quegli stranieri?
In Bisanzio gli ho veduti.
BELISA
Gli conosci?
ACMET
Uno di quegli
è de' Corsi il re posticcio.
BELISA
Oh che diavolo d'impiccio.
LISETTA, TADDEO E SANDRINO
Ma che avvenne? che cos'è?
BELISA
(a Sandrino, accennando Teodoro)
Chi è colui?
TEODORO
(a Lisetta, accennando Belisa)
Chi è colei?
GAFFORIO
(a Taddeo, accennando Acmet)
Chi è costui?
ACMET
(a Belisa, accennando Gafforio)
Colui chi è?
GAFFORIO
(a Lisetta, accennando Acmet)
Chi è colui?
TEODORO
(a Taddeo, accennando Belisa)
Chi è costei?
ACMET
(a Sandrino, accennando Teodoro)
Chi è costui?
BELISA
(a Taddeo, accennando Gafforio)
Colui chi è?
LISETTA, TADDEO E SANDRINO
(attoniti)
Si riguardano, stupiscono,
né capir posso il perché.
BELISA
(a Teodoro)
Sei o non sei fratello mio?
TEODORO
(a Belisa)
Taci taci, io... son io.
GAFFORIO
(a Belisa)
Non è quegli il turco sire?
BELISA
(a Gafforio)
Taci taci, non lo dire.
ACMET
(a Gafforio)
Non è quegli il re de' Corsi?
GAFFORIO
(ad Acmet)
Taci taci, oh che discorsi!
TADDEO
(ad Acmet)
Dunque Acmet degg'io chiamarti?
ACMET
(a Taddeo)
Taci taci, o fo strozzarti.
SANDRINO
(a Lisetta)
Dunque quei de' Corsi è il re?
LISETTA
(a Sandrino)
Taci taci, e bada a te.
TEODORO
(a Sandrino)
Non è quegli il gran sultano?
SANDRINO
(a Teodoro)
Taci taci, egli è un arcano.
LISETTA
(a Taddeo)
Ma costor che diamin hanno?
TADDEO
(a Lisetta)
Taci taci, essi lo sanno.
TUTTI
(Che sussurro! che bisbiglio
or mi ronza nell'orecchia.
Non rimiro ovunque volgomi
che disordine e scompiglio.
Parmi in testa aver due mantici
che mi soffiano nel cerebro
e lo fan come una macina
rotolandolo girar.
Né sapendone l'origine
resto stupido ed estatico,
come un sasso immobile...
e non so cosa mi far.)
TEODORO
Già Belisa
mi ravvisa:
la donnesca indiscretezza
è saviezza
d'evitar.
(parte)
GAFFORIO
Pe 'l mio sire
a vero dire
dei pericoli preveggio:
non lo deggio
abbandonar.
(parte)
BELISA
S'egli è quello
mio fratello,
qui v'è sotto qualche imbroglio:
me ne voglio
assicurar.
(parte)
ACMET
Quivi al certo
io son scoperto:
è savissimo consiglio
il periglio
di schivar.
(parte)
SANDRINO
Io già vidi
i tratti infidi
di Lisetta, e so l'arcano:
or è vano
altro indagar.
(parte)
LISETTA
Sospettoso,
timoroso
ognun fugge: il caso è brutto;
meglio il tutto
io vo' appurar.
(parte)
TADDEO
Tutti son andati al diavolo,
m'han piantato come un cavolo.
E Taddeo cosa farà?
E Taddeo se n'anderà.
(parte)
Gabinetto.
Teodoro seduto presso un tavolino e Gafforio con un fascio di lettere.
[N. 16 - Recitativo accompagnato]
GAFFORIO
Ecco, o sire, i dispacci: non è molto
che il corrier qui recolli.
TEODORO
Esponi, ascolto.
GAFFORIO
(prendendo in mano un foglio)
«Della Corsica il gran cancelliere
fa saper che non ha più maniere
per supplire alle pubbliche spese,
che le paghe son tutte sospese,
che già nascon disordini e insulti,
che prevede rivolte e tumulti,
che però chiede gli ordini espressi
per frenar la licenza e gli eccessi.»
TEODORO
Come! ai sudditi miei dunque non basta
l'esempio del lor re per avvezzarli
del denaro all'inopia e alla mancanza?
GAFFORIO
Sire, tutti non han la tua costanza.
E compenso vi vuol.
TEODORO
E qual compenso?
GAFFORIO
(pensando prima un poco)
Crear nel regno io penso
i viglietti di credito.
TEODORO
Comodissimo e pronto espediente.
GAFFORIO
Determina la somma.
TEODORO
È indifferente.
GAFFORIO
(prendendo un altro foglio)
«I fratelli Isac, Gionata e Abram,
negozianti giudei d'Amsterdam,
condescendono a titol di prestito
di sborsar ventimila fiorini
numerabili in tanti zecchini;
purché lor l'annual pagamento
s'assicuri del dieci per cento,
dando loro in deposito o in pegno
qualche rendita o fondo del regno.»
TEODORO
E qual rendita o fondo in ipoteca
può assegnarsi a costor?
GAFFORIO
(pensando prima alquanto come sopra)
Altro non veggio
che l'appalto dell'ostriche.
TEODORO
No, l'ostriche
per la real mia mensa io le riserbo.
Amor, la gloria e l'ostriche
son le tre passïon mie favorite.
GAFFORIO
(come sopra)
Dunque assegnar potremo
le montagne di Nebbio,
gravide di metalli.
TEODORO
Montagne e rupi assegna pur, se vuoi,
che da gran tempo omai
gravide son, né partoriscon mai.
GAFFORIO
(prendendo un altro foglio come sopra)
«Cecchin Buono sensal livornese
cognitissimo in tutto il paese
si dichiara che avendo prestati
anni son cinquecento gigliati
ad un tal Teodoro che fe'
dichiararsi di Corsica re,
che al presente si tiene per certo
sia in Venezia col nome d'Alberto,
non potendo ritrarne un quattrino,
a un mercante chiamato Sandrino
manda l'obbligo acciò li riscuota
e li segni a suo debito in nota.»
TEODORO
Questo è il peggior; a sì pressante urgenza
come potrem trovar pronto riparo?
GAFFORIO
(pensando prima come sopra)
Ascolta: or che Taddeo
tuo suocero divien, giusto mi sembra
che di distinto onor fregiato sia.
TEODORO
Cioè?
GAFFORIO
Crearlo general tu puoi.
Ricco è Taddeo, e vanità seduce
il debole suo cor; liberamente
danaro sborserà per la patente.
Ciò ridonar potria
allo scheletro esangue
del tuo tesor privato
qualche segno di vita, e picciol fiato.
TEODORO
Chetati, a noi veggio venir Belisa.
Ritirati Gafforio, a solo a solo
con colei parlar voglio.
Come trarmi potrò da quest'imbroglio?
(Gafforio si ritira)
Teodoro e Belisa.
Recitativo
BELISA
Teodoro! ah no, non erro:
sei pur tu mio fratello?
TEODORO
Oh dio! Belisa,
non mi scoprir: l'arcano
importante è per me più che non credi.
E tu come sei qui?
BELISA
La storia mia
ti narrerò; per ora
la tua bramo saper: spiegami in grazia
cos'è cotesta frottola che ascolto
che tu sei re de' Corsi?
TEODORO
È ver: dei Corsi
io sono eletto e incoronato re.
BELISA
Ma come? con quai mezzi?
TEODORO
Co' la sagacità, col franco ardire,
coll'indefessa attività del mio
fecondo immaginar.
BELISA
Stupir mi fai.
TEODORO
Perché? La propria esperïenza
m'apprese, suora mia, che in questo mondo
non v'è impossibil cosa a quel cui nulla
preme se la sua fama illustra o sporca,
e se muor nel suo letto o sulla forca.
BELISA
Come sei qua?
TEODORO
Belisa, a te confido
degl'interessi miei lo stato vero.
Smunti per lunghe guerre
sono i sudditi miei, gli erari esausti.
Finché l'economia, finché l'interno
ordine io non pervenga
a stabilir nel regno mio, non posso
dirmi sul trono assicurato ancora.
Tutto col tempo e col danar farassi:
da per tutto lo cerco,
da più parti l'attendo. Ma per ora
io ti confesso, o suora,
che imbarazzato son per trovar modo
per supplire alli miei
quotidiani bisogni.
BELISA
Inver tu sei
un re da far pietà.
(si toglie di dito l'anello ricevuto da Acmet e lo dà a Teodoro)
Tien quest'anello,
usane a tuo piacer.
TEODORO
Cara sorella,
quanto grato ti son.
BELISA
Senti, conosci
quell'armen ch'era meco?
TEODORO
Acmet mi parve,
il deposto sultan.
BELISA
Sì, è desso, e ha seco
gioie in gran copia; esser a te costui
util potrebbe: abboccati con lui,
io ti seconderò.
TEODORO
Grazie ti rendo.
Invierò tra poco
il segretario mio, che l'etichetta
del cerimonïal regoli teco.
BELISA
Nelle tue circostanze e puoi, fratello,
all'inezie pensar dell'etichette?
TEODORO
I cerimonïal, sorella mia,
pei gran principi è ver che sono inezie,
ma per li re miei pari
indispensabil sono, e necessari.
BELISA
Or via, non disputiam; sopra il terrazzo
suol divertirsi Acmet talvolta a udire
i gondolier che avanti alla locanda
s'adunano a cantar: farò che insieme
colà vi ritroviate, e ivi potrete
a vostr'agio parlar. Ma tu cotanto
non t'invaghir di romanzesca e folle
avventura, e d'un titolo ideale
che ti potrebbe un giorno esser fatale.
[N. 17 - Aria Belisa]
BELISA
Che stuol d'infelici
lo scettro ti diede,
il mondo lo crede.
Tu stesso lo dici,
no 'l niego, sarà.
Ma bada, fratello,
a quello che fai.
Che se non avrai
fortuna e cervello,
e regno e regnante
in men d'un istante
al diavolo andrà.
Non son dottoressa,
non son profetessa,
ma il mondo un pochetto
io so come va.
(parte)
Teodoro, poi Gafforio.
Recitativo
TEODORO
Segua pur ciò che vuol, son nell'impegno,
né ritirarsi or lice.
Suol l'esito felice
giustificar le temerarie imprese.
O manca il colpo, e mi diranno un pazzo,
o felice riesce il mio disegno,
(suona il campanello)
e col nome d'eroe acquisto un regno.
GAFFORIO
(esce)
Eccomi, o sire.
TEODORO
Ascolta.
Col gran sultano Acmet, che come sai
alloggia qui, mi si propon trattato,
abboccamento e lega.
Vanne a Belisa e spiega
carattere di mio
segretario e ministro.
Fa' che il sultan s'impegni
con pecuniari aiuti o equivalente
sul trono corso a sostenermi, ed io
impegnerommi a riconoscer lui
legitimo sultano
e ad aiutarlo a ricovrar il soglio.
Vanne, e avvertimi ognor se genovesi
vedi arrivar nella locanda.
GAFFORIO
Intesi.
Teodoro, e poi Taddeo con Lisetta.
TEODORO
Quanta inquietezza e quanta
pena la mia sovranità mi costa.
TADDEO
È dunque vero, o sire,
ciocché confusamente udimmo dire,
che quell'armen...
TEODORO
Sì, quello
è il gran sultan deposto.
LISETTA
(Caspita! il gran sultano!)
TEODORO
D'alleanza fra noi v'è sul tappeto
un trattato segreto: onde famosa
sarà questa locanda al par di Breda,
di Munster e d'Utrèct e d'Osnabrucco.
TADDEO
Vedete quante cose! io son di stucco.
LISETTA
(Ma costui finalmente è un re davvero.)
Ah Sandrino, Sandrino!
TEODORO
(presentando a Lisetta l'anello ricevuto da Belisa)
Prendi, mia cara, intanto
lo sposalizio anello.
LISETTA
(Ma Sandrino m'inganna; e perché dunque
la sorte ricusar che si presenta?)
TEODORO
Sposa e regina io ti dichiaro omai;
e tu, Taddeo, mio general sarai!
Detti e Sandrino, che a mezzo terzetto sopraggiunge e resta indietro a udire.
[N. 18 - Quartetto]
TEODORO
(pone in dito a Lisetta l'anello)
Permetti, o mia Lisetta,
che in dito alfin ti metta
l'anello sposalizio,
indizio di mia fé.
LISETTA
(Or incomincio a credere
che sposa son d'un re.)
TEODORO
Suocero mio Taddeo,
io general ti creo.
Le forze mie, gli eserciti
omai confido a te.
TADDEO
Ah veggio ben che suocero
ora son io d'un re.
TEODORO
Il valoroso padre
comanderà le squadre...
(esce Sandrino, e resta indietro ascoltando)
TEODORO
...ai popoli la figlia
comanderà con me.
TUTTI
Sì strana maraviglia,
vicenda sì stupenda
credibile non è.
SANDRINO
(facendosi avanti a Teodoro e mostrandogli un foglio)
Signor mio, chiedo perdono,
vi saluta Cecchin Buono.
TEODORO
(Che sorpresa impreveduta!)
SANDRINO
(come sopra)
Cecchin Buono vi saluta
e domanda il pagamento
dei gigliati cinquecento.
LISETTA, TEODORO E TADDEO
Che insolenza! che arditezza,
che durezza ~ di trattar.
SANDRINO
(mostrando sempre il foglio come sopra)
Ecco l'obbligo che canta,
o a me fatene lo sborso
o al consiglio dei quaranta
me ne vado a far ricorso
per costringervi a pagar.
TEODORO
(Un processo ei mi minaccia!)
LISETTA E TADDEO
Ah, colui ci ride in faccia.
SANDRINO
(Mi comincio a vendicar.)
LISETTA, TEODORO E TADDEO
Quei motteggi e quelle risa
inquietudine e sospetto
già mi destano nel petto
e mi danno da pensar.
SANDRINO
Se costor m'hanno deluso...
LISETTA
Son derisa...
TEODORO E TADDEO
Son confuso...
SANDRINO
...saprò ben cosa mi far.
TEODORO, TADDEO E LISETTA
...e non so cosa mi far.
Recitativo
SANDRINO
(a Teodoro)
Intendesti, signor: altri discorsi
son inutili omai. (Così vendetta
fo di quell'impostor, di quell'infida.)
TADDEO
E sì poca creanza...
LISETTA
E sì poco riguardo...
SANDRINO
(a Lisetta con ironia)
Ah, se t'offesi...
io ti chiedo perdon, bella regina.
(a Taddeo)
Inclito general, perdon ti chiedo.
TEODORO
(a Taddeo)
L'ardir di cotestui, l'impertinenza
stancar alfin potria
la sofferenza mia; vieni Taddeo:
noi lo saprem punire.
TADDEO
(a Sandrino)
Ti punirem, Sandrin; ti seguo, o sire.
(Teodoro e Taddeo partono)
Lisetta e Sandrino.
SANDRINO
(con ironia come sopra, accorgendosi dell'anello che Lisetta ha in dito)
E quando fia che sopra il soglio assisa
Lisetta io veggia... (ma che miro! è quello
l'anello che sultan donò a Belisa).
(a Lisetta)
Gran giro in un sol dì fe' quell'anello.
LISETTA
(con isdegno)
E sin a quando ancor gl'insulti tuoi
dovrò soffrir? Dunque per te sì poco
è l'avermi tradita,
che al tradimento anche lo scherno aggiungi.
Va', malnato che sei,
va', né più presentarti agli occhi miei.
[N. 19 - Aria Lisetta]
Infedel! tu pria m'inganni,
poi m'insulti e mi deridi;
ah che troppo intesi e vidi,
troppo vedo e intendo ancor.
Più non credo a un cor fallace
e ad un labbro mentitor.
(Per chi mai perdei la pace!
Per chi mai m'accese amor.)
(parte)
Sandrino solo.
Recitativo
Udite, udite come
colei vanta innocenza!
E l'infedel d'infedeltà m'accusa:
or fidatevi pur, creduli amanti,
di femmina che amor promette e giura.
Son volubili, ingrate:
vanità, leggerezza,
interesse, capriccio,
ambizion, di novità desio
le fan passar d'un in un altro amore
e cangian loro in un momento il core.
[N. 20 - Aria Sandrino]
Voi semplici amanti
che a donne credete,
son tutte incostanti:
l'esempio vedete,
specchiatevi in me.
Il moto dell'onda,
il soffio dell'aria,
la tremola fronda
sì lieve, sì varia,
sì instabil non è.
Eppur francamente
le udite sovente
vantar fido core,
parlarvi d'amore,
promettervi fé.
Voi semplici amanti
che a donne credete,
da lor rivolgete
sollecito il piè.
(parte)
Parte esteriore della locanda con veduta del Ponte di Rialto e sue vicinanze. Gente sopra il ponte e sulla strada.
Gondole sul Canal Grande che passano sotto il ponte, e altre barche che stan ferme.
Teodoro con Lisetta e Acmet con pipa in compagnia di Belisa sopra il terrazzino della locanda; Gafforio e Taddeo sulla strada.
[N. 21 - Coro]
CORO
(di gondolieri)
Chi brama viver lieto,
chi divertir si vuole,
venga or che l'aere è cheto
sull'acque a passeggiar.
Non v'è più bel piacere,
o sorga o cada il sole,
che libertà godere
e in gondoletta andar.
LISETTA E TEODORO
Come quel canto inspira
diletto ed allegria!
E attorno d'armonia
fa l'aria risuonar.
CORO
Ma quando parte il giorno,
e il tenebroso velo
spiega la notte attorno
o sopra la terra e il mar
la placida laguna
vedrà far specchio al cielo,
e il raggio della luna
nell'onda tremolar.
BELISA E ACMET
O che gioconde immagini!
Che amabile pittura
la semplice natura
può sola presentar!
CORO
In gondola alla bella
può il giovine amoroso
con libera favella
gli affetti suoi spiegar.
Senza timor che alcuno,
drudo o rival geloso,
venga ìnvido, importuno
gli amanti a disturbar.
TADDEO E GAFFORIO
O libertà, tu sola
puoi render l'uom felice:
senza di te non lice
felicità trovar.
Recitativo
TADDEO
Che ve ne par, signori,
dei nostri nazional divertimenti?
TEODORO
La gaia libertà di quei concenti
gratissimo piacer desta nel core.
ACMET
Di cotesto spettacolo
l'inusitata bizzarria diverte.
BELISA
Si vede il buon umor, la contentezza.
LISETTA
E della nazion l'indole allegra.
GAFFORIO
(a Taddeo)
Sembrano assai contenti.
ACMET
Olà, una pipa
tosto si rechi anche a costui.
(accennando Teodoro)
BELISA
Che pipa?
Bella creanza inver, fumar tabacco
in compagnia di donne!
LISETTA
E non ha torto.
ACMET
Voi donne sempre e in tutto
trovate da ridir.
BELISA
Via quella pipa...
(toglie ad Acmet la pipa e la gitta nel canale)
BELISA
...ed in gondola andiam, se pur v'aggrada,
sul Canal Grande a passeggiar.
ACMET
Si vada.
TEODORO
Signor, scusa vi chiedo: ho qualche affare
che per or mi richiama al gabinetto.
LISETTA
Me ancor vi prego di scusar.
BELISA
Restate.
Andrem noi.
TEODORO
Garbolino,
ho qualche cosa a dirti.
GAFFORIO
A momenti, signor, sono a obbedirti.
(si levano tutti e partono dalla terrazza)
Gafforio e Taddeo sulla strada.
GAFFORIO
Vedi, Taddeo, che grazie al cielo omai,
com'io disposto avea, fra i due monarchi
regolarmente, e senza
difficoltà, seguì l'abboccamento.
TADDEO
Grandi rivoluzion da quel congresso
preveggo, amico.
GAFFORIO
Hai ben ragion; sovente
in crocchio familiar senza apparati
i grandissimi affar si son trattati.
Ma vien Belisa, e Acmet; al quartier nostro
vieni, e là troverai la tua patente
di general già sottoscritta e pronta.
Per or partir degg'io.
Ci rivedrem, t'attendo in breve: addio.
(parte)
TADDEO
Non tarderò, non dubitar.
Belisa ed Acmet col séguito de' suoi Servi, e Taddeo.
BELISA
Taddeo,
scusa di grazia; ir sul canal vogliamo,
i gondolieri avvisa.
TADDEO
Ti servirò, Belisa.
ACMET
E colui dunque
è tuo fratel? due curiosi invero
singolari cervelli ambedue siete.
BELISA
Il vostro è raro inver; bel trattamento
a mio fratel faceste.
ACMET
L'accolsi, il salutai;
che altro dovea far mai
ad un re da commedia,
a un sovranel ridicolo e pigmeo?
BELISA
Così pigmeo non è; val più di voi:
che un re che vive e regna,
per picciolo che sia,
dev'esser anteposto
a qualunque gran re morto o deposto.
ACMET
Ma tu m'insulti.
BELISA
Anzi mi par piuttosto
che insultiate voi me; veggo oramai
ch'è impossibile affatto
le creanze insegnarvi e il civil tratto.
TADDEO
Signori, già le gondole son pronte.
ACMET
Olà, che lauta mensa al mio ritorno
mi si prepari; inviterem con noi
codesto tuo fratel.
BELISA
Favor distinto!
ACMET
Or dunque andiam, come proporti piacque,
co' la barchetta a passeggiar sull'acque.
[N. 22 - Aria Acmet]
(a Taddeo con autorità, a Belisa affettuosamente)
Tu servimi, e la mensa
ai cenni miei prepara;
tu placati, tu pensa,
cara, a serbarmi amor.
(a Taddeo come sopra)
Il mio voler intendi
ed obbedir tu déi;
(a Belisa come sopra)
t'obbedirò, tu sei
l'arbitra del mio cor.
(Nel comandar rammento
ch'io sono Acmet ancor.
E nell'amar mi sento
umile, e servo ognor.)
Belisa ed Acmet vanno a imbarcarsi sopra una gondola e il Séguito d'Acmet sopra un'altra, e intanto si replica il Coro.
[N. 23 - Coro]
CORO
(di gondolieri)
Chi brama viver lieto,
chi divertir si vuole,
venga or che l'aere è cheto
sull'acque a passeggiar.
Non v'è più bel piacere,
o sorga o cada il sole,
che libertà godere
e in gondoletta andar.
Taddeo solo.
Recitativo
Mi comanda costui con tant'altura
come s'io fossi schiavo suo; pertanto
lo compatisco; ancora
non può saper che generale io sono:
quando il saprà, mi chiederà perdono.
Veramente è il mio caso
unico nell'istorie;
se alcun m'avesse detto
che suocero d'un re, che generale
un giorno io diverrei, gli avrei risposto:
«Eh va' via, che sei matto!»
Eppure... eppure è un fatto.
Nondimeno ogni cosa in questo mondo
ha il suo diritto e il suo rovescio; il mio
grado di general gran sorte invero,
grand'onore è per me:
ma in obbligo mi pon d'ire alla guerra
e farmi sbudellar gloriosamente.
Gran contrasto nel core e nella mente
mi fan l'onor, la gloria e la paura.
Conviene far riflession matura.
[N. 24 - Aria Taddeo]
Per onor farsi ammazzare!
Ma Taddeo, che te ne pare?
Meglio è star nell'osteria,
meglio è fare il locandier.
Ma se il cielo ha decretato
questo mio generalato:
ricusar! sì bassa idea
saria d'anima plebea
troppo ignobile pensier.
Su dunque alla reggia:
sul trono la figlia
regina si veggia,
e veggasi il padre
di belliche squadre
Taddeo condottier.
Mia cara locanda,
cari ospiti addio:
già pongo in oblio
l'antico mestier.
Gabinetto.
Teodoro che pensoso si asside sopra una sedia presso a un tavolino, e Gafforio.
Recitativo
GAFFORIO
Sire, tutto a seconda
va de' vostri desir. Già col sultano
amicizia stringesti, e già tra voi
gettate son le prime fondamenta
di solida alleanza
utilissima a te; già di Lisetta
il possesso otterrai; per la patente
il danaro a sborsar pronto è Taddeo;
e tu pur te ne stai, con faccia mesta,
mille tristi pensier covando in testa?
TEODORO
Gafforio, io veggio ben che le speranze
co' la realtà mesci e confondi.
GAFFORIO
Ma quai dubbi, signor?
TEODORO
Acmet trovai
pe' miei interessi indifferente assai.
E ciò che da Taddeo ti riprometti
è dubbio ancor, ed agli urgenti e grandi
bisogni miei recar non può che lieve
passeggero sollievo; e bruscamente
Sandrin minaccia intanto
di chiamarmi in giudizio; e se seguisse
un sospetto di fuga, una cattura...
Ah che il solo pensier mi fa paura.
Allor de' creditori
si solleva il vespaio, e tutti a un tratto
potrian venirmi sopra, in quella guisa
che i cani per istinto
corrono a morder l'abbattuto e il vinto.
GAFFORIO
Con quali idee ti vai
tormentando la mente!
TEODORO
Ah, tu non sai
qual feci, giorni son, sogno funesto,
che non ti dissi ancor, ma che l'istanza
di quel duro Sandrin più vivamente
ora lo rende al mio pensier presente.
GAFFORIO
Qual sogno è dunque mai che tanta tema
può destarti nel cor?
TEODORO
Odilo, e trema.
[N. 25 - Sogno di Teodoro]
Non era ancora
sorta l'aurora,
allor che i languidi
miei sensi un torbido
sonno letargico
tutti ingombrò.
Ed ecco apparvemi
spettro terribile,
che smunto e pallido,
con occhi lividi
qual chi dimagrasi
per gran digiuni,
catene e funi
in man tenea,
e pallio ed abito,
veste e calzoni
tessuti avea
di citazioni,
di conti e d'obblighi
e pagherò.
Corona e scettro
sugli occhi fransemi
l'orribil spettro;
indi volgendomi
sguardo funereo:
«Io sono il debito»
alto gridò;
poscia per l'aere
si dileguò.
Un forte palpito
le membra scossemi
e il sonno ruppemi;
e più nell'animo
da quel momento
non ho contento,
pace non ho.
Recitativo
GAFFORIO
E sogni dunque, e spettri,
che sol per donnicciuole e per fanciulli
spauracchi son, dunque potran la forte
anima intimidir di Teodoro?
Ma Taddeo venir veggio a questa volta;
ritirati, signor, lasciami seco.
TEODORO
Vado, ma tu frattanto
l'imminente sventura
per ogni modo disviar procura.
(parte)
Gafforio e Taddeo.
GAFFORIO
Povero sire, inver mi fa pietà.
GAFFORIO
(a Taddeo che viene)
Vieni, Taddeo, che appunto
io parlar ti volea.
TADDEO
Son qua, favella.
GAFFORIO
Con tua figlia il mio re vuol che in quest'oggi
compiasi il matrimonio; eseguir dessi
il sovrano voler: giusto è che prima
del nuovo onor veggasi il padre adorno.
Attendi, e in un istante a te ritorno.
(entra)
TADDEO
Che generoso re! Qual luminosa
figura in breve far dovrà Taddeo
sul teatro del mondo!
Ah ch'io perdo la testa e mi confondo.
(Gafforio torna con una gran patente in mano, seguìto da un cameriere che porta l'uniforme)
GAFFORIO
La patente ecco qua di generale.
Già sai che per tai cose
certe tasse vi son che in tutti i stati
soglion pagarsi indispensabilmente;
ma questo non è niente
in paragon del grand'onor.
TADDEO
Lo credo.
GAFFORIO
Il mio uniforme volontier ti cedo,
conciosia che son general anch'io.
Non l'ho portato ancor, larghetto è alquanto
pe 'l dosso mio; a te star dée d'incanto.
Né più mi costa che zecchini cento.
TADDEO
Cento zecchini! è un po' caretto invero.
E la patente?
GAFFORIO
Più e meno, secondo
la generosità del candidato.
TADDEO
Ma pur?
GAFFORIO
Mille zecchini.
E qualche volta ancor sino a due mila.
TADDEO
Che diavol dici mai? vuoi rovinarmi?
Io diverrei un general spiantato.
GAFFORIO
Danaro non fu mai meglio impiegato.
Orsù via, fa' che indosso
ti veggia l'onorifica divisa;
depon l'antiche spoglie,
scordati ciò che fosti, a nuova vita
ora rinasci.
(Taddeo si leva l'abito che ha indosso e si pone l'uniforme aiutato dal cameriere)
TADDEO
(al cameriere)
Adagio.
GAFFORIO
Ad altre cure
il destin ti riserva.
TADDEO
Adagio dico.
Che diavol fai? tu vuoi
dislogarmi le braccia
pria d'andar alla guerra.
GAFFORIO
A maraviglia!
Quell'uniforme, amico,
par fatto pe 'l tuo dosso.
TADDEO
Oibò, m'è stretto,
muover mi posso appena.
GAFFORIO
Tanto meglio,
più avrai del militar; ecco la spada:
costa cento zecchini.
TADDEO
Il conto cresce.
GAFFORIO
Pe 'l tuo re, per lo stato
impugnar tu la déi.
TADDEO
Lo stato e il re
stan conci per mia fé
se non hanno altri difensor che me.
GAFFORIO
Ormai ti lascio, o general Taddeo;
tu recami il danar prima che puoi.
TADDEO
Ma, general fratello, e come vuoi
che assieme por tanto danar poss'io?
GAFFORIO
Eh, non ti sgomentar: pensaci, addio.
Taddeo e poi Lisetta.
TADDEO
Co' la sua flemma e gravità costui
tutto aggiusta e facilita;
grande è in vero l'onor, ma costa caro.
Pur non ci sgomentiam; so che ogni conto
ammette il suo defalco; esagerati
anch'io so fare i conti, anch'io gli ho fatti;
poi si discorre, e alfin si viene ai patti.
Ma vien Lisetta; appressati, mia figlia,
ammira il quondam locandier tuo padre
trasfigurato in condottier di squadre.
[N. 26 - Marcia]
LISETTA
Inver altr'uomo, o genitor, mi sembri.
Ma dimmi, or c'hai quell'uniforme in dosso,
e non ti senti in petto
un cor da generale?
TADDEO
Ora che al trono
sei destinata, o figlia,
non ti senti sul busto
un capo da regina?
LISETTA
I pensier grandi
già gorgogliar mi sento entro del cranio.
TADDEO
Già i spiriti guerrieri
mi sento brulicar dentro le vene.
LISETTA
Mi si slargan le idee, sento ingrandirmi
e di me stessa divenir maggiore.
TADDEO
L'alma s'innalza, e mi s'ingrossa il core.
[N. 27 - Duetto Lisetta e Teodoro]
TADDEO
Cosa far pensi, o figlia,
la sera e la mattina
allor che un dì regina
sul trono ti vedrò?
LISETTA
Comporrò i piè, le ciglia,
e in ogni moto e detto
di maestà un pochetto
sempre vi mischierò.
Cosa far pensi, o padre,
quando il comando avrai
delle guerriere squadre
che il re ti destinò?
TADDEO
Mi darò l'aria e il tuono
di capitan valente,
e agli ordini sovente
contrordini unirò.
LISETTA
Riceverò le suppliche,
le grazie segnerò.
TADDEO
I colonnelli, i pifferi
e i tamburin farò.
LISETTA
Che gran vicissitudini
incomprensibilissime!
TADDEO
Che strane metamorfosi
imperscrutabilissime...
LISETTA E TADDEO
...il ciel ci preparò!
TADDEO
Or dunque vadasi
l'eccelsa carica
ad occupar.
LISETTA
Or dunque vadasi
il real talamo
ad occupar.
TADDEO
E i Corsi eserciti
a comandar.
LISETTA
E i Corsi popoli
a governar.
Grand'atrio nella locanda sostenuto da un doppio ordine di colonne. In fondo balaustrata che corrisponde sul Canal Grande, sul quale si vedono trapassar gondole e tutt'altra sorte di barche.
Serventi che preparano la tavola. Sandrino solo, e poi Taddeo.
Recitativo
SANDRINO
Già fatto è il colpo: in breve
di sue imposture il fio
dovrà pagar quel venturier. Non io
fui sol che feci contro lui ricorso,
ma mille creditor fecer lo stesso.
Anzi udii che il governo, indotto e mosso
da forti impegni, si varrà di questo
plausibile pretesto
per arrestarlo e ritenerlo in carcere
qual uom che instìga i popoli a rivolta
e gli altrui dritti e titol regio usurpa.
Se tanti egli ha sedotti, io non stupisco
se Lisetta e Taddeo sedusse ancora.
Ma vien ei già coll'uniforme indosso
di general: ridicola figura!
Si vide mai sciocchezza eguale a questa?
L'ambizion è un brutto mal di testa.
(parte)
(chiama i serventi della locanda che vengon ad udire i suoi ordini)
TADDEO
Olà, serventi e camerieri, udite
la volontà del general Taddeo:
a me più non convien mestier plebeo.
Tu dispensier, tu cantinier sarai,
e tu, che hai più di galantuom mostaccio,
pro-locandier ti faccio.
Or gravemente in uniforme e in spada
Belisa e Acmet ad incontrar si vada.
Acmet con Belisa che scendono dalla gondola in fondo dell'atrio, serviti da Taddeo.
[N. 28 - Finale]
ACMET
Olà, si serva
tosto la mensa.
TADDEO
Pro-locandiere,
fa' il tuo dovere.
Udisti? Pensa
che or tocca a te.
ACMET
Perché quell'abito
strano e difforme?
BELISA
Quell'uniforme,
Taddeo, perché?
TADDEO
Che maraviglia
che generale
sia chi la figlia
marita a un re?
Teodoro con Gafforio, indi Lisetta, e detti.
TEODORO
(a Taddeo)
Addio, generale.
(ad Acmet)
Sultan, ti saluto.
(a Belisa)
Madama, buon dì.
LISETTA
Salute, signori,
e buon appetito.
ACMET
Se tutto è servito
poniamci a sedere.
TADDEO
Il pro-locandiere
già tutto servì.
TUTTI
A mensa si sieda,
in volto si veda
a tutti la gioia,
il riso, il piacer.
Sia lungi la noia
e il tristo pensier.
ACMET
Dunque con Teodoro
la figlia di Taddeo
contratto ha l'imeneo?
GAFFORIO
Sì... l'imeneo... cioè...
TADDEO
Cosa vuol dir cioè?
Contratto: così è.
BELISA E ACMET
Costor son pazzi affé.
TEODORO
Che nuove abbiam?
LISETTA
Dell'opera
si parla molto.
TEODORO
Incontra?
BELISA
Sì e no.
TADDEO
Chi è pro, chi contra.
TEODORO
Domanda un po' a quel trace
se l'opera gli piace.
TADDEO
Che può capir costui?
LISETTA
(ad Acmet)
Vi foste voi?
ACMET
Vi fui.
BELISA
(ad Acmet)
Che ve ne par?
ACMET
Follie.
LISETTA
Come?
TADDEO
Perché, signor?
ACMET
Ove si vide, e quando
alcun morir cantando?
TADDEO
(ad Acmet)
E quel vocin di cesare?
ACMET
Pieno di tali eroi
fu il mio serraglio ancor.
BELISA
(ad Acmet)
Gusto non è fra voi.
ACMET
(a Belisa)
Lo strano e inverisimile
di vostro gusto è ognor.
LISETTA
Per l'opera qua ieri
giunser dei forestieri.
TEODORO
(con ansietà)
Di qual nazion?
TADDEO
Romani,
toscani, genovesi.
TEODORO
(turbato a Gafforio)
Gafforio, udisti?
GAFFORIO
Intesi.
ACMET
Orsù, beviam.
TUTTI
Beviamo.
ACMET
Il vino è bello e buono
e io non la perdono
all'arabo profeta
che a' musulman lo vieta
per voglia di vietar.
TADDEO
Beviam de' sposi a onore.
BELISA, TADDEO, ACMET E GAFFORIO
Evviva Bacco e Amore.
LISETTA E TEODORO
(E pur contento il core
nel petto mio non par.)
GAFFORIO
(a Teodoro)
(vedendo venir la gente di giustizia)
Oh dio, Teodoro,
chi son costoro?
LISETTA
Che veggio, ohimè?
TADDEO
Ohimè, signori,
gli esecutori.
TEODORO
(a Gafforio)
Ah ch'io già tremo.
GAFFORIO
(a Teodoro)
Signor, prevedo
de' guai per te.
Messer Grande con séguito di Gente di giustizia e detti.
MESSER
(a Teodoro)
D'ordin supremo,
signor, dovete
venir con me.
(si levano tutti da tavola)
LISETTA, BELISA, TADDEO E GAFFORIO
Messer, badate
a quel che fate,
che quegli è un re.
MESSER
L'ordin supremo
empir si de'.
TEODORO
Almen, Messere,
dite il perché.
MESSER
Saper volete
dunque il perché?
TUTTI
Sì sì, leggete,
sentiam cos'è.
MESSER
(cava di tasca un foglio e lo legge)
«Venti mila gigliati ai tunesini,
quattro mila e seicento ai livornesi,
ghinee quindici mila e due scellini
per più cambiali ai negozianti inglesi,
quaranta mila ottantasei fiorini
in vari tempi e date agli olandesi;
debiti inoltre in Cadice, in Lisbona,
in Amburgo, in Marsiglia, in Barcellona.»
LISETTA, ACMET E TADDEO
Oh quanti debiti!
Tanto il suo regno
valer non può.
TEODORO
Amici, addio,
forza è ch'io vada:
ecco la spada,
prigion me n' vo.
(consegna la spada al Messer Grande)
TUTTI
Come in un subito
tutto cangiò.
TEODORO
(a Lisetta)
Tu, cara, serbami
gli affetti tuoi;
vado ma poi
ritornerò.
(parte in mezzo alla gente di giustizia)
LISETTA
Un uomo in carcere
sposar non vo'.
GAFFORIO
Povero sire,
lo seguirò.
BELISA
Il mio pronostico
già s'avverò.
TADDEO
O re di coppe,
o re di picche,
il mio Berlicche
l'indovinò.
ACMET
Il tempo è torbido,
meglio partire;
col core placido
qui più non sto.
(parte)
SANDRINO
(esce dall'altra parte)
Che fu, Lisetta?
Che fu, Taddeo?
TADDEO
Editti ed ordini
e marche e titoli,
trono, imeneo,
generalato,
e tutto al diavolo
a un tratto andò.
SANDRINO
(a Lisetta)
Or tu vedi per chi mi abbandoni!
E ombra vana sedurre ti può?
LISETTA
Tu l'amor di Belisa preponi.
BELISA E SANDRINO
Cosa mai nel cervel ti saltò?
LISETTA
E fia ver che ingannata mi sia?
SANDRINO
Vita mia, colpa alcuna non ho.
Insieme
LISETTA
E mio padre?
SANDRINO
E tuo padre?
TADDEO
Più oppormi non so.
BELISA
L'amor vostro turbar io non voglio:
rimanetevi in pace, me n' vo.
(parte)
TADDEO
Di quest'abito presto mi spoglio,
più patenti e uniformi non vo'.
(parte)
LISETTA
Dunque mi serbi affetto?
SANDRINO
Dunque tu m'ami ancor?
LISETTA E SANDRINO
Sempre lo stesso oggetto
fisso mi sta nel cor.
LISETTA
Anima mia -
SANDRINO
- Mio bene...
LISETTA E SANDRINO
...dimentichiam le pene,
si torni al primo amor.
Carcere interna.
Teodoro.
Questo squallido soggiorno
d'ogn'intorno
offre immagini funeste;
e fra queste ~ nude pietre
scure e tetre ~ pien d'orrore
sento il core ~ palpitar.
Dunque questa catacomba
è la tomba
d'ogni mio vasto disegno.
Questo è il regno ~ e questo è il trono?
Questi dunque i stati sono
ove un dì credea regnar?
Ma pur veggio in lontananza
di speranza
balenar languido raggio,
che coraggio
mi comincia ad inspirar.
La speranza è quella sola
che consola ~ ogni meschino
già vicino ~ a disperar.
Carcere esterna. Teodoro in carcere, e tutti un appresso l'altro nell'atrio anteriore alla carcere, visibile per mezzo di ferriate.
BELISA
(esce)
Ah te 'l diss'io, fratello,
che di regnar la rabbia
alla galera o in gabbia
t'avria condotto un dì.
GAFFORIO
Serba coraggio, o sire,
e amor di gloria in petto.
Regolo e Baiazetto
peggio di te finì.
TEODORO
Finiscila una volta
co' le tue rancie istorie;
non mi parlar di glorie,
non mi seccar così.
TADDEO
(riportando l'uniforme, le spade e la patente)
Io non vo' saper più niente
d'uniforme e di patente.
LISETTA
(rende a Teodoro l'anello)
Tienti anel, corona, e regno
ch'io mi sciolgo d'ogn'impegno.
SANDRINO
Questi è il re, questi è colui
che vuol tor le spose altrui.
ACMET
Se di nuovo ti rivedo
è per tor da te congedo.
BELISA
(ad Acmet)
Caro turco, se tu parti,
fratel mio, se di giovarti
facoltà non m'è concessa,
penso anch'io partir di qua.
LISETTA, TADDEO, SANDRINO E GAFFORIO
Come! tu sei sua sorella?
tu del sangue principessa?
Questa è bella in verità.
TEODORO
Ite pur, non m'affliggete,
o tacete per pietà.
TUTTI
Ciò che alletta il core umano,
quanto è vano, quanto è fral!
TEODORO
Giusto ciel! quanto noiosa
è la gente virtuosa
quando predica moral!
GAFFORIO
A far la vendetta
di tutti i tuoi torti
d'Europa le corti
solleciterò.
ACMET
Farem la colletta
pe 'l principe corso
e a darti soccorso
contribuirò.
TADDEO
Infin che in prigione
farete soggiorno,
il pranzo ogni giorno
a voi manderò.
SANDRINO
Or che ho la mia sposa
più irato non sono,
né per Cecchin Buono
più istanza farò.
BELISA
Sta' allegro, fratello,
le leggi in favore
son sempre di quello
che solver non può.
LISETTA
Allor che vedranno
che un soldo non hai,
ti libereranno,
o vogliano o no.
ACMET
Di sorte volubile
esempio son io,
esempio sei tu.
TUTTI
(meno Teodoro)
Consolati, addio.
Mai nulla di stabile
al mondo non fu.
TEODORO
In pace lasciatemi,
udir non vo' più.
(si ritira)
TUTTI
Come una ruota è il mondo,
chi in cima sta, chi in fondo,
e chi era in fondo prima
poscia ritorna in cima,
chi salta, chi precipita
e chi va in su, chi in giù.
Ma se la ruota gira,
lascisi pur girar;
felice è chi fra i vortici
tranquillo può restar.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)