IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
Dramma giocoso per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Baldassarre GALUPPI.
Prima esecuzione: 26 ottobre 1754, Venezia.
Personaggi:
Parti serie | |
EUGENIA figlia nubile di don Tritemio |
soprano |
RINALDO gentiluomo amante d'Eugenia |
soprano |
Parti buffe | |
NARDO ricco contadino detto il Filosofo |
tenore |
LESBINA cameriera in casa di don Tritemio |
soprano |
Don TRITEMIO cittadino abitante in villa |
basso |
LENA nipote di Nardo |
soprano |
CAPOCCHIO notaro della villa |
tenore |
Giardino in casa di don Tritemio.
Eugenia con un ramo di gelsomini, Lesbina con una rosa in mano.
EUGENIA
Candidetto gelsomino,
che sei vago in sul mattino,
perderai, vicino a sera,
la primiera ~ tua beltà.
LESBINA
Vaga rosa, onor de' fiori,
fresca piaci ed innamori,
ma vicino è il tuo flagello,
e il tuo bello ~ sparirà.
EUGENIA E LESBINA
Tal di donna la bellezza
più ch'è fresca, più s'apprezza;
s'abbandona allorché perde
il bel verde ~ dell'età.
EUGENIA
Basta, basta, non più.
Ché codesta canzon, Lesbina mia,
troppo mi desta in sen malinconia.
LESBINA
Anzi cantarla spesso,
padrona, io vi consiglio,
per sfuggir della rosa il rio periglio.
EUGENIA
Ah! che sotto d'un padre
asprissimo e severo,
far buon uso non spero
di questa età che della donna è il fiore.
Troppo, troppo nemico ho il genitore.
LESBINA
Pur delle vostre nozze
lo intesi ragionar.
EUGENIA
Nozze infelici
sarebbero al cuor mio le divisate
dall'avarizia sua. Dell'uomo vile,
che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
L'aborrisco, e mi scelgo anzi la morte.
LESBINA
Non così parlereste
s'ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
EUGENIA
Lesbina... ohimè!
LESBINA
V'ho fatto venir caldo?
Vi compatisco; un cavalier gentile,
in tutto a voi simìle
nell'età, nel costume e nell'amore,
far potrebbe felice il vostro cuore...
EUGENIA
Ma il genitor mi nega...
LESBINA
Si supplica, si prega,
si sospira, si piange, e se non basta,
si fa un po' la sdegnosa, e si contrasta.
EUGENIA
Ah, mi manca il coraggio.
LESBINA
Io vi offerisco
quel che so, quel che posso. È ver che sono
in una età da non prometter molto;
ma posso, se m'impegno,
far valere per voi l'arte e l'ingegno.
EUGENIA
Cara, di te mi fido. Amor, pietade
per la padrona tua serba nel seno;
se non felice appieno,
almen fa ch'io non sia sì sventurata.
LESBINA
Meglio sola che male accompagnata!
Così volete dir; sì, sì, v'intendo.
EUGENIA
Dunque da te qualche soccorso attendo.
Se perde il caro lido,
sopporta il mar che freme:
lo scoglio è quel che teme
il misero nocchier.
Lontan dal caro bene,
soffro costante e peno,
ma questo cuore almeno
rimanga in mio poter.
(parte)
Lesbina, poi don Tritemio.
LESBINA
Povera padroncina!
Affé, la compatisco.
Quest'anch'io la capisco.
Insegna la prudenza:
se non si ha quel che piace, è meglio senza.
TRITEMIO
Che si fa, signorina?
LESBINA
Un po' d'insalatina
raccogliere volea pe 'l desinare.
TRITEMIO
Poco fa v'ho sentito a cantuzzare.
LESBINA
È ver, colla padrona
mi divertiva un poco.
TRITEMIO
E mi figuro
che cantate s'avranno
canzonette d'amor.
LESBINA
Oh, non signore.
Di questo o di quel fiore,
di questo o di quel frutto,
si cantavan le lodi.
TRITEMIO
Il crederò?
LESBINA
Le volete sentir?
TRITEMIO
Le sentirò.
LESBINA
(Qualche strofetta canterò a proposito...)
TRITEMIO
(Oh ragazza!... farei uno sproposito.)
LESBINA
Sentite, padron bello,
la canzonetta sopra il ravanello.
Quando son giovine,
son fresco e bello,
son tenerello,
di buon sapor.
Ma quando invecchio,
gettato sono;
non son più buono
col pizzicor.
TRITEMIO
Scaccia questa canzon dalla memoria.
LESBINA
Una ne vuò cantar sulla cicoria.
Son fresca e son bella
cicoria novella.
Mangiatemi presto,
coglietemi su.
Se resto nel prato,
radicchio invecchiato,
nessuno si degna
raccogliermi più.
TRITEMIO
Senti, ragazza mia,
questa canzone ha un poco d'allegria,
tu sei, Lesbina bella,
cicorietta novella;
prima che ad invecchiar ti veda il fato,
esser colta dovresti in mezzo al prato.
LESBINA
Per me v'è tempo ancora,
dovreste alla signora
pensar, caro padrone.
Or ch'è buona stagione,
or ch'è un frutto maturo e saporito,
non la fate invecchiar senza marito.
TRITEMIO
A lei ho già pensato;
sposo le ho destinato, e avrallo presto.
LESBINA
Posso saper chi sia?
TRITEMIO
Nardo è cotesto.
LESBINA
Di quella tenerina
erbetta cittadina
la bocca d'un villan non mi par degna.
TRITEMIO
Eh, la prudenza insegna
che ogn'erba si contenti
d'aver qualche governo,
purché esposta non resti al crudo verno.
LESBINA
Io mi contenterei,
pria di vederla così mal troncata,
per la neve lasciar la mia insalata.
TRITEMIO
Tu sei un bocconcino
per il tuo padroncino.
LESBINA
Oh oh, sentite
un'altra canzonetta, ch'ho imparata
sul proposito mio dell'insalata.
Non raccoglie ~ le mie foglie
vecchia mano di pastor.
Voglio un bello ~ pastorello,
o vuò star nel prato ancor.
(parte)
Don Tritemio, poi Rinaldo.
TRITEMIO
Allegoricamente
m'ha detto che con lei non farò niente.
Eppure io mi lusingo
che a forza di finezze
tutto supererò,
che col tempo con lei tutto farò.
Per or d'Eugenia mia
liberarmi mi preme. Un buon partito
Nardo per lei sarà: ricco, riccone;
un villano, egli è ver, ma sapientone.
RINALDO
(in disparte)
(Ecco della mia bella
il genitor felice.)
TRITEMIO
Per la villa si dice
che Nardo ha un buono stato,
e da tutti filosofo è chiamato.
RINALDO
(Sorte, non mi tradir) Signor.
TRITEMIO
Padrone.
RINALDO
S'ella mi permettesse,
le direi due parole.
TRITEMIO
Anche quattro ne ascolto, e più se vuole.
RINALDO
Non so se mi conosca.
TRITEMIO
Non mi pare.
RINALDO
Di me si può informare;
son cavaliere, e sono i beni miei
vicini ai suoi.
TRITEMIO
Mi rallegro con lei.
RINALDO
Ell'ha una figlia.
TRITEMIO
Sì signor.
RINALDO
Dirò...
se fossi degno... Troppo ardire è questo...
ma... mi sprona l'amore.
TRITEMIO
Intendo il resto.
RINALDO
Dunque, signor...
TRITEMIO
Dunque, signor mio caro,
per venir alle corte, io vi dirò...
RINALDO
M'accordate la figlia?
TRITEMIO
Signor no.
RINALDO
Ahi, mi sento morir!
TRITEMIO
Per cortesia,
non venite a morir in casa mia.
RINALDO
Ma perché sì aspramente
mi togliete alla prima ogni speranza?
TRITEMIO
Lusingarvi sarebbe una increanza.
RINALDO
Son cavalier.
TRITEMIO
Benissimo.
RINALDO
De' beni
ricco son quanto voi.
TRITEMIO
Son persuaso.
RINALDO
Il mio stato, i miei fondi,
le parentele mie vi mostrerò.
TRITEMIO
Credo tutto.
RINALDO
Che speri?
TRITEMIO
Signor no.
RINALDO
Ma la ragione almeno
dite, perché nemmen si vuol ch'io speri.
TRITEMIO
La ragion?...
RINALDO
Vuò saper...
TRITEMIO
Sì, volentieri.
La mia ragion è questa...
mi par ragione onesta.
La figlia mi chiedeste,
e la ragion voleste...
la mia ragion sta qui.
Non posso dirvi sì,
perché vuò dir di no.
Se non vi basta ancora,
un'altra ne dirò:
rispondo: «Signor no»,
perché la vuò così.
E son padron di dirlo:
la mia ragion sta qui.
(parte)
Rinaldo solo.
Sciocca ragione indegna,
d'anima vil dell'onestà nemica.
Ma non vuò che si dica
ch'io soffra un tale insulto,
ch'io debb'andar villanamente inulto.
O Eugenia sarà mia,
o tu, padre inumano,
ti pentirai del tuo costume insano.
Taci, amor, nel seno mio,
finché parla il giusto sdegno;
o prendete ambi l'impegno
i miei torti a vendicar.
Fido amante, è ver, son io;
ogni duol soffrir saprei,
ma il mio ben non soffrirei
con viltade abbandonar.
(parte)
Campagna con casa rustica.
Nardo esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni Villani.
NARDO
Al lavoro, alla campagna;
poi si gode, poi si magna
con diletto e libertà.
Oh che pane delicato,
se da noi fu coltivato!
Presto, presto a lavorare,
a podare, a seminare,
e dappoi si mangerà;
del buon vin si beverà,
ed allegri si starà.
(partono i contadini, restandone uno impiegato)
Vanga mia benedetta,
mio diletto conforto e mio sostegno,
tu sei lo scettro, e questi campi il regno.
Quivi regnò mio padre,
l'avolo, ed il bisavolo, e il tritavolo,
e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
Nelle città famose
ogni generazion si cambia stato.
Se il padre ha accumulato
con fatica, con arte e con periglio,
distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
Qui dove non ci tiene
il lusso, l'ambizion, la gola oppressi,
sono gli uomini ognor sempre gl'istessi.
Non cambierei, lo giuro,
col piacer delle feste e dei teatri
zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
La Lena ed il suddetto.
LENA
(Eccolo qui; la vanga
è tutto il suo diletto.)
(a Nardo)
Se foste un poveretto,
compatirvi vorrei, ma siete ricco.
Avete dei poderi e dei contanti;
la fatica lasciate ai lavoranti.
NARDO
Cara nipote mia,
piuttosto che parlar come una sciocca,
fareste meglio maneggiar la rocca.
LENA
Colla rocca, col fuso e coi famigli
stanca son d'annoiarmi:
voi dovreste pensare a maritarmi.
NARDO
Sì, volentieri. Presto,
comparisca un marito. Eccolo qui.
(accenna un villano)
Vuoi sposar mia nipote? Signor sì.
(alla Lena)
Eccolo io ve lo do.
Lo volete? Vi piace?
LENA
Signor no.
NARDO
Va' a veder se passasse
a caso per la strada
qualche affamato con parrucca e spada.
(al villano, il quale parte ridendo)
Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
Povera vanarella,
tu sposeresti un conte od un marchese,
perché in meno d'un mese,
strapazzata la dote e la fanciulla,
la nobiltà ti riducesse al nulla.
LENA
Io non voglio un signor, né un contadino;
mi basta un cittadino
che stia bene...
NARDO
Di che?
LENA
Ch'abbia un'entrata
qual a mediocre stato si conviene;
che sia discreto, e che mi voglia bene.
NARDO
Lena, pretendi assai;
se lo brami così, no 'l troverai.
Per lo più i cittadini
hanno pochi quattrini e troppe voglie,
e non usano molto amar la moglie.
Per pratica comune,
nelle cittadi usata,
è maggiore l'uscita dell'entrata.
LENA
Il signor don Tritemio
è cittadino, eppure
così non usa.
NARDO
È vero,
ma in villa se ne sta
perché nella città vede il pericolo
d'esser vizioso o diventar ridicolo.
LENA
Della figliuola sua
v'ha proposte le nozze, io ben lo so.
NARDO
Ed io la sposerò,
perché la dote e il padre suo mi piace,
con patto che non sia
gonfia di vento, e piena d'albagia.
LENA
L'avete ancor veduta?
NARDO
Ieri solo è venuta;
oggi la vederò.
LENA
Dunque chi sa
s'ella vi piacerà.
NARDO
Basta non abbia
visibili magagne;
sono le donne poi tutte compagne.
LENA
Ammogliatevi presto, signor zio;
ma voglio poscia maritarmi anch'io.
Di questa poverella
abbiate carità.
Io son un'orfanella
che madre più non ha.
Voi siete il babbo mio.
Vedete, caro zio,
ch'io cresco nell'età.
La vostra nipotina
vorrebbe, poverina...
sapete... m'intendete...
movetevi a pietà.
(parte)
Nardo solo.
Sì signora, non dubiti,
che contenta sarà.
La si mariterà la poverina,
ma la vuò maritar da contadina.
Ecco, il mondo è così. Niuno è contento
del grado in cui si trova,
e lo stato cambiare ognun si prova.
Vorrebbe il contadino
diventar cittadino; il cittadino
cerca nobilitarsi;
ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi;
d'un gradino alla volta
qualchedun si contenta;
alcuno due o tre ne fa in un salto,
ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
Vedo quell'albero
che ha un pero grosso:
pigliar no 'l posso,
si sbalzi in su.
Ma fatto il salto,
salito in alto,
vedo un perone
grosso assai più.
Prender lo bramo,
m'alzo sul ramo,
vado più in su.
Ma poi precipito
col capo in giù.
(parte)
Salotto in casa di don Tritemio, con varie porte.
Eugenia e Rinaldo.
EUGENIA
Deh se mi amate, o caro,
ite lontan da queste soglie. Oh dio!
Temo che ci sorprenda il padre mio.
RINALDO
Del vostro genitore
il soverchio rigor vi vuole oppressa.
Deh, pensate a voi stessa.
EUGENIA
Ai numi il giuro:
non sarò d'altri se di voi non sono.
Ah, se il mio cuor vi dono,
per or vi basti, e non vogliate, ingrato,
render lo stato mio più sventurato.
RINALDO
Gradisco il vostro cor, ma della mano
il possesso mi cale...
EUGENIA
Ohimè! Chi viene?
RINALDO
Non temete; è Lesbina.
EUGENIA
Io vivo in pene.
Lesbina e detti.
LESBINA
(ad Eugenia)
V'è chi cerca di voi, signora mia.
EUGENIA
Il genitore?
LESBINA
Oibò. Sta il mio padrone
col suo fattore, e contano denari,
né si spiccia sì presto in tali affari.
RINALDO
Dunque chi è che la dimanda?
LESBINA
Bravo!
Voi pur siete curioso?
Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
RINALDO
Come?
EUGENIA
Che dici?
LESBINA
È giunto
adesso, in questo punto,
forte, lesto e gagliardo,
il bellissimo Nardo; e il padre vostro
ha detto, ha comandato,
che gli dobbiate far buona accoglienza,
se non per genio, almen per obbedienza.
EUGENIA
Misera, che farò?
RINALDO
Coraggio avrete
di tradir chi v'adora?
EUGENIA
È ver, son figlia,
ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
LESBINA
Ambi pietà mi fate;
a me condur lasciate la faccenda.
Ritiratevi presto.
EUGENIA
Vado.
(in atto di partire)
RINALDO
Anch'io.
(in atto di seguire Eugenia)
LESBINA
Con grazia, padron mio;
ritiratevi, sì, questo mi preme;
ma non andate a ritirarvi insieme.
Voi di qua; voi di là: così va bene.
EUGENIA
Soffrite, idolo mio.
RINALDO
Soffrir conviene.
Oh dolce amabil pegno
di mia felicità!
EUGENIA
Oh sospirato segno
che vita alfin mi dà!
RINALDO
Idolo del mio seno.
EUGENIA E RINALDO
Mia vita, mio diletto,
ti stringo a questo petto
colmo per te d'ardor.
Non si rallenti mai,
vezzosi amati rai,
né men per gioco
il foco
che ci feconda amor.
(partono)
Lesbina, poi Nardo.
LESBINA
Capperi! s'attaccava
prestamente al partito.
Troppo presto volea far da marito.
Ecco il ricco villano;
ora son nell'impegno:
tutta l'arte vi vuol, tutto l'ingegno.
NARDO
Chi è qui?
LESBINA
Non ci vedete?
Per ora ci son io.
NARDO
Bondì a vossignoria.
LESBINA
Padrone mio.
NARDO
Don Tritemio dov'è?
LESBINA
Verrà fra poco.
Potete in questo loco
aspettar, se v'aggrada.
NARDO
Aspetterò.
Voi chi siete, signora?
LESBINA
Io non lo so.
(affettando modestia)
NARDO
Sareste per ventura
la figliuola di lui, venuta qui?
LESBINA
Potria darsi di sì.
NARDO
Alla ciera mi par...
LESBINA
Così sarà.
NARDO
Mi piacete davver.
LESBINA
Vostra bontà.
NARDO
Sapete chi son io?
LESBINA
No, mio signore.
NARDO
Non ve lo dice il core?
LESBINA
Il cor d'una fanciulla,
se si tratta d'un uom, non sa dir nulla.
NARDO
Eh furbetta, furbetta. Voi mi avete
conosciuto a drittura.
Delle fanciulle al cor parla natura.
LESBINA
Siete forse...
NARDO
Via, chi?
LESBINA
Nardino bello?
NARDO
Sì, carina, son quello;
quello che vostro sposo è destinato.
LESBINA
Con licenza, signor, m'hanno chiamato.
NARDO
Dove andate?
LESBINA
Non so.
NARDO
Eh restate, carina.
LESBINA
Signor no.
NARDO
Vi spiace il volto mio?
LESBINA
Anzi... mi piace...
ma...
NARDO
Che ma?
LESBINA
Non so dir... che cosa sia.
Con licenza, signor; voglio andar via.
NARDO
Fermatevi un momento.
(Si vede dal rossor ch'è figlia buona.)
LESBINA
(Servo me stessa, e servo la padrona.)
Compatite, signor, s'io non so.
Son così, non so far all'amor.
Una cosa mi sento nel cor,
che col labbro spiegar non si può.
Miratemi qua,
saprete cos'è.
Voltatevi in là,
lontano da me.
Voglio partire, mi sento languire.
(Ah! col tempo spiegarmi saprò.)
(parte)
Nardo, poi don Tritemio.
NARDO
Si vede chiaramente
che la natura in lei parla innocente.
Finger anche potrebbe, è ver, purtroppo;
ma è un cattivo animale
quel che senza ragion sospetta male.
TRITEMIO
Messer Nardo dabbene,
compatite se troppo trattenuto
m'ha un domestico impaccio;
vi saluto di core.
NARDO
Ed io vi abbraccio.
TRITEMIO
Or verrà la figliuola.
NARDO
È già venuta.
TRITEMIO
La vedeste?
NARDO
Gnor sì, l'ho già veduta.
TRITEMIO
Che vi par?
NARDO
Mi par bella.
TRITEMIO
È un po' ritrosa.
NARDO
La fanciulla va ben sia vergognosa.
TRITEMIO
Disse niente? Parlò?
NARDO
Mi disse tanto
che sperare mi fa d'esser amato.
TRITEMIO
È vero?
NARDO
È ver.
TRITEMIO
(Oh il ciel sia ringraziato.)
Ma perché se n'andò?
NARDO
Perché bel bello
Amor col suo martello
il cor le inteneriva,
e ne aveva rossore.
TRITEMIO
E viva, e viva.
Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
concludiamo l'affar.
NARDO
Per me son lesto.
TRITEMIO
Chi è quella?
NARDO
È mia nipote.
La Lena e detti, poi Lesbina.
NARDO
(alla Lena)
Che volete voi qui?
LENA
Con sua licenza,
alla sposa vorrei far riverenza.
TRITEMIO
Ora la chiamerò.
NARDO
Concludiamo le nozze.
TRITEMIO
Io presto fo.
(parte)
LENA
Signor zio, com'è bella?
NARDO
La vedrai. È una stella.
LENA
È galante e graziosa?
NARDO
È galante, è graziosa ed è amorosa.
LENA
Vi vorrà ben?
NARDO
Si vede
da un certo non so che
che l'ha la madre sua fatta per me.
Appena ci siam visti,
un incognito amor di simpatia
ha messo i nostri cuori in allegria.
Son pien di giubilo,
ridente ho l'animo,
nel sen mi palpita
brillante il cor.
LENA
Il vostro giubilo
nelle mie viscere
risveglia ed agita
novello ardor.
LESBINA
(esce da una camera)
Sposino amabile,
per voi son misera,
mi sento mordere
dal dio d'amor.
NARDO
Vieni al mio seno,
sposina mia.
LENA
Signora zia,
a voi m'inchino.
LESBINA, LENA E NARDO
Dolce destino,
felice amor!
LESBINA
Parto, parto: il genitore.
NARDO
Perché partir?
LESBINA
Il mio rossore
non mi lascia restar qui.
(entra nella camera di dove è venuta)
NARDO
Vergognosetta
la poveretta
se ne fuggì.
LENA
Se fossi in lei,
non fuggirei
chi mi ferì.
TRITEMIO
La ricerco, e non la trovo.
Oh che smania in sen io provo!
Dove diavolo sarà?
LENA E NARDO
(ridono)
Ah, ah, ah.
TRITEMIO
L'ho cercata su e giù:
l'ho cercata qua e là.
LENA E NARDO
(ridono)
Ah, ah, ah.
TRITEMIO
Voi ridete? come va?
NARDO
Fin adesso è stata qua.
TRITEMIO
Dov'è andata?
LENA
(accenna ov'è entrata)
È andata là.
TRITEMIO
Quando è là, la troverò,
e con me la condurrò.
(entra in quella camera)
NARDO
Superar il genitore
potrà ben il suo rossore.
LENA
Non è tanto vergognoso
il suo core collo sposo.
LENA E NARDO
Si confonde nel suo petto
il rispetto ~ con l'amor.
LESBINA
(esce di nuovo)
Presto, presto, sposo bello,
via, porgetemi l'anello,
che la sposa allor sarò.
LENA
Questa cosa far si può.
NARDO
Ecco, ecco, ve lo do.
(le dà un anello)
LESBINA
Torna il padre, vado via.
NARDO
Ma perché tal ritrosia?
LESBINA
Il motivo non lo so.
LENA
Dallo sposo non fuggite.
LESBINA
Compatite, ~ tornerò.
(torna nella camera di prima)
Insieme
LENA
Una sposa coll'anello
ha rossor ~ del genitor.
NARDO
Caso raro, caso bello!
Ha rossor ~ del genitor.
TRITEMIO
Non la trovo.
LENA E NARDO
(ridendo)
Ah, ah, ah.
TRITEMIO
Voi ridete?
LENA E NARDO
È stata qua.
LENA
Collo sposo ha favellato.
NARDO
E l'anello già le ha dato.
TRITEMIO
Alla figlia?
LENA E NARDO
Signor sì.
TRITEMIO
Alla sposa?
LENA E NARDO
Messer sì.
TRITEMIO
Quel ch'è fatto, fatto sia.
LENA, NARDO E TRITEMIO
Stiamo dunque in allegria,
che la sposa ~ vergognosa
alla fin si cangerà;
e l'amore ~ nel suo core
con piacer trionferà.
(partono)
Camera di don Tritemio.
Eugenia e Lesbina.
LESBINA
Venite qui, signora padroncina,
tenete questo anello;
ponetevelo in dito.
Fate che il genitore ve lo veda;
lasciate che la sposa egli vi creda.
EUGENIA
Tu m'imbrogli, Lesbina, e non vorrei...
LESBINA
Se de' consigli miei
vi volete servir, per voi qui sono.
Quando no, ve 'l protesto, io v'abbandono.
EUGENIA
Deh, non mi abbandonare; ordina, imponi;
senza cercar ragioni,
lo farò ciecamente:
ti sarò, non temer, tutta obbediente.
LESBINA
Quest'anello tenete.
Quel che seguì, sapete;
e quel che seguirà
regola in avvenir ci porgerà.
EUGENIA
Ecco mio padre.
LESBINA
Presto;
ponetevelo al dito.
EUGENIA
Una sposa son io senza marito.
(si mette l'anello)
Don Tritemio e dette.
TRITEMIO
(ad Eugenia)
A che gioco giochiamo?
Corro, ti cerco e chiamo;
mi fuggi e non rispondi?
Quando vengo da te, perché ti ascondi?
EUGENIA
Perdonate, signor...
LESBINA
La poveretta
è un pochin ritrosetta.
TRITEMIO
Oh bella, affé!
Si vergogna di me, poi collo sposo
il suo cuore non è più vergognoso.
LESBINA
Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
cotali meraviglie.
Soglion tutte le figlie
ch'ardono in sen d'amore
la modestia affettar col genitore.
TRITEMIO
Basta; veniamo al fatto.
(ad Eugenia)
È ver che avesti
dallo sposo l'anello?
LESBINA
Signor sì.
TRITEMIO
(ad Eugenia)
Parlo teco. Rispondi.
EUGENIA
Eccolo qui.
(mostra l'anello a don Tritemio)
TRITEMIO
Capperi! È bello assai.
Non mi credeva mai
che Nardo avesse di tai gioie in dito.
Vedi se t'ho trovato un buon marito?
EUGENIA
(Misera me, se tal mi fosse!)
TRITEMIO
Oh via,
codesta ritrosia scaccia dal petto;
queste smorfie oramai mi fan dispetto.
LESBINA
Amabile sposina,
mostrate la bocchina un po' ridente.
EUGENIA
(Qualche volta Lesbina è impertinente.)
TRITEMIO
È picchiato, mi par.
LESBINA
Vedrò chi sia.
(piano ad Eugenia)
Ehi, badate non far qualche pazzia.
(parte)
Don Tritemio, Eugenia, poi Lesbina che torna.
EUGENIA
(È molto, s'io resisto.)
TRITEMIO
Affé, non ho mai visto
una donna di te più scimunita.
Figlia che si marita
suol esser lieta, al suo gioir condotta;
e tu stai lì che pari una marmotta?
EUGENIA
Che volete ch'io dica?
TRITEMIO
Parla o taci,
non me n'importa più.
Sposati, e in avvenir pensaci tu.
LESBINA
Signor, è un cavaliere
col notar della villa in compagnia,
che brama riverir vossignoria.
TRITEMIO
Vengano. (Col notaro?
Qualchedun che bisogno ha di denaro.)
LESBINA
(piano ad Eugenia)
È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
d'evitar il periglio.
EUGENIA
(a Lesbina)
Andiam, Lesbina.
(s'inchina a don Tritemio)
Con licenza.
TRITEMIO
Va' pure.
EUGENIA
(Ahi, me meschina!)
(parte con Lesbina)
Don Tritemio, poi Rinaldo e Capocchio notaro.
TRITEMIO
Se denaro vorrà, ghe ne darò,
purché sicuro sia con fondamento,
e che almeno mi paghi il sei per cento.
Ma che vedo? È colui
che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
Col notaro che vuol? che far intende?
RINALDO
Compatite, signor...
TRITEMIO
La riverisco.
RINALDO
Compatite se ardisco
replicarvi l'incomodo. Temendo
che non siate di me ben persuaso,
ho condotto il notaro,
il qual patente e chiaro
di me vi mostrerà
titolo, parentela e facoltà.
TRITEMIO
(È ridicolo in vero.)
CAPOCCHIO
Ecco, signore,
l'istrumento rogato
d'un ricco marchesato;
ecco l'albero suo da cui si vede
che per retto cammino
vien l'origine sua dal re Pipino.
TRITEMIO
Oh capperi! che vedo?
Questa è una cosa bella in verità.
Ma della nobiltà, signor mio caro,
come andiamo del par con il denaro?
RINALDO
(a Capocchio)
Mostrategli i poderi,
mostrategli sinceri i fondamenti.
CAPOCCHIO
Questi sono istrumenti
di comprede, di censi, di livelli.
Questi sono contratti buoni e belli.
(mostrando alcuni fogli a guisa d'istrumenti antichi)
Nel quattrocento
sei possessioni;
nel cinquecento
quattro valloni;
anno millesimo
una duchea,
mille trentesimo
una contea
emit et cætera.
Case e casoni,
giurisdizioni,
frutti annuali,
censi e cambiali.
Sic et cætera
cum et cætera.
(parte)
Don Tritemio e Rinaldo.
TRITEMIO
La riverisco et cætera.
Vada, signor notaro, a farsi, et cætera.
RINALDO
Ei va per ordin mio
a prender altri fogli, altri capitoli,
per provarvi di me lo stato e i titoli.
TRITEMIO
Sì, sì, la vostra casa
ricca, nobile, grande ognora fu.
Credo quel che mi dite, e ancora più.
RINALDO
Dunque di vostra figlia
mi credete voi degno?
TRITEMIO
Anzi degnissimo.
RINALDO
Le farò contradote.
TRITEMIO
Obbligatissimo.
RINALDO
Me l'accordate voi?
TRITEMIO
Per verità,
v'è una difficoltà.
RINALDO
Da chi dipende?
TRITEMIO
Ho paura che lei...
RINALDO
Chi?
TRITEMIO
La figliuola...
RINALDO
D'Eugenia non pavento.
TRITEMIO
Quando lei possa farlo, io son contento.
RINALDO
Ben, vi prendo in parola.
TRITEMIO
Chiamerò la figliuola.
S'ella non fosse in caso,
del mio buon cuor sarete persuaso.
RINALDO
Sì; chiamatela pur, contento io sono;
se da lei son escluso, io vi perdono.
TRITEMIO
Bravo! Un uom di ragion si loda e stima:
s'ella non vuole, amici come prima.
Io son di tutti amico,
son vostro servitor.
Un uomo di buon cor
conoscerete in me.
La chiamo subito,
verrà, ma dubito,
sconvolta trovisi
da un non so che;
farò il possibile
pe 'l vostro merito,
che per i titoli,
per i capitoli
anche in preterito
famoso egli è.
(parte)
Rinaldo, poi don Tritemio ed Eugenia.
RINALDO
Se da Eugenia dipende il piacer mio,
di sua man, del suo cor certo son io.
Veggola che ritorna
col genitore al lato;
della gioia vicino è il dì beato.
TRITEMIO
Eccola qui; vedete se son io
un galantuomo.
RINALDO
Ognor tal vi credei,
benché foste nemico ai desir miei.
TRITEMIO
Eugenia, quel signore
ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
EUGENIA
Tra le donne felici
la più lieta sarò, padre amoroso,
se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
TRITEMIO
Brava, figliuola mia,
il rossor questa volta è andato via.
RINALDO
(a don Tritemio)
L'udiste? Ah, non tardate
entrambi a consolare.
TRITEMIO
Eppur pavento...
RINALDO
Ogni timor è vano:
in faccia al genitor mi dia la mano.
TRITEMIO
La mano? In verità
s'ha da far, s'ha da far... se si potrà.
(ad Eugenia)
Dammi la destra tua.
EUGENIA
Eccola.
TRITEMIO
(le prende la mano):
A voi.
(chiede la mano a Rinaldo)
Prendetela... bel bello,
che nel dito d'Eugenia evvi un anello.
Ora che mi ricordo,
Nardo con quell'anello la sposò;
e due volte sposarla non si può.
RINALDO
Come!
TRITEMIO
(ad Eugenia)
Non è così?
EUGENIA
Sposa non sono.
TRITEMIO
Ma se l'anello in dono
prendesti già delle tue nozze in segno,
non si può, figlia mia, scioglier l'impegno.
(a Rinaldo)
Voi che dite, signor?
RINALDO
Dico che tutti,
perfidi, m'ingannate;
che di me vi burlate e che son io
bersaglio del destin barbaro e rio.
TRITEMIO
La colpa non è mia.
EUGENIA
(Tacer non posso).
Udite: ah, svelar deggio
l'arcano, onde ingannato...
Lesbina e detti.
LESBINA
(a don Tritemio)
Signor padron, voi siete domandato.
EUGENIA
(Ci mancava costei!)
TRITEMIO
(a Lesbina)
Chi è che mi vuole?
LESBINA
Un famiglio di Nardo.
TRITEMIO
Sente, signor? Del genero un famiglio
favellarmi desia;
onde vossignoria,
s'altra cosa non ha da comandare,
per cortesia, se ne potrebbe andare.
RINALDO
Sì, sì, me n'anderò, ma giuro ai numi
vendicarmi saprò.
EUGENIA
(Destin crudele!)
Rinaldo, questo cor...
RINALDO
Taci, infedele.
(or all'una, or all'altro)
Perfida figlia ingrata;
padre spietato indegno,
non so frenar lo sdegno,
l'alma si scuote irata.
Empio, crudele, audace,
pace per me non v'è.
(a Lesbina)
E tu che alimentasti
sin ora il foco mio
colla speranza (oh dio!)
così tu m'ingannasti?
L'offeso cuor aspetta
vendetta ~ anche di te.
(parte)
Eugenia, don Tritemio e Lesbina.
LESBINA
(Obbligata davver del complimento!)
TRITEMIO
(Ho un tantin di paura.)
EUGENIA
(Ahi che tormento!)
TRITEMIO
Orsù, signora pazza,
ho capito il rossor che cosa sia.
Quel che voglia colui, vado a sentire;
poi la discorrerem. S'ha da finire.
(in atto di partire)
LESBINA
(a don Tritemio)
Sì signor, dite bene.
TRITEMIO
(a Lesbina)
E tu, fraschetta,
tu alimentasti dell'amante il foco?
Vado, e ritorno; parlerem fra poco.
(parte)
Eugenia e Lesbina.
EUGENIA
Ah Lesbina crudele!
Solo per tua cagion sono in periglio.
LESBINA
Loderete nel fine il mio consiglio.
Questa cosa finor mi pare un gioco;
non mi perdo, davver, per così poco.
EUGENIA
Prenditi questo anello.
LESBINA
Eh no, signora mia.
EUGENIA
Prendilo; o giuro al ciel, lo getto via.
LESBINA
Ma perché?
EUGENIA
Fu cagione
che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida;
quest'anello omicida
dinanzi agli occhi miei soffrir non vuò.
LESBINA
Se volete così, lo prenderò.
Eccolo nel mio dito.
Che vi par? Mi sta bene?
EUGENIA
Ah, tu sei la cagion delle mie pene.
Don Tritemio, e dette.
TRITEMIO
Oh genero garbato!
(mostra un gioiello)
Alla sposa ha mandato
questo ricco gioiello.
Prendilo, Eugenia mia; guarda s'è bello.
EUGENIA
Non lo curo, signore...
TRITEMIO
Ed io comando
che tu prender lo debba; il ricusarlo
sarebbe una insolenza.
EUGENIA
Dunque lo prenderò per obbedienza.
(prende il gioiello)
Ma... vi chiedo perdono,
non mi piace, no 'l voglio; a te lo dono.
(lo dà a Lesbina)
LESBINA
Grazie.
TRITEMIO
Rendilo a me.
LESBINA
(piano a don Tritemio)
Signor padrone,
sentite una parola.
Se la vostra figliuola
è meco generosa,
lo fa perché di voi mi brama sposa.
TRITEMIO
(a Lesbina)
Lo crederò?
LESBINA
Signora,
non è ver che bramate
che sposa io sia? Nel darmi queste gioie,
confessatelo pur, vostro pensiero
non è che sposa sia Lesbina?
EUGENIA
È vero.
TRITEMIO
E tu che dici?
LESBINA
Io dico
che se il destino amico
seconderà il disegno,
le gioie accetto, e accetterò l'impegno.
Una ragazza,
che non è pazza,
la sua fortuna
sprezzar non sa.
Voi lo sapete;
voi m'intendete,
questo mio core
si scoprirà.
Anche l'agnella,
la tortorella,
il suo compagno
cercando va.
(parte)
Eugenia e don Tritemio.
TRITEMIO
Dunque, giacché lo sai, te 'l dico anch'io;
è questi il pensier mio:
dopoché tu sarai fatta la sposa,
anch'io mi sposerò questa fanciulla.
Piangi? sospiri? e non rispondi nulla?
Son stanco di soffrirti.
Oggi darai la man. S'ha da finire.
Se sei pazza, non vuò teco impazzire.
(parte)
EUGENIA
Pazza a ragion mi chiama
il genitor crudele,
se in faccia al mio fedele, al mio diletto,
ho tradito l'affetto
per celar follemente in sen l'arcano;
ed or mi lagno, ed or sospiro invano.
Misera, a tante pene
come resisto, oh dio!
Il crudo affanno mio
ah, tollerar non so.
Dov'è l'amato bene?
Dove s'asconde, o cieli?
Amor, se non lo sveli,
più vivere non vuò.
(parte)
Campagna.
Nardo suonando il chitarrino e cantando, e poi Rinaldo.
NARDO
Amor, se vuoi così,
quel che tu vuoi, farò.
Io mi accompagnerò
in pace e sanità.
Ma la mia libertà
perciò non perderò.
Penare: signor no;
soffrir, gridare: oibò.
Voglio cantare;
voglio suonare;
voglio godere
fin che si può.
RINALDO
Galantuom, siete voi
quello che Nardo ha nome?
NARDO
Signor sì.
RINALDO
Cerco appunto di voi.
NARDO
Eccomi qui.
RINALDO
Ditemi: è ver che voi
aveste la parola
da don Tritemio per la sua figliuola?
NARDO
Sì signore, l'ho avuta;
la ragazza ho veduta;
mi piace il viso bello,
e le ho dato stamane anco l'anello.
RINALDO
Sapete voi qual dote
recherà con tai nozze al suo consorte?
NARDO
Ancor no 'l so...
RINALDO
Colpi, ferite e morte.
NARDO
Bagattelle, signor! E su qual banco
l'investita sarà, padrone mio?
RINALDO
Sul dorso vostro, e il pagator son io.
NARDO
Buono! Si può sapere,
almen per cortesia,
perché vossignoria
con generosità
allo sposo vuol far tal carità?
RINALDO
Perché di don Tritemio
amo anch'io la figliuola,
perché fu da lei stessa
la sua fede promessa a me suo sposo,
perché le siete voi troppo odioso.
NARDO
Dite davver?
RINALDO
Non mentono i miei pari.
NARDO
E i pari miei non sanno
per puntiglio sposare il lor malanno.
Se la figlia vi vuol, vi prenda pure.
Se mi burla e mi sprezza, io non ci penso;
so anch'io con la ragion vincere il senso.
Vi ringrazio d'avermi
avvisato per tempo;
ve la cedo, signor, per parte mia,
ché già di donne non v'è carestia.
RINALDO
Ragionevole siete
giustamente dal popolo stimato;
filosofo chiamato con ragione,
superando sì presto la passione.
Voi l'avete ceduta. A don Tritemio
la cosa narrerò tutta com'è,
e se contrasta, avrà da far con me.
(parte)
Nardo, poi Lesbina.
NARDO
Pazzo sarei davvero,
se a costo di una lite,
se a costo di temere anche la morte,
procurar mi volessi una consorte.
Amo la vita assai;
fuggo, se posso, i guai;
bramo sempre la pace in casa mia
e non intendo altra filosofia.
LESBINA
Sposo, ben obbligata;
m'avete regalata.
Anch'io quando potrò,
qualche cosetta vi regalerò.
NARDO
No, no, figliuola cara,
dispensatevi pur da tal finezza.
Quand'ho un poco di bene, mi consolo,
ma quel poco di ben lo voglio solo.
LESBINA
Che dite? Io non v'intendo.
NARDO
Chiaramente
dunque mi spiegherò:
siete impegnata, il so, con altro amico;
e a me di voi non me n'importa un fico.
LESBINA
V'ingannate, lo giuro. E chi è codesto,
con cui da me si crede
impegnata la fede?
NARDO
È un forestiero
che mi par cavaliero,
giovane, risoluto, ardito e caldo.
LESBINA
(Ora intendo il mister: sarà Rinaldo.)
Credetemi, v'inganna.
Vostra sono, il sarò, ve l'assicuro;
a tutti i numi il giuro:
non ho ad alcuno l'amor mio promesso;
son ragazza, e ad amar principio adesso.
NARDO
Eppure in questo loco,
tutt'amor, tutto foco,
sostenne il cavaliero
che voi siete sua sposa.
LESBINA
Ah, non è vero.
Di mendace e infedel non vuò la taccia:
lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.
Qualch'error vi sarà, ve lo protesto.
Tenero cuore onesto
per voi serbo nel petto;
ardo solo per voi di puro affetto.
NARDO
(Impossibile par ch'ella m'inganni.)
LESBINA
Tenera sono d'anni,
ma ho cervello che basta, e so ben io
che divider amor non può il cor mio.
Voi siete il mio sposino;
e se amico destino a voi mi dona,
anche un re lascerei colla corona.
NARDO
S'ella fosse così...
LESBINA
Così è purtroppo.
Ma voi siete pentito
d'essere mio marito;
qualch'altra donna amate,
e per questo, crudel, mi discacciate.
NARDO
No, ben mio, no, carina,
siete la mia sposina; e se colui
o s'inganna, o m'inganna, o fu ingannato,
dell'inganno sarà disingannato.
LESBINA
Dunque mi amate?
NARDO
Sì, v'amo di core.
LESBINA
Siete l'idolo mio.
NARDO
Siete il mio amore.
La Lena e detti.
LENA
Signor zio, signor zio, che cosa fate?
Lontano discacciate
colei che d'ingannarvi ora s'impegna.
D'essere vostra sposa non è degna.
LESBINA
(Qualche imbroglio novello.)
NARDO
Ha forse altrui
data la fé di sposa?
LENA
Eh, signor no.
Quel ch'io dico lo so per cosa vera:
ella di don Tritemio è cameriera.
LESBINA
(Ah maledetta!)
NARDO
(a Lesbina)
È ver quel ch'ella dice?
LESBINA
Ah misera, infelice!
Compatite, se tanto
amor mi rese ardita.
Finsi il grado, egli è ver, perché v'adoro.
Per voi languisco e moro.
Confesso il mio fallire,
ma voglio essere vostra oppur morire.
NARDO
(Poverina!)
LENA
Vi pare
che convenga sposare
a un uomo, come voi, femmina tale?
NARDO
Non ci vedo alcun male.
Per me nel vostro sesso
serva, o padrona sia, tutt'è lo stesso.
LESBINA
Deh, per pietà donate
perdono all'error mio.
NARDO
Se mi amate di cor, v'adoro anch'io.
Per me sostengo e dico,
ed ho la mia ragione,
che sia la condizione un accidente.
Sposar una servente
che cosa importa a me se è bella e buona?
Peggio è assai, s'è cattiva, una padrona.
Se non è nata nobile
che cosa importa a me?
Di donna il miglior mobile
la civiltà non è.
Il primo è l'onestà;
secondo è la beltà;
il terzo è la creanza;
il quarto è l'abbondanza;
il quinto è la virtù,
ma non si usa più.
Servetta graziosa
sarai la mia sposa,
sarai la vezzosa
padrona di me.
(parte)
Lesbina e la Lena.
LENA
(Mio zio, ricco sfondato,
non si puote scordar che vile è nato.)
LESBINA
Signora, mi rincresce
ch'ella sarà nipote
d'una senza natali e senza dote.
LENA
Certo che il zio poteva
maritarsi con meglio proprietà.
LESBINA
Che nella nobiltà
resti pregiudicato,
certamente è un peccato. Imparentarmi
arrossire dovrei
con una contadina come lei.
LENA
Son contadina, è vero,
ma d'accasarmi spero
con un uomo civil, poiché del pari
talor di nobiltà vanno i denari.
LESBINA
Udita ho una novella
d'un somar che solea
con pelle di leone andar coperto;
ma poi dal suo ragghiar l'hanno scoperto.
Così voi vi coprite
talor con i denari,
ma siete nel parlar sempre somari.
(parte)
La Lena sola.
Se fosse in casa mia
questa signora zia, confesso il vero,
non vi starei con essa un giorno intero.
Sprezza la contadina,
vuol far da cittadina,
perché nata in città per accidente,
perché bene sa far l'impertinente.
Eppur, quando ci penso,
bella vita è la nostra ed onorata!
Sono alla sorte ingrata
allorché mi lamento
d'uno stato ripien d'ogni contento.
La pastorella al prato
col gregge se ne va,
con l'agnellino a lato
cantando in libertà.
Se l'innocente amore
gradisce il suo pastore,
la bella pastorella
contenta ognor sarà.
(parte)
Camera in casa di don Tritemio.
Don Tritemio e Lesbina.
TRITEMIO
Che ardir, che petulanza!
Questo signor Rinaldo è un temerario.
Gli ho detto civilmente
ch'Eugenia è data via;
egli viene a bravarmi in casa mia?
LESBINA
Povero innamorato!
Lo compatisco.
TRITEMIO
Brava!
Lo compatisci?
LESBINA
Anch'io
d'amor provo il desio:
desio però modesto;
e se altrui compatisco, egli è per questo.
TRITEMIO
Ami ancor tu, Lesbina?
LESBINA
Da questi occhi
lo potete arguire.
TRITEMIO
Ma chi?
LESBINA
(guardando pietosamente don Tritemio amoroso)
Basta...
TRITEMIO
Ma chi?
LESBINA
(mostrando vergognarsi)
No 'l posso dire.
TRITEMIO
Eh t'intendo, furbetta;
basta, Lesbina, aspetta
ch'Eugenia se ne vada
a fare i fatti suoi,
ed allor penseremo anche per noi.
LESBINA
Per me, come per lei,
si potrebbe pensar nel tempo stesso.
TRITEMIO
Via, pensiamoci adesso.
Quando il notaro viene,
ch'ho mandato a chiamar per la figliuola,
farem due cose in una volta sola.
LESBINA
Ecco il notaro appunto,
e vi è Nardo con lui.
TRITEMIO
Vengono a tempo.
Vado a prender Eugenia; in un momento
farem due matrimoni e un istrumento.
(parte)
Lesbina, poi Nardo e Capocchio notaro, poi don Tritemio.
LESBINA
Oh, se sapessi il modo
di burlar il padron, far lo vorrei.
Basta, m'ingegnerò;
tutto quel che so far, tutto farò.
NARDO
Lesbina, eccoci qui; se don Tritemio
ci ha mandati a chiamar perch'io vi sposi,
lo farò volentier; ma non vorrei
che vi nascesse qualche parapiglia,
qualche imbroglio novel tra serva e figlia.
LESBINA
La cosa è accomodata;
la figliuola sposata
sarà col cavalier che voi sapete,
ed io vostra sarò se mi volete.
NARDO
Don Tritemio dov'è?
LESBINA
Verrà a momenti.
Signor notaro, intanto
prepari bello e fatto
per un paio di nozze il suo contratto.
CAPOCCHIO
Come? Un contratto solo
per doppie nozze? Oibò.
Due contratti farò, se piace a lei,
che non vuò dimezzar gli utili miei.
LESBINA
Ma facendone un solo
fate più presto, e avrete doppia paga.
CAPOCCHIO
Quand'è così, questa ragion m'appaga.
NARDO
Mi piace questa gente
della ragione amica,
ch'ama il guadagno ed odia la fatica.
LESBINA
Presto dunque, signore:
finché viene il padrone,
a scriver principiate.
CAPOCCHIO
Bene, principierò.
Ma che ho da far?
LESBINA
Scrivete, io detterò.
CAPOCCHIO
In questo giorno et cætera,
dell'anno mille et cætera,
promettono ~ si sposano...
(a Lesbina)
I nomi quali sono?
LESBINA
I nomi sono questi...
(Ohimè, vien il padron.)
TRITEMIO
Ehi, Lesbina.
LESBINA
Signore.
TRITEMIO
Eugenia non ritrovo.
Sai tu dov'ella sia?
LESBINA
No certamente.
TRITEMIO
Tornerò a ricercarla immantinente.
Aspettate un momento,
signor notaro.
LESBINA
Intanto
lo faccio principiare. Io detto, ei scrive.
TRITEMIO
Benissimo.
NARDO
(a don Tritemio)
La sposa
non è Lesbina?
LESBINA
Certo;
le spose sono due:
una Eugenia si chiama, una Lesbina.
Con una scritturina
due matrimoni si faranno, io spero:
non è vero, padrone?
TRITEMIO
È vero, è vero.
(parte)
LESBINA
Presto, signor notar, via, seguitate.
NARDO
Terminiamo l'affar.
CAPOCCHIO
In questo giorno et cætera,
dell'anno mille et cætera,
promettono ~ si sposano...
I nomi quali sono?
LESBINA
I nomi sono questi:
Eugenia con Rinaldo
dei conti di Pancaldo.
NARDO
Dei Trottoli Lesbina
con Nardo Ricottina.
CAPOCCHIO
Promettono ~ si sposano...
La dote qual sarà?
LESBINA
La dote della figlia
saranno mille scudi.
CAPOCCHIO
Eugenia mille scudi
pro dote cum et cætera.
NARDO
La serva quanto avrà?
LESBINA
Scrivete. Della serva
la dote eccola qua.
Due mani assai leste,
che tutto san far.
NARDO
Scrivete. Due mila
si puon calcolar.
LESBINA
Un occhio modesto,
un animo onesto.
NARDO
Scrivete. Sei mila
lo voglio apprezzar.
LESBINA
Scrivete. Una lingua,
che sa ben parlar.
NARDO
Fermate. Cassate.
Tre mila per questo
ne voglio levar.
CAPOCCHIO
Due mila, sei mila,
battuti tre mila,
saran cinque mila...
ma dite di che...
LESBINA E NARDO
Contenti ed affetti,
diletti ~ per me.
LESBINA, NARDO E CAPOCCHIO
Ciascuno lo crede,
ciascuno lo vede,
che dote di quella
più bella ~ non v'è.
TRITEMIO
Corpo di satanasso!
Cieli, son disperato!
Ah! m'hanno assassinato.
Arde di sdegno il cor.
LESBINA E NARDO
Il contratto
è bello e fatto.
CAPOCCHIO
Senta, senta, mio signor.
TRITEMIO
Dove la figlia è andata?
Dove me l'han portata?
Empio Rinaldo, indegno,
perfido rapitor.
CAPOCCHIO
Senta, senta, mio signor.
TRITEMIO
Sospendete.
Non sapete?
Me l'ha fatta
il traditor.
LESBINA
Dov'è Eugenia?
TRITEMIO
Non lo so.
NARDO
Se n'è ita?
TRITEMIO
Se n'andò.
CAPOCCHIO
Due contratti?
TRITEMIO
Signor no.
CAPOCCHIO
Casso Eugenia cum et cætera,
non sapendosi et cætera,
se sia andata o no et cætera.
TUTTI
Oh che caso, oh che avventura!
Si sospenda la scrittura,
che dappoi si finirà.
Se la figlia fu involata,
a quest'ora è maritata.
È presente ~ la servente;
quest'ancor si sposerà.
(partono)
Luogo campestre con casa rustica di Nardo.
Eugenia e Rinaldo.
EUGENIA
Misera! a che m'indusse
un eccesso d'amor? Tremo, pavento.
Parlar mi sento al core,
giustamente sdegnato, il genitore.
RINALDO
Datevi pace; alfine
siete con chi v'adora;
siete mia sposa.
EUGENIA
Ah, non lo sono ancora.
RINALDO
Venite al tetto mio; colà potrassi
compire al rito, e con gli usati modi
celebrare i sponsali.
EUGENIA
Ove s'intese
che onesta figlia a celebrare andasse
dello sposo in balìa nozze furtive?
No, non fia ver, Rinaldo:
ponetemi in sicuro,
salvatemi l'onore,
o pentita ritorno al genitore.
RINALDO
Tutto farò per compiacervi, o cara;
eleggete l'albergo ove pensate
d'essere più sicura.
L'onor vostro mi cale, io n'avrò cura.
La Lena di casa, e detti.
LENA
Questa, se non m'inganno,
di don Tritemio è la figliuola.
EUGENIA
Dite,
pastorella gentile, è albergo vostro
questo di dove uscite?
LENA
Sì, signora.
EUGENIA
Altri vi son?
LENA
Per ora
altri non v'è che io
ed un uomo da ben qual è mio zio.
EUGENIA
Siete voi maritata?
LENA
Sono fanciulla ancora,
ma d'esserlo son stanca.
RINALDO
(Sia malizia o innocenza, ella è assai franca.)
EUGENIA
D'una grazia pregarvi
vorrei, se no 'l sdegnate.
LENA
Dite pur, comandate.
EUGENIA
Vorrei nel vostro tetto
passar per un momento.
LENA
Sola passate pur, che mi contento.
RINALDO
Perché sola? Son io,
pastorella gentile, il di lei sposo.
LENA
Davvero? Compatite;
ho ancor qualche sospetto.
Perché non la menate al vostro tetto?
RINALDO
Vi dirò...
EUGENIA
Non ancora
son contratti i sponsali.
(Correr una bugia lasciar non voglio.)
LENA
Me n'avvidi che v'era un qualche imbroglio.
EUGENIA
Deh, per pietà, vi prego...
LENA
Che sì, che al genitore
l'avete fatta bella?
EUGENIA
Amabil pastorella,
voi non sapete al core
quanto altero comandi il dio d'amore.
LENA
(Mi fa pietà.) Sentite,
v'offro l'albergo mio, ma con un patto,
che subito sul fatto,
in mia presenza e d'altro testimonio,
si faccia e si concluda il matrimonio.
EUGENIA
Sì, sì, ve lo prometto:
andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
LENA
Precedetemi voi; quella è la strada.
EUGENIA
Andiam, Rinaldo amato;
l'innocente desio seconda il fato.
Che più bramar poss'io?
Che più dal cielo aspetto?
Andrò col mio diletto
la pace ad incontrar.
Del genitore al fine
si placherà lo sdegno.
Amor prenda l'impegno
quest'alme a consolar.
(entra in casa di Nardo)
Rinaldo e la Lena.
RINALDO
Ninfa gentile, al vostro cor son grato.
In braccio al mio contento
per voi andrò.
(in atto di partire)
LENA
Fermatevi un momento.
Se grato esser volete,
qualche cosa potete
fare ancora per me.
RINALDO
Che non farei
per chi fu sì pietosa a' desir miei?
LENA
Son contadina, è vero,
ma ho massime civili e buona dote;
son di Nardo nipote;
maritarmi vorrei con civiltà.
Da voi, che siete un cavalier compito,
secondo il genio mio spero un marito.
RINALDO
Ritrovar si potrà.
LENA
Ma fate presto;
se troppo in casa resto
col zio, che poco pensa alla nipote,
perdo e consumo invan la miglior dote.
Ogn'anno passa un anno,
l'età non torna più;
passar la gioventù
io non vorrei così.
Ci penso notte e dì.
Vorrei un giovinetto,
civile e graziosetto,
che non dicesse un no,
quand'io gli chiedo un sì.
(entra nella casa suddetta)
Rinaldo solo.
Di Nardo nell'albergo,
che fu già mio rival, ci porta il fato:
ma Nardo ho ritrovato
meco condiscendente, e non pavento;
ed ho cuor d'incontrare ogni cimento.
Guerrier che valoroso
nell'assalir si veda,
quand'ha in poter la preda,
perderla non saprà.
Pianti, fatiche e stenti
mi costa l'idol mio.
Barbaro fato e rio
tormela non potrà.
(entra nella casa suddetta)
Don Tritemio e poi la Lena.
TRITEMIO
Figlia, figlia sgraziata,
dove sei? Non ti trovo. Ah, se Rinaldo
mi capita alle mani,
lo vuò sbranar come fa l'orso i cani.
Invan l'ho ricercato al proprio albergo.
Sa il cielo se il briccon se l'ha nascosta,
o se via l'ha menata per la posta.
Son fuor di me; son pieno
di rabbia e di veleno.
Se li trovassi, li farei pentire.
Li vuò trovar, se credo di morire.
LENA
Signor, che cosa avete,
che sulle furie siete?
Fin là dentro ho sentito
che siete malamente inviperito.
TRITEMIO
Ah! son assassinato,
m'han la figlia involato;
non la trovo, non so dov'ella sia.
LENA
E non vi è altro?
TRITEMIO
Una minchioneria!
LENA
Eugenia vostra figlia
è in sicuro, signor, ve lo prometto.
È collo sposo suo nel nostro tetto.
TRITEMIO
Là dentro?
LENA
Signor sì.
TRITEMIO
Collo sposo?
LENA
Con lui.
TRITEMIO
Ma Nardo dunque...
LENA
Nardo, mio zio, l'ha a caro.
Per ordin suo vo a prender il notaro.
(parte)
Don Tritemio, poi Nardo.
TRITEMIO
Oh questa sì ch'è bella!
Nardo, a cui l'ho promessa,
me l'ha fatta involar? Per qual ragione?
Sì sì, l'ha fatta da politicone.
Eugenia non voleva...
Rinaldo pretendeva...
ei l'ha menata via.
Anche questa sarà filosofia.
NARDO
Io crepo dalle risa.
Oh che caso ridicolo e giocondo!
Oh che gabbia di pazzi è questo mondo!
TRITEMIO
(vedendo Nardo)
(Eccolo qui l'amico.)
NARDO
(Ecco il buon padre.)
TRITEMIO
Galantuomo, che fa la figlia mia?
NARDO
Bene, al comando di vossignoria.
TRITEMIO
Rapirmela mi pare
una bella insolenza.
NARDO
La cosa è fatta, e vi vorrà pazienza.
TRITEMIO
E lei, quella sfacciata,
cosa dice di me?
NARDO
Non dice niente.
TRITEMIO
Non teme il padre?
NARDO
Non l'ha né anco in mente.
TRITEMIO
Basta, chi ha fatto il male,
farà la penitenza.
Dote non ne darò certo certissimo.
NARDO
Sì, sì, fate benissimo.
Stimo que' genitori
cui profittan dei figli anco gli errori.
TRITEMIO
Dov'è? La vuò veder.
NARDO
Per ora no.
TRITEMIO
Eh, lasciatemi andar...
NARDO
Ma non si può.
TRITEMIO
La volete tener sempre serrata?
NARDO
Sì, fino ch'è sposata.
TRITEMIO
Questa è una mala azion, che voi mi fate.
NARDO
No, caro amico, non vi riscaldate.
TRITEMIO
Mi riscaldo perché
si poteva con me meglio trattare.
Se l'aveva promessa,
lo sposo aveva le ragioni sue.
NARDO
Gli sposi erano due;
v'erano dei contrasti, onde per questo
quel che aveva più amor fatto ha più presto.
TRITEMIO
Io l'ho promessa a voi.
NARDO
Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.
TRITEMIO
Ma questo...
NARDO
Orsù, quello che è stato, è stato.
TRITEMIO
È ver, non vuò impazzire;
l'ho trovata alla fine, e ciò mi basta;
dopo il fatto si loda;
chi l'ha avuta, l'ha avuta, e se la goda.
Da me non speri
d'aver un soldo,
se il manigoldo
vedessi lì.
Se se n'è andata,
se si è sposata,
da me non venga,
non verrò qui.
Chi ha avuto ha avuto;
chi ha fatto ha fatto,
non son sì matto,
non vuò gettare,
non vuò dotare
la figlia ardita,
che se n'è gita
da me così.
(parte)
Nardo, poi la Lena e Capocchio notaro.
NARDO
A Rinaldo per ora
basterà la consorte;
poi dopo la sua morte il padre avaro
a suo dispetto lascerà il denaro.
LENA
(a Capocchio)
Venite a stipulare
delle nozze il contratto.
CAPOCCHIO
Eccolo qui, l'avevo mezzo fatto.
NARDO
Andate in casa mia;
l'opera terminate.
L'ordine seguitate
di due sponsali in un contratto espressi
colle stesse notizie e i nomi stessi.
CAPOCCHIO
Sì, signor, si farà.
Ma poi chi pagherà?
NARDO
Bella domanda!
Pagherà chi è servito e chi comanda.
LENA
Sentite: se si fanno
scritture in casa mia,
voglio la senseria.
CAPOCCHIO
Come?
LENA
Dirò:
se mi mariterò,
come spero di farlo prestamente,
la scrittura m'avete a far per niente.
(entra in casa)
Nardo e Capocchio.
CAPOCCHIO
Vostra nipote è avara come va!
NARDO
Credetemi, lo fa senza malizia;
delle donne un costume è l'avarizia.
CAPOCCHIO
Son lente nello spendere,
egli è vero, ma son leste nel prendere.
Voi che filosofo
chiamato siete,
dirmi saprete
come si dia
di simpatia
forza, e virtù.
La calamita
tira l'acciaro,
tira l'avaro
l'oro ancor più.
(entra in casa)
Nardo, poi Lesbina.
NARDO
Nato son contadino,
non ho studiato niente,
ma però colla mente
talor filosofando a discrezione,
trovo di molte cose la ragione.
LESBINA
Ma capperi! Si vede,
affé, che mi volete poco bene.
Nel giardino v'aspetto, e non si viene?
NARDO
Un affar di premura
m'ha trattenuto un poco.
Concludiam, se volete, in questo loco.
LESBINA
Il notaro dov'è?
NARDO
Là dentro. Ei scrive
il solito contratto,
e si faranno i due sponsali a un tratto.
LESBINA
Ma se Eugenia fuggì...
NARDO
Fu ritrovata.
Là dentro è ricovrata,
e si fa con Rinaldo l'istrumento.
LESBINA
Don Tritemio che dice?
NARDO
Egli è contento.
LESBINA
Dunque, quand'è così, facciamo presto.
Andiam, caro sposino.
NARDO
Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
LESBINA
(Non vorrei che venisse.)
NARDO
A me badate;
prima che mia voi siate,
a voi vuò render note
alcune condizion sopra la dote.
LESBINA
Qual dote dar vi possa
voi l'intendeste già:
affetto ed onestà,
modesta ritrosia,
ed un poco di buona economia.
NARDO
Così mi basta, e appunto
di questo capital che apprezzo molto,
intendo ragionar.
LESBINA
Dunque vi ascolto.
NARDO
In primis, che l'affetto
non sia troppo, né poco,
perché il poco non basta e il troppo annoia;
è la mediocrità sempre una gioia.
LESBINA
Com'ho da regolarmi
per star lontana dagli estremi?
NARDO
Udite:
per fuggir ogni lite,
siate amorosa se il marito è in vena;
non lo state a seccar se ha qualche pena.
LESBINA
Così farò.
NARDO
Sul punto
della bella onestà,
non v'è mediocrità. Sia bella o brutta,
la sposa d'un sol uom dev'esser tutta.
Circa l'economia, potrete qui
regolarvi così:
del marito il voler seguire ognora,
e non far la padrona e la dottora.
LESBINA
Così farò, son della pace amica;
obbedirvi sarà minor fatica.
NARDO
Or mi sovvien che un altro capitale
m'offeriste di lingua.
LESBINA
È ver.
NARDO
Se questo
mi riuscirà molesto,
in un più necessario il cambierò.
LESBINA
Ho inteso il genio vostro.
Non vi sarà pericolo
che vi voglia spiacer né anche in un piccolo.
NARDO
Quand'è così, mia cara,
porgetemi la mano.
LESBINA
Eccola pronta.
NARDO
Del nostro matrimonio
invochiamo Cupido in testimonio.
LESBINA
Lieti canori augelli
che tenerelli amate,
deh, testimon voi siate
del mio sincero amor.
NARDO
Alberi, piante e fiori,
i vostri ardori ascosi
insegnino a due sposi
il naturale amor.
LESBINA
Par che l'augel risponda:
ama lo sposo ognor.
NARDO
Dice la terra e l'onda:
ama la sposa ancor.
LESBINA
La rondinella,
vezzosa e bella,
solo il compagno
cercando va.
NARDO
L'olmo e la vite,
due piante unite,
ai sposi insegnano
la fedeltà.
LESBINA
Io son la rondinella,
ed il rondon tu sei.
NARDO
Tu sei la vite bella,
io l'olmo esser vorrei.
LESBINA
Rondone fido,
nel caro nido
vieni, t'aspetto.
NARDO
Prendimi stretto,
vite amorosa,
diletta sposa.
LESBINA E NARDO
Soave amore,
felice ardore,
alma del mondo,
vita del cor.
No, non si trova,
no, non si prova
più bella pace,
più caro ardor.
(partono, ed entrano in casa)
Don Tritemio solo.
Diamine! Che ho sentito?
Di Lesbina il marito
pare che Nardo sia.
Che la filosofia
colle ragioni sue
accordasse ad un uom sposarne due?
Quel che pensar non so;
all'uscio picchierò. Verranno fuori;
scoprirò i tradimenti e i traditori.
La Lena e detto, poi Eugenia, Rinaldo, Nardo e Lesbina.
LENA
Chi è qui?
TRITEMIO
Ditemi presto:
cosa si fa là dentro?
LENA
Finito è l'istrumento:
si fan due matrimoni.
Tra gli altri testimoni,
che sono cinque o sei,
se comanda venir, sarà anco lei.
TRITEMIO
Questi sposi quai son?
LENA
La vostra figlia
col cavalier Rinaldo.
TRITEMIO
Cospetto! mi vien caldo.
LENA
E l'altro, padron mio,
è la vostra Lesbina con mio zio.
TRITEMIO
Come? Lesbina? ohimè! no, non lo credo.
LENA
Eccoli tutti quattro.
TRITEMIO
Ahi! cosa vedo?
EUGENIA
Ah, genitor, perdono.
RINALDO
Suocero, per pietà.
LESBINA
Sposa, signor, io sono.
NARDO
Quest'è la verità.
TRITEMIO
Perfidi, scellerati,
vi siete accomodati?
Senza la figlia mesto,
senza la sposa resto.
Che bella carità!
LENA
Quando di star vi preme
con una sposa insieme,
ecco, per voi son qua.
TRITEMIO
Per far dispetto a lei,
per disperar colei,
Lena mi sposerà.
TUTTI
Sia per diletto,
sia per dispetto,
amore al core
piacer darà.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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