Atto primo

 

Scena prima

Giardino in casa di don Tritemio.
Eugenia con un ramo di gelsomini, Lesbina con una rosa in mano.

 Q 

<- Eugenia, Lesbina

 

EUGENIA

Candidetto gelsomino,    

che sei vago in sul mattino,

perderai, vicino a sera,

la primiera ~ tua beltà.

S

LESBINA

Vaga rosa, onor de' fiori,

fresca piaci ed innamori,

ma vicino è il tuo flagello,

e il tuo bello ~ sparirà.

EUGENIA E LESBINA

Tal di donna la bellezza

più ch'è fresca, più s'apprezza;

s'abbandona allorché perde

il bel verde ~ dell'età.

 

EUGENIA

Basta, basta, non più.  

Ché codesta canzon, Lesbina mia,

troppo mi desta in sen malinconia.

LESBINA

Anzi cantarla spesso,

padrona, io vi consiglio,

per sfuggir della rosa il rio periglio.

EUGENIA

Ah! che sotto d'un padre

asprissimo e severo,

far buon uso non spero

di questa età che della donna è il fiore.

Troppo, troppo nemico ho il genitore.

Sfondo schermo ()

LESBINA

Pur delle vostre nozze

lo intesi ragionar.

EUGENIA

Nozze infelici

sarebbero al cuor mio le divisate

dall'avarizia sua. Dell'uomo vile,

che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.

L'aborrisco, e mi scelgo anzi la morte.

LESBINA

Non così parlereste

s'ei proponesse al vostro cor Rinaldo.

EUGENIA

Lesbina... ohimè!

LESBINA

V'ho fatto venir caldo?

Vi compatisco; un cavalier gentile,

in tutto a voi simìle

nell'età, nel costume e nell'amore,

far potrebbe felice il vostro cuore...

EUGENIA

Ma il genitor mi nega...

LESBINA

Si supplica, si prega,

si sospira, si piange, e se non basta,

si fa un po' la sdegnosa, e si contrasta.

EUGENIA

Ah, mi manca il coraggio.

LESBINA

Io vi offerisco

quel che so, quel che posso. È ver che sono

in una età da non prometter molto;

ma posso, se m'impegno,

far valere per voi l'arte e l'ingegno.

EUGENIA

Cara, di te mi fido. Amor, pietade

per la padrona tua serba nel seno;

se non felice appieno,

almen fa ch'io non sia sì sventurata.

LESBINA

Meglio sola che male accompagnata!

Così volete dir; sì, sì, v'intendo.

EUGENIA

Dunque da te qualche soccorso attendo.

 

Se perde il caro lido,  

sopporta il mar che freme:

lo scoglio è quel che teme

il misero nocchier.

Lontan dal caro bene,

soffro costante e peno,

ma questo cuore almeno

rimanga in mio poter.

(parte)

Eugenia ->

 

Scena seconda

Lesbina, poi don Tritemio.

 

LESBINA

Povera padroncina!  

Affé, la compatisco.

Quest'anch'io la capisco.

Insegna la prudenza:

se non si ha quel che piace, è meglio senza.

 

<- Tritemio

TRITEMIO

Che si fa, signorina?

LESBINA

Un po' d'insalatina

raccogliere volea pe 'l desinare.

TRITEMIO

Poco fa v'ho sentito a cantuzzare.

LESBINA

È ver, colla padrona

mi divertiva un poco.

TRITEMIO

E mi figuro

che cantate s'avranno

canzonette d'amor.

LESBINA

Oh, non signore.

Di questo o di quel fiore,

di questo o di quel frutto,

si cantavan le lodi.

TRITEMIO

Il crederò?

LESBINA

Le volete sentir?

TRITEMIO

Le sentirò.

LESBINA

(Qualche strofetta canterò a proposito...)

TRITEMIO

(Oh ragazza!... farei uno sproposito.)

LESBINA

Sentite, padron bello,

la canzonetta sopra il ravanello.

 

Quando son giovine,    

son fresco e bello,

son tenerello,

di buon sapor.

Ma quando invecchio,

gettato sono;

non son più buono

col pizzicor.

S

Sfondo schermo () ()

 

TRITEMIO

Scaccia questa canzon dalla memoria.  

LESBINA

Una ne vuò cantar sulla cicoria.

 

Son fresca e son bella  

cicoria novella.

Mangiatemi presto,

coglietemi su.

Se resto nel prato,

radicchio invecchiato,

nessuno si degna

raccogliermi più.

 

TRITEMIO

Senti, ragazza mia,  

questa canzone ha un poco d'allegria,

tu sei, Lesbina bella,

cicorietta novella;

prima che ad invecchiar ti veda il fato,

esser colta dovresti in mezzo al prato.

LESBINA

Per me v'è tempo ancora,

dovreste alla signora

pensar, caro padrone.

Or ch'è buona stagione,

or ch'è un frutto maturo e saporito,

non la fate invecchiar senza marito.

TRITEMIO

A lei ho già pensato;

sposo le ho destinato, e avrallo presto.

LESBINA

Posso saper chi sia?

TRITEMIO

Nardo è cotesto.

LESBINA

Di quella tenerina

erbetta cittadina

la bocca d'un villan non mi par degna.

TRITEMIO

Eh, la prudenza insegna

che ogn'erba si contenti

d'aver qualche governo,

purché esposta non resti al crudo verno.

LESBINA

Io mi contenterei,

pria di vederla così mal troncata,

per la neve lasciar la mia insalata.

TRITEMIO

Tu sei un bocconcino

per il tuo padroncino.

LESBINA

Oh oh, sentite

un'altra canzonetta, ch'ho imparata

sul proposito mio dell'insalata.

 

Non raccoglie ~ le mie foglie  

vecchia mano di pastor.

Voglio un bello ~ pastorello,

o vuò star nel prato ancor.

(parte)

Lesbina ->

 

Scena terza

Don Tritemio, poi Rinaldo.

 

TRITEMIO

Allegoricamente  

m'ha detto che con lei non farò niente.

Eppure io mi lusingo

che a forza di finezze

tutto supererò,

che col tempo con lei tutto farò.

Per or d'Eugenia mia

liberarmi mi preme. Un buon partito

Nardo per lei sarà: ricco, riccone;

un villano, egli è ver, ma sapientone.

 

<- Rinaldo

RINALDO
(in disparte)

(Ecco della mia bella

il genitor felice.)

TRITEMIO

Per la villa si dice

che Nardo ha un buono stato,

e da tutti filosofo è chiamato.

RINALDO

(Sorte, non mi tradir) Signor.

TRITEMIO

Padrone.

RINALDO

S'ella mi permettesse,

le direi due parole.

TRITEMIO

Anche quattro ne ascolto, e più se vuole.

RINALDO

Non so se mi conosca.

TRITEMIO

Non mi pare.

RINALDO

Di me si può informare;

son cavaliere, e sono i beni miei

vicini ai suoi.

TRITEMIO

Mi rallegro con lei.

RINALDO

Ell'ha una figlia.

TRITEMIO

Sì signor.

RINALDO

Dirò...

se fossi degno... Troppo ardire è questo...

ma... mi sprona l'amore.

TRITEMIO

Intendo il resto.

RINALDO

Dunque, signor...

TRITEMIO

Dunque, signor mio caro,

per venir alle corte, io vi dirò...

RINALDO

M'accordate la figlia?

TRITEMIO

Signor no.

RINALDO

Ahi, mi sento morir!

TRITEMIO

Per cortesia,

non venite a morir in casa mia.

RINALDO

Ma perché sì aspramente

mi togliete alla prima ogni speranza?

TRITEMIO

Lusingarvi sarebbe una increanza.

RINALDO

Son cavalier.

TRITEMIO

Benissimo.

RINALDO

De' beni

ricco son quanto voi.

TRITEMIO

Son persuaso.

RINALDO

Il mio stato, i miei fondi,

le parentele mie vi mostrerò.

TRITEMIO

Credo tutto.

RINALDO

Che speri?

TRITEMIO

Signor no.

RINALDO

Ma la ragione almeno

dite, perché nemmen si vuol ch'io speri.

TRITEMIO

La ragion?...

RINALDO

Vuò saper...

TRITEMIO

Sì, volentieri.

 

La mia ragion è questa...  

mi par ragione onesta.

La figlia mi chiedeste,

e la ragion voleste...

la mia ragion sta qui.

Non posso dirvi sì,

perché vuò dir di no.

Se non vi basta ancora,

un'altra ne dirò:

rispondo: «Signor no»,

perché la vuò così.

E son padron di dirlo:

la mia ragion sta qui.

(parte)

Tritemio ->

 

Scena quarta

Rinaldo solo.

 

 

Sciocca ragione indegna,  

d'anima vil dell'onestà nemica.

Ma non vuò che si dica

ch'io soffra un tale insulto,

ch'io debb'andar villanamente inulto.

O Eugenia sarà mia,

o tu, padre inumano,

ti pentirai del tuo costume insano.

 

Taci, amor, nel seno mio,  

finché parla il giusto sdegno;

o prendete ambi l'impegno

i miei torti a vendicar.

Fido amante, è ver, son io;

ogni duol soffrir saprei,

ma il mio ben non soffrirei

con viltade abbandonar.

(parte)

Rinaldo ->

 
 

Scena quinta

Campagna con casa rustica.
Nardo esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni Villani.

 Q 

<- Nardo, villani, contadino

 

NARDO

Al lavoro, alla campagna;  

poi si gode, poi si magna

con diletto e libertà.

Oh che pane delicato,

se da noi fu coltivato!

Presto, presto a lavorare,

a podare, a seminare,

e dappoi si mangerà;

del buon vin si beverà,

ed allegri si starà.

 
(partono i contadini, restandone uno impiegato)

villani ->

 

 

Vanga mia benedetta,  

mio diletto conforto e mio sostegno,

tu sei lo scettro, e questi campi il regno.

Quivi regnò mio padre,

l'avolo, ed il bisavolo, e il tritavolo,

e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.

Nelle città famose

ogni generazion si cambia stato.

Se il padre ha accumulato

con fatica, con arte e con periglio,

distrugge i beni suoi prodigo il figlio.

Qui dove non ci tiene

il lusso, l'ambizion, la gola oppressi,

sono gli uomini ognor sempre gl'istessi.

Non cambierei, lo giuro,

col piacer delle feste e dei teatri

zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.

 

Scena sesta

La Lena ed il suddetto.

<- Lena

 

LENA

(Eccolo qui; la vanga  

è tutto il suo diletto.)

(a Nardo)

Se foste un poveretto,

compatirvi vorrei, ma siete ricco.

Avete dei poderi e dei contanti;

la fatica lasciate ai lavoranti.

NARDO

Cara nipote mia,

piuttosto che parlar come una sciocca,

fareste meglio maneggiar la rocca.

LENA

Colla rocca, col fuso e coi famigli

stanca son d'annoiarmi:

voi dovreste pensare a maritarmi.

NARDO

Sì, volentieri. Presto,

comparisca un marito. Eccolo qui.

(accenna un villano)

Vuoi sposar mia nipote? Signor sì.

(alla Lena)

Eccolo io ve lo do.

Lo volete? Vi piace?

LENA

Signor no.

NARDO

Va' a veder se passasse

a caso per la strada

qualche affamato con parrucca e spada.

(al villano, il quale parte ridendo)

contadino ->

 

Vedi? Ride Mingone e ti corbella.  

Povera vanarella,

tu sposeresti un conte od un marchese,

perché in meno d'un mese,

strapazzata la dote e la fanciulla,

la nobiltà ti riducesse al nulla.

LENA

Io non voglio un signor, né un contadino;

mi basta un cittadino

che stia bene...

NARDO

Di che?

LENA

Ch'abbia un'entrata

qual a mediocre stato si conviene;

che sia discreto, e che mi voglia bene.

NARDO

Lena, pretendi assai;

se lo brami così, no 'l troverai.

Per lo più i cittadini

hanno pochi quattrini e troppe voglie,

e non usano molto amar la moglie.

Per pratica comune,

nelle cittadi usata,

è maggiore l'uscita dell'entrata.

LENA

Il signor don Tritemio

è cittadino, eppure

così non usa.

NARDO

È vero,

ma in villa se ne sta

perché nella città vede il pericolo

d'esser vizioso o diventar ridicolo.

LENA

Della figliuola sua

v'ha proposte le nozze, io ben lo so.

NARDO

Ed io la sposerò,

perché la dote e il padre suo mi piace,

con patto che non sia

gonfia di vento, e piena d'albagia.

LENA

L'avete ancor veduta?

NARDO

Ieri solo è venuta;

oggi la vederò.

LENA

Dunque chi sa

s'ella vi piacerà.

NARDO

Basta non abbia

visibili magagne;

sono le donne poi tutte compagne.

LENA

Ammogliatevi presto, signor zio;

ma voglio poscia maritarmi anch'io.

 

Di questa poverella  

abbiate carità.

Io son un'orfanella

che madre più non ha.

Voi siete il babbo mio.

Vedete, caro zio,

ch'io cresco nell'età.

La vostra nipotina

vorrebbe, poverina...

sapete... m'intendete...

movetevi a pietà.

(parte)

Lena ->

 

Scena settima

Nardo solo.

 

 

Sì signora, non dubiti,  

che contenta sarà.

La si mariterà la poverina,

ma la vuò maritar da contadina.

Ecco, il mondo è così. Niuno è contento

del grado in cui si trova,

e lo stato cambiare ognun si prova.

Vorrebbe il contadino

diventar cittadino; il cittadino

cerca nobilitarsi;

ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi;

d'un gradino alla volta

qualchedun si contenta;

alcuno due o tre ne fa in un salto,

ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.

 

Vedo quell'albero  

che ha un pero grosso:

pigliar no 'l posso,

si sbalzi in su.

Ma fatto il salto,

salito in alto,

vedo un perone

grosso assai più.

Prender lo bramo,

m'alzo sul ramo,

vado più in su.

Ma poi precipito

col capo in giù.

(parte)

Nardo ->

 
 

Scena ottava

Salotto in casa di don Tritemio, con varie porte.
Eugenia e Rinaldo.

 Q 

Eugenia, Rinaldo

 

EUGENIA

Deh se mi amate, o caro,  

ite lontan da queste soglie. Oh dio!

Temo che ci sorprenda il padre mio.

RINALDO

Del vostro genitore

il soverchio rigor vi vuole oppressa.

Deh, pensate a voi stessa.

EUGENIA

Ai numi il giuro:

non sarò d'altri se di voi non sono.

Ah, se il mio cuor vi dono,

per or vi basti, e non vogliate, ingrato,

render lo stato mio più sventurato.

RINALDO

Gradisco il vostro cor, ma della mano

il possesso mi cale...

EUGENIA

Ohimè! Chi viene?

RINALDO

Non temete; è Lesbina.

EUGENIA

Io vivo in pene.

 

Scena nona

Lesbina e detti.

<- Lesbina

 

LESBINA
(ad Eugenia)

V'è chi cerca di voi, signora mia.  

EUGENIA

Il genitore?

LESBINA

Oibò. Sta il mio padrone

col suo fattore, e contano denari,

né si spiccia sì presto in tali affari.

RINALDO

Dunque chi è che la dimanda?

LESBINA

Bravo!

Voi pur siete curioso?

Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.

RINALDO

Come?

EUGENIA

Che dici?

LESBINA

È giunto

adesso, in questo punto,

forte, lesto e gagliardo,

il bellissimo Nardo; e il padre vostro

ha detto, ha comandato,

che gli dobbiate far buona accoglienza,

se non per genio, almen per obbedienza.

EUGENIA

Misera, che farò?

RINALDO

Coraggio avrete

di tradir chi v'adora?

EUGENIA

È ver, son figlia,

ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?

LESBINA

Ambi pietà mi fate;

a me condur lasciate la faccenda.

Ritiratevi presto.

EUGENIA

Vado.

(in atto di partire)

RINALDO

Anch'io.

(in atto di seguire Eugenia)

LESBINA

Con grazia, padron mio;

ritiratevi, sì, questo mi preme;

ma non andate a ritirarvi insieme.

Voi di qua; voi di là: così va bene.

EUGENIA

Soffrite, idolo mio.

RINALDO

Soffrir conviene.

 

 

Oh dolce amabil pegno  

di mia felicità!

EUGENIA

Oh sospirato segno

che vita alfin mi dà!

RINALDO

Idolo del mio seno.

EUGENIA E RINALDO

Mia vita, mio diletto,

ti stringo a questo petto

colmo per te d'ardor.

Non si rallenti mai,

vezzosi amati rai,

né men per gioco

il foco

che ci feconda amor.

(partono)

Rinaldo, Eugenia ->

 

Scena decima

Lesbina, poi Nardo.

 

LESBINA

Capperi! s'attaccava  

prestamente al partito.

Troppo presto volea far da marito.

Ecco il ricco villano;

ora son nell'impegno:

tutta l'arte vi vuol, tutto l'ingegno.

 

<- Nardo

NARDO

Chi è qui?

LESBINA

Non ci vedete?

Per ora ci son io.

NARDO

Bondì a vossignoria.

LESBINA

Padrone mio.

NARDO

Don Tritemio dov'è?

LESBINA

Verrà fra poco.

Potete in questo loco

aspettar, se v'aggrada.

NARDO

Aspetterò.

Voi chi siete, signora?

LESBINA

Io non lo so.

(affettando modestia)

NARDO

Sareste per ventura

la figliuola di lui, venuta qui?

LESBINA

Potria darsi di sì.

NARDO

Alla ciera mi par...

LESBINA

Così sarà.

NARDO

Mi piacete davver.

LESBINA

Vostra bontà.

NARDO

Sapete chi son io?

LESBINA

No, mio signore.

NARDO

Non ve lo dice il core?

LESBINA

Il cor d'una fanciulla,

se si tratta d'un uom, non sa dir nulla.

NARDO

Eh furbetta, furbetta. Voi mi avete

conosciuto a drittura.

Delle fanciulle al cor parla natura.

LESBINA

Siete forse...

NARDO

Via, chi?

LESBINA

Nardino bello?

NARDO

Sì, carina, son quello;

quello che vostro sposo è destinato.

LESBINA

Con licenza, signor, m'hanno chiamato.

NARDO

Dove andate?

LESBINA

Non so.

NARDO

Eh restate, carina.

LESBINA

Signor no.

NARDO

Vi spiace il volto mio?

LESBINA

Anzi... mi piace...

ma...

NARDO

Che ma?

LESBINA

Non so dir... che cosa sia.

Con licenza, signor; voglio andar via.

NARDO

Fermatevi un momento.

(Si vede dal rossor ch'è figlia buona.)

LESBINA

(Servo me stessa, e servo la padrona.)

 

Compatite, signor, s'io non so.  

Son così, non so far all'amor.

Una cosa mi sento nel cor,

che col labbro spiegar non si può.

Miratemi qua,

saprete cos'è.

Voltatevi in là,

lontano da me.

Voglio partire, mi sento languire.

(Ah! col tempo spiegarmi saprò.)

(parte)

Lesbina ->

 

Scena undicesima

Nardo, poi don Tritemio.

 

NARDO

Si vede chiaramente  

che la natura in lei parla innocente.

Finger anche potrebbe, è ver, purtroppo;

ma è un cattivo animale

quel che senza ragion sospetta male.

 

<- Tritemio

TRITEMIO

Messer Nardo dabbene,

compatite se troppo trattenuto

m'ha un domestico impaccio;

vi saluto di core.

NARDO

Ed io vi abbraccio.

TRITEMIO

Or verrà la figliuola.

NARDO

È già venuta.

TRITEMIO

La vedeste?

NARDO

Gnor sì, l'ho già veduta.

TRITEMIO

Che vi par?

NARDO

Mi par bella.

TRITEMIO

È un po' ritrosa.

NARDO

La fanciulla va ben sia vergognosa.

TRITEMIO

Disse niente? Parlò?

NARDO

Mi disse tanto

che sperare mi fa d'esser amato.

TRITEMIO

È vero?

NARDO

È ver.

TRITEMIO

(Oh il ciel sia ringraziato.)

Ma perché se n'andò?

NARDO

Perché bel bello

Amor col suo martello

il cor le inteneriva,

e ne aveva rossore.

TRITEMIO

E viva, e viva.

Eugenia, dove sei? Facciamo presto;

concludiamo l'affar.

NARDO

Per me son lesto.

TRITEMIO

Chi è quella?

NARDO

È mia nipote.

 

Scena dodicesima

La Lena e detti, poi Lesbina.

<- Lena

 

NARDO
(alla Lena)

Che volete voi qui?  

LENA

Con sua licenza,

alla sposa vorrei far riverenza.

TRITEMIO

Ora la chiamerò.

NARDO

Concludiamo le nozze.

TRITEMIO

Io presto fo.

(parte)

Tritemio ->

 

LENA

Signor zio, com'è bella?

NARDO

La vedrai. È una stella.

LENA

È galante e graziosa?

NARDO

È galante, è graziosa ed è amorosa.

LENA

Vi vorrà ben?

NARDO

Si vede

da un certo non so che

che l'ha la madre sua fatta per me.

Appena ci siam visti,

un incognito amor di simpatia

ha messo i nostri cuori in allegria.

 

 

Son pien di giubilo,  

ridente ho l'animo,

nel sen mi palpita

brillante il cor.

LENA

Il vostro giubilo

nelle mie viscere

risveglia ed agita

novello ardor.

LESBINA

(esce da una camera)

Sposino amabile,

per voi son misera,

mi sento mordere

dal dio d'amor.

<- Lesbina

 

NARDO

Vieni al mio seno,

sposina mia.

LENA

Signora zia,

a voi m'inchino.

LESBINA, LENA E NARDO

Dolce destino,

felice amor!

 

LESBINA

Parto, parto: il genitore.

NARDO

Perché partir?

LESBINA

Il mio rossore

non mi lascia restar qui.

(entra nella camera di dove è venuta)

Lesbina ->

 

NARDO

Vergognosetta

la poveretta

se ne fuggì.

LENA

Se fossi in lei,

non fuggirei

chi mi ferì.

 

<- Tritemio

TRITEMIO

La ricerco, e non la trovo.

Oh che smania in sen io provo!

Dove diavolo sarà?

LENA E NARDO

(ridono)

Ah, ah, ah.

TRITEMIO

L'ho cercata su e giù:

l'ho cercata qua e là.

LENA E NARDO

(ridono)

Ah, ah, ah.

TRITEMIO

Voi ridete? come va?

NARDO

Fin adesso è stata qua.

TRITEMIO

Dov'è andata?

LENA

(accenna ov'è entrata)

È andata là.

TRITEMIO

Quando è là, la troverò,

e con me la condurrò.

(entra in quella camera)

Tritemio ->

 

NARDO

Superar il genitore

potrà ben il suo rossore.

LENA

Non è tanto vergognoso

il suo core collo sposo.

LENA E NARDO

Si confonde nel suo petto

il rispetto ~ con l'amor.

 

LESBINA

(esce di nuovo)

Presto, presto, sposo bello,

via, porgetemi l'anello,

che la sposa allor sarò.

<- Lesbina

LENA

Questa cosa far si può.

NARDO

Ecco, ecco, ve lo do.

(le dà un anello)

LESBINA

Torna il padre, vado via.

NARDO

Ma perché tal ritrosia?

LESBINA

Il motivo non lo so.

LENA

Dallo sposo non fuggite.

LESBINA

Compatite, ~ tornerò.

(torna nella camera di prima)

Lesbina ->

LENA

Una sposa coll'anello

ha rossor ~ del genitor.

Insieme

NARDO

Caso raro, caso bello!

Ha rossor ~ del genitor.

 

<- Tritemio

TRITEMIO

Non la trovo.

LENA E NARDO

(ridendo)

Ah, ah, ah.

TRITEMIO

Voi ridete?

LENA E NARDO

È stata qua.

LENA

Collo sposo ha favellato.

NARDO

E l'anello già le ha dato.

TRITEMIO

Alla figlia?

LENA E NARDO

Signor sì.

TRITEMIO

Alla sposa?

LENA E NARDO

Messer sì.

TRITEMIO

Quel ch'è fatto, fatto sia.

 

LENA, NARDO E TRITEMIO

Stiamo dunque in allegria,

che la sposa ~ vergognosa

alla fin si cangerà;

e l'amore ~ nel suo core

con piacer trionferà.

(partono)

Lena, Nardo, Tritemio ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Giardino in casa di don Tritemio.

<- Eugenia, Lesbina
Eugenia e Lesbina
Candidetto gelsomino

Basta, basta, non più

Lesbina
Eugenia ->

Povera padroncina!

Lesbina
<- Tritemio

Scaccia questa canzon dalla memoria

Senti, ragazza mia

Tritemio
Lesbina ->

Allegoricamente m'ha detto

Tritemio
<- Rinaldo

Rinaldo
Tritemio ->

Sciocca ragione indegna

Rinaldo ->

Campagna con casa rustica.

<- Nardo, villani, contadino
Nardo, contadino
villani ->

Vanga mia benedetta

Nardo, contadino
<- Lena

Eccolo qui

Nardo, Lena
contadino ->

Vedi? Ride Mingone e ti corbella

Nardo
Lena ->

Sì signora, non dubiti

Nardo ->

Salotto in casa di don Tritemio.

Eugenia, Rinaldo
 

Deh se mi amate, o caro

Eugenia, Rinaldo
<- Lesbina

V'è chi cerca di voi, signora mia

Rinaldo ed Eugenia
Oh dolce amabil pegno
Lesbina
Rinaldo, Eugenia ->

Capperi! s'attaccava prestamente al partito

Lesbina
<- Nardo

Nardo
Lesbina ->

Si vede chiaramente

Nardo
<- Tritemio

Nardo, Tritemio
<- Lena

Che volete voi qui?

Nardo, Lena
Tritemio ->

Nardo, Lena, poi Lesbina, poi Tritemio
Son pien di giubilo
Nardo, Lena
<- Lesbina
 
Nardo, Lena
Lesbina ->
 
Nardo, Lena
<- Tritemio
 
Nardo, Lena
Tritemio ->
 
Nardo, Lena
<- Lesbina
 
Nardo, Lena
Lesbina ->
 
Nardo, Lena
<- Tritemio
 
Lena, Nardo, Tritemio ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima
Giardino in casa di don Tritemio. Campagna con casa rustica. Salotto in casa di don Tritemio. Camera di don Tritemio. Campagna. Camera in casa di don Tritemio. Luogo campestre con casa rustica di Nardo.
Atto secondo Atto terzo

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